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Rallentamento russo e controffensiva ucraina: tra “difesa a istrice” e fango (D+14)

di Fabio Riggi, Analista indipendente

Dal punto di vista prettamente tattico, il decorso delle operazioni sta mostrando diversi aspetti ormai piuttosto definiti e consolidati, cui se ne aggiungono altri che emergono dagli ultimi sviluppi osservabili sul campo.

La “difesa a istrice” dei centri abitati e i “contrattacchi” delle forze ucraine

Come facilmente previsto sin dal primo apprezzamento risalente ai primi giorni del conflitto, gli ucraini hanno fatto ampiamente ricorso a una “difesa areale”, forma di manovra propria delle operazioni difensive, che consiste nella condotta di attività tattiche su posizioni statiche “ancorate” al terreno, integrate da contrattacchi locali da parte di unità in riserva tattica, e aventi come scopo il mantenimento di posizioni chiave (“key position”) e terreno vitale (“vital ground”). In particolare, anche questo un elemento facilmente previsto, le forze ucraine hanno basato la propria difesa sui centri abitati, sfruttandone a fondo l’elevato valore impeditivo. Un elemento molto significativo è relativo al fatto che molte posizioni ucraine su queste località reiterano la propria resistenza anche dopo essere state tagliate fuori, e finanche circondate, dai reparti russi. Ciò è particolarmente evidente nel settore Nord-Est, dove la profonda avanzata delle forze russe verso il lato orientale di Kiev si è lasciata indietro diverse città ancora in mano a reparti ucraini ancora attivi. A questo punto, pur con tutte le cautele del caso in tema di paralleli storici (anche e soprattutto in campo militare), è comunque utile segnalare un’analogia con quanto è avvenuto sul fronte orientale, ossia in quello stesso teatro operativo, durante la seconda guerra mondiale. Sul fronte del Gruppo Armate Centro, durante la prima controffensiva sovietica seguita alla battaglia di Mosca, nei mesi dell’inverno 1941-42 i tedeschi attuarono esattamente questo modello di “difesa a istrice”, con posizioni incentrate su centri abitati che continuavano a resistere benché circondate dalle truppe dell’Armata Rossa che li sopravanzavano. Alla lunga, al termine di quel ciclo operativo, la protratta resistenza delle “istrici” tedesche finì con lo smorzare lo slancio offensivo avversario. Lo stesso schema difensivo fu adottato, sempre dai tedeschi, nelle ultime fasi del conflitto, nel 1944-45, quando si trovarono a dover condurre difficili operazioni difensive facendo ricorso a una riedizione della “difesa a istrice”, con città fortificate, denominate Feste Plätze (“posizione fortificata”), che protraevano la resistenza anche dopo essere state circondate. In questo caso, però, a causa di molti fattori concomitanti di carattere generale, questa tattica difensiva non sortì risultati decisivi. La reale efficacia della difesa “a istrice”, infatti, dipende da diversi fattori, quali innanzitutto la capacità di rifornirle, il tempo entro il quale possono continuare a resistere validamente, e in ultima analisi la capacità di condurre poi comunque azioni dinamiche (contrattacchi) in grado di ristabilire definitivamente la situazione. Di certo, questa analogia è dovuta alle caratteristiche dell’ambiente operativo (ampi spazi di manovra, terreno a elevato indice di scorrimento, almeno in vari settori, centri abitati che si prestano alla difesa), che quindi induce l’adozione da parte dei contendenti di soluzioni tattiche simili rispetto a quelle del secondo conflitto mondiale. Quanto le “istrici” ucraine possano avere successo, ora, potrà essere definito solo dalle inappellabili sentenze del campo di battaglia emesse nei prossimi giorni.

I russi evitano di combattere nelle città

In modo esattamente speculare, e anche in questo caso previsto nei precedenti apprezzamenti, in ossequio al principio dottrinale dell’arte operativa sovietico-russa, le forze degli attaccanti non hanno accettato di farsi attrarre nel combattimento in aree urbanizzate, e hanno invece privilegiato lo sviluppo degli sforzi offensivi in profondità aggirando sistematicamente le città. Questo sta comunque ponendo le forze russe di fronte al già ricordato “dilemma tattico dell’accerchiamento”, che consiste nel dover comunque lasciare indietro aliquote di forze sufficienti a mantenere isolate, e in fasi successive annientare, le unità nemiche attestate nelle posizioni difensive avversarie lasciate indietro. Se ciò non avviene in tempi ragionevoli, queste forze rimaste arretrate possono alla lunga ostacolare l’alimentazione tattica (rinforzi) e logistica (rifornimenti) delle unità attaccanti, anche e soprattutto perché i centri abitati sui quali i difensori sono attestati insistono sulle principali vie di comunicazione. Se invece le punte avanzate, che penetrano in profondità, raggiungono rapidamente i propri obiettivi e colpiscono i gangli vitali del dispositivo difensivo, portandolo al collasso, la velocità e il “ritmo” operativo che hanno mantenuto evitando le città difese gli faranno cogliere risultati definitivi. La sfida tra l’attacco in profondità e le “istrici” difensive si basa dunque su una dialettica che si gioca tra le variabili tempo, forze disponibili dell’attaccante e capacità del difensore di garantire il sostegno logistico delle posizioni isolate. Cosa avverrà esattamente, anche in questo caso, lo potremo vedere negli sviluppi successivi delle operazioni.

Rallentamento russo e controffensiva ucraina

In aggiunta alla difesa areale ampiamente adottata dagli ucraini nei primi giorni, e come già indicato in precedenza, essi hanno scelto la fase in cui le forze russe si trovavano protese in avanti, e in diversi settori, quindi, in “crisi di movimento, per iniziare anche a contro manovrare e lanciare contrattacchi con le loro unità di manovra. Ciò è avvenuto a nord-ovest di Kiev, e a nord di Kharkov, e anche senza aver realizzato una particolare concentrazione di forze queste operazioni sembrano avere avuto comunque un certo successo, quantomeno nell’arrestare le offensive russe in quei settori.

Il meteo e il rischio del fango per i russi

In questo quadro un ruolo di primaria importanza, anche in questo caso in completa analogia con quanto avvenne su quello stesso teatro operativo nel corso del secondo conflitto mondiale, lo rivestono le condizioni meteorologiche, e più in generale l’ambiente operativo, che risultano (e probabilmente lo saranno ancora di più nei prossimi giorni) di certo un fattore altamente condizionante per l’offensiva russa. In Ucraina si approssima, infatti, il disgelo, la celebre “Rasputitsa”, che trasforma in un mare di fango le distese pianeggianti (e le strade sterrate) della regione. Ciò rende estremamente difficoltose le operazioni in campo aperto di formazioni pesanti (meccanizzate e corazzate), arrivandone fino a bloccarle del tutto, oppure di fatto, vincolandole agli assi stradali, privandole in questo modo del grande vantaggio tattico conferitogli dalla loro capacità di manovrare rapidamente. Come e in che termini i comandi russi hanno calcolato questo fattore cruciale, e le soluzioni che adotteranno in condotta per mitigarne gli effetti, resta da vedere.

Il vantaggio ucraino viene da NATO e Stati Uniti: intelligence, tecnologia e satelliti

Un vantaggio tattico (ma che si sta sviluppando certamente anche al più elevato livello operativo) si sta manifestando dalla parte degli ucraini grazie al pressoché certo robusto sostegno che la NATO e gli USA stanno fornendo alle forze di Kiev in termini di Intelligence, piattaforme ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) e satelliti che orbitano intorno, e al di sopra, dell’Ucraina già dalle prime fasi della crisi. Questo contribuisce in modo decisivo alla realizzazione da parte dei comandi ucraini di quella che nella terminologia NATO è definita “Common Operational Picture” (COP), ossia una rappresentazione condivisa e veritiera delle posizioni delle forze in campo, delle loro attività e del conseguente andamento delle operazioni. Ciò si esplica anche in preziosissime informazioni su dislocazione e caratteristiche di possibili obiettivi da battere col fuoco (anche se, a parte la nutrita artiglieria, l’esercito ucraino non ha ampia disponibilità di sistemi per la condotta di azioni di fuoco di interdizione in profondità, e l’aviazione è ormai grandemente ridotta, se non quasi annullata, nelle sue capacità) che consentono lo sviluppo di attività specifiche, quali quelle di “targeting” e successivo intervento con le sorgenti di fuoco disponibili, che comunque sembrano essere state condotte con una certa efficacia. In sintesi, questo contributo esterno sta di certo dando un apporto decisivo nel mantenere efficiente e reattivo il sistema comando e controllo ucraino, che può sfruttare al meglio la sua “Situation Awareness” (“consapevolezza della situazione”), assolutamente necessaria per condurre con successo qualsiasi operazione militare. A titolo di esempio, è quasi certo che le immagini della chilometrica colonna di mezzi russi avvistata a nord-ovest di Kiev nelle prime 48-72 ore della campagna, già molto prima del loro apparire sugli schermi dei mass media internazionali, fossero state rilasciate ed esaminate nelle sale operative dei comandi ucraini.

Possibili altre operazioni anfibie russe?

Sin dalle prime ore del conflitto si sono rincorse le notizie di operazioni anfibie russe sulle coste del Mar Nero e del Mar d’Azov, ma oggi solo una, in scala probabilmente ridotta, che avrebbe contribuito all’accerchiamento di Mariupol, pare sia stata effettivamente condotta. L’apparire a più riprese di unità della flotta del Mar Nero davanti a Odessa (attività con la quale la Marina di Mosca sta anche attuando il blocco della costa ucraina) ha fatto poi ritenere imminente una nuova e più vasta operazione di sbarco su Odessa. Tuttavia, come peraltro già indicato da alcune fonti qualificate, potrebbe anche trattarsi di una “dimostrazione anfibia”, ossia un’azione in cui ci si limita a minacciare l’attuazione di uno sbarco al solo scopo di costringere l’avversario a impegnare forze per difendere un determinato tratto di costa. Si tratta di una tipologia di attività peraltro espressamente prevista anche dalla dottrina NATO sulle operazioni anfibie. Cosa accadrà, esattamente, anche su questo versante, lo vedremo nelle fasi che seguiranno.

Al via le operazioni aeree russe, oltre ai missili balistici tattici a corto raggio

Dopo la presunta “scomparsa” dell’aeronautica russa nei primissimi giorni della campagna, negli ultimi giorni l’intensità delle operazioni aeree russe sembra essere aumentata in modo significativo, e con essa, inevitabilmente, le perdite. Queste ultime, in particolare, soprattutto di fronte a un esercito, come quello ucraino, che ha mantenuto la tradizionale enfasi sovietica posta sui sistemi controaerei organici alle unità terrestri (oltre alla ormai arcinota fornitura dei MANPADS FIM-92 “Stinger” di fabbricazione USA), non dovrebbero suscitare particolare scalpore, poiché esse paiono in linea con il tasso di attrito, già ricordato, da riferirsi all’elevatissima letalità del moderno combattimento simmetrico ad alta intensità. A tal proposito, escludendo volutamente le campagne aeree occidentali e NATO (ma soprattutto delle forze aeree USA) sull’Iraq e la Jugoslavia (perché condotte contro avversari di altra natura e con forze ben superiori) si può ricordare a titolo di esempio ciò che accadde alla già blasonata e agguerrita aviazione israeliana nell’ottobre 1973, quando nei primi giorni della guerra del Kippur, nel settore del Sinai, subì perdite notevoli a opera dei sistemi controaerei egiziani (tutti di origine sovietica). A tale riguardo, poi, più fonti segnalano lo scarso impiego da parte dell’aviazione russa di munizionamento guidato di precisione, forse dovuto a una scarsa disponibilità. Tuttavia, è anche da menzionare l’intenso utilizzo in questa campagna di sistemi che nella dottrina dell’esercito sovietico prima, e in quello russo di oggi ora, hanno sempre avuto un ruolo molto rilevante: i missili balistici tattici a corto raggio. Questi sono attualmente rappresentati dagli 9K720 ISKANDER (in una versione, la “E”, in grado di lanciare anche vettori da crociera). Nella concezione russa, questi missili balistici, armati con testate nucleari o convenzionali, svolgono la funzione di condurre attacchi d’interdizione in profondità, che in ambito NATO e occidentale sono invece assegnati quasi esclusivamente alle forze aerotattiche, impieganti, appunto, in questo ruolo, munizionamento guidato di precisione (fa eccezione, in occidente, il missile tattico statunitense ATACMS e pochi altri) e ai missili da crociera. Pare che ormai le forze russe abbiano già lanciato diverse centinaia di ISKANDER, e questo può spiegare, anche se solo parzialmente, la non particolare enfasi data all’utilizzo di bombe e missili “intelligenti” da parte dell’aviazione russa, che pure ne dispone nel proprio arsenale. I missili balistici tattici hanno poi l’importante caratteristica di essere virtualmente invulnerabili ai sistemi di difesa aerea in servizio nelle forze armate ucraine, e questo vale anche per quelli occidentali e NATO: esistono attualmente, al mondo, ancora solo pochi sistemi operativi con questo tipo di capacità “Anti Tactical Ballistic Missile” (ATBM). Agli ISKANDER russi si sono poi comunque affiancati anche altri vettori da crociera (un’altra tipologia di sistemi, in questo caso contrastabili dalle unità controaerei ucraine) lanciati dai bombardieri strategici e dalle navi della marina russa, che hanno aumentato il volume di fuoco erogato dalle forze di Mosca nel loro complesso contro tutta una serie di obiettivi posti in profondità.

Numerose operazioni di assalto aereo: la punta di diamante

Un tema che al termine del conflitto sarà certamente meritevole di grande studio e attenzione, sono gli effettivi esiti e tutto ciò che è accaduto durante la condotta delle numerose operazioni di assalto aereo condotte soprattutto nei primi giorni dalle forze aviotrasportate russe, le Vozdušno-Desantnye Vojska (VDV). Queste ultime, è bene ricordarlo, possiedono il rango di forza armata indipendente e sono ritenute, in virtù delle loro caratteristiche di forze ad elevatissima prontezza e mobilità strategica, la punta di diamante dello strumento militare di Mosca. Dal punto di vista storico-militare, è poi opportuno ricordare che la specialità delle aviotruppe nasce proprio in Unione Sovietica negli anni ’20 del secolo scorso, nell’ambito dello sviluppo di quell’arte operativa che dava, appunto, grande importanza alle “glubokaya operatsiya”, le “operazioni in profondità”, realizzabili anche con questa tipologia di forze aviolanciate nelle retrovie dell’avversario. I numerosi resoconti che hanno sistematicamente riportato i presunti “fallimenti” di queste azioni dei reparti delle VDV (che hanno suscitato, in virtù di quanto detto, una certa sorpresa da parte degli addetti ai lavori), andranno quindi attentamente vagliati e verificati.




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