L’attacco di Israele a Hezbollah: tra politica e strategia militare
di Claudio Bertolotti.
Sul piano politico-strategico Israele persegue l’obiettivo di distruggere l’asse della resistenza, che è la prima minaccia che incombe su Israele (forse non più). Una scelta che determinerà, in primis, una ridefinizione degli equilibri in Medioriente, con una progressiva erosione della minaccia attraverso l’indebolimento o la disarticolazione irreversibile dei suoi attori di prossimità (Hamas, Hezbollah, Ansar-Allah yemeniti, milizie sciite irachene, Siria). Aspetto prioritario rimane il proseguimento del processo di normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi avviato con gli “Accordi di Abramo”, sponsorizzato dagli Stati Uniti che, sebbene rallentato dal conflitto in atto, rimane la priorità condivisa da Washington, Gerusalemme e Riad.
Sul piano strategico-militare l’azione contro Hezbollah ha un intento preventivo a un’eventuale minaccia simultanea da parte del cd. “Asse della Resistenza” guidato da Teheran che metterebbe in crisi il sistema contraereo Iron Dome israeliano in conseguenza della saturazione della capacità di risposta (più attacchi rispetto alla capacità di reazione israeliana). Questo coerentemente con la visione israeliana che percepisce la minaccia iraniana come esistenziale e adotta un approccio preventivo.
Scelte, quella politica e quella militare, che concretizzano l’approccio teorico e di prontezza operativa definito nei documenti di “Strategia per la sicurezza nazionale” e la “Dottrina strategica militare”.
Con la serie di azioni a danno di Hezbollah, Israele è
riuscito a scardinare non tanto la sostanza di un’alleanza, ma la sua illusione
di potenza e deterrenza. L’Iran ormai è nudo, è debole, e i suoi alleati
pregiati, da Hamas e Hezbollah sono stati drasticamente ridimensionati sia sul
piano politico (uccisioni targeting) sia militare. Hamas è ormai ridotto ai
minimi termini militarmente parlando, Hezbollah è privo di capacita di comando,
controllo e comunicazione, e questo dimostra come la retorica iraniana sia
ormai stata smentita dai fatti.
E la preoccupazione di Teheran aumenta con l’avvicinarsi
delle elezioni statunitensi. Oggi gli Stati Uniti sostengono senza sé e senza
ma Gerusalemme. E se è comprensibile una certa ritrosia dell’amministrazione
democratica a un’intensificazione dello scontro regionale (a cui Washington non
farebbe comunque mancare il proprio appoggio), un’eventuale vittoria
repubblicana di fatto rafforzerebbe la linea politica israeliana già
consolidata.
La nuova strategia di intelligence USA: implicazioni per il Sistema di Informazioni e Sicurezza della Repubblica.
di Niccolò Petrelli, START InSight, Assistant Professor, Strategic Studies
Nell’Agosto 2023 l’US Office of the Director of National Intelligence (ODNI) ha pubblicato una National Intelligence Strategy (NIS) incentrata sulla nuova era di competizione con la Cina che nel corso degli ultimi mesi ha iniziato ad essere attuata.[1] Uno degli elementi centrali del documento, che essenzialmente delinea la visione per il futuro dell’ODNI più che una vera e propria strategia, è la decisione di rafforzare ed espandere la rete internazionale di “collegamenti” con altri servizi informativi (nonché con vari tipi di attori privati).[2] Quale l’eventuale impatto sul Sistema di Informazioni e Sicurezza della Repubblica (SISR)? Esiste la possibilità che la strategia di collegamento USA si traduca in opportunità per il sistema d’intelligence italiano?
Per rispondere a queste domande è
possibile partire da un precedente analogo nella storia dell’intelligence
USA. Tra la seconda metà del 1945 e la prima metà del 1947 infatti, l’emergere
della competizione con l’Unione Sovietica spinse l’apparato informativo
statunitense ad investire in maniera sistematica risorse, capacità, expertise,
e relazioni personali nella creazione di una massiccia e stratificata
infrastruttura di collegamenti con i servizi segreti di numerosi paesi
dell’Europa occidentale.[3]
In un primo momento a guidare tale strategia furono principalmente requisiti di
“accesso” e ampliamento della raccolta informativa sull’URSS e i suoi “alleati”
in Europa orientale: i paesi dell’Europa occidentale rappresentavano infatti
quella che potremmo definire la più valida “piattaforma” per accedere a tali
obiettivi informativi. Nel 1946 ad esempio fu raggiunto un tacito accordo in
base al quale la MUST e la FRA, le due agenzie di intelligence militare
svedesi, iniziarono a passare all’intelligence USA tutti le informazioni
di HUMINT e SIGINT sulle attività militari sovietiche nella regione baltica in
cambio di finanziamenti e equipaggiamento per la raccolta informativa tecnica. Un
altro esempio, più noto, è quello dell’accordo UKUSA, sempre del 1946, in base
a cui la State-Army-Navy Communications Intelligence Board degli Stati
Uniti e la London SIGINT Board si impegnavano a condividere ogni
prodotto informativo di raccolta tecnica, mettendo di fatto in piedi una
ripartizione del lavoro che l’ex direttore del Government Communications Headquarters
(GCHQ) David Omand ha definito basata sui “soldi statunitensi e cervelli
britannici”.[4]
La
situazione iniziò tuttavia a cambiare approssimativamente dal 1949. L’intelligence
americana modificò progressivamente la propria azione di collegamento,
strutturandola in base alla percezione della natura della competizione
prevalente a Washington, ovvero quella di un confronto in primo luogo politico-ideologico
con l’URSS. Ciò si riteneva
richiedesse una fusione dei paradigmi strategici di “guerra” e “pace” in uno sforzo
unitario e coordinato di political warfare,[5] come la definì George Kennan. Tanto la
CIA quanto le varie componenti dell’intelligence militare
intensificarono dunque le proprie attività di collegamento in Europa
occidentale promuovendo, in modi e forme diverse a seconda delle circostanze,
lo sviluppo di tutte quelle capacità ritenute essenziali per gestire il nuovo
tipo di confronto: propaganda, guerra psicologica, sostegno clandestino a forze
politiche locali e, qualora necessario, contro-guerriglia.[6]
In Germania ad esempio, oltre alla creazione di diverse reti stay-behind
(S/B), documentazione recentemente declassificata ha gettato luce sul sostegno
fornito dalla CIA e dall’intelligence militare USA per attività
clandestine condotte dall’Organizzazione Gehlen (la prima struttura di intelligence
di quella che sarebbe diventata la Repubblica Federale Tedesca), al fine di
minare la stabilità della zona di occupazione sovietica della Germania.[7]
Dove si rivelò più difficile cooperare ad ampio spettro con le controparti
locali la comunità di intelligence statunitense combinò attività di
collegamento ad operazioni clandestine. Un approccio di questo tipo fu adottato
ad esempio in Italia, dove dalla fine della Seconda Guerra Mondiale l’intelligence
americana operò simultaneamente a due diversi livelli: da un lato collaborando
con i servizi segreti italiani, in particolare nel programma S/B, dall’altro
sviluppando autonomamente reti clandestine per condurre attività di guerra
psicologica, propaganda e destabilizzazione.
La strategia di collegamento USA generò
dunque effetti trasformativi della struttura, capacità, e funzioni degli
apparati informativi europei occidentali, rischi di vario tipo, basti pensare
proprio al caso dell’Italia, ma anche opportunità, in particolare di
beneficiare di finanziamenti, anche cospicui, nonché di forniture di
equipaggiamento tecnologicamente avanzato. Non tutti i servizi europei
occidentali tuttavia furono parimenti in grado di sfruttare tali opportunità.
Ciò dipese da variabili di vario tipo legate al contesto, la natura delle
relazioni diplomatiche con gli USA, il grado di fiducia esistente tra i
decisori politici ed i vertici degli apparati informativi, la condizione
politica prodotta dalla Seconda Guerra Mondiale e, non da ultimo, la posizione
geografica dei vari paesi rispetto agli obiettivi informativi di prioritario
interesse per la comunità d’intelligence USA. Di cruciale importanza
furono tuttavia anche taluni fattori squisitamente materiali, ovvero il grado di
“interoperabilità” con il sistema d’intelligence statunitense, l’adattabilità
e funzionalità delle capacità, esistenti e potenziali, dei servizi dell’Europa
occidentale rispetto alle missioni affidate al sistema d’intelligence USA
nel quadro della political warfare nei confronti del blocco comunista, e
da ultimo la complementarietà di capacità e competenze rispetto a quelle
espresse dalle varie componenti del sistema USA.
Il GCHQ britannico fu ad esempio in grado, capitalizzando sulle proprie
competenze specifiche in termini di analisi politica del sistema internazionale
e crittoanalisi, nonché sulla “interoperabilità” tecnica con il sistema USA, di
massimizzare i vantaggi derivanti dalla strategia di collegamento attuata dagli
USA arrivando, come visto sopra, a siglare un accordo che garantiva accesso ad
ogni prodotto (in teoria) di raccolta tecnica statunitense. L’intelligence
svedese, da parte sua, riuscì, in particolare in virtù delle proprie autonome
capacità di raccolta tecnica in un’area di cruciale importanza strategica per
gli USA, ad assicurarsi finanziamenti e equipaggiamento per rafforzare un
settore di raccolta prioritario per la sicurezza nazionale del paese. Il caso
italiano dimostra invece come, nonostante l’abilità dimostrata in diverse
circostanze dai vertici dell’apparato informativo nello sfruttare a proprio
vantaggio la propensione USA ad intensificare i collegamenti, come ad esempio
nel caso del programma congiunto S/B Italia-USA “Gladio” avviato nel 1951,
limiti capacitivi impedirono di cogliere ulteriori potenziali opportunità. Infatti,
le scarse competenze analitiche dell’intelligence italiana, in
particolare sotto il profilo economico, sociologico e politologico, e la
conseguente incapacità di sviluppare analisi ad ampio spettro della base di
sostegno e infrastruttura sociale del Partito Comunista Italiano (PCI)
contribuì in maniera non trascurabile a far sì che l’intelligence USA
procedesse in maniera autonoma sia alla raccolta informativa che ad una serie
di attività operative di contrasto nei confronti del PCI.[8]
Allo stesso modo la mancanza di una solida capacità di raccolta SIGINT da parte
dell’apparato informativo italiano precluse l’opportunità, intorno alla metà
degli anni ’50, nel momento in cui Washington era particolarmente interessata a
monitorare l’intensificazione dell’attività navale sovietica nel Mediterraneo,
di estendere i collegamenti con il sistema d’intelligence USA a
condizioni vantaggiose per l’Italia, e rappresentò molto probabilmente una
delle ragioni alla base della creazione da parte statunitense nel 1960 di una
struttura SIGINT gestita dall’Air Force Security Group (USAFSS) a San
Vito dei Normanni.[9]
Basandoci su quanto sopra, si può ipotizzare che l’attuazione della strategia
di collegamento delineata nella NIS 2023 presenterà per l’apparato informativo
italiano, con buona probabilità, opportunità analoghe a quelle che emersero al
principio della Guerra Fredda. Due sono dunque gli elementi su cui concentrare
l’attenzione per comprendere come esse potrebbero essere sfruttate nella
maniera più efficace: il primo è la percezione USA della natura della
competizione con la Cina, il secondo sono le capacità (a livello aggregato) che
i vertici dell’intelligence USA stanno sviluppando ed intendono
promuovere per i prossimi anni.
Per quanto riguarda il primo elemento, dopo un periodo piuttosto lungo
di dibattito, la natura della competizione con la Cina ha iniziato ad essere
definita con maggiore precisione. Benché l’assunto di partenza rimanga quello
di una competizione globale in ogni ambito, economico, politico, sociale, dell’informazione,
e militare, è recentemente emerso un consenso sempre più ampio circa il fatto
che la componente centrale di tale competizione sia di natura tecnologico-economica.[10]
In altre parole, si ritiene che essa sia incentrata sulla creazione di un
vantaggio competitivo duraturo nelle principali tecnologie di frontiera, intelligenza
artificiale generale, microprocessori e reti di comunicazione di prossima
generazione, produzione avanzata, stoccaggio e produzione di energie,
biotecnologie, al fine di poter plasmare l’economia globale della prossima
generazione e definire gli standard di accesso e impiego a tali tecnologie.[11]
In merito al secondo elemento, per comprendere il tipo di capacità che
l’ODNI intende promuovere nella comunità d’intelligence USA è possibile
fare riferimento alla nozione di Revolution in Intelligence Affairs (RIA),
da alcuni anni ormai popolare nel dibattito professionale e politico USA sull’intelligence.
Benché nella NIS non vi siano espliciti riferimenti al concetto, appare
evidente come la RIA rappresenti il costrutto-guida de facto impiegato per
coordinare una serie di trasformazioni, nel procurement e integrazione
di nuove tecnologie, nella struttura organizzativa, e nelle procedure operative
del sistema d’intelligence USA, al fine di porlo nelle condizioni
migliori per affrontare le sfide dei prossimi decenni, in primis quelle legate
alla competizione con la Cina.
La trasformazione immaginata dall’ODNI prevede di procedere in primo
luogo all’acquisizione e integrazione su vasta scala di intelligenza
artificiale, sensori all’avanguardia e tecnologie di automazione, evitando
approcci incrementali o settoriali. Simultaneamente, alla luce della velocità,
della scala, e della complessità a cui opereranno queste tecnologie, verranno
promossi rapidi cambiamenti organizzativi e operativi volti ad agevolare forme
di integrazione tra raccolta e analisi, promuovere ridondanza tra le varie fasi
del ciclo di intelligence, nonché a creare meccanismi più rapidi per la
diffusione in tempo reale dei prodotti informativi. In altre parole, si intende
promuovere un modus operandi “a rete” per il sistema di intelligence
basato sulla fusione completa dei flussi di dati prodotti da ogni tipo di
sensori e piattaforme, la sincronia e integrazione di tutte le attività
operative, e la trasmissione rapida e continua di prodotti a operatori umani,
macchine e decisori in tutti i dominii.[12]
Quali dunque le capacità e competenze su cui il SISR dovrebbe puntare
per essere in grado di cogliere le opportunità generate dalla strategia di
collegamento dell’intelligence USA? Essenziale è che esse rispondano
alla percezione della competizione come di un confronto essenzialmente
tecno-economico, e che siano complementari alle capacità espresse dal sistema
d’intelligence USA.
In primo luogo dunque il SISR dovrebbe rafforzare le proprie capacità
di raccolta e analisi in ambito economico e tecnologico. La questione non è
nuova, il dibattito sul rafforzamento dell’intelligence economica risale
agli anni 90, con il lavoro delle commissioni Ortona (1992) e Jucci (1997).[13]
Approssimativamente nello stesso periodo inoltre in seno al Comitato Esecutivo
per i Servizi di Informazione e Sicurezza (CESIS) fu attivato un “gruppo
permanente per l’intelligence economica”. Di recente l’ex direttore del SISDE
Mori ha rilanciato l’idea di un organismo collegiale dove siano rappresentati il
Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), le due agenzie (Aisi e
Aise), i ministeri interessati e le associazioni degli imprenditori. Nel caso
specifico tuttavia la questione chiave sarebbe, in coerenza con quello che è
l’approccio USA all’intelligence economico-tecnologica, adottare una
postura proattiva, che includa attività offensive su base continuativa nei
confronti non solo della Cina e dei suoi principali partner economici e
tecnologici, ma anche di imprese e enti privati riconducibili a quello che
potremmo chiamare “l’ecosistema tecno-economico” cinese.
In secondo luogo, il SISR dovrebbe investire sullo sviluppo ulteriore
delle proprie capacità operative in aree in cui gode di un vantaggio competitivo,
ed in cui esse possano impiegarsi in maniera complementare a quelle del sistema
d’intelligence statunitense. La scelta più logica appare l’area del
Mediterraneo, dove da diversi decenni ormai il sistema d’intelligence
italiano conduce attività operativa di ampio respiro. Proprio nel Mediterraneo
infatti negli ultimi anni la Cina ha, con discrezione, ampliato la propria
presenza attraverso grandi aziende private (Shanghai
International Port Group, China Merchants) e pubbliche (COSCO, China
Communications and Construction Company) stipulando accordi commerciali di
vario tipo, accordi per partecipazioni nei porti di paesi situati lungo rotte
marittime vitali per la Belt and Road Initiative, e acquisendo aziende di medie
dimensioni, spesso allo scopo di avere accesso a tecnologie Europee.[14]
Il necessario presupposto ovviamente, come evidenziano gli esempi di UK
e Svezia durante la Guerra Fredda, è che il sistema d’intelligence
italiano goda di un buon livello di “interoperabilità” con quello USA. Ciò, a
sua volta, richiede che i vertici dell’apparato informativo proseguano, e
auspicabilmente diano ulteriore impulso, a quel processo di acquisizione e
integrazione di tecnologie dell’informazione di ultima generazione, sensori
avanzati, Intelligenza Artificiale e sistemi di apprendimento automatico, che
sembra essere iniziato da qualche anno.
[1] https://oversight.house.gov/wp-content/uploads/2024/05/05062024-ODNI-Letter.pdf.
[2]
https://www.voanews.com/a/new-us-intelligence-strategy-calls-for-more-partners-more-sharing-/7220725.html
[3] Michael Warner AID
[4] https://media.defense.gov/2021/Jul/15/2002763709/-1/-1/0/AGREEMENT_OUTLINE_5MAR46.PDF;
https://www.securityweek.com/britains-gchq-listening-post-tune-nsa.
[5] George F. Kennan, The
Inauguration of Organized Political Warfare [Redacted Version], 30 aprile
1948, Woodrow Wilson Center, History and Public Policy Program Digital Archive,
https://digitalarchive.wilsoncenter.org/document/114320.pdf?v=94.
[6] US Department of
State, Foreign Relations of the United States,
1951, Vol. I, National Security Affairs, Foreign Economic
Policy, Washington DC, Government
Printing Office, 1979 (FRUS 1951), Doc. 18 Attachment to Memorandum for the
National Security Council by the Executive Secretary, 8 maggio 1951.
[7] https://nsarchive.gwu.edu/briefing-book/openness-russia-and-eastern-europe-intelligence/2022-05-11/secret-war-germany-cias.
[8] Niccolò Petrelli, “Alcide De Gasperi e le Origini
del Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR)”, in Mario Caligiuri (a
cura di) De Gasperi e L’Intelligence (in corso di pubblicazione).
[9]
https://www.cia.gov/readingroom/docs/DOC_0000278476.pdf
[10] Intelligence
Innovation. Repositioning for Future Technology Competition, Second Intelligence Interim Panel Report (IPR) of the Special
Competitive Studies Project (SCSP), Aprile 2024.
[11] Brandon Kirk
Williams, The Innovation Race: US-China Science and Technology Competition
and the Quantum Revolution (Washington DC: Woodrow Wilson Center, 2023).
[12] Creating Cross-Domain Kill Webs in Real Time, DARPA (Sept. 18, 2020), https://www.darpa.mil/news-events/2020-09-18a e AI Fusion: Enabling Distributed Artificial Intelligence to Enhance
Multi-Domain Operations & Real-Time Situational Awareness, Carnegie
Mellon University (2020), http://www.cs.cmu.edu/~ai-fusion/overview.
[13] Gabriele Carrer, Perché all’Italia serve intelligence
economica. Intervista al generale Mori, Formiche 9 Giugno 2024 https://formiche.net/2024/06/intervista-intelligence-economica-mario-mori/#content..
[14] Claudia De Martino,
The Growing Chinese Presence in the Mediterranean, Med-Or Geopolitics, 22 April
2024, https://www.med-or.org/en/news/la-crescente-penetrazione-cinese-nel-mediterraneo.
Atlante geopolitico del Mediterraneo 2024: la recensione.
di Claudio Bertolotti.
Abstract (Italian)
L’Atlante geopolitico del Mediterraneo 2024, giunto alla sua decima edizione, sottolinea l’importanza cruciale del Mediterraneo per Europa, Africa e Asia, evidenziando il ruolo chiave dell’Italia come ponte strategico nella regione. Esamina lo sviluppo della politica estera italiana dal dopoguerra, mostrando come la stabilità del Mediterraneo sia fondamentale per gli interessi del paese. Celebrando figure storiche italiane come Fanfani, Gronchi, La Pira e Mattei, il testo sottolinea l’importanza dell’Italia nella gestione delle risorse energetiche, sicurezza marittima e flussi migratori, promuovendo una collaborazione equa e sostenibile tra le nazioni mediterranee. L’Atlante affronta anche le attuali instabilità regionali, come le tensioni in Libia, la svolta autoritaria in Tunisia e il conflitto israelo-palestinese, proponendo la soluzione a due Stati come via per una pace duratura. La stabilizzazione del Mediterraneo è vista come essenziale per la crescita delle nazioni rivierasche. L’edizione esplora le dinamiche politiche e socio-economiche attuali e future del Mediterraneo, offrendo uno strumento per comprendere e affrontare le sfide della regione, enfatizzando il ruolo cruciale dell’Italia nella politica estera e nella gestione delle sfide regionali.
Atlante geopolitico del Mediterraneo 2024, a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari; prefazione Di Paolo De Nardis; introduzione di Gianluigi Rossi, ed. Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, Roma, pp. 570.
Keywords: Mediterraneo, Piano Mattei.
L’Atlante geopolitico del Mediterraneo 2024, giunto alla
sua decime edizione, discute il ruolo cruciale del Mediterraneo nelle dinamiche
geopolitiche globali, evidenziando la sua importanza storica, culturale ed
economica per tre continenti: Europa, Africa ed Asia. In particolare sottolinea
come l’Italia, grazie alla sua posizione strategica, giochi un ruolo chiave
nella regione, agendo come ponte tra Nord e Sud, Est e Ovest. La decima
edizione dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo esamina, in particolare, lo
sviluppo della politica estera italiana dal dopoguerra, dimostrando come gli
interessi dell’Italia siano strettamente legati alla stabilità della regione.
Un’evoluzione storica che evoca il ruolo giocato dalla politica estera italiana
nelle relazioni internazionali, richiamando i nomi di coloro che ne hanno
definito le direttrici, oggi in parte non più così ben definite, da Amintore
Fanfani a Giovanni Gronchi a Giorgio La Pira ed Enrico Mattei, il cui nome è
oggi il punto di riferimento ideale di un importante e ambizioso progetto di
cooperazione e collaborazione regionale particolarmente caro all’Italia.
Come storico non ho potuto che apprezzare lo sforzo degli
autori – e dunque dei curatori – nel ricostruire il ruolo dell’Italia nel
Mediterraneo negli ultimi settant’anni, evidenziando l’importanza del paese in settori
come la gestione delle risorse energetiche, la sicurezza marittima e i flussi migratori.
Il testo sottolinea la necessità di superare le vecchie dinamiche coloniali per
promuovere una collaborazione equa e sostenibile tra le nazioni mediterranee.
La regione, viene rilevato nel testo, è attualmente
segnata da instabilità, come le tensioni in Libia, la svolta autoritaria in
Tunisia e il conflitto israelo-palestinese. La soluzione a due Stati è vista
come l’unica strada per la pace duratura in Medio Oriente. Stabilizzare il
Mediterraneo è essenziale per la crescita delle nazioni rivierasche.
Questa edizione dell’Atlante mira a esplorare le attuali
dinamiche politiche e socio-economiche del Mediterraneo e le prospettive
future, offrendo uno strumento essenziale per comprendere e affrontare le sfide
della regione. Il testo evidenzia l’importanza dell’Italia nel Mediterraneo,
sottolineando il suo ruolo cruciale nella politica estera e nella gestione
delle sfide regionali.
PARTE
PRIMA: APPROFONDIMENTI
“La
dimensione mediterranea della politica estera italiana fra Atlantico ed Europa
(1949-1969)” (di Bruna Bagnato).
Nel suo saggio l’Autrice
esamina le tre principali direttrici della politica estera italiana nel secondo
dopoguerra: europea, atlantica e mediterranea. Queste direttrici non sono
statiche ma si sono evolute in risposta ai cambiamenti geopolitici.
L’Italia, pur
geograficamente europea e mediterranea, ha dovuto integrare la sua
partecipazione all’alleanza atlantica (NATO) dal 1949, il che ha influenzato la
sua politica estera, spingendola ad adattarsi ai contesti della Guerra Fredda e
agli interessi occidentali. La divisione dell’Europa in blocchi orientale e
occidentale e le tensioni Est-Ovest hanno complicato la politica mediterranea italiana,
che ha dovuto affrontare le eredità coloniali e le sfide della
decolonizzazione.
La politica italiana,
influenzata dalle diverse stagioni politiche interne, ha oscillato tra
strategie mediterranee e europee. Negli anni ’50, con l’avvento del “neo-atlantismo”,
l’Italia ha cercato di coniugare l’impegno atlantico con una nuova politica
mediterranea, adottando posizioni anticoloniali per allinearsi con gli Stati
Uniti e differenziarsi dall’imperialismo anglo-francese.
Il testo, in
particolare, sottolinea come il “neo-atlantismo” abbia cercato di
dare all’Italia un ruolo più dinamico nel Mediterraneo, basato su una
cooperazione con gli Stati Uniti e una maggiore attenzione alle aspirazioni dei
paesi arabi. Tuttavia, questo approccio ha dovuto confrontarsi con le complessità
della politica europea, soprattutto con la posizione francese riguardo ai
territori d’oltremare e l’associazione dei paesi africani alla Comunità
Economica Europea (CEE).
Con la crisi di Suez
del 1956, l’Italia ha visto un’opportunità per consolidare la propria politica
mediterranea in sintonia con l’orientamento anticoloniale americano. Italia
che, negli anni ’60, ha dovuto affrontare le sfide del boom economico, della decolonizzazione e del cambiamento nelle
dinamiche della Guerra Fredda. La politica estera italiana nel Mediterraneo ha
dovuto adattarsi a un nuovo contesto internazionale, segnato dalla distensione
tra Stati Uniti e Unione Sovietica e dall’evoluzione delle relazioni
euro-arabe.
La politica
mediterranea italiana si è quindi spostata verso un approccio multilaterale,
integrando le istanze comunitarie europee e ponendo le basi per una
collaborazione più stretta con i partner europei per la stabilizzazione
politica ed economica della regione. Questo cambiamento ha rappresentato un
allontanamento dalla precedente enfasi atlantica, con una maggiore enfasi sulla
cooperazione europea nel Mediterraneo.
La politica estera italiana e il
“Mediterraneo allargato” dalla crisi del centro-sinistra a oggi (di Antonio Varsori).
Premessa storica e contesto iniziale. Dalla fine della
Seconda guerra mondiale alla metà degli anni Cinquanta, l’Italia, guidata dalla
Democrazia Cristiana (DC), ha cercato di superare le difficoltà derivanti dalla
sconfitta e dal trattato di pace, ricostruendo il proprio ruolo all’interno del
sistema occidentale e del sottosistema europeo dominato dagli Stati Uniti.
Questa fase è stata caratterizzata da una scelta “atlantica” ed
“europea” che ha incluso l’adesione al Piano Marshall e al Patto
Atlantico, oltre alla partecipazione al Consiglio d’Europa e al Piano Schuman.
La politica estera degli anni ’90. Con la crisi di “Tangentopoli” e la fine della
Guerra fredda, l’Italia ha subito un ripiegamento sui problemi interni e un
ridimensionamento del proprio ruolo nel Mediterraneo allargato. Le priorità si
sono spostate verso la partecipazione all’Unione Europea e all’adozione
dell’euro. Tuttavia, un tentativo significativo di mantenere un ruolo attivo
nella regione è stato l’invio di un contingente militare in Somalia nel 1992
per partecipare a una missione di peacekeeping
delle Nazioni Unite; una partecipazione importante sul piano delle relazioni
internazionali che, per contro, ha avuto esiti complessi e drammatici.
L’era Berlusconi. Durante i governi
Berlusconi, l’Italia ha affrontato diverse sfide nel Mediterraneo allargato. Un
esempio è stato il controverso impegno militare in Iraq, che ha sollevato forti
opposizioni interne e divergenze con le politiche di altri paesi europei come Francia
e Germania. Berlusconi ha anche rafforzato i rapporti con la Libia di Gheddafi,
culminati in un accordo che prevedeva riparazioni per il passato coloniale
italiano e un maggiore controllo sui flussi migratori illegali.
La politica migratoria e le crisi recenti. L’immigrazione è
diventata una questione centrale nella politica mediterranea italiana. Dagli
anni Novanta, l’Italia ha visto un crescente flusso di immigrati provenienti
dai Balcani, dal Maghreb e dall’Africa subsahariana. Questo ha portato a
tensioni e accordi, come quello con la Libia per controllare l’immigrazione
clandestina. La crisi libica del 2011 e le Primavere arabe hanno ulteriormente
complicato la situazione, provocando instabilità e nuovi flussi migratorie.
Sfide contemporanee. La recente escalation
della questione palestinese e la ricerca di nuovi partner energetici dopo
l’interruzione dei rapporti con la Russia a causa della guerra in Ucraina,
insieme all’aumento dei flussi migratori da Tunisia e Libia, rappresentano le
attuali sfide per l’Italia. In questo contesto, il “Piano Mattei” e
un nuovo attivismo mediterraneo sono stati proposti come soluzioni, ma i loro
esiti rimangono incerti.
Conclusioni. Dal dopoguerra a oggi,
la politica estera italiana nel Mediterraneo allargato ha attraversato diverse
fasi, influenzate da cambiamenti interni e globali. Dalla costruzione iniziale
di un ruolo nell’ambito del sistema occidentale, passando per le crisi politiche
ed economiche degli anni ’90, fino alle sfide contemporanee legate alla
migrazione e alla sicurezza energetica, l’Italia ha costantemente cercato di
mantenere una presenza significativa nella regione, adattandosi ai mutamenti
del contesto internazionale.
“La politica estera
italiana e il Medio Oriente negli anni della Repubblica” (di Luca
Riccardi).
Dopo la Seconda Guerra
Mondiale, l’Italia attraversò un periodo di ricostruzione economica e di
riorganizzazione della propria politica estera. Questo periodo segnò il
passaggio dall’ambizione di essere una grande potenza a una media potenza
integrata nel sistema internazionale dominato dagli Stati Uniti.
Origini della politica mediorientale. Subito dopo la guerra,
l’Italia si concentrò sul mantenimento della stabilità politica nel
Mediterraneo orientale, sostenendo soluzioni accettabili sia per gli arabi che
per gli ebrei. L’obiettivo principale era la stabilità, vista come necessaria
per perseguire gli interessi economici italiani e proteggere le comunità italiane
presenti nella regione.
Neo-atlantismo e rafforzamento dei legami con gli Stati Uniti
Negli anni Cinquanta,
l’Italia sviluppò una politica chiamata “neo-atlantismo”, che mirava
a rafforzare la presenza politica ed economica nel Mediterraneo e nel Medio
Oriente. Questa politica cercava di conciliare gli interessi italiani con
quelli americani, fungendo da collegamento tra gli Stati Uniti e il mondo
arabo. Protagonisti di questa politica furono Amintore Fanfani, Giovanni
Gronchi, Giorgio La Pira ed Enrico Mattei.
Gli anni Sessanta e Settanta. Durante gli anni Sessanta e Settanta, l’Italia,
sotto la guida di Aldo Moro, cercò di stabilizzare la regione attraverso una
politica di contatti e un crescente coordinamento con i paesi della Comunità
Europea. Tuttavia, la crisi petrolifera del 1973 e le sue conseguenze
economiche influenzarono negativamente la politica italiana, rendendo il paese
dipendente dalle forniture di petrolio dai paesi arabi.
Gli anni Ottanta. Negli anni Ottanta, con
Bettino Craxi come Presidente del Consiglio e Giulio Andreotti come Ministro
degli Esteri, l’Italia mantenne una forte presenza nel Mediterraneo allargato.
Craxi e Andreotti cercarono di promuovere il coinvolgimento dell’OLP nel processo
di pace, sostenendo il diritto dei palestinesi a una patria propria, senza
compromettere l’esistenza dello Stato di Israele. L’Italia cercò di bilanciare
le relazioni tra gli Stati Uniti e il mondo arabo, mantenendo una posizione di
equidistanza.
Declino e marginalizzazione. Verso la fine della Prima Repubblica, l’Italia
iniziò a perdere rilevanza nella politica mediorientale, diventando sempre più
allineata con le politiche degli Stati Uniti. La conferenza di Madrid del 1991
segnò un’ulteriore marginalizzazione dell’Italia e dell’Europa nel processo di
pace in Medio Oriente.
In sintesi, la politica
estera italiana verso il Medio Oriente è stata caratterizzata da tentativi di
mantenere la stabilità nella regione, rafforzare i legami economici e politici
con i paesi arabi, e bilanciare le relazioni tra gli Stati Uniti e il mondo
arabo, pur affrontando periodi di crisi economica e declino politico.
PARTE SECONDA: SCHEDE PAESI
Marocco
La Storia. La storia del
Marocco è caratterizzata da un lungo periodo di colonizzazione europea iniziata
ufficialmente nel 1912 con il Trattato di Fez, che sanciva l’istituzione di un
protettorato francese e spagnolo sul paese. Durante il periodo coloniale, il
Marocco vide una vasta politica di modernizzazione, con la costruzione di
infrastrutture e nuove città ad opera dei coloni francesi. La resistenza contro
il dominio coloniale portò a frequenti rivolte, culminate nella
“Rivoluzione del re e del popolo” del 1953, che contribuì
all’indipendenza del paese, riconosciuta dalla Francia nel 1956. Mohammed V
divenne re, avviando un processo di riforme che portarono alla modernizzazione
del paese e alla creazione di una monarchia costituzionale.
Oggi. Negli ultimi
decenni, il Marocco ha affrontato numerose sfide e trasformazioni. Sotto il
regno di Mohammed VI, iniziato nel 1999, il paese ha intrapreso un percorso di
riforme economiche e politiche, tra cui la promozione dei diritti umani e la
modernizzazione delle istituzioni. Tuttavia, permangono criticità relative ai
diritti umani e alla questione del Sahara Occidentale. Il Marocco ha anche
consolidato il suo ruolo geopolitico nella regione, ristabilendo relazioni
diplomatiche con Israele nel 2020 e giocando un ruolo chiave nella gestione
delle migrazioni tra Africa ed Europa.
Algeria
La Storia. L’Algeria,
colonizzata dalla Francia dal 1830, visse un periodo di modernizzazione nel
primo dopoguerra. Tuttavia, la crescente consapevolezza nazionale portò alla
guerra di indipendenza algerina (1954-1962), un conflitto sanguinoso che
culminò con l’indipendenza del paese nel 1962. Il periodo post-indipendenza fu
caratterizzato da una forte centralizzazione del potere sotto il Fronte di
Liberazione Nazionale (FLN), che governò in modo autoritario, affrontando
periodi di instabilità politica e economica.
Oggi. L’Algeria
contemporanea è una repubblica semipresidenziale con una popolazione di circa
44,9 milioni di abitanti. Il paese continua a confrontarsi con questioni di governance, diritti umani e diversificazione
economica. Le elezioni del 2019 e del 2021 hanno portato Abdelmadjid Tebboune
alla presidenza, con il governo che cerca di bilanciare le richieste di riforme
politiche con la stabilità sociale. Le relazioni con il Marocco rimangono tese,
specialmente a causa delle dispute territoriali e delle accuse reciproche di
interferenze politiche.
Tunisia
La Storia. La Tunisia,
anch’essa colonizzata dalla Francia, ottenne l’indipendenza nel 1956 sotto la
guida di Habib Bourguiba, che instaurò un regime modernizzatore ma autoritario.
Dopo il colpo di stato del 1987, Zine El Abidine Ben Ali salì al potere,
governando fino alla Rivoluzione dei Gelsomini del 2011, che portò alla sua
destituzione e avviò un processo di transizione democratica.
Oggi. La Tunisia è considerata una delle storie di successo della Primavera Araba, con un processo democratico ancora in corso. Tuttavia, il paese affronta sfide significative, tra cui instabilità politica, disoccupazione giovanile e minacce terroristiche. Le recenti elezioni e le riforme costituzionali mirano a consolidare un modello di democrazia fortemente presidenziale e uno stato consapevole del proprio ruolo all’interno dell’area geopolitica regionale.
Libia
La Storia. La storia moderna
della Libia è segnata dalla colonizzazione italiana e dalla dittatura di
Muammar Gheddafi, che governò dal 1969 fino alla sua deposizione nel 2011
durante la guerra civile libica. Il regime di Gheddafi era caratterizzato da
politiche autoritarie e di centralizzazione del potere, con una forte retorica
anti-occidentale.
Oggi. La Libia odierna
è divisa e instabile, con vari gruppi armati e fazioni politiche che competono
per il controllo del paese. Nonostante gli sforzi internazionali per
stabilizzare la situazione, la Libia rimane in gran parte frammentata, con un
governo di unità nazionale che lotta per affermare la propria autorità. La
situazione umanitaria e la sicurezza continuano a essere problematiche.
Egitto
La Storia. L’Egitto ha una
lunga storia di civiltà antiche e dominazioni straniere. Nel XX secolo,
l’Egitto ottenne l’indipendenza dal Regno Unito nel 1922, ma rimase sotto
un’influenza britannica significativa fino alla rivoluzione del 1952 che portò
Gamal Abdel Nasser al potere. Nasser attuò politiche di nazionalizzazione e
panarabismo. Successivamente, sotto Anwar Sadat e Hosni Mubarak, il paese si
orientò verso politiche più aperte e relazioni con l’Occidente.
Oggi. L’Egitto
contemporaneo, sotto il presidente Abdel Fattah al-Sisi, affronta sfide
economiche e politiche significative. Le riforme economiche hanno portato a una
crescita economica, ma anche a un aumento della povertà e delle disuguaglianze.
La repressione politica rimane forte, con limitazioni alle libertà civili e
politiche. L’Egitto continua a svolgere un ruolo chiave nella geopolitica del
Medio Oriente, mantenendo relazioni strategiche con vari attori internazionali.
Israele
La Storia. Israele, fondato
nel 1948, ha una storia complessa segnata da conflitti con i paesi vicini e
tensioni interne. La guerra di indipendenza del 1948-49, le guerre
arabo-israeliane e il conflitto israelo-palestinese hanno definito gran parte
della sua storia. Israele ha anche vissuto periodi di crescita economica e
tecnologica, affermandosi come una delle economie più avanzate della regione.
Oggi. Israele è una
democrazia parlamentare con una popolazione diversificata. Le questioni di
sicurezza nazionale, il conflitto con i gruppi palestinesi e le dinamiche
politiche interne sono al centro dell’attenzione. Le recenti normalizzazioni
delle relazioni con alcuni paesi arabi rappresentano sviluppi significativi, ma
permangono tensioni e sfide sul fronte interno e regionale.
Autorità Nazionale Palestinese
La Storia. L’Autorità
Nazionale Palestinese (ANP) è stata istituita nel 1994 a seguito degli Accordi
di Oslo tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).
L’ANP è responsabile del governo dei territori palestinesi della Cisgiordania e
della Striscia di Gaza, ma ha affrontato numerose difficoltà, inclusi conflitti
interni e tensioni con Israele.
Oggi. Oggi, l’ANP è
divisa tra la Cisgiordania, controllata da Fatah, e Gaza, sotto il controllo di
Hamas. La situazione politica ed economica è instabile, con frequenti tensioni
e scontri con Israele. Gli sforzi per la riconciliazione interna e per una
soluzione del conflitto con Israele continuano, ma le prospettive di pace
rimangono incerte.
Libano
La Storia. Il Libano,
indipendente dalla Francia dal 1943, ha una storia segnata da conflitti civili
e interventi stranieri. La guerra civile libanese (1975-1990) ha devastato il
paese, seguito da un periodo di ricostruzione e di tensioni politiche e
settarie. La presenza di Hezbollah e l’influenza siriana hanno contribuito alla
complessità politica del Libano.
Oggi.Il Libano contemporaneo è afflitto da
una grave crisi economica, politica e sociale. Le proteste popolari, la
corruzione diffusa e l’esplosione del porto di Beirut nel 2020 hanno aggravato
la situazione. Il paese lotta per superare le divisioni settarie e per trovare
stabilità politica ed economica.
Siria
La Storia. La Siria,
indipendente dalla Francia nel 1946, ha una storia di instabilità politica e
colpi di stato. Il regime di Hafez al-Assad, iniziato nel 1970, ha stabilito
una dittatura che è stata portata avanti dal figlio Bashar al-Assad. La Siria
ha giocato un ruolo centrale nella politica del Medio Oriente, spesso in
conflitto con Israele e coinvolta nelle dinamiche regionali.
Oggi. La Siria è
devastata da una guerra civile iniziata nel 2011, con milioni di rifugiati e
sfollati interni. Il regime di Bashar al-Assad, con il sostegno di Russia e
Iran, ha riconquistato gran parte del territorio, ma il paese rimane diviso e
instabile. La ricostruzione e la riconciliazione sono sfide enormi, mentre la
situazione umanitaria è critica.
Giordania
La Storia. La Giordania,
creata dal mandato britannico nel 1921 e indipendente dal 1946, è stata
governata dalla dinastia hashemita. Il paese ha mantenuto una relativa
stabilità nonostante le turbolenze regionali, giocando un ruolo moderato nella
politica mediorientale e ospitando un gran numero di rifugiati palestinesi.
Oggi. La Giordania
continua ad affrontare sfide economiche e sociali, aggravate dall’afflusso di
rifugiati siriani e dalle pressioni regionali. Il re Abdullah II guida il paese
verso riforme economiche e politiche, cercando di mantenere la stabilità in un
contesto regionale difficile.
Turchia
La Storia. La Turchia
moderna, fondata da Mustafa Kemal Atatürk nel 1923, è stata costruita sui
principi della laicità e del nazionalismo. Dopo decenni di governo secolare e
militare, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) di Recep Tayyip
Erdoğan ha trasformato il paese con un mix di islamismo e nazionalismo,
portando a una maggiore centralizzazione del potere.
Oggi. La Turchia è una
potenza regionale con ambizioni internazionali, ma affronta problemi interni
come la repressione dei diritti civili e le tensioni economiche. Le politiche
di Erdoğan, sia interne che estere, hanno suscitato controversie e criticità,
ma il paese continua a giocare un ruolo cruciale nella geopolitica del Medio
Oriente e oltre.
PARTE TERZA: DIALOGHI
MEDITERRANEI
“Italia e Tunisia: sfide e
criticità nel più ampio contesto internazionale” (di Mario Savina).
Il testo tratta delle complesse relazioni tra i due paesi nel contesto del
Mediterraneo, evidenziando i principali dossier di cooperazione e le sfide che
caratterizzano il rapporto bilaterale.
Relazioni Bilaterali e Contesto Mediterraneo. Le relazioni tra Italia e Tunisia sono
profondamente radicate nel contesto mediterraneo, caratterizzato da interessi
comuni in vari settori, tra cui migrazione, energia, economia e dialogo con
l’Unione Europea. Le turbolenze politiche ed economiche degli ultimi anni in
Tunisia hanno creato sfide significative per i governi italiani e i decisori
europei, ma Tunisi rimane un partner strategico sia per Roma che per Bruxelles.
Dossier Migratorio. Il tema migratorio è centrale nei colloqui tra
Italia e Tunisia, specialmente dopo l’aumento delle partenze dalle coste
tunisine negli ultimi due anni. Nel 2023, oltre 96.000 migranti sono arrivati
in Italia dalla Tunisia, un numero triplicato rispetto all’anno precedente. La
lotta ai migranti subsahariani in Tunisia, promossa dal presidente Kaïs Saïed,
mira a distogliere l’attenzione dalla crisi socioeconomica interna. Gli accordi
tra Roma e Tunisi sul controllo dei flussi migratori si basano su una logica di
sicurezza, con l’Italia e l’UE che finanziano progetti per arginare i flussi
migratori e facilitare i rimpatri.
Sfide Politico-Economiche e Relazioni Internazionali. La Tunisia affronta
una perenne instabilità politica ed economica, con dinamiche internazionali
complesse. Il paese sta cercando di diversificare le sue relazioni estere,
coinvolgendo Russia e Cina, e considera l’adesione ai BRICS. Le relazioni con
l’Unione Europea e gli Stati Uniti sono strategiche, specialmente in un
contesto di rivalità con la Russia.
Cooperazione Energetica e Commerciale.
L’Italia guarda alla Tunisia come a un partner fondamentale nel settore
energetico, soprattutto per il gasdotto Transmed che collega l’Algeria
all’Italia attraverso la Tunisia. La cooperazione commerciale è forte, con
l’Italia che rappresenta il principale partner commerciale di Tunisi. Le
imprese italiane sono ben radicate nel paese, contribuendo significativamente
all’occupazione e all’economia locale.
Sfide Regionali e Sicurezza. Le relazioni tra
Italia e Tunisia sono inserite in un contesto regionale complesso, con
influenze di potenze come la Russia e la Cina. La stabilità del Nord Africa è
cruciale per la sicurezza europea, e l’Italia è impegnata nel supportare la
Tunisia attraverso accordi bilaterali e dialoghi internazionali. La
collaborazione tra i due paesi è essenziale per affrontare le sfide comuni e
promuovere la stabilità regionale.
In sintesi, il capitolo
evidenzia la necessità di un impegno costante e di una strategia integrata per
affrontare le sfide.
La Proiezione Futura dei
Rapporti Energetici tra Algeria e Italia (di Laura Ponte).
Il capitolo esplora il
futuro dei rapporti energetici tra Algeria e Italia nel contesto della guerra
in Ucraina e delle conseguenti sanzioni imposte alla Russia. Con l’obiettivo di
ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, l’Italia ha cercato di
diversificare le sue fonti di approvvigionamento energetico, puntando in
particolare sull’Algeria, che è diventata un partner strategico fondamentale.
Contesto Storico e Relazioni Energetiche.Storicamente, le
relazioni energetiche tra i due paesi sono solide, risalenti agli anni ’50 e
’60, quando Enrico Mattei sostenne il percorso di liberazione nazionale
dell’Algeria, culminato con l’indipendenza del 1962. Questo ha portato alla
firma del primo contratto di fornitura di gas nel 1973, stabilendo una lunga
collaborazione energetica.
Sforzi Recenti e Progetti Futuri. Recentemente, gli sforzi italiani si sono
intensificati per aumentare le importazioni di gas algerino e ridurre quelle
russe. L’Italia ha firmato numerosi contratti con l’Algeria per aumentare la
capacità di esportazione di gas, sia tramite gasdotti che GNL (gas naturale
liquefatto). Nel 2022, Sonatrach ha incrementato le esportazioni di gas verso
l’Italia, con l’obiettivo di raggiungere 9 miliardi di metri cubi all’anno
entro il 2024.
Sfide Politiche e Tecniche. Nonostante le prospettive positive, esistono criticità sia politiche che tecniche. Politicamente, l’Italia ha scelto di non comprare gas dalla Russia a causa della sua inaffidabilità come partner commerciale. Tuttavia, l’Algeria è anch’essa considerata un paese “non libero” dal Freedom House, con bassi standard democratici, limitata trasparenza elettorale, corruzione e repressione delle proteste.
Possibili Rischi Geopolitici. C’è il timore che l’instabilità politica in Algeria possa influenzare i rapporti energetici, come già successo con la Spagna riguardo alla disputa del Sahara Occidentale. Inoltre, l’Algeria mantiene buone relazioni con la Russia, cooperando attivamente nel settore militare ed energetico, il che potrebbe complicare ulteriormente le dinamiche geopolitiche.
Progetti Integrativi e Energie
Rinnovabili. Per mitigare i rischi e aumentare la sostenibilità,
sarebbe utile che la cooperazione energetica tra Italia e Algeria includa anche
le energie rinnovabili. L’Algeria ha il potenziale per diventare leader nella
produzione di energia solare ed eolica, grazie al deserto del Sahara. Progetti
come il South H2 Corridor, che collegherà l’Algeria alla Germania, potrebbero
essere cruciali per trasformare l’Italia in un hub energetico, riducendo al
contempo la dipendenza dai combustibili fossili.
Conclusioni. Il futuro dei
rapporti energetici tra Algeria e Italia appare promettente ma non privo di
sfide. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento e l’inclusione
delle energie rinnovabili sono passi fondamentali per garantire la sicurezza
energetica e la sostenibilità a lungo termine.
“Nato e Ue al cospetto
della crisi libica: dall’apice al tramonto del «crisis management»
occidentale?” (di Stefano Marcuzzi).
Il capitolo analizza la
gestione e le conseguenze della crisi libica da parte di Nato e Unione Europea,
evidenziando i fallimenti e le lezioni apprese.
Contesto della crisi. Nel marzo 2011, una coalizione di paesi sotto l’ombrello dell’ONU e guidata militarmente dalla Nato lanciò una campagna aerea contro il regime di Gheddafi in Libia per fermare la repressione violenta contro i civili. Nonostante la caduta di Gheddafi e il collasso del suo regime, la Libia è rimasta intrappolata in una crisi pluridecennale, caratterizzata da conflitti interni ed esterni, che hanno visto la partecipazione di attori regionali e globali come Russia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Francia e Arabia Saudita.
Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele-Hamas – il nuovo libro di C. Bertolotti
Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale
Il nuovo libro di C. Bertolotti è disponibile su Amazon
Nel cuore della terra, sotto il confine tra Israele e Gaza, si è sviluppata una guerra invisibile, tanto silenziosa quanto pericolosa. Questa è la storia della guerra sotterranea combattuta da Israele contro Hamas. La lotta contro l’uso strategico dei tunnel da parte del movimento islamista rappresenta un capitolo oscuro e complesso del conflitto israelo-palestinese, un fronte di battaglia che si è esteso ben al di là della vista e della percezione pubblica.
La dimensione sotterranea della nuova guerra
Mentre il mondo guarda le immagini di distruzione e ascolta i racconti di chi è colpito dalla violenza in superficie, pochi comprendono la portata e la complessità della guerra svolta nel ventre della terra: la dimensione sotterranea della nuova guerra. Ma i tunnel di Gaza non sono semplici passaggi sotterranei; sono arterie di un vasto organismo vivente, pulsante di armi, di strategie e di intenti terroristici. Sono la manifestazione fisica di un conflitto che ha abbracciato una nuova dimensione, quella sotterranea, dove il buio e il silenzio nascondono operazioni di infiltrazione, attacchi a sorpresa e tattiche di guerriglia.
Strategie e conseguenze della guerra invisibile
GAZA UNDERGROUND: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas, il nuovo libro di Claudio Bertolotti, esplora questa guerra nascosta, partendo dalle origini dell’utilizzo dei tunnel nella storia del conflitto israelo-palestinese, analizzando come Hamas li abbia trasformati in uno strumento chiave della propria strategia militare. Attraverso la ricerca d’archivio, documenti ufficiali, nonché testimonianze dirette, cercheremo di capire come Israele abbia risposto a questa minaccia, sviluppando tecnologie e tattiche per rilevare, distruggere o neutralizzare queste via di attacco nascoste.
La guerra sotterranea tra Israele e Hamas a Gaza è una lotta continua di ingegno, risorse e determinazione. È una dimostrazione di come il campo di battaglia si sia evoluto, richiedendo a entrambe le parti di adattarsi a nuove realtà. L’obbiettivo posto a premessa del nuovo libro di Claudio Bertolotti consiste nell’analizzare e comprendere le sfide, le strategie e le conseguenze di questa guerra invisibile, offrendo al lettore una comprensione più profonda di uno degli aspetti più inquietanti e meno conosciuti del conflitto israelo-palestinese, aprendo la prospettiva sui futuri scenari di guerra che, per ragioni demografiche, sociali, economiche e tecnologiche, vedranno le città e le loro dimensioni sotterranee assumere un ruolo sempre più determinante.
SCHEDA DEL LIBRO: ORDINA LA TUA COPIA CON COPERTINA RIGIDA (EURO 25,00)
DISPONIBILE CON COPERTINA IN BROSSURA (EURO 16,00)
Il petrolio ombra di Mosca: il segreto della buona economia russa.
di Andrea Molle
Abstract (Italian)
Questo articolo esamina l’origine della robusta condizione finanziaria della Russia alle soglie del terzo anno del conflitto in Ucraina, rilevando come il sostanziale afflusso di denaro dalle esportazioni di petrolio, in particolare all’India, abbia rafforzato le casse dello Stato russo. L’Autore, discute inoltre sul ruolo della Flotta Ombra del Cremlino, una forza marittima clandestina che elude le normative internazionali, facilitando il commercio di petrolio e oro insanguinato e contribuendo a mantenere il flusso di entrate verso la Russia. Infine, viene analizzata la dipendenza dell’India dal petrolio russo come strategia per mantenere stabili i prezzi globali del petrolio, nonostante le critiche internazionali.
Keywords:
Petrolio, flotta ombra, economia russa
L’economia
russa è robusta
La Russia, nel terzo anno del conflitto in Ucraina, si
trova in una posizione finanziaria robusta, con le casse dello Stato rifornite
da un notevole afflusso di denaro. Nel 2023, le entrate federali della Russia
hanno raggiunto un record di 320 miliardi di dollari e si prevede che
continueranno ad aumentare. Secondo alcuni analisti, circa un terzo di queste
entrate è stato destinato alla guerra in Ucraina l’anno precedente, mentre una
percentuale ancora maggiore finanzierà il conflitto nel 2024. I notevoli fondi
a disposizione del Cremlino posizionano Mosca in una posizione più favorevole
per sostenere una guerra prolungata rispetto a Kiev, che lotta per mantenere il
vitale flusso di denaro occidentale.
Oltre all’oro insanguinato proveniente dall’Africa,
questo incremento di entrate è stato alimentato dalle vendite eccezionali di
petrolio grezzo all’India. Transazioni che hanno generato introiti stimati
intorno ai 37 miliardi di dollari a cui si aggiungono circa 1 miliardo di
dollari provienienti dal petrolio raffinato in India e poi esportato negli
Stati Uniti. Tale flusso di entrate è il risultato diretto dell’aumento degli
acquisti di petrolio russo da parte di Delhi, che secondo un’analisi del Centre
for Research on Energy and Clean Air (CREA), riportata di recente dalla CNN,
ora superano di 13 volte i livelli prebellici.
L’analisi delle
rotte di trasporto del greggio
L’analisi delle rotte di trasporto del greggio suggerisce
inoltre un coinvolgimento della cosiddetta Flotta Ombra del Cremlino. Con
questo termine ci si riferisce a una forza marittima clandestina russa,
composta da navi che operano al di fuori delle norme marittime internazionali.
L’indagine sulla Flotta Ombra è iniziata nei primi anni 2010, quando le
principali agenzie di intelligence occidentali e diversi analisti marittimi
hanno notato comportamenti sospetti in navi russe o battenti bandiere di
paradisi fiscali. Queste navi sono spesso osservate ad operare in aree
strategicamente significative, come vicino a cavi di comunicazione sottomarini
e installazioni militari, spesso spegnendo i loro sistemi di identificazione
automatica per sfuggire al monitoraggio. Le implicazioni della Flotta Ombra
russa sono molteplici e tutte potenzialmente pericolose. In primo luogo, c’è
preoccupazione per il suo ruolo nel sostenere le operazioni militari russe e
nel violare le norme internazionali e le leggi marittime. La presenza di questa
flotta mina la sicurezza e la stabilità marittime globali, complicando gli
sforzi affinchè la Russia sia tenuta a rispondere delle sue azioni illegali in
mare. Una delle attività tipiche della Flotta Ombra nel settore petrolifero è
lo scambio di greggio tra due navi con l’obiettivo di mascherarne l’origine e
la destinazione finale, confondendo le autorità riguardo alla provenienza e
all’acquirente finale. Decine di tali trasferimenti avvengono ad esempio ogni settimana
nel Golfo Laconico in Grecia, un punto di passaggio strategico verso il Canale
di Suez e i mercati asiatici. Alla fine del 2022, con il supporto di diversi
paesi, gli Stati Uniti hanno imposto un limite di prezzo, impegnandosi a non
acquistare petrolio russo oltre i 60 dollari al barile.
La flotta ombra
Questi paesi hanno anche vietato alle proprie compagnie
di navigazione e di assicurazione, attori chiave nel trasporto marittimo
globale, di facilitare il commercio di petrolio russo oltre tale prezzo.
Tuttavia, questo limite di prezzo ha paradossalmente alimentato la creazione
della Flotta Ombra. Con catene di approvvigionamento più lunghe, è infatti più
difficile individuare i trasferimenti da nave a nave e determinare il costo
effettivo di un barile di petrolio russo e diventa facile aggirare le sanzioni.
La Flotta Ombra ha pertanto consentito alla Russia di creare una rete di
navigazione fantasma parallela a quella legale, in grado di eludere il
monitoriaggio e aggirare le sanzioni occidentali, con centinaia di petroliere
la cui proprietà non è chiara e che seguono rotte così complicate da risultare
impossibili da seguire. Secondo le analisi effettuate grazie all’intelligenza
artificiale della società di analisi marittima Windward, questa flotta è
cresciuta fino a includere nel 2023 circa 1.800 navi.
In questo quadro, gli acquisti di petrolio da parte
dell’India hanno avuto l’effetto di alleviare la pressione delle sanzioni sulla
Russia. L’India difende le sue politiche di approvvigionamento energetico da
Mosca come un modo per mantenere i prezzi globali del petrolio più stabili,
evitando di competere con le nazioni occidentali per il petrolio del Medio
Oriente. Il governo di Delhi ha dichiarato che qualora l’India dovesse smettere
di comprare greggio da Mosca e più petrolio dal Medio Oriente, il prezzo del
petrolio salirebbe a 150 dollari avviando una spirale di aumento dei costi che
il mondo non può permettersi. Ma una parte di questo petrolio grezzo viene
raffinato nelle raffinerie lungo la costa occidentale dell’India e
successivamente esportato negli Stati Uniti e in altri paesi che hanno imposto
sanzioni sul petrolio russo. Questi prodotti raffinati, non essendo soggetti a
sanzioni, costituiscono ciò che gli analisti chiamano la “scappatoia delle
raffinerie”. Sempre secondo l’analisi del CREA, gli Stati Uniti sono stati
il principale acquirente di prodotti raffinati dall’India derivati dal petrolio
grezzo russo nel 2023, per un valore di 1,3 miliardi di dollari. E il valore di
queste esportazioni di prodotti petroliferi aumenta notevolmente quando si
considerano anche gli alleati degli Stati Uniti che applicano sanzioni contro
la Russia. Il CREA ha stimato che questi paesi abbiano importato prodotti
petroliferi dal petrolio grezzo russo per un valore di 9,1 miliardi di dollari
nel 2023, registrando un aumento del 44% rispetto all’anno precedente.
Mosca ha beneficiato di questo processo sia attraverso la
tassazione diretta delle esportazioni che attraverso i profitti ottenuti da
Rosneft, la società petrolifera di stato russa, nell’ambito della raffinazione
e dalla rivendita ai paesi occidentali.
Entrate e spese
russe: un record
Secondo un’analisi condotta dal think tank RAND sui conti
del Ministero delle Finanze russo, nel 2023 le entrate e le spese federali
della Russia hanno raggiunto entrambe livelli record. Sebbene per adesso Mosca
non sia ancora arrivata al pareggio di bilancio, a causa del pesante costo
della guerra e delle perdite di entrate dovute in generale alle sanzioni il
deficit di bilancio federale è in tendenza decrescente. Le imposte interne
sulla produzione e sull’importazione sono entrambe significative ed efficienti,
il che implica che la popolazione russa è pesantemente tassata per finanziare
il conflitto. Tuttavia, gli analisti avvertono che in questo quadro economico
anche la più piccola violazione delle sanzioni contro la Russia può generare
ingenti profitti, date le enormi somme coinvolte nel commercio petrolifero e
dell’oro, e questo potrebbe portare il regime a diminuire la pressione fiscale
generando un maggior supporto per le operazioni militari correnti e future. Per
questo è di primaria importanza affrontare efficacemente questa minaccia con
una maggiore vigilanza, cooperazione e impegno diplomatico internazionale che
includa nuove misure contro le navi della Flotta Ombra e le aziende sospettate
di agevolare il trasporto illegale del petrolio e dell’oro russo.
Azione israeliana in Libano e rischio di escalation regionale: il punto del Direttore.
Dall’intervista di Stefano Leszczynski a Claudio Bertolotti, per Radio Vaticana, trasmissione Il Mondo alla Radio del 3 gennaio 2024 (VAI AL PODCAST)
L’azione israeliana in Libano e il rischio di escalation.
Gli attentati a Beirut e in Iran infiammano la crisi medio orientale. La guerra di Israele tra battaglie nella Striscia di Gaza e omicidi mirati.
Federica Saini Fasanotti – storica militare e studiosa dell’ISPI
Eric Salerno – giornalista esperto di questioni medio orientali e relazioni internazionali
Claudio Bertolotti – direttore di Start Insight e ricercatore ISPI
Il 2 gennaio 2024, un attacco nel sud di Beirut, Libano, in cui è avvenuta l’uccisione del numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, è stato attribuito a Israele e ha preso di mira una roccaforte del gruppo sciita e filo-iraniano Hezbollah. L’attacco ha causato anche vittime collaterali, suscitando la condanna di Hezbollah e la promessa che l'”assassinio” di al Arouri a Beirut non resterà impunito. Le forze armate israeliane hanno diffuso video dell’attacco, sottolineando il loro coinvolgimento nell’incidente. L’evento ha sollevato preoccupazioni riguardo a una possibile escalation tra Libano e Israele.
Dottor Bertolotti, c’è il rischio che le operazioni mirate israeliane come quella in Libano inneschino davvero un conflitto regionale?
Dal punto di vista razionale – secondo Bertolotti – nessuno degli attori coinvolti vuole un allargamento del conflitto a livello regionale. Non lo vuole Israele e non lo vuole l’Iran che, invece, punta a una serie di micro-conflitti e coinvolgimento dei piccoli attori regionali, dagli Houthi nello Yemen ad Hezbollah in Libano per distrarre lo sforzo militare di Israele, indebolendolo. Ma al di la della volontà razionale ci sono le scelte emotive, che spesso condizionano le dinamiche delle relazioni internazionali che possono portare ad effetti incontrollabili. E il rischio di un’escalation orizzontale a livello regionale, in questo senso, è un rischio possibile.
Dott. Bertolotti, la prudenza del governo libanese, che ha chiesto a Hezbollah di non reagire a Israele in maniera autonoma, che cosa suggerisce?
Il governo di Beirut è il primo a voler scongiurare un allargamento del conflitto, perchè ciò significherebbe il collasso dello stato libanese e l’avvio di una nuova guerra civile che sarebbe micidiale per la sopravvivenza dello stesso stato libanese. Questa la ragione per cui il governo libanese svolge un ruolo di intermediario con Hezbollah che noN è, come non è mai stato, sotto controllo governativo, ponendosi come milizia, esercito autonomo legato ai gruppi di potere sciiti a loro volta legati con l’Iran, che di Hezbollah ne sta facendo un uso opportunistico in funzione anti-israeliana, senza però farsi direttamente coinvolgere.
Direttore, la posizione di Ankara (membro della NATO) in questa crisi pone alcuni interrogativi sul proprio ruolo e affidabilità?
La Turchia persegue un proprio e ben definito progetto di proiezione di influenza in tutto l’arco mediterraneo allargato, dal Corno d’Africa ai paesi del Maghreb. La vicinanza ad Hamas, che si lega alla pericolosa organizzazione dei Fratelli Musulmani, è coerente con questa visione di potenza che prevede il consolidamento dei rapporti con i governi e le organizzazioni locali in un’ottica di ricostituzione di un perimetro geopolitico artificiosamente coerente con la storia e con l’ego sproporzionato del presidente Erdogan. Ma non illudiamoci che una qualsiasi alternativa a Erdogan possa avere una visione differente, questa è l’ambizione della Turchia contemporanea.
Israele: una guerra diversa. Il punto della situazione e l’analisi
di Claudio Bertolotti
dall’intervento di Claudio Bertolotti a SKY TG24 Mondo (Puntata del 13 ottobre 2023)
Intervento video di Claudio Bertolotti a SKY TG24 Mondo, ospite di Roberto Tallei
Il punto della guerra contro Hamas a Gaza (13 ottobre)
A quasi una settimana dagli attacchi di Hamas contro le città e le comunità israeliane, continuano gli attacchi dell’IDF contro siti terroristici a Gaza, mirati alle capacità militari e amministrative di Hamas. L’aviazione israeliana ha colpito alti dirigenti, centri di comando e controllo, siti di lancio di razzi, istituzioni finanziarie e governative chiave di Hamas che contribuiscono alle sue operazioni militari. In totale, oltre 1.000 terroristi sono stati uccisi (Fonte IDF).
L’IDF continua a fare affidamento sull’intelligence per eseguire questi attacchi. Una serie di obiettivi colpiti includeva una rete di siti di lancio di UAV all’interno e sopra le case di Gaza. Il sito preso di mira la scorsa notte includeva le case di un agente della forza Nukhba, un sito operativo di Hamas in cui sembra si trovasse il fratello di Yahya Sinwar e una postazione dell’intelligence di Hamas utilizzata per tracciare i movimenti delle forze (fonte IDF).
Venerdì, in vista di una continuazione degli attacchi operativi dell’IDF, l’IDF ha chiesto ai civili di Gaza di spostarsi a sud di Wadi Gaza attraverso una varietà di canali, compresi i media tradizionali e i media digitali, tutti in arabo. L’obiettivo è quello di fornire allarmi efficaci e anticipati in modo che i civili possano proteggersi evacuando, cercando riparo o intraprendendo altre azioni appropriate (fonte IDF).
Il valico di Erez rimane non utilizzabile a seguito degli attacchi di Hamas, mentre il valico di Kerem continua ad essere sotto attacco. 9 delle 10 linee elettriche da Israele a Gaza sono state distrutte dal lancio di razzi di Hamas. Israele ha dichiarato che non riparerà queste infrastrutture né continuerà la sua fornitura di elettricità e carburante a Gaza, che Hamas sfrutta per uso militare e impedisce che raggiunga la popolazione civile (fonte IDF).
Difesa del sud di Israele
Le forze dell’IDF nel sud di Israele continuano a respingere i tentativi di attacchi di infiltrazione, così come gli attacchi isolati da parte di cellule terroristiche rimaste nel sud di Israele. Ciò includeva la neutralizzazione di un terrorista vicino al Kibbutz Kissufim giovedì sera, una delle città che erano state attaccate durante il massacro di sabato. In totale, almeno cinque terroristi sono stati neutralizzati dalle forze dell’IDF nelle ultime 24 ore.
Altri settori militari
L’esercito è in uno stato di elevata capacità e preparato a qualsiasi minaccia. Nell’ambito della valutazione della situazione in corso, l’IDF ha dichiarato l’area di Metula, la parte più settentrionale di Israele, come zona militare interdetta. Le forze dell’IDF sono dispiegate e monitorano attivamente l’area.
Nel corso delle operazioni notturne in Giudea e Samaria, sono stati arrestati 47 soggetti, 34 dei quali appartenevano ad Hamas. Ad Azun è stato trovato anche un laboratorio di esplosivi di Hamas. In totale, 130 agenti di Hamas sono stati arrestati nella regione di Giudea, Samaria e Beka’a da sabato.
Il fronte interno
Il lancio di razzi da Gaza è continuato, comprese raffiche di razzi verso il sud e il centro di Israele, con una salva sparata verso il nord di Israele venerdì pomeriggio. Sbarramenti particolarmente pesanti furono sparati verso Ashkelon (132.000 abitanti) e Sderot (27.000 abitanti). A partire da ieri, oltre 6.000 razzi sono stati lanciati contro Israele.
Analisi generale
Perché questa guerra sarà diversa da quelle affrontate negli anni precedenti dall’esercito israeliano?
Questa guerra sarà diversa da quelle affrontate negli anni precedenti perché a differenza delle precedenti rischia di sfociare in una guerra regionale in grado di coinvolgere l’Iran, la Siria, il Libano e gli Stati Uniti, e di allargarsi ulteriormente con strascichi di lungo periodo difficili da prevedere.
L’allargamento regionale del conflitto, da un punto di vista
razionale in realtà non è auspicato da nessuno, in primo luogo da Hezbollah e
dal Libano a causa del rischio di implosione economica e sociale dello stato
libanese, con il rischio di una nuova guerra civile. Ma neanche l’Iran vuole
dare il via a un’escalation che allarghi il conflitto. Ma da un punto di vista
emotivo c’è sempre il rischio che le parti siano spinte o si lascino trascinare
verso una crescente partecipazione alla guerra contro Israele e questo
rappresenterebbe un punto di non ritorno che determinerebbe la ridefinizione
violenta degli equilibri dell’intero vicino e medioriente.
Differenze tra Hamas,
Hezbollah, Jihad dal punto di vista della possibile offensiva e della reazione
all’offensiva israeliana
Nella sostanza, e sposando l’approccio israeliano dobbiamo
considerare le due organizzazioni non come “insorti” o “guerriglieri”, ma
come “eserciti organizzati, ben addestrati, ben equipaggiati per le
loro missioni”. Questo da un punto di vista sostanziale che li colloca
all’interno della medesima categoria di nemici sul campo di battaglia.
E sempre sul piano sostanziale sono due minacce dirette alla sicurezza dello Stato di Israele, e per questo inserite negli obiettivi primari della strategia di difesa israeliana.
Da un punto di vista storico e ideologico, le differenze ci sono, e non solamente dal punto di vista religioso, sciiti gli appartenenti a Hezbollah, sunniti gli appartenenti ad Hamas. Non sono ideologicamente vicini, tant’è che nella guerra in Siria hanno combattuto su fronti contrapposti, ma entrambi ambiscono a distruggere Israele.
Hezbollah movimento jihadista islamico sciita che
nasce come movimento di resistenza anti-israeliano.
Il suo obiettivo è la difesa del Libano contro la “probabile aggressione israeliana” e la creazione di
uno Stato
islamico libanese, però in contrapposizione alla visione
dello Stato islamico, già ISIS.
Hamas nasce anch’esso come movimento islamista, ma sunnita e
fortemente legato alla Fratellanza musulmana, con chiare connotazioni radicali.
L’obiettivo primario è la liberazione dei territori palestinesi e la
distruzione dello Stato di Israele, non riconosce le Nazioni Unite e rifiuta di
accettare qualunque conferenza di pace e qualunque forma di compromesso con
Israele, rifiutando di fatto l’ipotesi dei due stati per due popoli.
Quanto sono
“fondamentali” per Hamas ostaggi e residenti? Hamas si è detta contraria a
corridoio umanitario
Hamas, accecato dalla propria visione e immerso nella propria battaglia ideologica, ha sottovalutato gli effetti di questa operazione a danno di Israele e pagherà con la propria esistenza l’eccesso di violenza. In questo momento la presenza degli ostaggi viene sfruttato da Hamas per indurre Israele a un minore livello di violenza contro Gaza. Ma questo non avverrà. E allora Hamas ricorre alla carta estrema di trasformare l’intera popolazione di Gaza in un immenso scudo umano da sfruttare a proprio favore o da trasformare in martiri utili alla propaganda jihadista che verrà sfruttata ed ereditata dai movimenti jihadisti che raccoglieranno il testimone di Hamas dopo la sua scomparsa.
È vero che Israele ha
abbandonato lo spionaggio “sul campo” per affidarsi tutto alla tecnologia? È
per questo che un attacco pianificato per due anni sia stato completamente
ignorato?
La dottrina strategica di Israele del 2015 e il più recente concetto operativo delle forze armate israeliane prevede, come pilastro e elemento di successo, il funzionamento dello strumento intelligence. Sia in termini di raccolta informazioni ad alto livello tecnologico sia attraverso la raccolta informazioni diretta dagli uomini sul campo. Nessuna delle due è venuta meno nel corso degli anni, ma è evidente che qualcosa non ha funzionato, in parte per aver sopravvalutato l’effettiva propria capacità informativa, in parte per l’alto livello di depistaggio attuato da Hamas e, forse in parte, per la competizione interna tra Shin Bet e Mossad, le due agenzie di intelligence israeliane.
Come potrà
svilupparsi l’operazione di terra? Chirurgica o più su vasta scala? Quanto può
durare? Con quali fasi?
La somma delle due opzioni: una prima attività di bombardamento mirato e chirurgico a cui seguirà un’invasione massiccia mista: mezzi corazzati e fanteria leggera per il combattimento nel centro urbano di Gaza, che rappresenta la più pericolosa delle fasi della guerra e che potrebbe portare a un elevato numero di vittime da entrambe le parti. Rimando alla lettura dell’analisi dettagliata pubblicata con ISPI (Spazio e tempo dell’offensiva israeliana a Gaza).
Alle operazioni
militari si affiancano operazioni psicologiche per influenzare opinione
pubblica e attivazione canali diplomatici. Quanto sarà fondamentale il sostegno
della popolazione di Gaza ad Hamas?
Hamas e Israele sfruttano entrambe le operazioni psicologiche. Israele per indurre il terrore nei confronti di Hamas; basta la frase di Netanyahu “ogni uomo di Hamas è un uomo morto” per far capire il peso e la gravità della situazione. Al tempo stesso Hamas spaccia per mera propaganda la possibilità che Israele attacchi violentemente Gaza, e questo per tenere la popolazione nell’area degli obiettivi militari, arrivando anche a minacciare le stesse famiglie palestinesi in cerca di salvezza.
Il sostegno della popolazione per Hamas è certamente importante ma, a questo punto credo non risolutivo. Se Hamas è dovuta ricorrere alla minaccia per tenere la popolazione di Gaza all’interno della città significa che la fiducia nell’organizzazione politica e terrorista è venuta meno.
Rispetto alla geografia
di Gaza, dove potrebbe avvenire lo schieramento?
Guardando alle forze in campo e alla geografia del
territorio, limitandoci alla componente terrestre possiamo ipotizzare un primo
schieramento di carri armati israeliani a sud di Gaza City dove
c’è una linea di cresta che domina il centro urbano; area che potrebbe essere
strategica per il controllo del terreno e per il supporto di fuoco. Al
tempo stesso, una seconda aliquota potrebbe posizionarsi all’estremo nord di
Gaza, vicino al valico di Erez, dove si trovano aree rurali e ampi terreni utili
allo schieramento di unità di supporto al combattimento. Un terzo
punto di accesso potrebbe essere l’estremo sud, vicino a Rafah.
Un’altra area di
possibile schieramento a supporto delle unità di fanteria si trova a est
di Khan Yunis, a sud della città di Gaza, dove i mezzi corazzati
possono muoversi più facilmente e prendere posizioni di fuoco.
Una nota sull’uso fosforo bianco
L’uso di munizionamento al fosforo bianco è legittimo quando usato contro obiettivi militari isolati, per illuminare il campo di battaglia di notte o per creare cortine di fumo utili a nascondere il movimento delle truppe sul terreno. È invece vietato il suo utilizzo in ogni caso in cui vi sia il rischio di colpire obiettivi civili. E in questo senso va la decisione israeliana di imporre alla popolazione di Gaza di abbandonare il centro urbano; ed è lo stesso motivo per cui Hamas starebbe obbligando con la minaccia e la violenza la popolazione di Gaza a rimanere nelle proprie case, come scudi umani in funzione di deterrenza.