L’Iran attacca Israele: il giorno dopo. C. Bertolotti a SKY TG 24

di Claudio Bertolotti (dall’intervento a SKY TG 24 del 14 aprile 2024, ore 18.15).

Teheran ha portato a termine la rappresaglia annunciata per l’attacco subito il primo aprile, quando il suo consolato a Damasco venne colpito, evento che causò la morte di almeno 16 persone, inclusi due comandanti dei Guardiani della Rivoluzione. Durante la notte, più di 300 droni e missili da crociera, lanciati dalla Repubblica Islamica e dai suoi alleati regionali – gli Ansar Allah degli Houthi dello Yemen, le milizie sciite irachene e il libanese Hezbollah – hanno preso di mira installazioni militari israeliane, con la maggior parte di questi intercettati dai sistemi di difesa Iron Dome.

L’attacco di Teheran a Israele è un evento che finalmente mette in luce quelle dinamiche conflittuali del Medioriente che sino ad oggi hanno visto Teheran colpire Israele in maniera indiretta, senza mai esporsi. Oggi tutto è cambiato, e questo è l’evento storico che segna un cambio di passo, al di la degli effettivi risultati ottenuti sul campo.

E forse è un risultato ottenuto da Israele quello di essere riuscito a tirare fuori dall’ombra chi, nel corso degli ultimi vent’anni e più, ha gestito gli attacchi e le offese a Israele nascondendosi dietro ai suoi proxy regionali, dalla Siria, al libanese Hezbollah agli Ansar Allah degli Houti in Yemen, alle milizie sciite irachene e lo stesso Hamas più recentemente.

Un evento storico che potrebbe essere determinante per risolvere conflittualità irrisolte per decenni ma che gli Stati Uniti non consentiranno di risolvere e questo non per un timore di allargamento regionale del conflitto ma perché l’evento in sé si colloca in piena campagna elettorale e il presidente in carica teme di perdere i voti della componente araba e musulmana, che è significativa.

Sul piano tattico, quello meno rilevante, possiamo leggerlo come un tentativo di saturare il sistema di difesa aerea israeliana inviando un elevato numero di velivoli droni per poi colpire gli obiettivi con i missili balistici. Un risultato fallimentare.

Sul piano strategico, quello più rilevante, e che ci consente di fare una previsione su quelli che potranno essere gli scenari futuri del conflitto in corso, sebbene molti analisti sostengano che sia stato un atto dimostrativo, quasi simbolico, con la speranza da parte dell’Iran di considerare concluso il confronto diretto tra Gerusalemme e Teheran, personalmente ritengo si sia trattato invece di un’opzione senza scelta in relazione al ruolo dell’Iran nel cosiddetto “Asse della Resistenza”: chiedere per anni ai suoi proxy di combattere coerentemente con l’ambizione di potenza di Teheran non sarebbe più stato sostenibile dopo l’attacco israeliano all’ambasciata iraniana in Siria. Coerenza, opportunità, condivisione dello sforzo: se Teheran non avesse agito, l’intero Asse della Resistenza si sarebbe indebolito, progressivamente frantumato, lasciando Teheran da sola ad affrontare Israele.

Teheran è anche particolarmente fragile sul piano politico interno, con un malcontento generazionale sempre più acuto ed evidente.. la ricerca del nemico esterno che rappresenta una minaccia esistenziale è un escamotage politico vecchio quanto la guerra. Su questo non dobbiamo dirci sorpresi.

Temo però che la partita sia ancora aperta, anche se possiamo aspettarci una pausa diplomatica fortemente voluta dall’amministrazione Biden, e questo per ragioni di campagna elettorale più che di opportunità strategica di Washington.