Elezioni USA. Trump-Harris: Un dibattito al ritmo di colpi e contraccolpi.
di Melissa de Teffè.
Finito il dibattito il primo commento che balza alla mente è che la Harris è stata per Trump pruriginosa. Dopo una breve introduzione in cui racconta d’essere cresciuta con solo la mamma divorziata che l’ha mantenuta fino alla fine degli studi, si è subito lanciata nel suo “programma” politico incentrato nel voler sollevare la classe media, la stessa di sua provenienza, dalle pressanti difficoltà economiche in cui versa. La strategia della squadra Harris è stata quella di irritare il più possibile Trump, obbligandolo di fatto a stare sulla difensiva. Non c’è stato un momento in cui Trump non sia stato in qualche modo denigrato o preso in giro, come quando gli è stato detto che durante la sua presidenza si scambiava lettere d’amore con il presidente Kim della Corea del Nord, o che la guerra tra Russia e Ucraina finirebbe per i suoi interessi compiacenti con Putin. Oppure ancora che molti capi di Stato lo considerano un personaggio “vergognoso”. Queste solo alcune delle critiche, farcite per altro da evidenti gesti continui con la testa, di disapprovazione, di sfottò e di presa in giro.
Trump dal canto suo ha dimostrato, confrontando altri momenti di suoi exploit, molto controllato, ma sempre sulla difensiva. Insomma, tanti colpi bassi, tante denigrazioni, ma pochissima sostanza.
Partirei quindi dalle conclusioni di ambo i candidati che danno una chiara visione di questa battaglia politica in stallo.
Harris: “Quindi, penso che questa sera abbiate sentito due visioni molto diverse per il nostro Paese: una concentrata sul futuro, e l’altra concentrata sul passato e su un tentativo di riportarci indietro.
Ma noi non torneremo indietro, e credo davvero che il popolo americano sappia che abbiamo molto più in comune di quanto ci divida, e possiamo tracciare una nuova strada in avanti, una visione che includa avere un piano, il capire le aspirazioni, i sogni, le speranze e le ambizioni del popolo americano.
Ecco perché intendo creare un’economia di opportunità, investendo nelle piccole imprese, nelle nuove famiglie, e in ciò che possiamo fare per proteggere gli anziani, ciò che possiamo fare per dare sollievo a chi lavora duramente e ridurre il costo della vita. Credo in ciò che possiamo fare insieme per sostenere la posizione dell’America nel mondo e garantire il rispetto che meritiamo, incluso il rispetto per il nostro esercito e l’assicurazione di avere l’esercito più letale al mondo.
Sarò un presidente che proteggerà i nostri diritti e le nostre libertà fondamentali, incluso il diritto di una donna di prendere decisioni sul proprio corpo senza che il governo le dica cosa fare.
Vi dico che ho iniziato la mia carriera come procuratrice. Sono stata procuratrice distrettuale, procuratrice generale, senatrice degli Stati Uniti e ora vicepresidente.
Ho avuto solo un cliente: il popolo. E vi dico, come procuratrice, non ho mai chiesto a una vittima o a un testimone: ‘Sei repubblicano o democratico?’ L’unica cosa che ho mai chiesto è stata: ‘Stai bene?’ E questo è il tipo di presidente di cui abbiamo bisogno in questo momento, qualcuno che si preoccupi di voi e che non metta sé stesso al primo posto.
Intendo essere un presidente per tutti gli americani e concentrarmi su ciò che possiamo fare nei prossimi 10 e 20 anni per ricostruire il nostro Paese, investendo ora in voi, il popolo americano.”
Trump: “Ha appena iniziato dicendo che farà questo, farà quello. Farà tutte queste cose meravigliose. Perché non le ha fatte? È lì da tre anni e mezzo.
Hanno avuto tre anni e mezzo per sistemare il confine. Hanno avuto tre anni e mezzo per creare posti di lavoro e fare tutte le cose di cui abbiamo parlato. Perché non le ha fatte?
Dovrebbe uscire di qui e andare subito in quella bellissima Casa Bianca, andare al Campidoglio, radunare tutti e fare le cose che vuole fare. Ma non l’ha fatto, e non lo farà perché crede in cose in cui il popolo americano non crede.
Crede in cose come ‘non trivelleremo, non utilizzeremo i combustibili fossili, non faremo cose che ci renderanno forti’, che vi piaccia o no. La Germania lo ha fatto, e nel giro di un anno sono tornati a costruire centrali energetiche tradizionali… Non possiamo sacrificare il nostro Paese per una visione sbagliata.
Ma faccio solo una semplice domanda: perché non lo ha fatto? Siamo una nazione in declino. Siamo una nazione che sta vivendo un grave declino.
Ci deridono in tutto il mondo, in tutto il mondo. Ridono di noi. Conosco molto bene i leader. Vengono a trovarmi. Mi chiamano. Ci deridono in tutto il mondo. Non capiscono cosa ci sia successo, come nazione, non siamo più leader, non abbiamo idea di cosa ci stia succedendo.
Abbiamo guerre in corso in Medio Oriente, abbiamo guerre in corso tra Russia e Ucraina. Finiremo in una Terza Guerra Mondiale, e sarà una guerra come nessun’altra, a causa delle armi nucleari, della potenza bellica.
Io ho ricostruito tutto il nostro esercito. Lei ne ha regalato una gran parte ai talebani. L’ha dato all’Afghanistan. Quello che queste persone (Biden-Harris ndt), hanno fatto al nostro Paese, e forse la cosa più difficile di tutte, è permettere a milioni di persone di entrare nel nostro Paese.
Molti di loro sono criminali e stanno distruggendo il nostro Paese. Il peggior presidente, la peggiore vicepresidente nella storia del nostro Paese.”
In queste due chiusure si riassume una visione e un’idea di ciascun candidato. Rimane sicuramente il rammarico dal punto di vista giornalistico dove gli interessi politici personali hanno preso il sopravvento e ambo candidati non sono stati intervistati dai moderatori su fatti e programmi in dettaglio per capire come porterebbero l’America di oggi fuori dall’inflazione, come cercherebbero di arginare il problema migratorio illegale, e come infine si porrebbero di fronte a due guerre che non vedono al momento soluzione alcuna. Infatti, se da un lato abbiamo tutti avuto la possibilità di vedere Trump al lavoro con i Talebani, i Cinesi, le due Coree, in termini non solo economici ma anche di equilibri internazionali, ad oggi l’amministrazione Biden-Harris non è riuscita a portare a casa alcun successo diplomatico e Harris avendo detto con enfasi, diverse volte, che lei non è Biden, discostandosi quindi da quella politica più a sinistra, non ci è ancora chiaro come si confronterebbe con le complessità interne ed internazionali che dovrebbe affrontare nell’eventualità di una vittoria. I moderatori hanno quindi fallito nel non farci raccontare attraverso domande argute e puntuali, quali strade i candidati percorrerebbero per soddisfare le richieste di un paese che è disperatamente alla ricerca di un leader.
Quindi per concludere non sembrano esserci né vinti né vincitori: i Trumpiani speravano in un Trump più brillante, gli Harris gioiscono per aver fatto una buona figura, date le premesse, e a distanza di qualche ora dal fatidico 11 settembre, nessuno se n’è appropriato. Una svista?
PRESIDENZIALI USA: UNA CORSA IMPERVIA. DUE VICEPRESIDENTI AGLI ESTREMI.
di Melissa de Teffè.
Il duello per le presidenziali americane si sta inasprendo e posiziona i due candidati agli estremi dell’arco politico attraverso la scelta dei due Vice. Dopo il tanto atteso dibattito tra Kamala Harris e Donald Trump che li vedrà confrontarsi a settembre, Vance e Walz, si incontreranno per un faccia a faccia il primo ottobre prossimo. L’evento è organizzato dalla rete televisiva CBS.
Scrive Vance su X: “Il popolo americano merita il maggior numero possibile di dibattiti, ed è per questo che il Presidente Trump sfiderà Kamala in tre momenti diversi. Non solo accetto il dibattito della CBS del 1° ottobre, ma accetto anche il dibattito della CNN del 18 settembre. Non vedo l’ora di vederti a entrambi!”
Dei due compagni di squadra, conosciamo meglio, James David Vance o J.D. Vance, grazie alla sua autobiografia “Elegia americana – (Ed Harper, 2016 – Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture in Crisis- la biografia di una famiglia e una cultura in crisi) e in seguito alla trasposizione su schermo per la regia di Ron Howard, con Glenn Close ed Amy Adams. Per chi non ha voglia di leggersi il libro, il film visionabile su Netflix, racconta la vita di questo giovane uomo che riesce a conquistare con enormi fatiche, mille rischi e facili inciampi, una posizione nella società, superando il maltrattamento psico-fisico di una madre alcolizzata, drogata, con quattro matrimoni falliti alle spalle, in un contesto sociale poverissimo e ignorante. Per sfuggire a questi orrori, si arruola nei Marines dal 2007 al 2013, e viene subito stanziato in Iraq. Al rientro si laurea in soli 2 anni in Scienze Politiche e filosofia con il massimo dei voti per poi proseguire grazie anche a una borsa di studio alla Yale University e diventa avvocato. Qui conosce sua moglie Usha, di origini indiane, e prima generazione americana. Ma a Vance non piace fare l’avvocato e abbandona quasi subito trasferendosi nella West Coast dove viene assunto come dirigente in una società di investimenti specializzata nelle tecnologie. Prosegue in questo ambiente e da San Francisco ritorna nell’Ohio, dove è cresciuto e qui tenta, fallendo, diverse imprese societarie. Entra poi in politica e viene eletto senatore a gennaio dell’anno scorso, 2023.
Sensibile al sociale segue linee politiche per aiutare chi, come lui e sua madre, viene da ceti bassi e fa fatica a trovare lavoro, e cade nel giro della droga, soprattutto il Fentanil, prodotto in Cina e venduto in grandi quantità a basso prezzo, anche grazie all’importazione attraverso l’immigrazione illegale gestita dai cartelli sudamericani della tratta di esseri umani.
Dall’altro lato dello spettro il Vice Presidente Harris, settimana scorsa, ha scelto come suo Vice, Tim Walz, governatore del Minnesota. È un veterano militare che non è mai andato in guerra. Anzi è proprio in questi giorni che ha dovuto ritrattare una sua dichiarazione su CNN “d’essere orgoglioso d’aver portato la pistola in guerra”, imbellettandosi e Vance, molto attento, lo ha chiamato fuori immediatamente, obbligandolo a spiegare l’affermazione.
Insegnante ed allenatore di football in un liceo pubblico, è entrato in politica come governatore nel 2018, rieletto come governatore per due mandati.
In una recente intervista, Michael Whatley, presidente del Comitato Nazionale Repubblicano ha dichiarato: “Tim Walz è davvero l’anima gemella ideologica (della Harris, ndt).” Progressista e socialista le sue politiche governatoriali sono pro-immigrazione. Infatti, ha più volte ha espresso la volontà di voler investire in una “fabbrica di scale da 30 piedi” per aiutare i migranti a scavalcare il muro di confine dell’ex presidente Trump; inoltre è il primo ad aver dato tutto il suo sostegno elargendo assistenza sanitaria e patenti di guida ai migrati senza documenti e presenti nel suo Stato. Invece Michael Tyler, uno dei portavoce della campagna di Harris, ha detto che scegliendo Walz, Harris ha “cementato la posizione politica offrendo un contrasto fondamentale in questa corsa tra il ticket Harris-Walz che lotta per le famiglie lavoratrici, mentre l’agenda Trump-Vance, al contrario causerebbe danni ineguagliabili in tutto il paese.” Ma fra le iniziative da applaudire c’è sicuramente la detassazione sui prodotti femminili per l’igiene intima così come la distribuzione di tamponi in tutti i bagni delle scuole pubbliche, inclusi quelli maschili, così da accontentare la comunità LGBTQ+, ma che gli è valso il nomignolo di Tampon Tim.
Ad ogni modo Walz è un candidato che può piacere molto, soprattutto nel Midwest. La sua parlata semplice, l’approccio diretto e una biografia da piccolo paese, ne spiega il fascino.
Nei prossimi mesi, la coppia Harris-Walz, viaggerà per il paese proponendo di “rafforzare la classe media invece di tagliare le tasse per i ricchi, e combattere per le libertà fondamentali, inclusa la libertà di abortive fino all’ultimo giorno di gestazione, di dare ai bambini la possibilità di scegliere di cambiare sesso senza avere necessariamente il permesso dei genitori, di naturalizzare immigranti illegali, supportare qualsiasi metodo di fecondazione.” Quando il presidente Biden ha annunciato il suo ritiro, Walz è stato velocissimo nel sostenere Harris, emergendo così come una sorta di pioniere per i Democratici. Poi i suoi attacchi al senatore J.D. Vance non appena nominato da Trump, soprannominandolo uno “strano.” – “Eppure,” controbatte Vance, “alla fine di un importante comizio, io ho abbracciato e baciato mia moglie, mentre Walz le ha stretto la mano come se fosse un’elettrice qualsiasi”. “Non le pare “strano” questo comportamento?”
Così la parola “strano” divenuta la parola d’ordine dei Democratici per il ticket repubblicano, vuole raccontare che se la scelta cadesse su Trump-Vance sarebbe una minaccia per la democrazia, perché insoliti, e fuori dal contesto dell’America stessa.
Quindi per ora la sinistra gode di un raro allineamento. Tutti, infatti, dalla rappresentante di New York Alexandria Ocasio-Cortez al senatore indipendente della Virginia Occidentale Joe Manchin, hanno elogiato la scelta di Walz, come ulteriore prova che i Democratici si sono “spostati così tanto a sinistra nel loro insieme che candidati estremi come Kamala Harris e Tim Walz, oggi, sono considerati mainstream,” – dice Whatley.
E per il capo del partito Democratico la piattaforma politica rimane invariata adesso che Walz è parte del “ticket”. Dietro le quinte i Repubblicani sono quasi entusiasti per questa scelta, invece, ad esempio, del governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, che a parer loro, avrebbe reso la corsa alla Casa Bianca molto più ardua.
Infine, come ultima notizia, Tulsi Gabbard, deputata per le Hawaii, ex democratica, e veterana militare, e riservista, ha deciso di citare in giudizio l’amministrazione Biden-Harris, per aver scoperto, grazie ad informatori anonimi della Federal Air Marshal (Sezione di polizia federale dell’aviazione) che è stata segnalata e inserita nella lista di possibili individui pericolosi, secondo il programma Quiet Skies, facente parte del TSA (Transportation-Security-Administration) che ha il compito di identificare i viaggiatori che potrebbero rappresentare un rischio per la sicurezza dell’aviazione. Quelli in lista, possono volare, ma sono soggetti a controlli più stretti, messi sotto “scorta” non identificabile durante il transito, e, anonimamente, sono affiancati da uno Sceriffo armato quando in volo.
Nel caso di Gabbard, ogni volta che viaggia in aereo, viene automaticamente monitorata da: due squadre cinofile per la rilevazione di esplosivi, un addetto della sicurezza dei trasporti, anche lui specializzato in esplosivi, un supervisore della TSA in abiti civili e tre Sceriffi federali dell’aviazione. Che si sappia, non esistono motivi per cui Gabbard dovrebbe essere sulla lista di sorveglianza. A sua difesa, Gabbard ha pubblicato un video spiegando perché ha intrapreso le vie legali, sottolineando con queste parole il suo disgusto: “Il mio stesso governo, il mio presidente, il mio comandante in capo mi ha preso di mira come potenziale target terrorista. La parola che mi viene in mente è totale tradimento.” – “Dopo aver servito per oltre 21 anni e continuando a servire nelle forze armate del nostro paese, il mio stesso governo” ha aggiunto “usa gli Air Marshall come armi e pedine per perseguire i loro avversari politici.” “Ovviamente, non mi è stata fornita alcuna spiegazione, ed è per questo che stiamo ricorrendo alle vie legali,” ha sottolineato. “Ho parlato molto apertamente dei pericoli che l’amministrazione Biden-Harris rappresenta per la nostra democrazia, la nostra libertà e la nostra sicurezza nazionale. Queste le conseguenze” ha concluso.
Possiamo concludere usando le parole di Vance tratte dal suo libro già nel lontano 2016 che sembrano adatte a questo momento storico: “Questo paese è segregato per razza, geografia e reddito in un modo che non si vedeva da molto, moltissimo tempo.”
Possiamo solo augurarci che vinca la moderazione, per ora non c’è traccia.
L’Afghanistan di Biden – C. Bertolotti a Checkpoint RAINEWS24 – 26 gennaio 2021
Il ritiro parziale di Washington dall’Afghanistan è una mina che Trump ha lasciato al suo successore, sebbene il ritiro sia stato ordinato dall’allora presidente Barack Obama. Ora, Joe Biden potrebbe dover prendere una decisione impopolare: inviare ulteriori truppe allo scopo di impedire la conquista totale del Paese da parte talebana. E ancora: quale il ruolo della Cina?
Claudio Bertolotti, Direttore START InSight, ne ha parlato con Emma Farnè a Checkpoint – RAINEWS24
Link diretto a Checkpoint RAINews24
Negoziati intra-afghani, a che punto siamo?
Procedono a rilento con i tempi imposti dai talebani e accettati da Stati Uniti e governo afghano. I primi intenzionati a disimpegnarsi dalla guerra più lunga, i secondi molto preoccupati e forse anche rassegnati a un futuro estremamente incerto che sarà caratterizzato da un crescente potere dei talebani.
Il governo afghano ha concesso tutto ciò che i talebani hanno chiesto: tempi del negoziato, rilascio dei prigionieri, riduzione delle operazioni militari. E lo ha fatto su richiesta e pressione statunitense. Ma ha ottenuto ben poco, anzi, Oggi il dialogo negoziale ci sta portando verso una possibile soluzione che vedrà i talebani accedere alle forme di potere formale, imporre una rinuncia di sostanza di quelli che sono i diritti ad oggi previsti dalla costituzione afghana e, in particolare, lo stesso ordinamento democratico del paese sarà ridimensionato. E questo accadrà non perché gli Stati Uniti se ne andranno, perché lo faranno così come aveva pianificato Obama e poi Trump ha in parte realizzato, ma perché quella afghana è una guerra che non poteva più essere vinta e che le forze di sicurezza afghane non potranno mai affrontare con successo.
Di fatto il tavolo negoziale, formalizzato a febbraio dello scorso anno, avviato a settembre porterà progressivamente verso uno Stato che sarà sempre più simile all’Emirato islamico così come lo immaginano i talebani, e con un’economia saldamente ancorata al traffico di oppiacei di cui l’Afghanistan è il maggior produttore globale.
Negoziati USA-talebani, ritiro usa, e che cosa vuol dire per amministrazione biden “rivedere” accordo
In base ai negoziati di Doha di un anno fa, gli Stati Uniti hanno chiesto due cose ai talebani in cambio del ritiro delle forze militari dall’Afghanistan: ridurre dell’80% i loro attacchi. Non lo hanno fatto. Poi hanno chiesto di tagliare i legami con al-Qa’ida. E i talebani non solo non lo hanno fatto ma hanno consolidato le relazioni con i qaedisti operativi nell’area a sud dell’Afghanistan.
Ci saremmo potuti aspettare un mancato ritiro delle truppe di Washington, ma così non è stato, anche perché l’allora presidente Donald Trump voleva dichiarare chiusa la partita afghana. Ora, il ritiro parziale delle truppe statunitensi è una mina che l’amministrazione Trump ha lasciato al suo successore, e la scadenza fissata al 1° maggio per il ritiro delle restanti 2500 truppe è la più grande sfida per Biden.
Sebbene non sia chiaro se Biden ritirerà tutte le truppe statunitensi entro la data concordata la nuova amministrazione ha dichiarato di voler sostenere la “diplomazia” con i talebani, esortando il gruppo a ridurre la violenza, a partecipare “in buona fede” ai negoziati e a tagliare i legami con al-Qa’ida – cosa che però non avverrà, con buona pace di chi ancora crede alle garanzie dei talebani.
E allora, il presidente Biden potrebbe essere costretto a prendere una decisione impopolare: l’invio di ulteriori truppe in Afghanistan allo scopo di impedirne la conquista totale da parte talebana.
Ruolo cina in afghanistan: indiscrezione cnn e interessi economici
La Cina, dopo due decenni dall’abbattimento del regime talebano, senza essere coinvolta nella lunga guerra, è riuscita a proporsi come valida alternativa, implementando il proprio ruolo di «sponsor della stabilità» in Afghanistan, ruolo che crescerà sempre più a mano a mano che le truppe occidentali diminuiranno. Sebbene non direttamente sul campo di battaglia, la Cina è entrata, sul piano politico, economico e diplomatico, a pieno titolo tra gli attori del nuovo grande gioco afghano. E i grandi interessi economici legati all’estrazione di minerali rari dal sottosuolo afghano rappresentano una garanzia in questo senso.
La notizia riportata dalla CNN in merito alla possibile presenza della Cina dietro ad alcuni gruppi di opposizione armata va valutata con cautela e, se confermata, potrebbe essere letta come una probabile reazione cinese alla politica dell’amministrazione Trump certamente non benevola nei confronti della Cina, in particolare per quanto riguarda il l’espansione economica e commerciale di Pechino attraverso le numerose vie della seta che si stanno estendendo a livello globale.
Il movimento terrorista QAnon: la sua evoluzione dal Pizzagate all’attacco al Campidoglio
di Andrea Molle
Il 6 Gennaio 2021 verrà ricordato dalla storia come il giorno in cui il Congresso americano è stato assediato da un gruppo di sostenitori del Presidente incapaci di ammetterne la sconfitta elettorale. Nel giorno che avrebbe dovuto semplicemente ufficializzare la vittoria elettorale di Joe Biden, il Campidoglio è stato invaso da decine di manifestanti la cui intenzione era quella di trovare e distruggere i voti espressi dai grandi elettori, nel vano tentativo di impedire la sconfitta di Donald Trump. Dal canto suo il Presidente uscente, venendo meno ai suoi doveri costituzionali, senza condannare fermamente le violenze che, come si sarebbe poi saputo al termine degli eventi, hanno anche provocato 4 vittime tra i manifestanti, si è limitato a chiedere agli stessi di tornare alle proprie abitazioni, ribadendo ancora una volta che la sua sconfitta è solo frutto di brogli elettorali. In quella che gli analisti già indicano come la più pericolosa crisi costituzionale dai tempi della Guerra Civile, tra i manifestanti spiccano i seguaci del movimento QAnon capeggiati da Jake Angeli, una figura ormai nota alle autorità e agli studiosi delle Teorie complottiste.
Cos’è QAnon e perché rappresenta un pericolo per la democrazia?
Il brand QAnon raccoglie al suo interno i seguaci delle rivelazioni cospiratorie di un anonimo (in gergo “Anon”) utente internet, in realtà uno pseudonimo collettivo, denominato Q. QAnon è un fenomeno di origine americana diffuso oggi, anche grazie alla pandemia di COVID-19, in più di 70 paesi del mondo e che presenta un elevato rischio di radicalizzazione. L’origine di QAnon è recente, sebbene il cospirazionismo sia tipico della società americana già a partire dalla Guerra Fredda. La necessità di monitorare attentamente questo movimento deriva prima di tutto dal fatto che sia per i suoi contenuti che per le sue recenti attività, inclusi i fatti di Washington DC, QAnon pone un serio problema di radicalizzazione e ordine pubblico.
Quando e come nasce QAnon?
L’origine di QAnon è relativamente recente, sebbene il tessuto cospirazionista su cui si sviluppa è una costante della politica americana almeno a partire dalla Guerra Fredda. Ufficialmente, QAnon nasce tra il 2016 e il 2017 a seguito delle elezioni presidenziali americane che videro il candidato repubblicano Donald J. Trump, già identificato come una figura messianica dai diversi gruppi cospirazionisti, prevalere sulla candidata democratica Hillary Clinton. Con l’elezione di Trump, i gruppi che ne avevano supportato la campagna elettorale si sono strutturati come una vera e propria base elettorale del Presidente, indipendente e spesso in contrapposizione con la tradizionale base del Partito Repubblicano, e cui Trump ha fatto costante riferimento per le sue battaglie politiche. Spesso censurati dai media mainstream, questi movimenti hanno finito per raccogliersi sotto l’etichetta di QAnon, creando la massa critica necessaria a strutturare un vero e proprio network dotato di sistema parallelo di social media, come ad esempio le note piattaforme 4chan, 8chan, gab.com, Parlor e Telegram, tramite il quale diffondere le proprie teorie e reclutare nuovi membri. Il brand di QAnon è divenuto così una sorta di franchise che raccoglie oggi tutti quegli individui, e gruppi, che fanno riferimento alle rivelazioni di Q, ma non consiste in una vera e propria organizzazione gerarchica.
Chi è Q e in cosa credono i seguaci di QAnon?
Inizialmente, Q si presentò come un esponente governativo intenzionato a rivelare la verità sul deep state, i “poteri forti”, tramite indizi la cui interpretazione veniva lasciata ai lettori. Questa presunta cabala, formata da politici, imprenditori e attori dediti a rapimenti, sacrifici umani e culti satanici avrebbe l’obiettivo di raggiungere l’immortalità e asservire le masse dopo il grande reset causato dalla pandemia. Dato che il deep state era combattuto solo da Trump, aiutato dai leader sovranisti alleati, la sua mancata rielezione viene oggi letta dai seguaci di Q sia come una sconfitta del loro leader che come la prova dell’esistenza stessa della cospirazione. Per questo motivo i seguaci di QAnon sono oggi attivi sostenitori della teoria dei brogli elettorali e, come si è visto, non esitano a intraprendere ritorsioni violente.
Come vengono costruiti i contenuti di QAnon?
In aggiunta al suddetto core belief di QAnon, ciascun utente o “gruppo di ricerca della verità” può aggiungere o modificare contenuti e adattare il messaggio alle proprie esigenze, come si evince dallo schema successivo.
Sulla base delle evidenze empiriche raccolte negli ultimi due anni, la comunità scientifica che studia le teorie del complotto e della cultura partecipativa vede QAnon in continuità con il fenomeno New Age. Per questo motivo QAnon è considerato dagli studiosi come una novità nel mondo cospirazionista e un vero e proprio fai-da-te, un open-world, cospiratorio. Gli stessi analisti considerano come molto elevato il rischio di una radicalizzazione di massa, soprattutto tra le fasce giovani e meno istruite della popolazione. Ciò è dovuto al carattere interattivo, molto appagante, dei sui contenuti cospiratori e ai continui riferimenti alla letteratura di genere fanta-politico che rendono l’esperienza di fruizione di contenuti estremamente avvincente.
Come si diffonde e come opera QAnon?
Sebbene esso sia nato come un fenomeno assolutamente marginale, proprio grazie alla sua flessibilità, esso ha poi preso velocemente piede sui social media. Ad esempio su YouTube, dove creatori di contenuti conservatori come TRU Reporting o SGT Report channel hanno iniziato a produrre decine di video ispirati dagli indizi di Q, ottenendo immediatamente centinaia di migliaia di visualizzazioni. Pochi mesi dopo l’arrivo sulla scena di Q il movimento contava già su una vasta rete di canali YouTube, podcast e libri dedicati al deep state, oltre agli immancabili gadgets a tema come bandiere o magliette che hanno finito per diventare di moda anche tra i non affiliati. Slogan e simboli di QAnon, ad esempio l’hashtag #WWG1WGA (“Where We Go One We Go All”), hanno iniziato a popolare l’ecosistema dei social media e dei movimenti conservatori e hanno fatto capolino nella vita quotidiana e nelle manifestazioni sia di supporto al presidente Trump che più in generale di opposizione al mondo liberal. Allo stesso tempo il fenomeno QAnon ha iniziato a manifestare il suo lato più estremo e radicale, approfittando dell’avvenuta auto-radicalizzazione di certi sui seguaci. Già a partire dal 2017, con il celebre Pizza Gate che vide un uomo armato fare irruzione nel Comet Ping Pong Pizzeria a Washington, DC sostenendo di essere in missione per liberare i bambini tenuti in ostaggio nel seminterrato, diversi affiliati a QAnon sono stati implicati in fatti di cronaca nera. Si stima che a maggio 2020 ben undici omicidi, due assalti a mano armata, due casi di rapimento e due attentati incendiari ai danni di un centro per la pianificazione familiare, che offre interruzioni di gravidanza, e di una moschea siano attribuibili ad esponenti di QAnon. Il crescente numero di questi casi è risultato nella designazione di QAnon come un’organizzazione estremista e oggi anche potenziale minaccia terroristica interna da parte dell’FBI, la prima teoria della cospirazione ad essere classificata come tale. La mancanza di un’organizzazione definita e strutturata, con mandanti identificabili, ha reso tuttavia molto difficile per le autorità americane perseguire gli affiliati QAnon. In molti casi si tratta infatti di individui che aderiscono semplicemente al suo messaggio e ne sfruttano l’ideologia, ma operano in modo autonomo, come ad esempio nel recente attentato di Nashville. In questo caso l’attentatore pare essere stato motivato dall’opposione alla tecnologia 5G e al vaccino contro il virus SARS-COV-2, entrambi da lui considerati come strumenti governativi di controllo delle masse. In altri, il movimento si presenta in modo più strutturato, come nel caso dell’assalto al Campidoglio.
Quanto è realmente diffuso QAnon nel mondo?
Venendo alla sua diffusione, QAnon è presente in più di 70 paesi con interventi che vanno dall’attività di individui direttamente affiliati a reposter occasionali. La diffusione di QAnon è stata poi certamente aiutata dalla recente pandemia di COVID-19 e dalla costante diminuzione della fiducia nelle istituzioni. Se goggletrend rileva un interesse altalenante per il movimento, il numero di Tweet correlati al QAnon è infatti passato dai quasi 5 milioni nel 2017 a oltre 12 milioni nel 2020. Quanto al numero di effettivi seguaci, in America QAnon ha oggi superato il milione e mezzo mentre in Europa si stima intorno ai 500.000 affiliati.
Se Donald Trump rimane una figura chiave della narrazione cospirazionista e il movimento è per la maggior parte incentrato su temi politici americani, stiamo recentemente assistendo a un boom di QAnon anche in Europa, dove il movimento conta seguaci presenti su diversi social media. NewsGuard, un’organizzazione internazionale che valuta l’affidabilità dei siti di informazione, ha recentemente pubblicato un rapporto estremamente dettagliato sul fenomeno QAnon in Europa. In Francia, paese dove il movimento è presente da diverso tempo, sebbene ancora in modo limitato, QAnon è penetrato grazie al movimento dei “Gilet Gialli” ed è oggi in costante crescita grazie al movimento No-Vax. Nel Regno Unito, QAnon ha raccolto i primi consensi durante la campagna per la Brexit. Senza menzionare apertamente il movimento, gruppi come Citizens Unite UK #wakeup utilizzano le idee di QAnon in modo indiretto, con continui riferimenti all’élite globale e alla necessità per i cittadini britannici di impegnarsi a combattere gli attacchi ai loro diritti perpetrati dal Governo. In Germania, la seconda nazione per diffusione dopo gli Stati Uniti, QAnon ha fatto breccia tramite i movimenti di estrema destra e il sentimento anti-Merkel che sono cresciuti esponenzialmente durante il lockdown. Anche certi movimenti di sinistra, in particolare quelli legati alla galassia ecologista, sono sempre più attratti dalla sua retorica. Qui il numero di followers di account associati a QAnon è salito a più di 200.000, secondo la stima più recente della Fondazione Amadeu-Antonio che si occupa di monitorare l’estremismo di destra e l’antisemitismo in Germania. Il più grande canale QAnon in lingua tedesca su Telegram, Qlobal Change, ha quadruplicato i suoi followers nel 2020 raggiungendo l’impressionante numero di 123.000 e oltre 18 milioni di visualizzazioni per i suoi contenuti di YouTube. Nei Paesi Bassi, gli account dei social media che sono apertamente allienati con movimenti politici di estrema destra hanno similmente preso in prestito temi tipici del movimento americano. Ciò è avvenuto principalmente quando il paese è ricorso al lockdown a causa della pandemia di COVID-19. In Italia la reale dimensione di QAnon è ancora largamente sconosciuta ma, come nel caso Olandese, la propaganda di Q è penetrata indirettamente nell’arena politica soprattutto grazie alla propaganda della destra populista e sovranista che vi accede tramite i diversi movimenti identitari che lo sostengono apertamente.
Chi si avvicina a QAnon e come contrastarlo?
Come si è visto QAnon desta serie preoccupazioni tra gli analisti per la velocità, facilità e la pervasività con le quali si diffonde. Inoltre, esso ha già mostrato in America il potenziale per azioni violente di stampo terroristico. Si consiglia pertanto di iniziare a monitorare la presenza sui social media di QAnon in Italia e stabilire una rete di collaborazioni con istituzioni pubbliche e private che già si occupano di questo fenomeno in Europa come negli Stati Uniti. Si tratta evidentemente di un fenomeno complesso da monitorare e che è reso ancora più sfuggente dal fatto che sembra emergere come diversi movimenti sovranisti mainstream, quelli che da sempre orientano il voto della galassia identitaria e militante verso l’estrema destra, riprendono e amplificano i messaggi di QAnon e li usano per generare consenso nell’ambito del dibattito politico pubblico senza fare riferimento diretto al movimento americano. È dunque necessario analizzare la retorica e i temi cospirazionisti per raggiungere un livello di comprensione tale da rendere possibile il loro rilevamento in contesti non direttamente collegati a QAnon.
A questo si aggiunge la necessità di comprendere i path di reclutamento e i meccanismi di radicalizzazione. Mentre sembra essere sempre più probabile che i meccanismi di radicalizzazione siano molto simili a quelli dei movimenti estremisti di matrice religiosa con una forte presenza online, cioè autoradicalizzazione diffusa e presenza di radicalism entrepreneurs, il target cui essi si rivolgono non è ancora del tutto chiaro. Non si intravvede ancora un profilo di reclutamento ben definito e ogni fascia della popolazione sembra essere suscettibile al fascino di QAnon. Unica eccezione è l’affiliazione politica, che può in parte spiegare la fascinazione per le teorie di Q. Un recente sondaggio commissionato per Morning Consult, condotto tra il 6 e l’8 di ottobre su un campione di 1.000 adulti, rivela infatti che circa il 24% degli americani adulti ritiene che le affermazioni fatte dai sostenitori di Q siano molto o in parte accurate. Nello stesso sondaggio si osservano tuttavia numerose differenze tra democratici e repubblicani in merito alle opinioni sulle principali teorie di QAnon. Mentre solo il 18% dei votanti democratici ritiene che alcune di queste affermazioni siano in qualche modo accurate, circa il 38% dei sostenitori repubblicani le considera valide. Un altro sondaggio, commissionato per Daily Kos/Civiqs, che riporta i risultati delle interviste effettuate su circa 1.368 adulti condotte dal 29 agosto al 1 settembre 2020, conferma il dato precedente. Dai risultati si evince che circa un repubblicano su tre (33%) afferma di credere che la teoria di QAnon sull’esistenza di una cospirazione tra le élite del deep state sia “per lo più vera” mentre un altro 23% afferma che solo “alcune parti” di essa sono vere. Al contrario, solo il 4% dei democratici pensa che la teoria sia anche parzialmente vera mentre per il 72% del compione democratico non lo è affatto. La spiegazione di questa differenza è probabilmente dovuta al fatto che i politici repubblicani hanno solo sporadicamente rinnegato le affermazioni fatte dai sostenitori di QAnon, potenzialmente a causa del fatto che fanno affidamento su questo gruppo per il sostegno politico. Nel caso americano, ad esempio, oltre al supporto per Trump, uno degli esempi più eclatanti è la recente elezione al Congresso della georgiana Marjorie Taylor Green, che ha direttamente promosso e approvato i contenuti di QAnon nelle interviste e nei suoi canali social media. In Europa è già stato più volte evidenziato come i partiti di destra sovranista abbiano fatto propri contenuti tipici del movimento QAnon a partire dall’elezione di Donald Trump e dall’istituzione a Roma, ma con filiali nelle principali capitali europee, di una scuola politica e centro studi guidati da Steve Bannon, ex consigliere del presidente Donald Trump considerato dagli studiosi come il principale responsabile della normalizzazione del cospirazionismo. È tuttavia ancora difficile stabilire la direzione dell’effetto di correlazione e cioè se chi manifesta tendenze politiche di destra sia più facilmente influenzabile da QAnon, oppure se i seguaci del movimento, indipendentemente dalle loro posizioni politiche iniziali, diventino con il tempo più inclini a spostare il loro voto verso partiti di destra.
In futuro è probabile che il movimento richiederà lo stesso approccio oggi utilizzato nel caso dei movimenti estremisti di natura religiosa. Purtroppo però la mancanza di una struttura organizzativa definita, unitamente alla potenzialità di radicalizzazione di massa dovuta alla pervasività dei suoi network e alla mancanza di un profilo definito per i potenziali aderenti, al momento rende ancora estremamente difficile indicare linee guida e offrire raccomandazioni di policy puntuali.
Trump: via le truppe dall’Afghanistan. Cosa succede ora?
Dopo l’annuncio del ritiro delle truppe americane dalla Siria fatto dal presidente Donald J. Trump attraverso twitter, è la volta dell’Afghanistan.
Facciamo il punto con Claudio Bertolotti
L’amministrazione Trump ha ordinato al Pentagono di avviare il ritiro di circa 7.000 soldati dall’Afghanistan: un cambio significativo nella strategia per l’Afghanistan che, tra rinvii e variazioni nei numeri di soldati schierati dagli Stati Uniti e dalla Nato, sembra ora dirigersi verso un punto di non ritorno per una guerra che ormai sta entrando nel suo diciottesimo anno, la più lunga combattuta dagli Stati Uniti, da sempre.
Stupore e preoccupazione da parte afghana, il cui governo e le cui forze armate a fatica sopravvivono all’espansione inarrestabile dei talebani – ormai padroni di quasi metà del Paese – e della crescente violenza del franchise afghano dello Stato islamico.
Stupore e preoccupazione anche da parte degli alleati della Nato, non coinvolta, né informata preventivamente da Washington.
Il presidente Trump ha così deciso di dimezzare il contingente statunitense, da 14.000 unità a 7.000.
Da un lato la scelta statunitense prende atto dell’impossibilità di vincere una guerra, da tempo palesemente persa; sebbene, a fronte di innumerevoli tentativi di coinvolgere i talebani in un processo negoziale non abbiano dato risultati soddisfacenti. E in fondo ai talebani non conviene scendere a patti sapendo di essere dalla parte che vincerà la guerra e annienterà il governo afghano che progressivamente si troverà sempre più solo e senza il fondamentale sostegno esterno. Ma una cosa importante è stata messa sul tavolo negoziale con questo annuncio, ossia dare ai talebani ciò che questi chiedono: il ritiro delle truppe straniere come premessa a qualunque accordo tra le parti.
Dall’altro lato impone numeri e ritmi non sostenibili: né da parte delle forze afghane, né da parte degli alleati della Nato, che da soli saranno in grado di garantire un livello di sicurezza minimale solamente per se stessi e per un periodo di tempo assai limitato.
L’annuncio del ritiro, caratterizzato da un certo grado di irrazionalità, come ormai ci ha abituati Trump, è arrivato poche ore dopo la comunicazione delle dimissioni del segretario alla Difesa Jim Mattis, che rimarrà in carica fino alla fine di febbraio, a causa dei disaccordi con il presidente in merito al suo approccio alla politica in Medio Oriente.
“La riduzione delle forze americane in Afghanistan” – ha dichiarato il portavoce del Pentagono – “è volta a rendere le forze afghane indipendenti e non vincolate al sostegno occidentale”. Ma la realtà è esattamente l’opposto: le truppe afghane, per le quali il supporto aereo e di terra statunitense è fondamentale per poter operare, collasseranno lasciando tutte le strade aperte all’insurrezione armata e al nuovo terrorismo che, dalla Siria e dall’Iraq, ha fatto affluire migliaia di reduci dello Stato islamico e pericolosi jihadisti che oggi combattono anche tra i talebani.
Quali truppe ritirerà: truppe convenzionali o forze speciali? Questo fa la differenza poiché da un lato c’è lo sforzo di Freedom’s Sentinel, operazione di contro-terrorismo focalizzata sull’annientamento di al-Qa’ida e dello Stato islamico; dall’altro lato c’è il contributo delle truppe che operano sotto la bandiera della NATO in attività di assistenza, addestramento e consulenza per le forze di sicurezza afghane.
Cosa faranno gli alleati della Nato? Gli alleati sono ora svincolati dall’impegno statunitense. Un ‘liberi tutti’ che rischia di abbandonare il paese al caos che a fatica si sta tentando di contenere (ma non fermare, data l’elevata capacità di conquistare terreno da parte della galassia talebana). Un altro fattore da porre in evidenza è il ruolo delle truppe che rimarranno: con buona probabilità garantiranno il controllo delle basi strategiche di cui gli Stati Uniti hanno il diritto di utilizzo fino a tutto il 2024 e facilmente rinnovabile).
Cosa potranno fare le forze afghane? Non molto purtroppo. Il cronico stato di incapacità operativa, le forti perdite in termini di morti, feriti, diserzioni e mancati rinnovi della ferma hanno portato nell’ultimo anno a sostituire soldati con un minimo di preparazione ad essere sostituiti con nuove reclute senza esperienza operativa. Molte delle aree periferiche del paese sono state abbandonate al loro destino, e la stessa capitale Kabul è in una sorta di assedio permanente sempre più colpita da attacchi terroristici, azioni suicide e gruppi insurrezionali.
Quale Afghanistan nel post-ritiro? Lo dico da anni: un Afghanistan molto diverso da quello che ci saremmo aspettati nel 2001. Sino ad ora è mancato il coraggio di fare una scelta e ammettere la sconfitta; Trump non arriverà a tanto per ragioni di consenso interno, ma il messaggio che sta lanciando è molto chiaro: l’impegno in Afghanistan va rimodulato perchè costa troppo in termini di risorse economiche, materiali ed umane.