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Ucraina: la terza fase offensiva e i reali obiettivi operativi della Russia (D+46)

di Fabio Riggi

Con il conflitto tra Russia e Ucraina giunto a quasi un mese e mezzo dal suo inizio è possibile esprimere alcune considerazioni, e soprattutto formulare alcune ipotesi, riguardanti una dimensione alquanto misconosciuta, anche da parte di alcuni addetti ai lavori, nel dibattito in corso sulle attività belliche in corso: quella relativa al livello operativo della pianificazione e della condotta della campagna militare russa. A tale riguardo è bene ricordare come le moderne dottrine militari identificano nel livello operativo una dimensione intermedia tra quella strategica, superiore, che attiene alla definizione e al perseguimento degli scopi generali della guerra, e quella tattica, inferiore (beninteso, non per importanza) che attiene specificamente all’impiego delle forze in combattimento. Il livello operativo, relativamente recente rispetto a quelli strategico e tattico, ambiti tradizionali nello studio e nell’interpretazione dell’arte della guerra fin dai secoli più remoti, è stato introdotto a partire tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo anche grazie allo sviluppo concettuale che si svolse su questo tema negli anni ’20 e ’30 dello scorso secolo in Unione Sovietica.

I dubbi sugli obiettivi operativi della campagna russa

Il ripiegamento delle forze russe dai settori nord (area di Kiev) e nord-est (aree di Chernihiv e Sumy), completato negli ultimi giorni dopo una prolungata fase di logoramento, sta facendo sorgere molti quesiti riguardanti quali siano i reali obiettivi operativi della campagna russa in Ucraina (secondo diversi analisti essi sono significativamente cambiati rispetto al suo inizio), soprattutto tenendo presente che questi sono sempre, e necessariamente, strettamente correlati a quelli fissati a livello strategico. Infatti, lo scopo precipuo della pianificazione e dell’impiego delle forze a livello operativo è quello di condurre “campagne” indirizzate al conseguimento degli obiettivi strategici generali del conflitto.

Errore strategico russo: successo iniziale ma pochi soldati

Un elemento fondamentale, materializzatosi concretamente dopo oltre 5 settimane di guerra, ma facilmente prevedibile anche prima del suo inizio, è quello relativo ai rapporti di forze complessivi. Dalle fonti più accreditate risulta che le forze terrestri russe lanciate nell’offensiva ammontino all’equivalente di circa 115 gruppi tattici di manovra a livello di battaglione, per un totale di 175.000-190.000 uomini, affiancati da due corpi d’armata delle repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk, con altre circa 20.000 effettivi. Dal canto suo, l’esercito regolare ucraino contava già da prima del conflitto (secondo l’ordine di battaglia riferito al 2016) su un totale di 23 brigate di manovra (meccanizzate, motorizzate, corazzate, d’assalto aereo e di fanteria di marina) cui si aggiungono numerosi altri battaglioni indipendenti (“separati” secondo la terminologia organica russo-ucraina) per un totale di 125.600 effettivi nell’esercito e altri circa 20.000 nelle forze aviotrasportate (che costituiscono una forza armata indipendente). A questa forza già considerevole si aggiungono 11 brigate e 13 reggimenti della Guardia Nazionale, una componente definita “paramilitare” ma che all’atto pratico dispone di materiali e capacità del tutto equiparabili alle formazioni da combattimento regolari, insieme alle unità speciali della polizia, per un totale di altri 102.000 uomini (dati tratti dalla pubblicazione “Military Balance” 2021).

In esito a ciò, per quanto riguarda le forze terrestri, è di tutta evidenza l’assenza di un rapporto di forze favorevole, da parte russa, per la condotta di un’invasione su vasta scala dell’Ucraina, anche se limitata alla sua parte orientale. Da un punto di vista puramente militare, quindi, le operazioni offensive condotte dalle truppe di Mosca sono iniziate (e sono tutt’ora in corso) in condizioni tutt’altro che favorevoli, se non addirittura proibitive, da questo punto di vista. La proiezione, insita nell’immaginario collettivo occidentale, delle forze quantitativamente schiaccianti che “l’orso russo” ha tradizionalmente messo in campo nella storia delle guerre che lo hanno visto protagonista, è quindi piuttosto distante dalla attuale realtà dei fatti se è vero che l’esercito russo nel suo complesso conta in totale su circa 280.000 effettivi (dati Military Balance 2021). Alla luce di ciò, è anche possibile concludere che le avanzate, tutt’altro che trascurabili, realizzate dalle forze russe nei primi giorni della campagna, soprattutto nel settore sud, (di oltre 200 Km, ad esempio, sulle direttrici di Zaporozhie e Mariupol) sono da considerare di tutto rilievo e relativamente sorprendenti. Di fatto, solamente una decisione presa d’imperio dal vertice politico, molto probabilmente basata su presupposti che andavano ben al di là delle condizioni puramente strategico-militari, nettamente non favorevoli, ha potuto giustificare l’inizio di un’impresa molto rischiosa e sicuramente densa di insidie come gli sviluppi sul campo si stanno incaricando di dimostrare.

Errore operativo russo: troppe direttrici di attacco, ma coerente con la dottrina

Sulla base di quanto esposto riguardo le forze in campo, è dunque opportuno abbozzare alcune ipotesi riguardo il “design” a livello operativo della campagna russa. Uno degli aspetti maggiormente criticati è stato quello relativo ai molteplici assi d’attacco seguiti dalle forze attaccanti, la pluralità dei quali non avrebbe consentito la realizzazione di una gravitazione sufficiente a ottenere una superiorità di forze decisiva in nessuno dei settori entro cui si sono sviluppati. Inoltre, l’andamento ad ampio arco della linea di confine tra l’Ucraina, la Bielorussia e la Russia, sommata alla scelta dello stato maggiore generale russo (organo di vertice che sulla base del ben noto modello del “Generalstab” prussiano/tedesco è quello deputato al pieno sviluppo della pianificazione a livello strategico-operativo) di mettere in atto più sforzi offensivi, consente tutt’ora alle forze ucraine il vantaggio della “manovra per linee interne”, mentre, specularmente, quelle russe sono costrette allo svantaggio della “manovra per linee esterne”. Tuttavia, un concetto operativo, come quello dei molteplici sforzi offensivi, che intuitivamente e a una prima analisi è sembrato a giudizio di vari commentatori un evidente errore di pianificazione e suddivisione delle forze, a ben guardare è proprio dello schema tradizionalmente previsto da quella che era “l’arte operativa” di scuola sovietica, il cui retaggio è ancora ben presente nello stato maggiore generale di Mosca. Molte delle grandi operazioni offensive condotte dall’Armata Rossa nella seconda guerra mondiale, dall’operazione Uranus dell’autunno-inverno 1942-43, che portò alla vittoria di Stalingrado, all’operazione “Bagration”, in Bielorussia, nell’estate 1944, fino ad arrivare all’operazione “Berlin”, ossia l’offensiva finale che culminò con la caduta di Berlino nella primavera del 1945, sono state condotte esattamente con uno modello operativo che prevedeva più sforzi offensivi lungo altrettante direttrici d’attacco. D’altro canto, sin dall’inizio dello scorso XX secolo (come illustrato, ad esempio, in un articolo del 1921 da un ufficiale britannico, il Lt.Col J.C. Dundas), era ben nota la differenza tra una campagna offensiva condotta “per linee interne”, ossia lungo un singolo (o solo altri pochi e ben coordinati, assi d’attacco) e quella invece sviluppata “per linee esterne”, ossia su diverse e molteplici direttrici. Nel primo caso l’attaccante può concentrare le proprie forze per penetrare rapidamente nel territorio dell’avversario, dividerne le forze e godere del vantaggio di poter concentrare le proprie risorse logistiche lungo poche e più ravvicinate linee di comunicazione. Lo svantaggio è che anche il difensore può concentrare le sue forze sulla singola direttrice d’attacco dell’avversario, e da ciò ne discende che quest’ultimo deve poter contare su una significativa superiorità numerica (concetto già valido di per sé come regola generale universalmente riconosciuta in offensiva) per avere ragionevoli probabilità di prevalere. L’approccio offensivo “per linee esterne”, invece, consente all’attaccante di costringere il nemico a dividere le proprie forze, imponendogli il dilemma di dove focalizzare le priorità per l’impiego di queste, e lasciandolo per quanto possibile nell’indeterminatezza di capire quali siano realmente gli sforzi offensivi principali del nemico. Tuttavia, una campagna offensiva sviluppata con il secondo tipo di approccio crea la difficoltà di dover gestire diverse linee di comunicazione, estese e molto più articolate rispetto a quelle sufficienti a gestire un singolo asse di penetrazione, che sono necessarie per l’alimentazione tattica e logistica delle forze in attacco, e presenta la necessità, anche in questo caso, di una superiorità numerica idonea alla realizzazione di una adeguata gravitazione su ogni singola direttrice.

Rapporto di forze sfavorevole alla Russia

Sulla base di queste argomentazioni teoriche, è possibile supporre che nel momento in cui il vertice politico-strategico di Mosca ha imposto la sua volontà sull’inizio di un’offensiva su larga scala per la conquista, posta come prioritaria, delle aree meridionali dell’Ucraina, per realizzare la contiguità territoriale tra Crimea e Donbass e occupare totalmente quest’ultima regione (basandosi, anche, come insistono nell’affermare diversi analisti autorevoli, sull’ “assumption” di uno sfaldamento in poco tempo dell’intero apparato politico-militare di Kiev sotto i colpi delle prime, rapide operazioni), lo stato maggiore generale russo ha dovuto forzatamente elaborare un disegno della campagna a livello operativo in condizioni non favorevoli in termini di rapporti di forze sull’avversario. In questo quadro, è possibile che nella visione dei pianificatori russi la scelta, apparentemente più semplice, di lanciare un’offensiva “per linee interne” su poche direttrici d’attacco tutte concentrate nel settore meridionale, (dove peraltro era già schierato il meglio delle forze terrestri ucraine), avrebbe consentito a sua volta all’avversario di concentrare le proprie, non trascurabili, forze per contrastarlo efficacemente. Da qui, probabilmente, la decisione di lanciare altri due attacchi, se non secondari quantomeno “concorrenti”, a nord, lungo la sponda ovest del Dnepr (dove peraltro il terreno è particolarmente difficile), su Kiev e a nord-est, lungo la direttrice Sumy-Konotop-Nizhyn, verso i sobborghi orientali della capitale ucraina. Su questi settori settentrionali potrebbe essersi anche innestato l’obiettivo, altamente opportunistico, di provocare la caduta del governo Zelensky dopo averlo sottoposto alla minaccia delle truppe di Mosca giunte sin dalle prime ore dell’invasione a pochi Km da Kiev. Il recente, repentino, ripiegamento delle forze russe dai settori nord e nord-est, pur pagato al prezzo di un forte danno d’immagine, già scosso da “operazioni sulle informazioni” ucraine aggressive e pervicaci sin dai primi giorni dell’invasione, potrebbe essere un indicatore che effettivamente avvalora il quadro tratteggiato secondo questi lineamenti.

Problemi logistici e resistenza ucraina

Le comunque innegabili difficoltà delle forze russe, incontrate in primo luogo nei settori nord e nord-est, che probabilmente hanno determinato la decisione di ripiegare la gran parte delle forze impiegate, deriverebbero da problematiche innescate proprio dai requisiti richiesti da un disegno operativo “per linee esterne”. Le linee di comunicazione che stanno alimentando gli sforzi offensivi russi sono estese per centinaia di Km, dal territorio russo, già prima di oltrepassare il confine ucraino, e soprattutto nel settore nord-est sono state per giorni soggette a continui attacchi e minacciate dalle sacche di resistenza dove le unità ucraine, seppur isolate, hanno continuato a operare con tenacia e abilità, com’è accaduto in modo particolare a Chernihiv e Sumy. In aggiunta a ciò, alcune criticità intrinseche al sistema logistico dell’esercito russo, che è bene ricordare sta affrontando una campagna terrestre di così ampia portata per la prima volta dal 1945, avrebbero già da sole provocato non pochi problemi. Innanzitutto, la forte dipendenza dal trasporto ferroviario, e dalle relative “teste di sbarco” in prossimità delle aree di operazioni, e una relativa scarsità di reparti e organi logistici già nell’organico a livello di armata. Questo fattore fondamentale, riferito alla logistica, enfatizzato da forze come quelle russe altamente meccanizzate, sommato alle linee di comunicazione “esterne”, numerose ed estese per poter alimentare i molteplici assi offensivi previsti dal disegno operativo iniziale, potrebbe aver determinato il raggiungimento del “punto culmine” dell’offensiva delle forze russe nella parte settentrionale dell’Ucraina, e la conseguente necessità di ripiegarle per non rischiare di perderne una parte significativa, anche di fronte a contrattacchi ucraini che già si stavano manifestando in modo significativo.

Inizia la terza fase offensiva russa Dopo il ripiegamento delle forze russe dai settori nord e nord-est la campagna è entrata in una nuova fase (che potrebbe essere numerata come la terza dall’inizio del conflitto) che dopo quella di attrito, prolungatasi per almeno 3-4 settimane, ora vede le truppe di Mosca cercare di applicare il principio dell’economia delle forze (universalmente riconosciuto tra quelli fondamentali dell’arte militare) per concentrare il massimo della potenza di combattimento nei settori sud e sud-est, quelli verosimilmente riconosciuti, sin dall’inizio, come prioritari. L’esito di questa ampia manovra, realizzata di certo dai russi al fine di mantenere l’iniziativa operativa e strategica, non potrà che essere fornito dalle inappellabili sentenze che il campo di battaglia emetterà nelle prossime settimane.




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