A partire da mercoledì 31 maggio, a scadenza settimanale, START InSight propone una serie di LIVE streamings con gli autori dei diversi contributi su terrorismo, radicalizzazione e prevenzione, pubblicati nel Rapporto #ReaCT2023. Le dirette, trasmesse sui profili social, saranno in seguito disponibili su questa pagina. Buona visione!
mercoledì 31 maggio Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio ReaCT Antonio Giustozzi, Senior Research Fellow, RUSI (London)
#ReaCT2023, n. 4: Pubblicato il rapporto annuale sui radicalismi e i terrorismi in Europa
Il rapporto rappresenta la combinazione unica di rivista scientifica e volume collettivo, con contributi di vari autori, ricercatori e collaboratori che hanno dedicato il loro tempo, la loro esperienza e le loro conoscenze. Vorrei esprimere la mia gratitudine a tutti loro per il prezioso contributo e i loro sforzi instancabili. Voglio, altresì, ringraziare il Ministero della Difesa italiano per aver confermato la stima e la fiducia nell’Osservatorio che dirigo concedendo il patrocinio all’evento di presentazione del rapporto, e il prestigioso Centro Alti Studi per la Difesa per la disponibilità dimostrata. Gratitudine che si estende al Ministero dell’Interno italiano che, attraverso il contributo della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, ha permesso di completare il nostro sforzo per la comprensione e la definizione della contemporanea minaccia rappresentata dai radicalismi ideologici e dai terrorismi violenti.
Quali risultati ci consegna la ricerca dell’Osservatorio?
Negli ultimi tre anni, dal punto di vista quantitativo, la frequenza degli attacchi terroristici è rimasta lineare. L’Europa è classificata come la terza regione maggiormente colpita dai terrorismi, seguendo la Russia e l’Eurasia, e l’America centrale e i Caraibi. I Paesi dell’Unione europea, il Regno Unito e la Svizzera sono stati afflitti nel 2022 da 50 attacchi terroristici di varia natura, una significativa flessione rispetto ai 73 del 2021. Sul piano qualitativo, guardando in particolare al mai sopito dell’islamismo violento, il rapporto evidenzia la natura in continua evoluzione del jihadismo, che ha subito molteplici trasformazioni fin dalle sue origini in Afghanistan negli anni ’80, diffondendosi e radicalizzandosi. Al Qa’ida è stata l’incarnazione del movimento globalizzato e radicalizzato fino a quando il gruppo terroristico Stato islamico è emerso nel 2014, proponendo un approccio ancora più estremo. La sconfitta dello Stato islamico in Iraq e Siria nel 2017-18 ha segnato la prima sconfitta tangibile del movimento jihadista. I movimenti jihadisti nazionali, per lo più nutriti dai soggetti globali, sono ora di nuovo di moda, e la regione del Sahel il centro del jihadismo riemergente. Da Sud a Est, il rapporto evidenzia il pericolo del terrorismo jihadista nella regione balcanica, che rimane una minaccia per la sicurezza italiana ed europea. L’Italia ha attuato e confermato varie iniziative per contrastare questa minaccia, in particolare confermando il proprio impegno a livello di missioni internazionali di mantenimento della pace.
Il rapporto approfondisce poi il tema della minaccia dell’estremismo di destra, della disinformazione, delle teorie del complotto, del suprematismo bianco e del crescente fenomeno dell’anarco-insurrezionalismo.
Alla luce del mondo in continua evoluzione e del conflitto che ora ha raggiunto l’Europa, è essenziale adattare i nostri paradigmi interpretativi della minaccia e mettere in discussione la definizione di terrorismo, l’approccio al contrasto al processo di radicalizzazione e la ricollocazione del terrorismo stesso nel nuovo scenario di conflitto.
Inoltre, in un quadro sempre più complesso e dinamico, la gestione delle crisi nel XXI secolo presenta sfide uniche a causa del contesto interconnesso e interdipendente, rendendo difficile la previsione. Il rapporto #ReaCT2023 ha dato ampio spazio anche a questo aspetto.
Infine, abbiamo voluto porre l’attenzione sulla recente pubblicazione del progetto di ricerca spagnolo sul contrasto al terrorismo internazionale all’interno delle fonti criminali multilivello e sull’analisi critica delle questioni di diritto penitenziario, giurisprudenza e pratica applicata alle sentenze per gli autori di atti terroristici. Il progetto di ricerca qui illustrato offre proposte costruttive per combinare le sfide poste da questo fenomeno criminale con la garanzia dei diritti umani fondamentali ed esplora il potenziale della giustizia riparativa.
In conclusione, il contributo di quest’anno è una testimonianza della forza e della dedizione della nostra comunità di studiosi e operatori nella lotta in corso contro i radicalismi e i terrorismi. Auspico che le idee contenute in questo rapporto contribuiscano a una migliore comprensione dell’evoluzione della minaccia dei terrorismi in Europa e servano come appello all’azione per tutti i soggetti interessati a lavorare insieme per prevenire e contrastare l’estremismo violento.
Grazie a tutti gli Autori che, con il loro encomiabile lavoro, hanno contribuito ancora una volta alla realizzazione di #ReaCT2023. Un ringraziamento speciale per il sostegno va anche alla Chapman University con sede ad Orange, California,all’Università della Svizzera Italiana – USI a Lugano e alla Piattaforma cantonale di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento (Repubblica e Cantone Ticino). Infine, come sempre, a START InSight, che ha consentito la pubblicazione e la distribuzione internazionale del nostro rapporto annuale.
Offensiva russa in Ucraina? I limiti dell’Occidente che la Russia sfrutterà
di Claudio Bertolotti
Le battaglie stanno prosciugando le scorte di armi da entrambe le parti.
Jens Stoltenberg, Segretario generale della Nato
Le battaglie stanno prosciugando le scorte di armi da entrambe le parti. Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha avvertito all’inizio di questa settimana che l’Ucraina sta consumando le munizioni molto più velocemente di quanto i suoi alleati possano fornirle.
L’amara constatazione del Segretario generale dell’Alleanza atlantica, a conclusione della riunione dei ministri della Difesa della Nato avvenuta il 14-15 febbraio, suggerisce un quadro non favorevole a Kiev in relazione agli sviluppi della guerra russo-ucraina iniziata quasi un anno fa.
L’analisi del quadro complessivo non può tener conto di quattro fattori, da cui discendono le future prospettive e le possibili opzioni.
Il primo elemento chiave consiste nel fatto che la Russia ha la volontà politica (imposta dalla necessità della sua leadership) di proseguire la guerra fino a quando non avrà raggiunto i propri obiettivi strategici minimi, ed ha la capacità militare di proseguire una guerra di media intensità per un tempo ancora indefinito, indipendentemente dalle perdite sul campo di battaglia. L’esperienza decennale della guerra in Cecenia ne è una conferma.
Il secondo fattore è dato dalla volontà politica ucraina di proseguire sulla linea della resistenza armata, ma la sua limitata capacità militare dipende in toto dall’aiuto esterno, in primis, da parte degli Stati Uniti e, a seguire, dai Paesi e dalle organizzazioni del blocco occidentale (Unione Europea e Nato): a fronte dell’attuale ritmo di rifornimento militare, se Kiev continuerà a perseguire la linea della resistenza a oltranza come sta facendo da tempo (in particolare nell’area orientale di Bakhmut) non potrà in alcun modo condurre azioni controffensive.
Terzo fattore: la NATO. L’Alleanza fornisce un sostegno limitato, proporzionale alle sue capacità e disponibilità dei singoli Paesi aderenti, e non ha intenzione di essere trascinata in un conflitto allargato che sarebbe devastante e senza via d’uscita, se non attraverso il confronto diretto con la Russia e l’escalation di violenza che ne conseguirebbe. Un prezzo che l’Alleanza non è disposta a pagare. Dunque, si rilevano limiti politici di volontà associati a una capacità di sostegno che metterebbe in crisi il sistema industriale dei membri dell’Alleanza, la maggior parte dei quali sono anche membri di un’Unione europea politicamente debole e divisa.
Infine, il quarto fattore: gli Stati Uniti. Washington ha una limitata volontà politica e una significativa, ma condizionata, capacità di sostegno militare nel breve-medio periodo ma nessuna intenzione di sostenere una guerra sul lungo periodo rischiando un impegno simile a quello sostenuto nella guerra in Afghanistan.
Questi quattro fattori mettono in evidenza la principale criticità dell’intero meccanismo di sostegno all’Ucraina: la divergenza tra limitata volontà/capacità occidentale, propensa a un accordo negoziale in cui Kiev dovrebbe rinunciare a parte della propria sovranità territoriale, e la determinata volontà e significativa capacità russa di sostenere una guerra a media intensità sul lungo periodo per annettere (non importa in quanto tempo) l’intero territorio ucraino.
Il quadro che si è definito continua a essere a vantaggio di una Russia che, per quanto indebolita sul piano delle Relazioni internazionali, fiaccata militarmente ed economicamente impoverita, non farà alcun passo indietro, né militarmente né politicamente, così come non lo fece nel 2014/2015. E’ un deja vu: lasciare spazio di manovra negoziale a Mosca significa ripetere gli errori della prima guerra di Ucraina, che aprì le porte alla seconda fase, iniziata il 24 febbraio 2022.
Sicurezza energetica. La rinnovata centralità del Mediterraneo: il libro di C. Bertolotti
Acqua ed energia (rinnovabile) per la sicurezza nazionale e la cooperazione regionale
Il nuovo libro di Claudio Bertolotti, Direttore di START InSight, “Sicurezza energetica. La rinnovata centralità del Mediterraneo: Acqua ed energia (rinnovabile) per la sicurezza nazionale e la cooperazione regionale” (ed. STARTInSight, 2023, 161 pp., Euro/CHF 14,00) è stato pubblicato per i tipi della Collana “InSight”, disponibile su Amazon.it o richiedendolo all’editore (info@startinsight.eu).
La storia ci ricorda che quando cambia la fonte di potere dominante, cambiano anche i rapporti di forza che dominano la politica internazionale.
Il “sistema Mediterraneo” è attualmente sottoposto a un forte stress, politico, sociale, economico, commerciale ed energetico. Deve affrontare la crisi economica e il problema della dipendenza energetica, le difficoltà di approvvigionamento di materie prime e di semiconduttori, l’accesso sempre più critico alle risorse idriche e alimentari, la sicurezza delle vie di comunicazione e la protezione delle infrastrutture critiche sottomarine.
Non v’è dubbio alcuno che l’accesso all’acqua, alle risorse alimentari e all’energia, associato alle conseguenze del cambiamento climatico e alle relazioni e agli equilibri internazionali, è e sarà sempre più l’elemento in grado di condizionare il livello di stabilità o instabilità dell’intera area del mediterraneo allargato. Questo intreccio di ambizioni e legittime aspettative, a cui si aggiungono i fattori dinamizzanti delle relazioni internazionali, che spesso appaiono inconciliabili tra loro, è la sfida che la nostra generazione ha di fronte e deve affrontare.
Acqua ed energia sono i due elementi chiave che determineranno, e che già ora determinano, l’insorgere di instabilità, emergenze e sfide sempre più pressanti e urgenti.
Lo sappiamo, ma non dovremo mai stancarci di ricordarlo in ogni occasione, che tutti i Paesi dell’area mediterranea sono minacciati dalla scarsità d’acqua e si trovano ad affrontare, da un lato, l’aumento della domanda di risorse idriche e la concorrenza tra i diversi utenti: condizioni che costringono i governi a cercare alternative diverse dalla costruzione di nuove dighe e infrastrutture per i trasferimenti energetici interregionali. Dall’altro lato, gli Stati devono affrontare una situazione che sta peggiorando sotto l’effetto del cambiamento climatico e della cattiva gestione delle risorse idriche.
Relativamente
al contesto energetico, l’area mediterranea è caratterizzata da un notevole aumento
delle importazioni di energia convenzionale: l’80% dei Paesi del Mediterraneo
occidentale sono grandi importatori di energia fossile. Una situazione che
richiede soluzioni alternative per soddisfare l’aumento del fabbisogno
energetico ed evitare la produzione eccessiva di gas serra, con uno sguardo
rivolto verso l’alternativa delle energie rinnovabili.
In
particolare, con riferimento all’approvvigionamento e alla produzione di
energia, esistono approcci contrastanti sulle modalità di accesso e
sfruttamento delle energie rinnovabili. Da un lato quello razionale e
pragmatico che si fonda sulla sostenibilità e tiene conto delle effettive
esigenze collettive, capacità, tempi e difficoltà (tecnologiche e strutturali);
dall’altro c’è l’approccio pericoloso dell’ambientalismo ideologico, basato
sulla convinzione controproducente e insostenibile dell’abbandono delle
tecnologie e delle risorse energetiche attuali senza progressività e su una
base puramente temporale. Quest’ultimo, certamente minoritario e marginale
all’interno dell’ampio panorama dell’opinione pubblica, è però in grado di
ottenere un’amplificazione massmediatica delle proprie istanze, complice
l’assenza di una strategia comunicativa di contro-narrazione istituzionale
efficace.
Governi
e decisori politici saranno pertanto chiamate ad attuare politiche realistiche,
economicamente e ambientalmente sostenibili. In questo contesto, anche lo
sviluppo e l’utilizzo dell’energia nucleare, terza fonte energetica mondiale e
principale fonte di energia non inquinante, gioca un ruolo decisivo in termini
di contenimento dell’inquinamento globale il cui contributo, unitamente e in
maniera coordinata e bilanciata a quello delle fonti energetiche sostenibili,
richiede importanti investimenti e una chiara visione di lungo periodo.
Il tema del volume “Sicurezza energetica. La rinnovata centralità del Mediterraneo. Acqua ed energia (rinnovabile) per la sicurezza nazionale e la cooperazione regionale” parte dalle riflessioni e dalle valutazioni della ricerca[ sviluppata nel 2022 in seno alla “5+5 Defense Initiative” dal gruppo internazionale di ricercatori designati dai Paesi aderenti all’iniziativa. Il tema affrontato è strategico e di estrema attualità data la crescita nel consumo di acqua e di energie rinnovabili che le rende un importante argomento politico ed economico e al contempo oggetto primario nelle relazioni internazionali e negli equilibri di potere, interno ed esterno, alle nazioni.
«Acqua
pulita e accessibile per tutti» è l’obiettivo numero 6 nella lista degli
obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable
Development Goals, Sdg) adottati dalle Nazioni Unite nel 2015. Di vitale
importanza per la vita umana, i Paesi del Mediterraneo occidentale, le loro
popolazioni, agricoltori, allevatori e industriali, attribuiscono un’importanza
vitale all’acqua.
Per
quanto riguarda le energie rinnovabili (solare, eolica, idraulica, geotermica),
il cui potenziale è considerato inesauribile, sono però prodotte con costi
ancora elevati, e spesso non sostenibili su larga scala e con le infrastrutture
esistenti. In tale quadro, caratterizzato da una grande incertezza in cui le
opportunità politiche e le istanze di una parte della società civile svolgono
un ruolo non sempre favorevole e costruttivo, si registra un’accelerazione da
parte dei Paesi maggiormente industrializzati dell’Unione europea verso una
“transizione energetica” che, sotto molti aspetti, tende a imporsi come una
riduzione forzata e irrazionale dell’utilizzo di fonti energetiche fossili, con
danni potenzialmente gravi e irreversibili per le economie nazionali e per gli
equilibri economici, sociali e politici.
Ciò
nonostante, va però riconosciuto che un approccio responsabile che guardi ad un
affrancamento progressivo dalle fonti fossili e combustibili, dunque una
“transizione energetica” sostenibile, progressiva e che tenga conto delle
capacità tecnologiche, dell’impatto economico-sociale e delle attuali fonti
energetiche primarie, se da un lato presenta criticità evidenti, dall’altro
lato apre alla possibilità di quella auspicata e necessaria autonomia
energetica strategica, essenziale tanto ai singoli Paesi quanto e ancor di più,
al «sistema europeo». Una scelta strategica, quella che l’Unione europea ha
definito, essenziale per imporsi come modello di sviluppo di riferimento in
un’epoca storica caratterizzata dagli effetti del cambiamento climatico e dalle
crescenti difficoltà di accesso e disponibilità di combustibili fossili. Ciò
potrà trovare realizzazione solo attraverso la consapevolezza della primazia di
un fattore ineludibile e condizionante: la crescita e lo sviluppo della
popolazione sono le variabili indipendenti che determinano un aumento del
consumo di risorse energetiche e idriche e mai il contrario. Dunque la capacità
di approvvigionamento e di produzione energetica dovrà tener conto di un
aumento progressivo della domanda di energia, coerentemente con l’andamento
demografico ed economico, così come dello sviluppo tecnologico dei Paesi che
ridefiniranno le loro strategie nazionali di sicurezza energetica in questa
direzione.
Ed
è in questo preciso scenario teorico che va ad inserirsi la guerra
russo-ucraina iniziata nel febbraio 2022, quale dimostrazione pratica della
mutabilità delle relazioni internazionali, dei rapporti tra alleati e competitor, così come
dell’imprevedibilità di eventi naturali o umani in grado di negare, in tutto o
in parte, l’accesso alle risorse energetiche e di condizionare in maniera
sfavorevole i prezzi delle fonti energetiche, con dirette ripercussioni sul
piano sociale, politico ed economico. E proprio la guerra russo-ucraina, ha
riportato l’attenzione dei governi sui rischi di interruzione delle forniture
che comportano, per definizione, quel costo strategico che va opportunamente
calcolato: esercizio non semplice, che non può essere ridotto al semplice
computo di investimenti e relativi rendimenti, ma comprende anche valutazioni
sulle diverse opzioni strategiche limitando, in primis, i rischi legati alla fortissima dipendenza da
idrocarburi e, in secondo luogo, imponendo l’esigenza di una diversificazione
del mix energetico a prezzi accessibili e di un potenziamento dell’influenza
dal lato dell’offerta, in particolare attraverso la realizzazione dei gasdotti,
a cui devono associarsi il principio della solidarietà tra Stati amici (in
particolare tra Stati membri dell’Unione europea).
In
sintesi, l’obiettivo a cui si guarda è quello di creare un mix energetico
sostenibile, efficiente e diversificato, cioè che sia sostenibile dal punto di
vista ambientale ed economico, che utilizzi le risorse in modo efficiente e che
sia basato su diverse fonti di energia, in modo da ridurre la dipendenza da una
sola fonte. Inoltre, è importante adottare un approccio integrato per
affrontare le sfide e le opportunità legate ai cambiamenti climatici, cioè un
approccio che consideri i diversi aspetti e le connessioni tra loro.
Sul piano politico-strategico, assume particolare rilevanza lo sviluppo di un “sistema mediterraneo dell’energia”, ovvero un sistema che colleghi in modo sicuro e a più vie le due sponde del Mediterraneo. Ciò potrebbe includere il potenziamento delle infrastrutture esistenti, come gasdotti e condotti sottomarini, e la costruzione di nuove infrastrutture, come impianti di trasformazione e stoccaggio dell’energia. L’obiettivo è quello di aumentare la sicurezza e la diversificazione delle fonti di energia per l’Europa, oltre che di sfruttare le opportunità economiche offerte dalla cooperazione energetica con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo, con l’obiettivo primario di governare le dinamiche delle relazioni internazionali, senza esserne sopraffatti a causa di una mancata o inadeguata strategia di sicurezza nazionale.
La presa di posizione di Putin è coerente con quella di un leader sotto pressione che cerca di mantenere un equilibrio tra le istanze dei falchi intransigenti, il voler compiacere i militari, dare l’impressione di non perdere la guerra e la necessità di rafforzare il consenso interno che tende sempre più a essere precario e ad indebolirsi con il progredire della guerra in Ucraina. Il presidente russo ha parlato della necessità di difendere i confini della Madrepatria presentando la guerra di aggressione in una guerra per la difesa della Russia, di fatto attribuendone la responsabilità agli ucraini e ai loro alleati occidentali, in primo luogo agli Stati Uniti e alla Nato. Di fatto Putin ha adottato un cambio di tono più che di retorica ribadendo il concetto di “difesa del popolo e della sovranità territoriale”, che è il tema ricorrente nella narrativa russa, e lo ha fatto nel tentativo di rafforzare una posizione politica che si è notevolmente indebolita.
Con i referendum di
Putin cresce la minaccia di una guerra nucleare?
Quella di Putin è una scelta strategicamente cinica, quasi
diabolica perché Le autoproclamate repubbliche
autonome del Donbass, Lugansk e Donetsk, e le province di Kherson e
Zaporizhzhia quando saranno annesse alla Russia, di fatto saranno territorio
nazionale russo e dunque, qualunque azione militare contro di essi sarebbe
considerata un’aggressione diretta a Mosca: una circostanza che, secondo la
dottrina militare russa prevede l’impiego dell’arsenale nucleari per difendere
“l’esistenza dello Stato, la sovranità e l’integrità territoriale del Paese”.
Dunque ci troviamo di fronte a un’opzione molto pericolosa
Il discorso di
stamattina mostra un Putin in difficoltà?
Putin è in oggettiva difficoltà, la Russia sta pagando un
prezzo altissimo sia sul fronte ucraino, in termini di risorse umane e
materiali, sia sul fronte interno dove si sta facendo ogni sforzo per contenere
gli effetti deleteri di un’economia di guerra e di una finanza che sono di
fatto fortemente limitate e che stanno avendo un impatto rilevante sulla
quotidianità dei russi. Ora, a fronte di questa scelta di forza dobbiamo però
prendere atto del fatto che – dal punto di vista della leadership russa – forse
non c’erano molte altre alternative. Un passo indietro significherebbe
ammettere la sconfitta e questo determinerebbe la fine politica di Putin. Da qui
la necessità di aumentare la pressione, seguendo i consigli dei falchi del Cremlino,
e tentare la carta della mobilitazione generale per la difesa dei confini che,
tra qualche giorno, si estenderanno ai territori ucraini attualmente tenuti
dalle forze russe.
C’è la famosa
immagine del topo nell’angolo, non è rischioso avere Putin con le spalle al
muro?
Un Putin con le spalle al muro è certamente lo scenario
peggiore che potrebbe prospettarsi le cui conseguenze andrebbero ben oltre i
confini ucraini. Putin in questo momento è in una posizione estremamente
precaria e qualunque azione di forza che possa consentirgli di uscire dal
pantano ucraino verrà perseguita. L’annessione via referendum e la minaccia
nucleare sono un’opzione che Putin ha perseguito a causa della mancanza di
tutte le opzioni a lui favorevoli: l’assenza di una vittoria lampo su Kiev, il
mancato collasso delle forze armate ucraine, la divisione dell’occidente a
supporto dell’ucraina. Putin non ha ottenuto nulla di tutto ciò, e dunque si
prepara ad attuare l’unica opzione perseguibile, in alternativa alla sua non del
tutto impossibile uscita di scena.
Settimana scorsa c’è
stato il vertice di Samarcanda. E anche qui la Russia non sembra aver trovato
appoggi incondizionati da parte di Cina e India.
L’india e la Cina sono state elegantemente perentorie nella
presa di posizione nei confronti della guerra di Putin in Ucraina: Pechino ha
negato la possibilità di aiuti militari alla Russia in Ucraina, tanto che si è
parlato di richieste di Mosca alla Corea del Nord (per razzi e proiettili) e
all’Iran (per i droni); e Nuova Dehli, storicamente molto vicina alla Russia,
non ha lasciato adito a dubbi nell’affermare che questo non è il momento della
guerra e la pace deve essere l’obiettivo primario. Dunque Putin, che guardava a
Samarcanda come a un’occasione per cercare di rafforzare la propria posizione
ha invece incassato un risultato molto più negativo di quanto non si
aspettasse. È forse l’inizio di un isolamento che sino a poche settimane fa
vedeva solo l’Occidente chiudere lo scambio commerciale e la collaborazione con
Mosca ma che ora comincia a interessare anche quegli storici alleati e amici
che dalla guerra sono toccati in termini economici, commerciali e finanziari.
#Ucraina. L’accordo per il grano: i vantaggi per la Russia e le incognite dei costi
A muovere Mosca sul grano sono interessi che vanno al di fuori dei confini ucraini
Il commento di Claudio Bertolotti
Sabato 23 luglio la firma dell’accordo per il grano ucraino, e poi l’attacco missilistico sulle infrastrutture portuali di Odessa, da dove quel grano dovrebbe salpare alla volta del mercato internazionale.
Il grano è destinato soprattutto all’Africa, dal Nord fino all’area subsahariana, dove la Russia ha grandi interessi e dove quei cereali erano originariamente destinati. E a ben guardare, questo accordo non vede le parti sullo stesso livello poiché si impone in tutto e per tutto come una concessione da parte della Russia, motivata dalle necessità del Cremlino. Necessità che vanno ritrovate anche nel continente africano dove in questi giorni si trova il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, impegnato in un’importante partita diplomatica per allineare i vari Stati sull’asse russo, in un’ottica di attiva espansione.
In quelle aree, il Cremlino si sta espandendo in termini non solo economici ma anche di influenza., portando avanti quella che viene definita sharp power, ossia l’uso di politiche manipolative per influenzare e minare il sistema politico di paesi bersaglio per manipolarne i governi, in questo modo presentandosi come risolutrice dei problemi. Il discorso vale anche per i cereali ucraini, su cui Mosca potrà rivendicare il fatto di aver “ottenuto” e “garantito” lo sblocco delle esportazioni. In questo modo, potrà presentarsi come la potenza (non occidentale) che ha salvato il mondo dalla fame, lasciando in secondo piano le responsabilità dirette che invece ha nell’aver alimentato una crisi alimentare di ampia portata. Credo che questo sia l’aspetto più importante, che ci permette di pensare che non butterà via questa opportunità, anche se bisogna vedere se logisticamente sarà sostenibile. Si tratta di una questione di numeri. Per il commercio dei cereali dall’Ucraina vengono utilizzate mediamente 400 navi cargo. Ad oggi ne sono disponibili 100, mentre le restanti sono impegnate in altre attività. La domanda da porsi è se basterà la capacità ucraina o dovrà intervenire la Russia mettendo a disposizione le sue navi. In tal caso, Mosca non se lo farà ripetere due volte perché, sebbene abbia creato lei stessa questa situazione, sarà ben felice di mostrarsi come risolutrice.
È bene però tenere a mente un aspetto rilevante, ossia l’affidabilità della Russia, che spesso si scontra con la sua opportunità: è dall’inizio del conflitto che dice di non fare una cosa e poi la fa. Non scordiamoci l’ironia utilizzata dalla diplomazia russa quando gli Stati Uniti parlavano di una sua possibile invasione in Ucraina. Oggi ci troviamo in una situazione simile. La Russia gioca le sue carte anche in maniera subdola. Tecnicamente, infatti, i missili di sabato non vanno a inficiare l’accordo. In primis perché si parla ancora di una prima fase per garantire l’apertura dei corridoi. E poi perché vanno a colpire quelli che Mosca definisce obiettivi militari, quindi leciti. Così facendo, Putin dimostra di poter far quel che vuole, colpendo il porto di Odessa senza problemi. Ma dal nostro punto di vista può anche essere interpretata come un punto di forza nella sua debolezza generale. Mosca, ad esempio, non è stata così forte da raggiungere i propri obiettivi in Ucraina, a partire dalla caduta del governo di Kiev o l’abbattimento del suo Stato per poi chiudere la guerra in tempi brevi.
E l’ipotesi di deviare i flussi di cereali verso le vie di comunicazione terrestre e fluviale verso l’Europa? Certamente non conveniente da un punto di vista economico e logistico, forse opportuno sul piano politico, ammesso che ci sia una strategia di fondo strutturata da parte dell’Unione Europea per sottrarre quelle derrate alla volontà Russia. per poi reimmetterle sul mercato internazionale a favore dei paesi africani. Ma è bene evidenziare che rispetto alle tratte marittime, questa opzione avrebbe costi superiori: meno grano viene trasportato, più alti sono i costi per le spedizioni, più elevato è il prezzo finale. Senza contare che i trasporti in Ucraina non sono agevoli a causa della guerra. Le oscillazioni dei prezzi di mercato, inoltre, non lasciano prospettive ottimistiche dovendo fare i conti con la realtà: d’altronde riflettono le scelte politiche e solo nel tempo vedremo come si aggiusterà il prezzo del grano, che molto probabilmente tornerà ad essere comunque superiore a quello pre-guerra.
Sviluppi sul campo: le difficoltà russe e il
tentativo di accerchiamento (ora ridotto)
Sino a pochi giorni fa eravamo tutti concordi sul fatto
che lo sforzo maggiore da parte delle forze russe si sarebbe concentrato
sull’area di Izyum che, con i suoi snodi viari e le potenzialità tattiche, era
indicato quale obiettivo operativo di maggiore interesse per Mosca, poichè la
sua conquista avrebbe garantito al grosso delle forze russe di aggirare quelle
ucraine schierate (sul fronte di Luhansk e Donesk). Ed è per questo che su
entrambi i fronti la lotta si è fatta accanita.
Ora questo obiettivo, consistente nel completare un
accerchiamento su larga scala di unità ucraine dalla città di Donetsk a Izyum, sarebbe
stato abbandonato dai russi, in virtù dell’accanita resistenza ucraina e della controffensiva subita dai russi intorno a Kharkiv.
L’alternativa si è dunque ridimensionata a un’azione di
accerchiamento più ridotta, forse sempre più ridotta a causa delle gravi
perdite e delle limitazioni in termini di capacità di manovra. Questo potrebbe indurre
lo stato maggiore russo ad avviare una nuova operazione su Severodonetsk, da
nord e da sud, via Rubhizne, il che porterebbe ad ottenere un accerchiamento
delle truppe ucraine molto più ridotto rispetto a quanto inizialmente previsto.
Uno stallo? Si, ma a svantaggio della Russia (grazie
all’aiuto statunitense)
Di fatto la guerra di logoramento e attrito impone il
consolidamento delle linee del fronte, con poche puntate offensive, da entrambe
le parti, costringendo i contendenti a consumare le proprie forze con una
conseguente diretta riduzione della capacità operativa. Però, c’è un però. Da
un lato le forze russe, che comunque
mantengono un vantaggio tattico che si riduce sempre più, hanno attinto a una
parte consistente della riserva operativa (comprese le milizie e le compagnie
private di sicurezza); dall’altro lato le forze ucraine stanno ricevendo sempre
più consistenti e rilevanti aiuti dall’Occidente, in particolare da parte degli
Stati Uniti: artiglierie, carri armati, intelligence per un valore complessivo di
circa 40 miliardi di dollari, aiuti che vanno a sommarsi a quelli già donati.
Il budget russo per la difesa nel 2021 è stato di 65,9
miliardi di dollari (per farci un’idea quello italiano è di meno di 25 miliardi
di euro).
Questo dovrebbe darci un’idea di quelli che potrebbero
essere gli effetti devastanti per la Russia, in termini militari, di una guerra
di medio respiro in cui potrebbe precipitare Mosca. Va detto che, in termini di
capacità militare, produzione di armamenti e disponibilità di equipaggiamenti
la Russia avrebbe un’autonomia di almeno un anno. Il che si potrebbe tradurre
in uno scenario di guerra molto più duraturo di quanto non ci sarebbe aspettsti
all’inizio del conflitto con tutte le incognite del caso, incluso il ruolo
giocato da potenziali combattenti stranieri. Meno preoccupante dovrebbe essere
invece, ma il condizionale è d’obbligo, il ricorso all’armamento nucleare,
previsto dalla dottrina russa solo a determinate condizioni che, al momento,
non sono all’orizzonte (rischio esistenza dello stato o disfatta militare).
Svezia e Finlandia nella NATO? Pro e contro di un
allargamento
Dobbiamo essere molto cauti nel valutare pro e contro di
questo processo di allargamento della Nato. Una valutazione complessiva deve
tener conto di tre elementi cardine: il primo è il maggior onere per l’Alleanza
atlantica, i cui confini di prossimità con la Russia aumenterebbero, e con loro
anche lo sforzo in termini contributi militari, a cui solo in parte Svezia e
Finlandia riusciranno a compensare. Dall’altro lato, questo è il secondo punto,
è indubbio l’indebolimento oggettivo a cui la Russia sta andando incontro: un
indebolimento politico ed economico di medio-lungo periodo che sarà difficile
da recuperare. Infine, terzo elemento, va tenuto conto del non facile processo di
adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, la cui praticabilità passa attraverso
il consenso unanime degli alleati, e la Turchia ha già manifestato le proprie
riserve in merito: questo non vuol dire che i due nuovi paesi non saranno
ammessi, ma è certo che ciò avverrà a conclusione di trattative e negoziati che
Ankara non mancherà di mettere sul tavolo, anche in virtù dei vantaggi e delle
opportunità di un dialogo parallelo tra Russia e la stessa Turchia.
Il discorso del Presidente russo Vladimir Putin del 9 maggio, in occasione della parata per celebrare la vittoria sul nazismo nella seconda guerra mondiale, è stato volutamente rassicurante nei confronti dell’opinione pubblica russa, e volutamente contenuto. E al contempo è stato coerente con la visione russa di quanto sta accadendo e di come la sua classe dirigente, e con essa anche il suo popolo, percepisce l’ipotesi di una minaccia permanente. La frase pronunciata da Putin – cito – di un “pericolo cresciuto ogni giorno, la Russia ha dato un colpo preventivo” si colloca esattamente all’interno di questa percezione, che è nota come la sindrome da “fortezza sotto assedio”, una percezione storicamente presente all’interno della società russa e che per questo motivo ha definito la propria politica estera e scritto la dottrina strategica militare prevedendo “azioni preventive” in un’ottica difensiva. È una lettura interessante, che non si limita ad osservare quanto accade dal punto di vista ucraino o occidentale. Questo non vuol dire giustificare, ma offre uno strumento di lettura che spiega il relativo sostegno del sistema e del popolo russo a questa guerra.
Dal punto di vista operativo, lo scontro si è ormai
consolidato come guerra di attrito e logoramento e si sta trasformando in una sciagura
per la Russia, almeno rispetto alle aspettative iniziali. Russia che mantiene
il vantaggio tattico ma con un’Ucraina, sempre più sostenuta dagli Stati Uniti
e il Regno Unito e dagli altri paesi occidentali e della Nato, che si rafforza
sempre più e che, da una posizione di difesa, sta assumendo una postura attiva
caratterizzata da alcune azioni di contrattacco, non rilevanti sul piano
generale ma certamente significative e galvanizzanti per il morale delle truppe
di Kiev.
LE CONDIZIONI PER UN NEGOZIATO
E allora si guarda al negoziato, al momento lontano dal
potersi realizzare perché un negoziato, per essere tale, deve porre sullo
stesso piano, in posizione paritaria, i due contendenti; altrimenti è l’imposizione
della resa e come tale non verrà accettata da entrambi i soggetti. È necessario
trovare una soluzione mediata che consenta a Mosca e a Kiev di uscire a testa
alta nei confronti dei rispettivi cittadini. Detto in altri termini, la Russia –
e Putin per primo – non accetterà una soluzione che imponga un ritiro senza l’ottenimento
di un risultato concreto. Un risultato che non potrà escludere il controllo
della Crimea da parte della Russia, e con essa la continuità territoriale con
il Donbas.
MACRON: UNA RISPOSTA PRAGMATICA DA LEADER EUROPEO
Il presidente francese Emmanuel Macron ha dato una risposta da leader europeo, forte, pragmatica, razionale e molto lontana dall’idealismo di chi chiede il ritiro incondizionato della Russia e vuole una partecipazione europea che continui a insistere su un dialogo che parta dal presupposto dell’accordo politico come presupposto all’arresto delle manovre militari. Macron sa, e lo esplicita, che la Russia non farà un passo indietro che possa essere recepito o letto come un’umiliazione. Sostenere l’Ucraina affinchè la Russia non vinca è l’unica opzione per portare a uno stallo operativo da cui partire. Detto in altri termini: è dal campo di battaglia, e dai territori materialmente occupati, che si definisce la base di un accordo negoziale e non il contrario.
E Macron ha l’ardire, o l’onestà intellettuale, di
evidenziare un altro aspetto chiave: gli interessi dell’Unione europea non sono
gli stessi degli Stati Uniti. E questo spiega la ragione dei diversi approcci,
visioni, e partecipazione.
GLI INTERESSI DELL’UNIONE EUROPEA NON SONO QUELLI
STATUNITENSI
Guardando alla guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno
una priorità: indebolire la Russia. Una volontà, quella di Washington (e dell’amministrazione
guidata da Joe Biden), che non
considera le priorità europee e che percepisce la guerra ucraina come un’occasione
per porre un freno, economico prima che militare, all’attivismo russo sul piano
delle relazioni internazionali; anche a costo di un prolungamento forzato della
stessa guerra. Non che la Russia rappresenti una minaccia diretta per gli Stati
Uniti, ma l’occasione è quella di rendere Mosca l’anello debole di una possibile
coalizione russo-cinese in un’ottica di competizione tra Washington e Pechino.
Una competizione che ha ormai da tempo spostato l’asse strategico sull’Oceano Pacifico,
relegando il Vecchio Continente in una posizione subordinata e secondaria, ma
comunque utile e funzionale agli obiettivi di medio-lungo periodo.
Al contrario, i buoni rapporti tra la Russia e l’Unione
Europea, o meglio con alcuni paesi dell’Unione europea – per ragioni
prevalentemente commerciali ed energetiche –, rappresentano un potenziale
ostacolo a una posizione europea unitaria in termini di sanzioni nei confronti
di Mosca. Questo è un limite che lo stesso presidente francese, Emmanuelle
Macron, ha posto in evidenza, ancora una volta, invitando gli alleati e i
partner ad agire in maniera coerente con quelli che sono i principi e gli interessi
di quella stessa Unione che, al contrario degli Stati uniti, ha molto da
perdere dal perdurare di un conflitto ai propri confini e che coinvolge un
paese, l’Ucraina, che ha espresso il desiderio di entrare a far parte dell’Unione.
Ucraina: la Russia mantiene il vantaggio tattico. Quali sviluppi?
Quadro sul campo di battaglia: quale la situazione? La Russia quanto e dove sta prevalendo? Quali i risultati della resistenza ucraina? Risponde Claudio Bertolotti ai microfoni di Radio InBlu
Aggiornamenti dal fronte russo-ucraino: ascolta l’intervista di Chiara Piacenti al direttore Claudio Bertolotti (Radio InBlu, puntata del 27 aprile 2022)
Come confermato dagli attacchi missilistici degli ultimi
giorni, Le forze russe si sono concentrate nel tentativo di interrompere i
rinforzi e la logistica ucraini. E allo stesso tempo hanno dimostrato la capacità
di avere il predominio nell’uso dei bombardamenti di obiettivi con missili a
lunga distanza.
Una capacità che si accompagna al vantaggio tattico che la
Russia, nonostante le perdite registrate in oltre due mesi di guerra, continua
a mantenere su tutti i fronti.
Come sintetizzato dall’Institute for the Study of War (ISW)
e illustrato nelle recenti analisi tattiche e operative di START InSight
Lo sforzo principale delle
forze russe si concentra nell’Ucraina orientale, insistendo su due assi
principali Mariupol e Donetsk e
Luhansk, per la conquista del Donbas, e mariupol per garantire la continuità
territoriale dalla Crimea al Donbas. A questo sforzo principale si affiancano
le tre azioni di sostegno:
la prima –
su Kharkiv e Izyum – finalizzata a ottenere l’accerchiamento delle forze
ucraine;
la seconda, sull’Asse meridionale, con perno di
manovra sull’area di Kherson, dove la Russia tiene le posizioni e sfrutta le
vulnerabilità ucraine (che tentano di disturbare lo schieramento russo con
azioni di contrattacco, limitate e non decisive;
la terza, su Sumy e Ucraina nord-orientale dove
l’obiettivo russo consiste nel completare il disimpegno delle proprie truppe
che saranno rischierate, senza riposo, sul fronte orientale
La resistenza delle forze ucraine, al contrario, è in grado
di attuare azioni di contrasto e imporre parziali rallentamenti ai russi, ma
manca della capacità di effettuare una vera controffensiva. Così come armata,
equipaggiata e impiegata oggi l’Ucraina può solamente rallentare i russi, disturbarne
la manovra. E non è un caso che si siano registrati recentemente possibili
colpi di mano in Russia contro obiettivi militari e logistici.
È possibile per i russi arrivare fino a Odessa e Transnistria?
Al momento non è un obiettivo primario: tutt’al più gli
attacchi e l’attivismo russo in queste aree possono essere funzionali a
disorientare gli ucraini e a distrarne parte delle forze tenute pronte per la
difesa di Odessa. In particolare, la Transnistria, è presidiata da poche truppe
russe – tra 1200 e 1500 – delle quali non più di 400 con adeguata capacità
operativa.
Tensione crescente
Mosca-Londra
Il Regno Unito, insieme a Washington, è il paese che più si
espone e si oppone in maniera decisa alla politica aggressiva della Russia: lo
dimostrano le armi, gli istruttori britannici a favore di Kiev il supporto
concreto di Londra. I toni tra i due
paesi si alzano progressivamente lasciando immaginare scenari peggiori di
quelli attuali. Ma è bene evidenziare che di norma è la realpolitik a prevalere
e nessuno dei due vuole un’escalation che apra ad un allargamento del
conflitto. In quest’ottica va considerata come molto coerente la dialettica che
si è imposta tra Londra e Mosca, fatta di provocazioni, accuse e minacce
reciproche. Una dinamica che alzando assicella del conflitto potrebbe però
sfuggire di mano.
Incontro Putin
Guterres: risultati limitati
L’incontro non è stato anticipato da buoni auspici o da un sostegno trasversale. Al contrario l’Ucraina si è opposta all’incontro tra il segretario dell’Onu e il presidente Putin. I risultati non sono stati deludenti, ma coerenti con le aspettative. Si è parlato di gestione dei corridoi umanitari e dell’impegno a supporto degli sfollati: bene, questo è importante. Di più, davvero, l’Onu non poteva fare, sedendo, la Russia, al tavolo del consiglio di sicurezza delle nazioni Unite, e con diritto di veto.
Esistono reali possibilità di un accordo negoziale nel breve periodo?
Solo quando Putin lo riterrà opportuno: ora la Russia ha il
vantaggio tattico, ha preso possesso di importanti obiettivi, ha consolidato un
fronte estremamente ampio: da est a sud e sud-ovest. Le difficoltà, che pure
sono oggettive, sono inferiori ai vantaggi nel proseguire la spinta offensiva
nel Donbas. Ad oggi non vedo ragioni, da parte russa, per accettare un accordo
negoziale che non conceda più di quanto già ottenuto sul campo di battaglia.
Presentazione del Rapporto #ReaCT2022 con la Fondazione De Gasperi
Mercoledì 20 aprile alle 18.00 sulla piattaforma Zoom la Fondazione De Gasperi ospita la presentazione del
curato dall’Osservatorio REACT e pubblicato da START InSight
Intervengono Angelino Alfano, Presidente della Fondazione Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio REACT Chiara Sulmoni, giornalista e analista, START InSight Andrea Molle, docente di Scienze Politiche, Chapman University Modera Mattia Caniglia responsabile del Desk Geopolitica e Sicurezza della Fondazione De Gasperi
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