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LO SHUTDOWN CHE VORREBBE RIDISEGNARE L’AMERICA – DUE LATI DELLA STESSA MEDAGLIA

di Melissa de Teffé da Washington, DC – Giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato (US)

Il cosiddetto government shutdown non è una novità per gli Stati Uniti. Dal 1980 ad oggi, il governo federale ha visto e superato oltre 20 episodi di chiusura parziale o totale delle proprie attività, causati dall’impossibilità del Congresso e della Casa Bianca di raggiungere un accordo sui bilanci annuali o su leggi di spesa temporanee (Continuing Resolutions).

Le origini

Il meccanismo affonda le radici nell’Antideficiency Act, una legge federale che proibisce alle agenzie governative di impegnare fondi se non esiste un’esplicita approvazione da parte del Congresso. Quando il budget scade senza rinnovo, i dipendenti (ad eccezione di quelli indispensabili, come i controllori di volo ad esempio) vengono messi in furlough – sospensione temporanea (o come molti la soprannominano, “in vacanza”), mentre i servizi fondamentali vengono comunque garantiti.

Gli episodi più significativi 

  • Anni ’90 (era Clinton): diversi shutdown dovuti ai contrasti con il Congresso a maggioranza repubblicana sulla spesa pubblica e il deficit. Quello del 1995–1996 durò complessivamente 27 giorni.
  • Ottobre 2013 (era Obama): 16 giorni di blocco, frutto dello scontro sull’Obamacare, con oltre 800.000 dipendenti federali in furlough.
  • Dicembre 2018 – Gennaio 2019 (era Trump): il più lungo della storia moderna, 35 giorni, legato al finanziamento del muro al confine con il Messico.
  • Altri episodi  – più brevi  – hanno spesso riguardato divergenze su tasse, sanità, difesa, welfare e immigrazione.

Lo shutdown è quindi diventato un vero e proprio strumento di pressione politica, usato da entrambe le parti come leva negoziale. Ogni episodio ha sofferto di non poche conseguenze: perdita economica, innumerevoli disagi per i cittadini, calo della fiducia nelle istituzioni. L’unica nota positiva, il rafforzamento della narrazione politica per chi ne esce percepito come “vincitore”.

Lo shutdown oggi e i fondi Biden nel mirino

Lo shutdown del 1° ottobre è il risultato di uno scontro politico sugli stanziamenti già approvati sotto Biden; infatti, non si tratta di nuove spese o del bilancio statale stilato dall’amministrazione Trump, bensì sulle spese già predisposte dall’amministrazione precedente. Avendo quindi questa amministrazione cancellato alcune delle voci di spesa ecco perché è nato questo dissidio nel Congresso dove i democratici non hanno accettato queste revisioni.

Due narrazioni a confronto: La posizione repubblicana

Per i Repubblicani non ci sono dubbi: la responsabilità dello shutdown ricade interamente sui Democratici del Senato. Il punto di partenza è la Continuing Resolution (CR), ossia quell’atto legislativo che avrebbe permesso di evitare la chiusura e che meno di sei mesi fa è stata approvata dalla Camera dei deputati, e che avrebbe garantito la continuità dei finanziamenti federali fino al 21 novembre. Un provvedimento che, secondo la leadership GOP, era del tutto “pulito”, praticamente identico a quello che i Democratici stessi avevano approvato in passato durante la presidenza Biden,e che era stato approvato senza opposizioni, se non per un adeguamento dovuto all’inflazione.

Purtroppo, una volta al Senato, i democratici hanno respinto in blocco la proposta. Per la Casa Bianca, la spiegazione è una sola: i Democratici volevano re- inserire i benefit sanitari per gli immigrati illegali, un onere che i Repubblicani giudicano insostenibile per un Paese già gravato da 37 trilioni di dollari di debito.

Dal podio della Sala Stampa, la portavoce Karoline Leavitt insieme al Vicepresidente JD Vance, ha scandito chiaramente l’accusa: i Democratici hanno scelto di “chiudere il governo per difendere il diritto a un’assistenza gratuita per chi ha violato la legge entrando illegalmente”, obbligando tutti a sacrificare programmi necessari e fondamentali per i cittadini americani. Lo shutdown interrompe i finanziamenti a programmi cruciali come Medicare, il sostegno WIC (Women, Infants and Children, che garantisce alimenti e assistenza nutrizionale a donne in gravidanza, neomamme e bambini piccoli), i Community Health Centers e altri servizi sanitari che dipendono dai fondi federali.

La diffidenza repubblicana nasce anche da situazioni di emergenza che hanno visto stati a guida democratica e città santuario utilizzare fondi federali per ospitare immigrati illegali, pur trattandosi di risorse che — contrariamente al mandato originario — avrebbero dovuto servire a proteggere la nazione dagli ingressi non autorizzati e a sostenere la sicurezza delle frontiere. Per il GOP, questo rappresenta un tradimento delle finalità di spesa approvate dal Congresso e un ulteriore segnale di come i Democratici abbiano anteposto la gestione dell’immigrazione irregolare alla tutela dei cittadini.

La narrazione repubblicana si intreccia con la rivendicazione dei risultati dell’amministrazione Trump. Proprio mentre i Democratici “bloccavano il Paese”, il Presidente firmava un accordo con Pfizer per ridurre il prezzo dei farmaci e un executive order per accelerare la ricerca sul cancro pediatrico attraverso l’intelligenza artificiale, misure che per la Casa Bianca sono “azioni concrete a favore degli americani”, in contrapposizione alla scelta dei Democratici di mettere in primo piano i migranti irregolari.

Caroline ha infine ricordato che il mondo conservatore non è il solo a sostiene questa linea. Attori come i Teamsters (il sindacato dei lavoratori pubblici) — il cui leader, Shaun O’Brien ha ammonito: “i lavoratori americani non possono essere ostaggi di giochi politici” — e la Camera di Commercio, la più grande organizzazione imprenditoriale del Paese, hanno chiesto al Senato di approvare senza ulteriori rinvii la CR repubblicana. Il messaggio è chiaro: riaprire subito il governo, evitare il prolungarsi di uno shutdown che rischia di danneggiare l’economia, la sicurezza nazionale e milioni di famiglie.

La posizione democratica: le ragioni del “no”

I Democratici respingono con forza l’idea che la loro scelta contro la CR (Risoluzione Continua, ossia il prolungamento della finanziaria) proposta dai Repubblicani, sia stato un semplice atto di “sabotaggio”. Per loro, il testo avanzato era carente, sbilanciato e politicamente inaccettabile in quanto non difende i diritti sociali che non sono negoziabili. La proposta del GOP non prevedeva il rinnovo dei sussidi dell’Affordable Care Act (Obamacare) né un ampliamento di Medicaid, due misure che per i Democratici sono fondamentali per evitare che milioni di americani vedano aumentare le spese sanitarie. Inoltre, mancavano le risorse per gli aiuti internazionali, incluso il sostegno all’Ucraina — una spesa che i Democratici considerano parte della sicurezza e della proiezione globale americana.

All’interno del Partito Democratico si è aperto un vero braccio di ferro. Da un lato Chuck Schumer, capogruppo di minoranza al Senato, ha cercato di tenere una linea istituzionale e di compromesso, dichiarando in conferenza stampa: “Democrats do not want a shutdown … We stand ready to work with Republicans to find a bipartisan compromise, and the ball is in their court.” Dall’altro lato Alexandria Ocasio-Cortez, deputata di New York e volto dell’ala progressista nota come the Squad, ha spinto con forza i colleghi a respingere la CR repubblicana, accusata di sacrificare sanità e welfare pur di ottenere un’estensione temporanea dei fondi. Per Ocasio-Cortez e i progressisti, infatti, la partita sul bilancio non riguarda solo i conti pubblici ma anche la difesa dei diritti dei migranti: in particolare i beneficiari di DACA, i cosiddetti Dreamers, (i Dreamers devono il loro nome al DREAM Act del 2001, una proposta di legge mai approvata dal Congresso; dal 2012 hanno trovato protezione temporanea grazie al programma DACA voluto da Obama, e più recentemente l’amministrazione Biden ha cercato di estendere loro anche l’accesso ai sussidi sanitari dell’Affordable Care Act)  giovani arrivati da bambini negli Stati Uniti senza documenti ma cresciuti come americani. L’inclusione dei Dreamers nelle coperture sanitarie è divenuto il simbolo della battaglia, trasformando lo shutdown in uno scontro identitario sul futuro stesso dell’America. Alexandria Ocasio-Cortez e altri progressisti hanno spinto affinché i Democratici non cedessero a compromessi che tagliassero fondi essenziali. Lei ha più volte ribadito che non ci si deve “ammorbidire” davanti a tattiche negoziali forzate dei Repubblicani.  Si è creato così, all’interno del partito democratico, un vero e proprio scontro: da una parte Schumer e la leadership del Senato, che desiderano evitare che lo shutdown si prolunghi e causare danni politici irreparabili, dall’altra la base progressista, che insiste sul fatto che, cedere oggi, significherebbe rinunciare a battaglie future su sanità, equità e diritti sociali. Alla fine, la posizione dura ha prevalso e la maggioranza dei senatori Dem ha votato contro la CR repubblicana, convinti che una legge di bilancio viziata non è accettabile.

Nel fumo della battaglia per lo shutdown…

Visto il blocco, Trump ha deciso di approfittarne e non perdere questa occasione politica per portare avanti uno degli obiettivi principali: ridurre le dimensioni gargantuesche del governo federale.

Il 2 ottobre 2025, su Truth Social, ha scritto: “We are looking at which DEMOCRAT agencies and wasteful projects to CUT. There could be permanent cuts, there could be firings – and that’s their fault. The shutdown is a chance to finally shrink Washington and put America First.”
Inolte Trump ha annunciato un incontro con l’OMB (Office of Management and Budget) per discutere tagli mirati: “we could cut projects … permanently cut”.

Queste dichiarazioni hanno alimentato la preoccupazione dei sindacati federali. L’AFSCME (American Federation of State, County and Municipal Employees) ha denunciato che l’amministrazione sta cercando di usare lo shutdown per “licenziare in massa i lavoratori federali in violazione della legge”, ricordando che finora i precedenti shutdown avevano sempre previsto sospensioni temporanee con diritto a back pay, (paga arretrata) non licenziamenti permanenti.

I tentativi di rendere permanenti i tagli durante una fase di blocco potrebbero violare leggi federali come l’Antideficiency Act, che disciplina le attività consentite in assenza di stanziamenti approvati dal Congresso.

Se da un lato Donald Trump sfrutta lo shutdown come occasione per snellire lo Stato federale, riducendo agenzie e spesa pubblica, dall’altro il confronto mette a nudo due filosofie politiche inconciliabili.

 I Democratici continuano a difendere un modello che prevede alti livelli di finanziamenti anche all’estero — dall’Ucraina ai programmi multilaterali — rischiando però di apparire quasi ciechi di fronte a un’America che, agli occhi di molti, sembra solo l’ombra della potenza che fu.

 I Repubblicani, invece, attraverso la linea dura di Trump, tentano di “tirare i remi in barca” e concentrare le risorse sul fronte interno, nella convinzione che un Paese con un debito da 37 trilioni di dollari non possa più permettersi sprechi o “vacanze italiane”, ma debba tornare a investire sulla sicurezza nazionale, sul lavoro e sui cittadini americani.

Lo shutdown del 2025 va oltre la questione di bilancio: racconta un’America spaccata tra chi guarda ancora al ruolo globale all’estensione del welfare inclusivo e chi, invece, vuole concentrare risorse e forze sul fronte interno.




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