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Dove stiamo sbagliando con la Russia? L’importanza di comprendere i fattori e il contesto del conflitto.

di Andrea Molle

Prima di entrare nella sua fase cinetica, lo scontro tra l’Occidente e la Russia si è protratto per anni sul piano mediatico, culturale e psicologico. Sul fronte psyop, l’azione di disinformation war e l’impatto del memetic warfare russo spesso portata avanti da influencer più o meno consapevoli, ha indebolito l’Europa e gli Stati Uniti diminuendo la fiducia nella politica, aumentando la polarizzazione sociale e inceppando i processi decisionali tramite l’inasprimento di conflitti interni già latenti. Come abbiamo sostenuto in passato su queste pagine, ciò ha fatto sì che si creassero le condizioni ideali per intensificare il conflitto, limitando la capacità di reazione occidentale che per anni ne ha ignorato l’impatto, focalizzandosi solo su rischi finanziari o di hard power.

La debolezza della risposta occidentale

La dura e doverosa risposta del “mondo libero” all’escalation russa, che per certi versi appare unitaria, nasconde in realtà una debolezza profonda. Nonostante la posizione dei governi della NATO e dell’Unione Europea sia chiara e incisiva, le nostre società stanno reagendo in modo scomposto, dividendosi come forse previsto dal Cremlino in tifoserie incapaci di comunicare tra loro, ma soprattutto di analizzare e comprendere quanto gli avvenimenti di questi giorni siano epocali: siamo di fronte alla possibile fine di un periodo di relativa pace e di interdipendenza tra potenze egemoni e il successivo ingresso in una fase di conflittualità diffusa che può sfociare in un conflitto mondiale. Esistono chiaramente due fronti sociali che combattono una battaglia a colpi di censura e di accuse reciproche di tradimento: da un lato i sostenitori a oltranza dell’autocrate russo, pronti ad abbracciare ogni aspetto della propaganda Made in Moscow anche arrivando a sostenere tesi assurde quali, ad esempio, la denazificazione dell’Ucraina; dall’altro, chi ignora il contesto storico, demografico, economico, culturale e religioso che ha prodotto e sostenuto Putin nella sua ascesa, riducendo tutto alla politica di potenza o sentenziando che “lui è un pazzo”. A onor del vero, vi sono poi anche sedicenti commentatori, più o meno esperti, che per cerchiobottismo criticano Mosca ma accusano apertamente la NATO di espansionismo, come se la Russia non avesse mai avuto mire geopolitiche in questi anni, dalla Siria all’Africa subsahariana.

L’importanza di comprendere i fattori e il contesto del conflitto

La semplificazione ha conseguenze di medio periodo, ma molto profonde. Sul fronte analitico spesso assistiamo a spiegazioni semplicistiche della crisi che si focalizzano su pochi fattori. Altri elementi fondamentali sono invece puntualmente ignorati. In pochi parlano, ad esempio, della pressione demografica che minaccia di trasformare la Russia in uno stato satellite di Beijin o della valenza escatologica di Kyiv (la terza Roma) nell’immaginario russo che sono da annoverare tra le cause precipitanti dell’invasione. Si parla anche poco degli errori ucraini e di quelli tedeschi come fattori abilitanti, o di leverage, rispetto alla decisione di procedere con l’invasione. E anche quando se ne parla, lo si fa nel contesto delle recriminazioni invece che in quello dell’analisi obiettiva. Nel lungo periodo, ciò può finire per logorare i governi occidentali rendendo difficile mantenere l’attuale postura unitaria. In pochi inoltre accennano alle battaglie interne alla coalizione di oligarchi che sostiene l’ex funzionario del KGB o della loro ossessione per ripristinare il prestigio della “Santa Madre Russia” che gli studiosi identificano con lo “Holy Rux complex”. Ancora meno analisti considerano degno di nota il ruolo del panslavismo e la pressione della diaspora russa, soprattutto con la notevole penetrazione delle loro mafie nelle nostre società. L’assenza di riflessione tra gli studiosi e gli addetti ai lavori si traduce in intelligence limitata e di scarsa qualità. Nulla giustifica la belligeranza di Mosca, intendiamoci, ma capirne le ragioni considerandone tutti i fattori originanti e scatenanti rimane l’unico modo per trovare una via d’uscita. Tutte le crisi internazionali vanno intese come fenomeni emergenti di un sistema complesso di relazioni internazionali, ma invece che approcciarle come tali spesso ci si limita a ricercare rassicuranti meccanismi causali lineari. Per fare un salto di qualità bisognerebbe sforzarsi di conoscere di più la cultura e la società russa e invece oggi la scelta politicamente corretta è la censura, pretendendo di punire Putin e i suoi sostenitori cancellandone ogni riferimento partendo da Dostoevsky, alla Vodka, fino ad arrivare alle competizioni sportive.

Il rischio strategico immediato

Questa postura crea un terzo problema, una debolezza sostanziale sul piano strategico di breve periodo. Alle giuste sanzioni economiche stiamo affiancando l’isolamento culturale, sperando che questo convinca Putin a tornare sui suoi passi. Ma purtroppo il rischio è quello di un pericoloso backfire. Per chi ha studiato la storia della guerra fredda, alla fine degli anni ‘80 la vittoria americana sull’URSS fu prima di tutto culturale. La pietra angolare della dottrina del soft power era quella di estendere l’egemonia culturale occidentale. Essa sostanzialmente faceva leva sull’intensificarsi di un dialogo diretto coi popoli dell’ex Unione Sovietica bypassando la classe politica. Il mantra era che una guerra si vince prima di tutto conquistando il cuore delle persone. Oggi, al contrario, abbiamo scelto la strada dell’isolazionismo estendendo al conflitto tra occidente e Russia la tattica dello scontro sociale che ha già lacerato i nostri paesi dall’interno. A causa della sua politica del pugno di ferro, Putin ha alienato sempre più persone e reciso il suo legame col popolo russo. La scelta ottimale sarebbe quella di esacerbare queste divisioni, ripagando il Cremlino con la sua stessa moneta. E pare invece che la scelta sia quella di rimanere sulla strada dello scontro culturale, sia all’interno dell’Occidente che contro l’intero popolo russo, facendo di fatto un favore a Putin, perché dal “come mai ci isolate?” al “voi non ci capite” e infine al “ha ragione lui” il passo è breve.




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