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Ucraina: la possibile “exit strategy” di Putin (Adnkronos)

Putin ha commesso un azzardo strategico a cui potrebbe rimediare minacciando di occupare tutto il paese per poi ritirarsi forte di un accordo che potrebbe prevedere: un regime change e la ridefinizione dei confini ucraini con l’annessione delle repubbliche russofone appena riconosciute (opzione probabile), oppure la spartizione del paese in due – di qua e di la del confine naturale del fiume Dniepr. La prima è l’ipotesi più probabile, la seconda è possibile ma più difficile e meno vantaggiosa, sia per Mosca che per Kiev, sebbene, in entrambi i casi, il punto fermo di Mosca sarebbe un governo filorusso a Kiev quale condizione imprescindibile.

La prospettiva militare: tra azione, deterrenza e ipotesi operative

Russia vs Ucraina: ai complessivi 250.000 soldati ucraini, a cui si sommano le milizie nazionaliste, si contrappongono i 190.000 soldati russi, di cui una componente di riserva e una parte già impegnata sulle quattro direttrici terrestri convenzionali (principalmente aereo-terrestre-marittima): a Est (Kharkiv, Luhansk e Mariupol), a Sud (dalla Crimea e a Odessa), a Nord (dalla Bielorussia), a Ovest (con attacchi missilistici su Ivano-Frankivsk); un quinto fronte potrebbe aprirsi dalla Moldova (Transnistria) per alleggerire eventuali fronti impegnati da un’ipotetica controffensiva basata su un efficace contrasto dinamico e poi, auspicabilmente, una reazione dinamica da parte ucraina. Teoricamente i 250.000 ucraini sarebbero una forza sufficiente per fermare l’avanzata russa ma la superiore capacità operativa (impiego delle risorse militari e superiorità degli armamenti russi, anche in conseguenza dell’annientamento del sistema di difesa aerea e del sistema di controllo militare ucraino) e la potenziale riserva russa disponibile lasciano ben poche speranze alla riserva ucraina che potrebbe dare del filo da torcere a Mosca solo se si trasformassero in forze di guerriglia.

Dal campo di battaglia fisico a quello virtuale: la guerra ibrida

Ed è anche per prevenire una trasformazione del conflitto da convenzionale ad asimmetrico che la Russia, alla forza di manovra tradizionale affianca la manovra nella quinta dimensione: quella cibernetica e informativa dove ad attacchi cyber si sommano le info-ops contro gli appartenenti alle Forze armate ucraine e alle loro famiglie, attraverso l’invio di sms, wtsp, email. Una strategia, di fatto consolidata nella dottrina militare di Mosca nel 2015 e rivista recentemente nel 2021, che si basa sulla convinzione della minaccia rappresentata dall’Occidente. Lo stesso capo di stato maggiore generale delle forze armate, Valery Gerasimov, ribadiva le ragioni di questo pensiero nell’aprile 2019, ponendo l’accento sulla minaccia rappresentata dall’espansione della Nato verso la Russia, in particolare in Ucraina, e dai tentativi occidentali di spodestare il governo del presidente Putin attraverso l’uso della “guerra ibrida”. Una percezione rafforzata dalla consapevole debolezza delle proprie forze armate convenzionali, considerate non adeguate a far fronte a un possibile futuro scontro bellico con la Nato. È infatti convinzione, tra i vertici militari russi, che si debba accrescere la capacità operativa della dimensione cibernetica così da ottenere un equilibrio militare basato sull’asimmetria: un’opzione perseguita con convinzione dal Cremlino per assicurare al paese quel necessario e adeguato vantaggio militare funzionale a contrastare le ambizioni dell’Alleanza Atlantica, pur senza dover usare la forza cinetica. Quello russo è un approccio dottrinale di “dissuasione strategica” ma il concetto di base è forse meglio espresso nel termine usato dallo stesso Gerasimov di “strategia di difesa attiva”, diffuso in Occidente come “guerra ibrida” o “attività sotto soglia”.

La “exit strategy” di Vladimir Putin per l’Ucraina dopo “l’operazione militare speciale” (Adnkronos)

Una strategia che potrebbe “basarsi principalmente sull’instaurazione di un governo filo-russo”. Un “regime change, almeno in quella parte di Ucraina che verrà assoggettata al controllo russo e alle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk”, riconosciute solo dalla Russia, “anche se è improbabile una spartizione territoriale che vada oltre i territori russofoni”. Claudio Bertolotti, esperto dell’Ispi e direttore di Start InSight, ragiona con l’Adnkronos mentre i russi stringono su Kiev e dopo che la Russia si è detta pronta ad accogliere l’appello del presidente ucraino Volodymyr Zelensky inviando una delegazione a Minsk, in Bielorussia, per trattare con il governo di Kiev.

“L’Ucraina – dice – è stata lasciata sola a combattere una guerra contro la Russia che non volevano né Mosca né Kiev”. E “non sarà l’Afghanistan di Putin”. La “exit strategy” c’è stata fin dall’inizio perché “Putin ha ben chiaro quello che è l’esito di una guerra di lungo periodo” – in Afghanistan lo hanno visto prima i russi, poi gli Usa – e il rischio in assenza della “conquista di un obiettivo lampo” è una “guerra asimmetrica di logoramento”.

A questo punto, secondo Bertolotti, “appare chiaro che Putin abbia commesso un azzardo strategico” e “potrebbe rimediare solo minacciando di occupare tutto il Paese per poi ritirarsi forte di un accordo”. Un’intesa che, prosegue, “potrebbe prevedere la spartizione del Paese in due, di qua e di là dal confine naturale del fiume Dniepr”, un “regime change”, appunto, e “la ridefinizione dei confini ucraini con l’annessione delle repubbliche russofone appena riconosciute”, Donetsk e Luhansk. In ogni caso, “il punto fermo di Mosca sarebbe un governo filo-russo a Kiev”, una “condizione imprescindibile” secondo l’esperto, “anche forzando l’attuale governo ad accettare un accordo negoziale a vantaggio di Mosca”.

Bertolotti invita a non dimenticare “il punto di vista russo”, gli “aspetti storici”, la “percezione politica fermamente radicata all’interno della leadership russa di fortezza assediata”.

Negoziare, mentre in campo – spiega l’esperto – ci sono “complessivi 250.000 soldati ucraini contro i 190.000 soldati russi, una parte dei quali nella riserva” e “teoricamente i 250.000 ucraini sarebbero una forza sufficiente per fermare l’avanzata russa”. Ma “la superiore capacità operativa e la potenziale riserva russa disponibile lasciano ben poche speranze alla difesa ucraina”, che “potrebbe dare del filo da torcere a Mosca solo se si trasformasse in forze di guerriglia”.

“C’è da chiedersi – osserva – se vi sia l’opportunità e la necessità di aiutare militarmente la resistenza ucraina” perché “implicherebbe una prosecuzione del conflitto, quindi un aumento dei morti, distruzione e danni bellici molto rilevanti”. E “aiutare la resistenza” significherebbe “trasformare la guerra da convenzionale ad asimmetrica con le tecniche della guerriglia” e conseguenze “molto dolorose” per la Russia e l’Ucraina. Secondo Bertolotti, la comunità internazionale non è interessata questo, “a meno che ciò non sia inserito nell’obiettivo di indebolire Putin, non tanto di aiutare l’Ucraina”. Qui è “fondamentale il ruolo statunitense” che “potrebbe fare la differenza” in un'”ottica di contenimento della politica russa e di Putin”.

“Marginale e scarsamente rilevante”, rimarca, il ruolo di Ue e Nato. Un’Alleanza “che non può essere coinvolta direttamente per Statuto”, l’Ucraina non è un alleato, e che “potrebbe essere interessata per opportunità, ma al momento non è così e non lo sarà”.

E, conclude, “sul lungo periodo bisogna interpretare l’ambizione nazionale della Russia, basata su una volontà di stabilire gli equilibri che si erano consolidati durante la Guerra fredda”, sia “dal punto di vista dell’influenza che della presenza fisica in quello che era l’antico blocco sovietico”. E “aggiungere l’espansione dell’interesse della Russia anche in aree dove non era presente o fortemente limitato”. Il Mediterraneo, i Paesi che dal Nordafrica al medio oriente vi si affacciano sul Mediterraneo. A cominciare da Libia e Siria.




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