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Proxy War: il ruolo di Teheran nello scacchiere mediorientale

di Andrea Molle

La teoria della guerra per procura, o Proxy War Theory, si basa sull’idea che gli attori statali egemoni, noti come “mandanti” o “principali”, possano perseguire i propri interessi attraverso attori non statali, chiamati “agenti”, che agiscono come intermediari per conto dei mandanti. Questo modello è spesso associato alle guerre, dove gli attori principali cercano di raggiungere i propri obiettivi senza coinvolgimento diretto in azioni ostili. Tuttavia, questa dinamica può estendersi anche a periodi di pace relativa, evidenziando la complessità delle relazioni internazionali. La teoria mette in luce il ruolo degli attori intermediari nel facilitare o esacerbare le tensioni internazionali. Gli Stati possono influenzare gli eventi globali attraverso questi proxies, che possono essere gruppi ribelli, milizie o altre entità non statali. L’approccio analitico implicito a questa teoria offre una prospettiva approfondita sulla natura delle alleanze, dei conflitti e delle strategie di potere a livello globale. In sostanza, la Proxy War Theory fornisce un quadro concettuale per comprendere come gli attori statali possano agire indirettamente attraverso terze parti per perseguire i propri interessi, sia durante i periodi di conflitto aperto che in tempi di relativa pace. La sua applicazione consente di esaminare in modo critico le dinamiche complesse delle relazioni internazionali, evidenziando le connessioni e le influenze nascoste che possono sfuggire a una visione superficiale degli eventi globali.

Sotto il profilo formale, un elemento cruciale della Proxy War Theory è la complessità delle relazioni tra gli agenti e i principali. A un livello di base, gli Stati detti principali possono fornire sostegno finanziario, militare o politico agli agenti non statali, consentendo loro di operare più efficacemente sul territorio. Tuttavia, questa dinamica è spesso caratterizzata da un’asimmetria di potere e di informazioni, creando un contesto in cui il principale cerca di massimizzare il proprio controllo, guidando le azioni dell’agente in linea con i propri interessi. In generale, la decisione di impiegare proxy può derivare da diverse decisioni o condizioni strategiche. Ciò può includere il desiderio di mantenere una certa distanza da azioni dirette, come quelle di natura militare, o risolvere impasse diplomatiche. L’utilizzo di agenti non statali può anche offrire l’opportunità di sfruttare risorse locali e competenze specifiche dei gruppi coinvolti, consentendo al principale di perseguire obiettivi attraverso terzi attori senza esporsi direttamente. Inoltre, situazioni in cui il principale non dispone delle risorse necessarie per perseguire autonomamente i propri obiettivi possono motivare l’adozione di questa strategia indiretta.

Attualmente, chiunque osservi il coinvolgimento dell’Iran nel Medio Oriente non può ignorare le complesse dinamiche in atto. Nel corso degli anni, Teheran ha sostenuto diversi gruppi regionali, influenzando gli sviluppi nel teatro mediorientale senza farsi coinvolgere direttamente in operazioni militari. Con astuzia, l’Iran ha tessuto una rete intricata di proxies in vari paesi, utilizzandoli come strumenti per perseguire i propri interessi strategici a medio e lungo termine. Questi intermediari, costituiscono attualmente un elemento cruciale nella politica estera iraniana, permettendo a Teheran di estendere la sua influenza e avere un impatto significativo sulle dinamiche regionali senza esporsi direttamente o impegnare risorse che attualmente potrebbero non essere disponibili.

Tra i gruppi attualmente controllati a diversi livelli dalla Repubblica Islamica, è importante menzionare innanzitutto Hezbollah. Fondato nel 1982 durante l’occupazione israeliana del Libano, il movimento sciita Hezbollah è attualmente il principale agente dell’Iran. Questa organizzazione è nota sia per le sue capacità militari che per la sua ostilità verso Israele ed ha guadagnato notevole sostegno, sia politico che sociale, in Libano. Hezbollah è stato coinvolto direttamente in conflitti regionali, incluso il sostegno al regime di Bashar al-Assad nella guerra in Siria. Le milizie Houthi, conosciute anche come Ansar Allah, sono anch’esse sostenute dall’Iran nella lotta contro il governo yemenita appoggiato dall’Arabia Saudita. Il sostegno iraniano include forniture di armi e addestramento, alimentando oggi il conflitto nello Yemen e le tensioni nel Mar Rosso. In Iraq, diverse milizie paramilitari sostenute dall’Iran operano con una certa autonomia, emergendo durante l’occupazione statunitense e consolidando la loro presenza nel tempo, partecipando anche alle operazioni in Siria e in altri contesti regionali. In Siria, l’Iran ha offerto sostegno a diverse milizie e gruppi armati locali che combattono al fianco del regime di Bashar al-Assad nella guerra civile. Infine, Hamas. La relazione tra l’Iran e Hamas è complessa. Nonostante il sostegno finanziario e logistico evidente, la natura di questa connessione non è così chiara come nei casi di altri gruppi. Mentre ci sono prove di un livello di supporto iraniano, la relazione non è così diretta come nel caso di Hezbollah o dei gruppi in Iraq e Yemen. Alcuni analisti notano variazioni nel sostegno iraniano a Hamas nel tempo, con fasi di collaborazione e distanziamento. Pertanto, la definizione di Hamas come proxy dell’Iran richiede un approccio più sfumato rispetto ad altri gruppi nella regione.

Mentre l’Iran vede indubbiamente in questi gruppi lo strumento ideale per perseguire i propri interessi strategici in Medio Oriente, l’analisi di queste relazioni rivela dinamiche complesse e sfide legate alla gestione delle alleanze e alla ricerca di una coerenza di obiettivi tra Teheran e i suoi proxies. La presenza e l’azione di questi proxies contribuiscono certamente a ridefinire gli equilibri di potere nella regione e ad influenzare le dinamiche geopolitiche su scala globale. Tuttavia, sottostà a un rapporto complesso in cui Teheran, nonostante il sostegno finanziario e militare fornito ai suoi proxies, sembra non poter contare sul loro completo controllo. L’intelligence statunitense stima infatti che diversi gruppi, tra cui le milizie Houthi e quelle operanti in Iraq e Siria, agiscano ormai in modo relativamente autonomo, mostrando interessi e ambizioni divergenti da quelli di Teheran e rischiando di portare il paese sull’orlo di un conflitto che non può certamente permettersi.

Chi si avvicina a queste problematiche con l’idea che esista una relazione deterministica e gerarchica esclusiva tra il principale e l’agente fatica a comprendere le ragioni di questa contingenza, ma per la Scienza Politica, ciò non rappresenta certo una novità. L’emergere di conflitti di interessi tra il principale e i proxies può generare divergenze operative e decisioni autonome da parte di questi ultimi. Inoltre, informazioni asimmetriche e mancanza di controllo sui processi decisionali possono complicare la gestione delle esigenze operative a breve termine e generare incertezze nelle risposte di tutti gli attori coinvolti, compresa la comunità internazionale.

Questa situazione è conosciuta in Economia come il “problema principale-agente”, in cui possono emergere conflitti di interessi dovuti a divergenze di priorità che portano gli agenti a agire in modo autonomo e indipendente dal principale. Le potenziali implicazioni della mancanza di controllo sono significative sia per la situazione geopolitica della regione che per determinare i parametri di risposta delle potenze occidentali, ad esempio nel caso degli attacchi alle imbarcazioni commerciali o contro le loro truppe presenti nel teatro operativo.

L’intelligence americana e dei paesi NATO, pur riconoscendo il sostegno iraniano e la natura della relazione principale-agente, non attribuisce pertanto direttamente a Teheran la progettazione e l’esecuzione di tali attacchi. Ciò genera incertezza sulle contromisure da adottare, poiché non è chiaro fino a che punto l’Iran sia coinvolto o responsabile, ma allo stesso tempo riduce la probabilità di un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti e dell’Europa in un conflitto aperto con l’Iran. Questo scenario complica comunque la reazione politica e le decisioni operative degli attori occidentali, che devono considerare la disparità di interessi tra Teheran e i suoi proxies. Infine, la mancanza di un controllo totale su gruppi come gli Houthi suggerisce che la cessazione di conflitti specifici, come quello a Gaza, potrebbe non portare automaticamente a una pausa delle ostilità da parte dei proxies iraniani.

Questa riflessione è di estrema importanza poiché mette in discussione alcuni concetti consolidati diventati dogmi nell’analisi geopolitica dei conflitti in Medio Oriente. Un’applicazione accorta della Proxy War Theory mina in particolare la presunta relazione causale tra gli attacchi nel Mar Rosso e in Iraq e la guerra tra Israele e Hamas. Sebbene l’avvio delle operazioni dell’IDF nella Striscia di Gaza abbia probabilmente contribuito all’estensione del conflitto, l’idea che la fine delle ostilità tra Israele e i palestinesi porti automaticamente alla cessazione dei conflitti nelle zone circostanti è ingenua e priva di fondamento. Esistono diversi motivi per questa conclusione.

Innanzitutto, il contesto delle operazioni di questi agenti nel teatro precede gli eventi del 7 ottobre 2023, sebbene l’intensità e la natura dei loro obiettivi siano cambiate. Inoltre, non si può escludere che l’Iran abbia interesse a prolungare gli scontri per creare un nuovo status quo che gli permetta maggior spazio di manovra sulla sua politica nucleare. È importante considerare anche che altri attori internazionali, come Russia o Cina, che sono in qualche modo “principali” dell’Iran, potrebbero trovare la situazione utile per raggiungere i propri obiettivi strategici, come ad esempio indebolire le economie occidentali o testare/erodere le capacità militari della NATO. Infine, come emerge dalla discussione precedente, non è scontato che siano solo i proxies iraniani a non essere influenzati da ragioni diplomatiche.




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