Ucraina: la mobilitazione dei russi. Come leggere il discorso di Putin? (TeleTicino)
Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a TeleTicino (edizione del 21.09.2022, ore 18.25)
Come dobbiamo leggere il discorso di Putin?
La presa di posizione di Putin è coerente con quella di un leader sotto pressione che cerca di mantenere un equilibrio tra le istanze dei falchi intransigenti, il voler compiacere i militari, dare l’impressione di non perdere la guerra e la necessità di rafforzare il consenso interno che tende sempre più a essere precario e ad indebolirsi con il progredire della guerra in Ucraina. Il presidente russo ha parlato della necessità di difendere i confini della Madrepatria presentando la guerra di aggressione in una guerra per la difesa della Russia, di fatto attribuendone la responsabilità agli ucraini e ai loro alleati occidentali, in primo luogo agli Stati Uniti e alla Nato. Di fatto Putin ha adottato un cambio di tono più che di retorica ribadendo il concetto di “difesa del popolo e della sovranità territoriale”, che è il tema ricorrente nella narrativa russa, e lo ha fatto nel tentativo di rafforzare una posizione politica che si è notevolmente indebolita.
Con i referendum di Putin cresce la minaccia di una guerra nucleare?
Quella di Putin è una scelta strategicamente cinica, quasi diabolica perché Le autoproclamate repubbliche autonome del Donbass, Lugansk e Donetsk, e le province di Kherson e Zaporizhzhia quando saranno annesse alla Russia, di fatto saranno territorio nazionale russo e dunque, qualunque azione militare contro di essi sarebbe considerata un’aggressione diretta a Mosca: una circostanza che, secondo la dottrina militare russa prevede l’impiego dell’arsenale nucleari per difendere “l’esistenza dello Stato, la sovranità e l’integrità territoriale del Paese”. Dunque ci troviamo di fronte a un’opzione molto pericolosa
Il discorso di stamattina mostra un Putin in difficoltà?
Putin è in oggettiva difficoltà, la Russia sta pagando un prezzo altissimo sia sul fronte ucraino, in termini di risorse umane e materiali, sia sul fronte interno dove si sta facendo ogni sforzo per contenere gli effetti deleteri di un’economia di guerra e di una finanza che sono di fatto fortemente limitate e che stanno avendo un impatto rilevante sulla quotidianità dei russi. Ora, a fronte di questa scelta di forza dobbiamo però prendere atto del fatto che – dal punto di vista della leadership russa – forse non c’erano molte altre alternative. Un passo indietro significherebbe ammettere la sconfitta e questo determinerebbe la fine politica di Putin. Da qui la necessità di aumentare la pressione, seguendo i consigli dei falchi del Cremlino, e tentare la carta della mobilitazione generale per la difesa dei confini che, tra qualche giorno, si estenderanno ai territori ucraini attualmente tenuti dalle forze russe.
C’è la famosa immagine del topo nell’angolo, non è rischioso avere Putin con le spalle al muro?
Un Putin con le spalle al muro è certamente lo scenario peggiore che potrebbe prospettarsi le cui conseguenze andrebbero ben oltre i confini ucraini. Putin in questo momento è in una posizione estremamente precaria e qualunque azione di forza che possa consentirgli di uscire dal pantano ucraino verrà perseguita. L’annessione via referendum e la minaccia nucleare sono un’opzione che Putin ha perseguito a causa della mancanza di tutte le opzioni a lui favorevoli: l’assenza di una vittoria lampo su Kiev, il mancato collasso delle forze armate ucraine, la divisione dell’occidente a supporto dell’ucraina. Putin non ha ottenuto nulla di tutto ciò, e dunque si prepara ad attuare l’unica opzione perseguibile, in alternativa alla sua non del tutto impossibile uscita di scena.
Settimana scorsa c’è stato il vertice di Samarcanda. E anche qui la Russia non sembra aver trovato appoggi incondizionati da parte di Cina e India.
L’india e la Cina sono state elegantemente perentorie nella presa di posizione nei confronti della guerra di Putin in Ucraina: Pechino ha negato la possibilità di aiuti militari alla Russia in Ucraina, tanto che si è parlato di richieste di Mosca alla Corea del Nord (per razzi e proiettili) e all’Iran (per i droni); e Nuova Dehli, storicamente molto vicina alla Russia, non ha lasciato adito a dubbi nell’affermare che questo non è il momento della guerra e la pace deve essere l’obiettivo primario. Dunque Putin, che guardava a Samarcanda come a un’occasione per cercare di rafforzare la propria posizione ha invece incassato un risultato molto più negativo di quanto non si aspettasse. È forse l’inizio di un isolamento che sino a poche settimane fa vedeva solo l’Occidente chiudere lo scambio commerciale e la collaborazione con Mosca ma che ora comincia a interessare anche quegli storici alleati e amici che dalla guerra sono toccati in termini economici, commerciali e finanziari.