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Gli effetti delle sanzioni occidentali sul settore tecnologico della Russia

di Marco Cochi, Analista, Osservatorio ReaCT, ARDF-Fondazione Nigrizia)

Tra le molteplici sanzioni inflitte alla Russia dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina, che si sta trasformando nel più grande conflitto europeo dalla seconda guerra mondiale, possono rivelarsi assai dannose quelle relative al campo della tecnologia. Un’analisi del Center for European Policy Analysis (CEPA) di Washington, realizzata dai giornalisti investigativi russi Andrei Soldatov e Irina Borogan e ripresa dal magazine informatico ucraino Dou.ua, esamina i possibili e pesanti effetti che le nuove sanzioni messe a punto da Stati Uniti, Unione europea, Giappone e altri paesi produrranno sul settore tecnologico della Federazione.

La potenza multi-regionale, in apparenza, dovrebbe essere preparata a fronteggiare questo tipo di sanzioni, visto che il Cremlino per ridurre la dipendenza tecnologica dagli stranieri, da anni spinge per lo sviluppo del proprio “made in Russia”. Per questo, dal 2015, ha introdotto vari tipi di incentivi e restrizioni per le società statali e le agenzie governative al fine di favorire l’importozameshchenie (la sostituzione delle importazioni con prodotti locali) di software e hardware promuovendo i servizi offerti da azienda russe, come Яndex (Yandex), che nel 1997 lanciò il primo motore di ricerca in cirillico, oppure il Gruppo Mail.ru di Dmitry Grishin.

Nel settembre 2016, Mosca aveva già iniziato ad abbandonare la tecnologia Microsoft sostituendo su 6mila computer dell’amministrazione cittadina, i software gestionali della posta elettronica dell’azienda di Bill Gates (Exchange Server e Outlook) con quelli della compagnia di comunicazione locale Rostelecom PJSC. Per poi affidare la gestione dello sviluppo dei sistemi operativi e dei software alla compagnia New Cloud Technologies, che ha progettato il sistema operativo russo Moi Ofis Pochta in sostituzione di Microsoft Office.

Mentre con l’aumento della tensione, nelle settimane precedenti all’aggressione militare dell’esercito russo contro l’Ucraina, le agenzie governative e le società statali si stavano già organizzando per testare soluzioni hardware basate su microprocessori Elbrus 16-S e Baikal-M, prodotti in Asia centrale e sviluppati in Russia.

Allo stesso tempo, Sberbank, la più grande banca statale russa, ha testato gli effetti dell’estensione delle sanzioni occidentali sulla sua infrastruttura tecnica privata del supporto software e hardware di Microsoft, Oracle, Intel e SAP.

I risultati devono essere stati così contrastanti che la Sber ha deciso di acquistare un’enorme quantità di apparecchiature occidentali, server, database di archiviazione, software, prima che venissero imposte le sanzioni. La banca russa aveva già stanziato 31,8 milioni di dollari per acquistare i prodotti di Vmware, la società di Palo Alto sussidiaria della Dell Technologies, che da oltre cinque anni è diventata il provider ufficiale di software e cloud industriale dell’istituto finanziario russo.

Un segnale importante sulla non completa affidabilità del software e dell’hardware di produzione russa, perché Sberbank non è solo la più grande banca russa che garantisce gli stipendi dei dipendenti pubblici, ma è guidata da Herman Gref, molto vicino al Cremlino e considerato uno dei più stretti alleati di Vladimir Putin.

Gref, che nel 2018 è stato indicato da Forbes come la persona più influente in Russia dopo Putin, ha sempre creduto che la digitalizzazione possa supplire le lacune gestionali della macchinosa burocrazia russa e usa tutta la sua influenza per realizzarla nel paese.

Sberbank però non è l’unica istituzione russa a manifestare il proprio scetticismo sulla tecnologia locale. Molte grandi aziende hanno espresso apertamente la preoccupazione che i computer russi non siano sufficientemente affidabili per l’impiego in grandi realtà industriali.

In piena Guerra Fredda, il fondatore di Oracle, Lawrence “Larry” Ellison, affermò che «l’unico modo in cui Oracle poteva essere importato in Russia era attraverso una testata nucleare». Poi, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, la situazione è radicalmente cambiata e Oracle è diventato gradualmente onnipresente nelle imprese statali e nelle agenzie governative russe. Oggi, i prodotti Oracle sono diffusi in quasi tutto il paese, anche nei computer della FSB.

Una diffusione e un’affidabilità che rende difficile sostituire i sistemi del gigante informatico di Redwood, tanto che per trovare una soluzione il Ministero dello Sviluppo digitale russo ha escogitato un espediente. In sostituzione di Oracle, il dicastero di Mosca ha promosso l’adozione del sistema di gestione di database open source a oggetti PostgreSQL. Tuttavia, anche PostgreSQL è sviluppato negli Stati Uniti, presso l’Università della California, ma le autorità russe ritengono che essendo un software gratuito sarà protetto dalle sanzioni.

Uno dei punti nevralgici dell’indipendenza tecnologica russa consiste nel fatto che il software e l’hardware di fabbricazione locale possono essere ben utilizzati nelle piccole e medie imprese, ma sorgono problemi quando si tratta di grandi aziende che devono gestire enormi quantità di traffico e dati.

La Russia ha alcune aziende degne di nota nel digitale come Abbyy e Kaspersky nel software, ma la maggior parte delle società e delle agenzie governative preferiscono ancora prodotti e servizi occidentali. Allo stesso modo, la Russia è in ritardo anche sui i chip, nonostante abbia due aziende competitive come Baikal e Mikron, che non sono però in grado di coprire il fabbisogno della Federazione. E questo sarà un enorme problema considerato che Intel, AMD, GlobalFoundries e la taiwanese TSMC hanno interrotto le spedizioni di semiconduttori verso la Russia. Una spallata impressionante per la tecnologia della Federazione, che inciderà in modo molto negativo e trasversale su moltissimi comparti.

Lo scorso 24 febbraio, nell’annunciare le sanzioni in risposta all’invasione della Russia in Ucraina, il presidente degli Stati Uniti Joseph Biden è stato assai eloquente in proposito. Biden ha spiegato che «le restrizioni alle importazioni russe di tecnologie chiave, come i semiconduttori, ne limiteranno l’accesso alla finanza e alla tecnologia per le aree strategiche della sua economia e intaccheranno la sua capacità industriale per gli anni a venire». Biden ha aggiunto che «le sanzioni rappresentano un duro colpo per le ambizioni strategiche a lungo termine di Vladimir Putin, poiché mineranno la capacità della Russia di modernizzare l’esercito, l’industria aerospaziale e di sviluppare le tecnologie alla base dell’intelligenza artificiale».

Una fase critica che potrebbe spingere ulteriormente Mosca verso la Cina, che dopo le restrizioni imposte nel 2020 dal governo americano alle esportazioni di chip verso le sue aziende, tra cui Huawei, accusata di spionaggio dagli Stati Uniti, ha varato un piano ambizioso, per quanto complicato, per lo sviluppo un’industria di semiconduttori in grado di produrre componenti all’avanguardia in autonomia. Un piano che in futuro sarà in grado di fornire microchip e microelettronica anche alla Russia, che adesso non è in grado di colmare il suo gap tecnologico con la produzione interna.




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