La presa di posizione di Putin è coerente con quella di un leader sotto pressione che cerca di mantenere un equilibrio tra le istanze dei falchi intransigenti, il voler compiacere i militari, dare l’impressione di non perdere la guerra e la necessità di rafforzare il consenso interno che tende sempre più a essere precario e ad indebolirsi con il progredire della guerra in Ucraina. Il presidente russo ha parlato della necessità di difendere i confini della Madrepatria presentando la guerra di aggressione in una guerra per la difesa della Russia, di fatto attribuendone la responsabilità agli ucraini e ai loro alleati occidentali, in primo luogo agli Stati Uniti e alla Nato. Di fatto Putin ha adottato un cambio di tono più che di retorica ribadendo il concetto di “difesa del popolo e della sovranità territoriale”, che è il tema ricorrente nella narrativa russa, e lo ha fatto nel tentativo di rafforzare una posizione politica che si è notevolmente indebolita.
Con i referendum di
Putin cresce la minaccia di una guerra nucleare?
Quella di Putin è una scelta strategicamente cinica, quasi
diabolica perché Le autoproclamate repubbliche
autonome del Donbass, Lugansk e Donetsk, e le province di Kherson e
Zaporizhzhia quando saranno annesse alla Russia, di fatto saranno territorio
nazionale russo e dunque, qualunque azione militare contro di essi sarebbe
considerata un’aggressione diretta a Mosca: una circostanza che, secondo la
dottrina militare russa prevede l’impiego dell’arsenale nucleari per difendere
“l’esistenza dello Stato, la sovranità e l’integrità territoriale del Paese”.
Dunque ci troviamo di fronte a un’opzione molto pericolosa
Il discorso di
stamattina mostra un Putin in difficoltà?
Putin è in oggettiva difficoltà, la Russia sta pagando un
prezzo altissimo sia sul fronte ucraino, in termini di risorse umane e
materiali, sia sul fronte interno dove si sta facendo ogni sforzo per contenere
gli effetti deleteri di un’economia di guerra e di una finanza che sono di
fatto fortemente limitate e che stanno avendo un impatto rilevante sulla
quotidianità dei russi. Ora, a fronte di questa scelta di forza dobbiamo però
prendere atto del fatto che – dal punto di vista della leadership russa – forse
non c’erano molte altre alternative. Un passo indietro significherebbe
ammettere la sconfitta e questo determinerebbe la fine politica di Putin. Da qui
la necessità di aumentare la pressione, seguendo i consigli dei falchi del Cremlino,
e tentare la carta della mobilitazione generale per la difesa dei confini che,
tra qualche giorno, si estenderanno ai territori ucraini attualmente tenuti
dalle forze russe.
C’è la famosa
immagine del topo nell’angolo, non è rischioso avere Putin con le spalle al
muro?
Un Putin con le spalle al muro è certamente lo scenario
peggiore che potrebbe prospettarsi le cui conseguenze andrebbero ben oltre i
confini ucraini. Putin in questo momento è in una posizione estremamente
precaria e qualunque azione di forza che possa consentirgli di uscire dal
pantano ucraino verrà perseguita. L’annessione via referendum e la minaccia
nucleare sono un’opzione che Putin ha perseguito a causa della mancanza di
tutte le opzioni a lui favorevoli: l’assenza di una vittoria lampo su Kiev, il
mancato collasso delle forze armate ucraine, la divisione dell’occidente a
supporto dell’ucraina. Putin non ha ottenuto nulla di tutto ciò, e dunque si
prepara ad attuare l’unica opzione perseguibile, in alternativa alla sua non del
tutto impossibile uscita di scena.
Settimana scorsa c’è
stato il vertice di Samarcanda. E anche qui la Russia non sembra aver trovato
appoggi incondizionati da parte di Cina e India.
L’india e la Cina sono state elegantemente perentorie nella
presa di posizione nei confronti della guerra di Putin in Ucraina: Pechino ha
negato la possibilità di aiuti militari alla Russia in Ucraina, tanto che si è
parlato di richieste di Mosca alla Corea del Nord (per razzi e proiettili) e
all’Iran (per i droni); e Nuova Dehli, storicamente molto vicina alla Russia,
non ha lasciato adito a dubbi nell’affermare che questo non è il momento della
guerra e la pace deve essere l’obiettivo primario. Dunque Putin, che guardava a
Samarcanda come a un’occasione per cercare di rafforzare la propria posizione
ha invece incassato un risultato molto più negativo di quanto non si
aspettasse. È forse l’inizio di un isolamento che sino a poche settimane fa
vedeva solo l’Occidente chiudere lo scambio commerciale e la collaborazione con
Mosca ma che ora comincia a interessare anche quegli storici alleati e amici
che dalla guerra sono toccati in termini economici, commerciali e finanziari.
La guerra in Ucraina arriva fino in Africa. Il commento di M. Cochi a RaiNews24
Mosca ha costruito nel tempo una rete di relazioni economiche e politiche con molti paesi del continente africano che non prendono posizione contro l’aggressione russa
Se l’Occidente si è apertamente schierato contro l’invasione russa, nel continente africano Mosca continua a raccogliere consensi, rafforza i legami economici e politici e costruisce una strategia di pressione anche verso l’Europa. Ne abbiamo ripercorso le tappe e le ragioni con Marco Cochi, giornalista esperto di Africa. Insieme ad Andrea Segré, docente di Politiche Agrarie Internazionali all’Università di Bologna abbiamo spiegato come il cibo – i cereali, in questo caso – possa essere utilizzato come un’arma geopolitica e cercato di capire se le istituzioni sovranazionali hanno il potere di invertire la rotta. Leila Belhadj Mohamed, che si occupa di geopolitica per Life Gate, ha analizzato il ruolo della Turchia e l’importanza, per questi temi, di Paesi come il Mali e il Sudan. Conduce Veronica Fernandes
Bertolotti (Ispi): “Il paradosso di al-Qaeda in parte rappresentata all’interno del governo talebani. Vede i Talebani come modello di riferimento per gruppi insurrezionali, jihadisti e radicali dall’Africa subsahariana al Sudest asiatico”.
‘Ruolo chiave al-Qaeda che considera i Talebani come modello di riferimento per gruppi insurrezionali, jihadisti e radicali dall’Africa subsahariana al Sudest asiatico’
Passato un anno dal ritiro delle forze internazionali e dal ritorno al potere dei Talebani, l’Afghanistan è “di fatto una terra in cui vi è assenza di comando e controllo da parte dell’autorità centrale”, che “addirittura tollera, quando non sostiene direttamente, la presenza di gruppi jihadisti radicali che potrebbero trasformare” il Paese “in un trampolino del jihadismo globale”. Risponde così Claudio Bertolotti, ricercatore associato Ispi e direttore di Start InSight, se gli si chiede quali siano i rischi per un Paese martoriato da decenni di guerre e di nuovo in mano ai Talebani.
Con un passato di missioni in terra afghana, quando “tra il 2003 e il 2008 era a capo della sezione contro-intelligence e sicurezza della Nato”, è stato “uno dei 500 italiani che ha fatto parte dell’operazione Usa ‘Enduring Freedom'” e oggi in un’intervista all’Adnkronos sottolinea la “presenza, non solo indisturbata ma addirittura come ospite formale di Sirajuddin Haqqani, in Afghanistan di Aymar Al-Zawahiri“, il numero uno di al-Qaeda la cui uccisione a Kabul è stata annunciata nei giorni scorsi dagli Usa. Quel Sirajuddin, comandante della ‘rete Haqqani’, vicina ad al-Qaeda, figlio del defunto Jalaluddin Haqqani e da un anno ministro degli Interni del governo talebano.
Bertolotti parla del “ruolo chiave attribuito” ad al-Qaeda in questo Afghanistan, della “presenza nel Paese di un gruppo terroristico con una visione globale”, un gruppo che “nelle parole di Al-Zawahiri ha definito i Talebani come i portatori dell’interpretazione corretta della sharia, che dovrebbe essere applicata a livello globale”, quindi “indicando i Talebani come modello di riferimento per tutti quei gruppi insurrezionali, jihadisti e radicali che dall’Africa subsahariana fino al Sudest asiatico si stanno diffondendo e addirittura consolidando”.
‘minaccia crescente Stato islamico Khorasan, aumenta conflittualità all’interno della compagine talebana’
Al-Qaeda, rileva, “è il principale attore a cui si associa il suo competitor per eccellenza, lo Stato islamico Khorasan”, la “variante” nella regione dello Stato islamico, uno “Stato islamico regionale che si è consolidato territorialmente, compete con il governo talebano e si è trasformato in una minaccia concreta, crescente alla sicurezza stessa dell’Afghanistan inteso come Emirato islamico e ma anche dei suoi cittadini”. La componente sciita in particolare. Quella che, sottolinea, lo “Stato islamico Khorasan ha indicato come principale obiettivo insieme ai Talebani”, considerati dal gruppo “come apostati, corrotti, come coloro che hanno accettato un compromesso con l’Occidente”. E’ in questo ‘quadro’ che si inserisce la notizia della morte in un attacco di un attentatore suicida a Kabul, rivendicato dall’Is-K, di Rahimullah Haqqani, figura influente che sosteneva il governo talebano e si era pronunciato a favore del diritto all’istruzione delle donne.
E, prosegue, “la solidità di questo trampolino del jihad globale accresce col tempo a mano a mano che aumenta la conflittualità all’interno della stessa compagine talebana”. Perché, osserva Bertolotti, “il rischio è che le correnti all’interno del movimento talebano possano trasformare questa competizione per il potere in un confronto armato”. E all’interno di questo possibile confronto armato si inserirebbero “tre variabili”, che l’esperto indica nello Stato islamico Khorasan, nella “galassia di gruppi più o meno piccoli di jihadisti che in Afghanistan si stanno consolidando” e nella “cosiddetta resistenza afghana” – quella identificata con il Panjshir che è diventata il ‘Fronte nazionale di resistenza’ e che è guidata da Ahmad Massoud, il figlio del ‘Leone del Panjshir’ – che “si inserisce in un contesto conflittuale amplificandolo”, pur “non avendo la capacità di poter sconfiggere i Talebani”.
Quello della resistenza afghana, sottolinea Bertolotti, è un “elemento importante, non numericamente, ma da un punto vista politico” in un Afghanistan in cui i “Talebani hanno preso il potere, hanno posto un governo di fatto che però nel concreto non è in grado gestire la cosa pubblica afghana né di garantire quella minima cornice di sicurezza fisica ma anche economica di cui la popolazione ha bisogno”. A questo si aggiunge, rimarca, l’elemento di “‘esclusività” del governo talebano “in contrapposizione all’auspicata inclusività”. Di fatto, osserva, “si è assistito a una presa e consolidamento del potere da parte della forte componente della Shura di Quetta”, la storica leadership talebana “che si è di fatto trasformata in forza di governo esclusiva dell’Emirato islamico dell’Afghanistan”.
‘il paradosso di al-Qaeda in parte rappresentata all’interno del governo talebano’
Escluse dalla spartizione del potere, sottolinea, “le molteplici e variegate realtà talebane che nel corso degli anni e in particolar modo nell’ultimo periodo si sono coalizzate attorno al principale e storico nucleo talebano”. Esclusi in particolare “i Talebani del nord e dell’ovest, la componente uzbeka”. Un governo quello talebano, dice Bertolotti, che “non risponde in toto a quelle che erano le premesse dell’Accordo di Doha” del febbraio 2020 tra i Talebani e gli Usa e che “prevedeva tra i punti i principali l’esclusione dell’influenza ma anche della presenza fisica di associati ad al-Qaeda in territorio afghano”. Il raid Usa contro al-Zawahiri nel centro di Kabul.
E oggi siamo con il “paradosso” di “vedere al-Qaeda in parte rappresentata all’interno” del governo talebano e “con un ruolo di consulenza e confronto, in particolar modo con l’ala più oltranzista legata alla rete Haqqani, alla figura di Sirajuddin Haqqani”, che “si contrappone, un po’ anche in competizione interna, all’altra ala più ‘pragmatica’” quella del malawi Yaqoob – figlio del mullah Omar, il fondatore dei Talebani, e oggi ministro della Difesa dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, fresco di ‘promozione’ da mullah a malawi – e degli “associati” al mullah Baradar, vice premier del governo talebano e di fatto con un’autorità ridimensionata dopo essere stato il protagonista degli Accordi di Doha. E, conclude, “Sirajuddin e Yaqoob sono di fatto i due uomini di fiducia del malawi Haibatullah Akhundzada“, leader supremo dei Talebani.
Con Alba Arcuri A cura di Laura Pepe L’accordo di Istanbul e i missili su Odessa. Ascoltiamo la nostra inviata a Dnipro, Azzurra Meringolo. Seconda parte, dedicata all’Afghanistan, ad un anno dal ritorno dei talebani. L’ospite di oggi è Claudio Bertolotti, Direttore di Start Insight, osservatorio di analisi strategica
#UCRAINA – Accordo sui corridoi sicuri per l’esportazione dei cereali: sarà realizzabile?
Pur con grandi limiti, gli accordi potranno proseguire. Questo non per una generosità da parte di Mosca, ma per una questione di opportunità: in primo luogo per dimostrare all’opinione pubblica russa e a quella ucraina che Putin ha a cuore le sorti delle popolazioni civili dell’una e dell’altra parte. E questo ovviamente ha una finalità propagandistica. Dall’altro lato la Russia guarda con grande interesse all’influenza che potrà acquisire nel continente africano, presentandosi come risolutrice di una crisi alimentare di cui è in gran parte responsabile.
In primo luogo dobbiamo guardare l’aspetto operativo: la Russia avrà ben chiari quelli che sono i corridoi di sicurezza per entrare e uscire dai porti ucraini. In secondo luogo l’aspetto comunicativo e diplomatico di una Russia che si propone di fronte e all’opinione pubblica interna, ma anche quella internazionale e alle cancellerie occidentali e dei paesi africani, come risolutrice che trova una soluzione e la concede sia al popolo ucraino sia ai paesi africani che sono i maggiori beneficiari di questa apertura e su cui la Russia sta investendo moltissimo in termini di influenza e presenza. Ora, che la Russia voglia e riesca a proporsi come elemento risolutore potrà apparire paradossale se si osservano superficialmente le dinamiche della guerra russo-ucraina, ma in realtà è una strategia che rientra in uno schema di guerra parallela combattuta sul piano mediatico e propagandistico. Ed è questo un ambito della guerra dove entrambi gli attori, Kiev e Mosca, sono molto attivi ed efficaci. Il vantaggio ovviamente lo ha la Russia che, negli anni ha investito moltissimo nello strumento di guerra d’influenza attraverso l’utilizzo del web, ormai divenuto un campo di battaglia spietato per la diffusione di notizie false e funzionali a influenzare le opinioni pubbliche dei paesi ostili che colpiti da questa tipologia di arma insieme ai paesi occidentali, o alcuni partiti politici, per spingerli ad avere posizioni non ostili quando non addirittura a sostegno della politica estera di Mosca. È la strategia dello Sharp Power: l’uso di politiche (diplomatiche) manipolative da parte di un paese per influenzare e minare il sistema politico di un paese bersaglio.
#AFGHANISTAN: la crisi alimentare, economica e sociale
L’Afghanistan è sempre più preda di una grave crisi umanitaria. E da gennaio ad oggi si è registrato un aumento della grave insicurezza alimentare a cui si sommano la siccità, i terremoti e le epidemie di malattie trasmesse dall’acqua contaminata, con un aumento significativo dei casi di colera, e un netto deterioramento delle condizioni complessive nelle aree urbane. L’inizio della primavera, che tradizionalmente porta sollievo dalla carenza di cibo, ha però dovuto fare i conti con la siccità – la peggiore degli ultimi trent’anni – che ha di fatto peggiorato le condizioni di vulnerabilità delle popolazioni più povere ed esposte.
In questo quadro già drammatico le ricadute
della guerra in Ucraina hanno contribuito ad aggravare la crisi, portando a un
aumento dei prezzi di cibo e carburante e a indebolire le catene di
approvvigionamento. Prezzi della farina di grano a Kabul che sono ad oggi
superiori dell’90% rispetto alla media quinquennale e difficilmente torneranno
ai livelli pre-guerra dato l’aumento dei costi di trasporto e gestione delle
merci.
Viene naturale chiedersi se, di fronte a una
drammatica fotografia del genere, non debbano essere riconsiderate le posizioni
della Comunità internazionale, in primo luogo gli Stati Uniti, in termini di
possibilità e libertà d’intervento a favore delle popolazioni afghane, e questo
indipendentemente dalla gestione politica talebana che ogni giorno si fa più
opprimente e violenta nei confronti degli afghani stessi.
Ucraina: Generali sotto tiro e “terminator” in azione in Donbass (D+87)
Punto di situazione sul conflitto russo-ucraino al
D+87
La fase più critica del
conflitto in Ucraina si sarebbe forse potuta chiudere in due o tre giorni solo
se il presidente Zelensky fosse fuggito e il governo ucraino fosse crollato. A
quel punto si sarebbe assistito all’inizio dell’occupazione russa con il molto
probabile avvio della resistenza ucraina sotto forma di guerriglia.
Ma tutto ciò non è avvenuto
e la situazione sul terreno è quella che un po’ tutti abbiamo imparato a
conoscere: il tentativo fallito di assedio a Kiev e la penetrazione nell’est
con attacchi reiterati su Kharkiv dall’esito anch’esso non positivo mentre a
sud la situazione, che ha visto le forze russe provenienti dalla Crimea e
quelle filo-russe del Donbass chiudere l’Ucraina in una sorta di enclave
terrestre (ad esclusione al momento di Odessa il cui porto peraltro è chiuso
con conseguenze drammatiche per l’approvvigionamento di cereali nel mondo),
sembra essersi cristallizzata da qualche settimana.
Colpa dei generali russi che
avrebbero pianificato male e condotto peggio l’operazione?
In un ambiente permeato
dalla cultura del capro espiatorio è stato alquanto normale “silurare” un certo
numero di vertici militari, tra i quali il generale Serhiy Kisel, che sarebbe
stato sospeso “per non essere riuscito a conquistare Karkhiv”, e il vice
ammiraglio Igor Osipov, che sarebbe stato licenziato “a seguito
dell’affondamento dell’incrociatore Moskva”. Probabilmente anche il capo di
stato maggiore russo, il Gen. Valeriy Gerasimov, non avrebbe più la totale
fiducia di Putin ma al momento sembra essere rimasto al suo posto.
Lo scopo dell’attacco, ma anche il modo con il quale
l’Ucraina è stata invasa il 24 febbraio scorso, ha fatto partorire discussioni
e teorie più o meno valide tra vecchi e nuovi geo-strateghi e analisti militari
(affidabili o presunti tali).
A nostro avviso quella russa è stata una penetrazione su
un fronte troppo ampio (ben 1.500 km. circa) verosimilmente non per un errore
operativo da parte dei decisori militari russi (sarebbe stato veramente
imperdonabile) ma per una scelta strategica da parte del vertice politico ben
precisa ancorché azzardata: indurre il panico nella popolazione e nelle
istituzioni e costringere il governo ucraino a capitolare in pochi giorni. O
almeno così si sperava.
Come sappiamo, ciò non è avvenuto e pertanto i russi
hanno dovuto dapprima, ma senza successo e con non pochi problemi di natura
essenzialmente logistica, immettere le seconde schiere e le unità in riserva e
successivamente riarticolare l’intero dispositivo abbandonando gli sforzi su
Kiev e più recentemente su Karkiv per assicurare una sufficiente gravitazione
delle forze nelle aree che possono essere considerate gli obiettivi
territoriali minimi di Putin: la regione completa del Donbass e l’area costiera
meridionale dell’Ucraina.
Il tutto naturalmente in funzione delle richieste russe
al tavolo delle trattative che si rifanno verosimilmente al discorso del
presidente Putin del 22 febbraio 2022: Ucraina neutrale, Crimea russa, Donbass
“libero”.
In realtà il numero dei cosiddetti BTG (Batalonnaja
Takticheskaja Gruppa), cioè delle Task Force russe di livello
battaglione impiegate (ognuna costituita da circa 800-1.000 soldati), è stato
sinora di circa 90 su 180 totali teoricamente disponibili nella Federazione
russa. Le sole forze di manovra russe in Ucraina sono pertanto formate da circa
80-90.000 soldati mentre il totale impiegato, comprese le milizie delle
autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk, raggiunge verosimilmente le
150.000 unità. Le forze armate ucraine dovrebbero invece aver ormai toccato,
tra forze regolari e milizie territoriali, le 200-250.000 unità dislocate però
sull’intero territorio nazionale, naturalmente con una maggiore concentrazione
nelle aree a contatto con quelle russe dove si presume siano impiegati circa
150.000 soldati e miliziani (non tutti impiegabili in un combattimento ad alta
intensità). Da questi numeri si può dedurre pertanto un rapporto di forza che
solo attualmente è di 1:1 mentre a inizio conflitto, stante la eccessiva
lunghezza del fronte, era verosimilmente sfavorevole alle forze attaccanti
russe la cui superiorità aerea e qualitativa di alcuni degli equipaggiamenti
non sembra peraltro essere stata decisiva. Se infatti esaminiamo quello che
nelle scuole di guerra si definisce “rapporto di spazio”, si scopre che a
inizio operazione, con il numero disponibile di BTG, che teoricamente avrebbero
potuto coprire circa 600 (massimo 900) km. sulla fronte, i russi hanno dovuto
invece attaccare gli ucraini su un’ampiezza non sostenibile in quanto pari
quasi al doppio di quanto previsto dalla dottrina.
Da qui, oltre ad altri fattori come l’ottima performance
dell’esercito ucraino (quadri preparati, soldati motivati, piani predisposti) e
l’aiuto che si è rivelato fondamentale da parte occidentale (in
particolare la presunta “assistenza” all’intelligence ucraina, armi
controcarro e sistemi d’arma contraerei moderni ed efficaci), è scaturito il
mancato raggiungimento di tutti gli obiettivi iniziali auspicati dalla leadership
russa.
La seconda fase, in atto, delle operazioni russe
Alla prima fase dell’attacco “generalizzato” che ha
coinvolto quasi la metà dell’intera frontiera terrestre ucraina, parzialmente
fallito, è seguita la fase attuale che vede i russi combattere su un fronte
molto più ristretto a sud-est e a sud. Ma le notizie che pervengono dalla linea
di contatto ci raccontano di una avanzata che, pur con successi locali,
continua ad essere ancora relativamente lenta. Molti commentatori ritengono che
anche in questa seconda fase l’offensiva russa abbia raggiunto il culminating
point (punto culmine), cioè una situazione in cui non sarebbe più in grado
di operare avendo immesso in combattimento tutto il suo potenziale bellico
senza aver completato la missione.
È veramente così? Probabilmente no. Bisogna tener conto del fatto che siamo di fronte ad un conflitto che almeno inizialmente aveva natura simmetrica, intesa come confronto tra forze convenzionali di qualità e consistenza pressoché similari e che grazie agli aiuti occidentali continuerà ancora ad essere tale. È vero che anche in questo quadrante le truppe russe hanno subito pesanti perdite come ad esempio nel tentativo di forzare il fiume Siverskyi Donets, ma è d’uopo evidenziare che oltre alla sin qui efficace resistenza degli ucraini che, non dimentichiamolo, conoscono molto bene l’area avendo operato negli ultimi otto anni contro i separatisti russofoni, l’offensiva delle forze russe e filo-russe risente negativamente di orografia, idrografia e presenza antropica che non consentono una agevole manovra, manovra che grazie ad alcuni importanti successi locali solo ora sembra iniziare a produrre risultati positivi in particolare a Izyum, a Popasna e nella stessa Severodonetsk.
Inoltre i russi possono contare ora non solo sulle forze
recuperate e già immesse nuovamente in combattimento dalle direttrici non più
operative del nord (Kiev) e del nord est (Sumy), ma anche sui circa 10 BTG che
erano impegnati a Mariupol. Questi ultimi, dopo un adeguato ricondizionamento,
potranno andare a rafforzare la gravitazione esercitata su Severodonetsk dando
la spallata decisiva alle forze ucraine in difesa oppure per andare a
ristabilire una linea del fronte che a Kherson-Mykolayiv continua a presentare
non pochi problemi.
Comunque lo sforzo principale in questa fase sembra
essere proprio quello in Donbass dove i BTG russi, come detto, operano nelle
aree di Izyum (per sfondare a sud-est verso Slovyansk) e di Popasna (per
raggiungere verso nord Severodonetsk e nord-ovest Kramatorsk), allo scopo di
assumere il controllo dell’autostrada M3 (E-40). Questa manovra di
accerchiamento chiuderebbe in una sacca i reparti ucraini (probabilmente una
ventina di BTG) impegnati nel saliente di
Izyum-Lyman-Severodonetsk-Hirske-Popasna.
Se la manovra di accerchiamento tra Izyum e Popasna
dovesse avere successo, sarebbe indubbiamente raggiunto e superato un punto
decisivo della linea di operazione il cui obiettivo è la conquista dell’intero
Donbass.
Sempre a sud, dopo ben 84 giorni di resistenza nelle
locali acciaierie, divenute ormai un ammasso di macerie, Mariupol è stata
definitivamente conquistata. I russi e le milizie del Donbass, oltre ad aver
liberato forze da poter impiegare altrove, hanno così assicurato quel continuum
territoriale con la penisola di Crimea che riveste grandissimo valore simbolico
oltre che economico. Inoltre, mentre continua lo sforzo verso nord per
raggiungere l’importante città di Zaporizhzia, a nord-ovest della penisola si
continua a combattere lungo la linea Kherson – Mykolayiv con esito alterno sin
dall’inizio del conflitto. La mancata acquisizione completa di questa area,
oltre alle perdite dell’incrociatore lanciamissili Moskva e di alcune navi
anfibie, è uno dei motivi per i quali i russi non sono ancora riusciti ad
attaccare Odessa, altra città simbolo dell’Ucraina e “porta da sfondare” per
congiungere la Russia alla Transnistria, regione moldava dichiaratasi anch’essa
autonoma e che nel 2014 ha chiesto l’adesione a quella che considerano la loro
“madrepatria”.
Riassumendo, concentrando l’attenzione agli “oblast”
meridionali dell’Ucraina, i russi intendono finalmente impiegare in maniera più
consona e rispondente ai principi basilari della dottrina militare le proprie
unità, almeno per quanto riguarda il giusto rapporto di forze e spazio. Il
fronte ha ora una lunghezza tale da poter essere investito con maggiore
efficacia dai BTG disponibili.
I russi hanno sicuramente subito perdite considerevoli,
ma gli ucraini hanno visto le proprie componenti corazzata e aerea quasi
completamente distrutte e una parte consistente del proprio territorio cadere
in mani russe. Solo i citati aiuti militari occidentali, compresi i carri
armati T-72 polacchi, e la loro grandissima motivazione, hanno consentito agli
ucraini di continuare a porre in atto una difesa alquanto efficace che potrebbe
portare eventualmente a un conflitto di attrito e quindi di lunga durata. Ecco
che per i russi potrebbe essere necessario passare alla fase 2.1, cioè vincere
in Donbass e nell’area di Odessa nel più breve tempo possibile impiegando nuovi
micidiali mezzi.
I possibili nuovi protagonisti dei campi di battaglia
in Ucraina
Per detti motivi, oltre a un impiego ancora più massiccio
dei migliori sistemi d’arma come i missili ipersonici ad alta precisione
aria-terra Khinzal e terra-terra Iskander con gittate rispettivamente di 2.000
e 500 km. o i micidiali TOS-1 (Buratino), sistemi montati su telai di carri
armati T-72 in grado di lanciare missili con testate termobariche, alcuni
ritengono che stiano per comparire sul campo di battaglia altri sistemi d’arma
russi modernissimi che per una serie di motivi, primo tra tutti proprio perché
da poco usciti dalle linee di montaggio, non sono stati ancora impiegati.
Ecco alcuni di questi nuovi mezzi, limitandoci a quelli
operanti nell’ambiente terrestre che è risultato essere stato sinora quello più
sanguinoso e che sarà decisivo per le sorti del conflitto.
Come detto, fondamentale risulta la capacità di acquisire
informazioni su entità, dislocazione natura e atteggiamento del nemico. Per
fare questo anche gli ucraini dispongono di droni (alcuni dei quali
probabilmente forniti dalle nazioni che stanno contribuendo alla sua difesa)
contro i quali sembra che negli ultimi giorni i russi abbiano utilizzato un
sistema d’arma laser, lo Zadira, che secondo il vice premier
russo Yuri Borisov è “capace di incenerire un drone ma anche altri mezzi a
5 km di distanza”.
Relativamente ai mezzi più “convenzionali”, sin
dall’inizio delle operazioni i russi impiegano i carri armati T-72B3M e quelli
delle serie T-80 e T-90, i quali sono equipaggiati con sistemi di protezione
ERA (Explosive Reactive Armour, cioè corazzature reattive esplosive) del
tipo Kontakt-5 e Relikt, considerate fino a febbraio molto avanzate ma che sono
risultate non sufficientemente idonee a fronteggiare le nuove minacce dei
temibili missili controcarri occidentali, ad esempio i Javelin.
Ecco perché la Russia potrebbe inviare in Ucraina i
mastodontici (rispetto agli standard dei veicoli sinora prodotti in oriente) T-14
Armata, mezzi con caratteristiche similari a quelle dei carri occidentali
sia in termini di dimensioni che di utilizzo esteso dell’elettronica ma che
avrebbero la capacità di sparare fino a dieci colpi da 125 mm. al minuto e
colpire bersagli a una distanza di sette chilometri.
Per dare un’idea di quanto sia potente l’ultimo nato in
casa russa, il carro armato statunitense M1 Abrams può sparare “solo” tre colpi
al minuto e ha una portata di “appena” 4.500 metri. Inoltre, il nuovo carro
dispone di corazza reattiva Malachit e di un sistema di protezione
attiva Afganit che include un radar a onde millimetriche per rilevare,
monitorare e intercettare munizioni anticarro in arrivo a similitudine
dell’avanzatissimo sistema israeliano Trophy. Di MBT (Main Battle Tank)
T-14, che ha avuto una genesi a dir poco travagliata proprio a causa della sua
complessità e dei costi di sviluppo e produzione molto elevati, ce ne sono al
momento disponibili relativamente pochi (alcune decine) nelle disponibilità di
una delle divisioni di punta dell’esercito russo, la 2^ Divisone della Guardia
“Tamanskaya”. La domanda è se i russi si fideranno ad immettere in
combattimento un veicolo sicuramente mobile, protetto e potente ma
verosimilmente non ancora maturo in quanto non testato a sufficienza.
Sui campi di battaglia dell’Ucraina potrebbe comparire
anche il nuovo mezzo da combattimento per la fanteria da affiancare al T-14.
Avendo la stessa piattaforma ha lo stesso nome, Armata, ma con codice
identificativo diverso: T-15. I fanti russi, che hanno subìto pesanti
perdite a seguito della distruzione di mezzi scarsamente protetti come i BMP-2
e 3, non vedono l’ora di riceverli ma non sarà così semplice. Come per i T-14,
ne sarebbero disponibili al momento poche decine di unità. Anche questo mezzo,
inoltre, potrebbe avere gli stessi problemi di “maturità” del fratello maggiore
T-14.
Un altro mezzo micidiale che è già stato dispiegato verso
la metà del mese di maggio 2022 in Donbass è il BMPT Terminator-2, un
veicolo idoneo ad affiancare i carri armati in particolare nei centri abitati
in quanto dispone di un set di armi composito: una mitragliatrice cal. 7,62 e
due lanciagranate anti personale, due cannoni da 30 mm contro veicoli blindati
e 4 lanciatori per missili guidati contro carri. Il modello che viene già
impiegato è su scafo T-72, quindi risalente all’epoca sovietica ancorché
migliorato. Un nuovo modello molto più protetto, più automatizzato e anche con
capacità contraerea è il BMPT-15 Terminator-3, un sistema d’arma su
scafo del citato Armata.
Grazie alla disponibilità di detti mezzi, i russi
potrebbero costituire alcuni BTG modernissimi con i quali dare l’ultima
spallata alla resistenza ucraina in Donbass e a Odessa.
* Generale di Corpo d’Armata dei lagunari Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, Vice Capo del Reparto Pianificazione Generale e Direzione Strategica / Politica delle Alleanze presso lo Stato Maggiore Difesa, Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e collaboratore del Campus universitario CIELS di Padova.
Ucraina: la (lenta) avanzata russa e l’ipotesi di allargamento della NATO (tra pro e contro)
di Claudio Bertolotti
Intervista a Radio 1 Rai del 16 maggio 2022 (ore 16.05) e commento del Direttore C. Bertolotti
Il commento del Direttore Claudio Bertolotti (dal minuto 33.30″)
Sviluppi sul campo: le difficoltà russe e il
tentativo di accerchiamento (ora ridotto)
Sino a pochi giorni fa eravamo tutti concordi sul fatto
che lo sforzo maggiore da parte delle forze russe si sarebbe concentrato
sull’area di Izyum che, con i suoi snodi viari e le potenzialità tattiche, era
indicato quale obiettivo operativo di maggiore interesse per Mosca, poichè la
sua conquista avrebbe garantito al grosso delle forze russe di aggirare quelle
ucraine schierate (sul fronte di Luhansk e Donesk). Ed è per questo che su
entrambi i fronti la lotta si è fatta accanita.
Ora questo obiettivo, consistente nel completare un
accerchiamento su larga scala di unità ucraine dalla città di Donetsk a Izyum, sarebbe
stato abbandonato dai russi, in virtù dell’accanita resistenza ucraina e della controffensiva subita dai russi intorno a Kharkiv.
L’alternativa si è dunque ridimensionata a un’azione di
accerchiamento più ridotta, forse sempre più ridotta a causa delle gravi
perdite e delle limitazioni in termini di capacità di manovra. Questo potrebbe indurre
lo stato maggiore russo ad avviare una nuova operazione su Severodonetsk, da
nord e da sud, via Rubhizne, il che porterebbe ad ottenere un accerchiamento
delle truppe ucraine molto più ridotto rispetto a quanto inizialmente previsto.
Uno stallo? Si, ma a svantaggio della Russia (grazie
all’aiuto statunitense)
Di fatto la guerra di logoramento e attrito impone il
consolidamento delle linee del fronte, con poche puntate offensive, da entrambe
le parti, costringendo i contendenti a consumare le proprie forze con una
conseguente diretta riduzione della capacità operativa. Però, c’è un però. Da
un lato le forze russe, che comunque
mantengono un vantaggio tattico che si riduce sempre più, hanno attinto a una
parte consistente della riserva operativa (comprese le milizie e le compagnie
private di sicurezza); dall’altro lato le forze ucraine stanno ricevendo sempre
più consistenti e rilevanti aiuti dall’Occidente, in particolare da parte degli
Stati Uniti: artiglierie, carri armati, intelligence per un valore complessivo di
circa 40 miliardi di dollari, aiuti che vanno a sommarsi a quelli già donati.
Il budget russo per la difesa nel 2021 è stato di 65,9
miliardi di dollari (per farci un’idea quello italiano è di meno di 25 miliardi
di euro).
Questo dovrebbe darci un’idea di quelli che potrebbero
essere gli effetti devastanti per la Russia, in termini militari, di una guerra
di medio respiro in cui potrebbe precipitare Mosca. Va detto che, in termini di
capacità militare, produzione di armamenti e disponibilità di equipaggiamenti
la Russia avrebbe un’autonomia di almeno un anno. Il che si potrebbe tradurre
in uno scenario di guerra molto più duraturo di quanto non ci sarebbe aspettsti
all’inizio del conflitto con tutte le incognite del caso, incluso il ruolo
giocato da potenziali combattenti stranieri. Meno preoccupante dovrebbe essere
invece, ma il condizionale è d’obbligo, il ricorso all’armamento nucleare,
previsto dalla dottrina russa solo a determinate condizioni che, al momento,
non sono all’orizzonte (rischio esistenza dello stato o disfatta militare).
Svezia e Finlandia nella NATO? Pro e contro di un
allargamento
Dobbiamo essere molto cauti nel valutare pro e contro di
questo processo di allargamento della Nato. Una valutazione complessiva deve
tener conto di tre elementi cardine: il primo è il maggior onere per l’Alleanza
atlantica, i cui confini di prossimità con la Russia aumenterebbero, e con loro
anche lo sforzo in termini contributi militari, a cui solo in parte Svezia e
Finlandia riusciranno a compensare. Dall’altro lato, questo è il secondo punto,
è indubbio l’indebolimento oggettivo a cui la Russia sta andando incontro: un
indebolimento politico ed economico di medio-lungo periodo che sarà difficile
da recuperare. Infine, terzo elemento, va tenuto conto del non facile processo di
adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, la cui praticabilità passa attraverso
il consenso unanime degli alleati, e la Turchia ha già manifestato le proprie
riserve in merito: questo non vuol dire che i due nuovi paesi non saranno
ammessi, ma è certo che ciò avverrà a conclusione di trattative e negoziati che
Ankara non mancherà di mettere sul tavolo, anche in virtù dei vantaggi e delle
opportunità di un dialogo parallelo tra Russia e la stessa Turchia.
curato dall’Osservatorio REACT e pubblicato da START InSight
Intervengono Angelino Alfano, Presidente della Fondazione Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio REACT Chiara Sulmoni, giornalista e analista, START InSight Andrea Molle, docente di Scienze Politiche, Chapman University Modera Mattia Caniglia responsabile del Desk Geopolitica e Sicurezza della Fondazione De Gasperi
Con il conflitto tra Russia
e Ucraina giunto a quasi un mese e mezzo dal suo inizio è possibile esprimere
alcune considerazioni, e soprattutto formulare alcune ipotesi, riguardanti una
dimensione alquanto misconosciuta, anche da parte di alcuni addetti ai lavori,
nel dibattito in corso sulle attività belliche in corso: quella relativa al
livello operativo della pianificazione e della condotta della campagna militare
russa. A tale riguardo è bene ricordare come le moderne dottrine militari
identificano nel livello operativo una dimensione intermedia tra quella
strategica, superiore, che attiene alla definizione e al perseguimento degli
scopi generali della guerra, e quella tattica, inferiore (beninteso, non per
importanza) che attiene specificamente all’impiego delle forze in
combattimento. Il livello operativo, relativamente recente rispetto a quelli
strategico e tattico, ambiti tradizionali nello studio e nell’interpretazione
dell’arte della guerra fin dai secoli più remoti, è stato introdotto a partire
tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo anche grazie allo sviluppo concettuale
che si svolse su questo tema negli anni ’20 e ’30 dello scorso secolo in Unione
Sovietica.
I dubbi
sugli obiettivi operativi della campagna russa
Il ripiegamento delle
forze russe dai settori nord (area di Kiev) e nord-est (aree di Chernihiv e
Sumy), completato negli ultimi giorni dopo una prolungata fase di logoramento,
sta facendo sorgere molti quesiti riguardanti quali siano i reali obiettivi
operativi della campagna russa in Ucraina (secondo diversi analisti essi sono
significativamente cambiati rispetto al suo inizio), soprattutto tenendo
presente che questi sono sempre, e necessariamente, strettamente correlati a
quelli fissati a livello strategico. Infatti, lo scopo precipuo della
pianificazione e dell’impiego delle forze a livello operativo è quello di
condurre “campagne” indirizzate al conseguimento degli obiettivi strategici
generali del conflitto.
Errore strategico russo: successo
iniziale ma pochi soldati
Un elemento fondamentale,
materializzatosi concretamente dopo oltre 5 settimane di guerra, ma facilmente
prevedibile anche prima del suo inizio, è quello relativo ai rapporti di forze
complessivi. Dalle fonti più accreditate risulta che le forze terrestri russe
lanciate nell’offensiva ammontino all’equivalente di circa 115 gruppi tattici di
manovra a livello di battaglione, per un totale di 175.000-190.000 uomini,
affiancati da due corpi d’armata delle repubbliche separatiste di Lugansk e
Donetsk, con altre circa 20.000 effettivi. Dal canto suo, l’esercito regolare ucraino
contava già da prima del conflitto (secondo l’ordine di battaglia riferito al
2016) su un totale di 23 brigate di manovra (meccanizzate, motorizzate,
corazzate, d’assalto aereo e di fanteria di marina) cui si aggiungono numerosi
altri battaglioni indipendenti (“separati” secondo la terminologia organica
russo-ucraina) per un totale di 125.600 effettivi nell’esercito e altri circa
20.000 nelle forze aviotrasportate (che costituiscono una forza armata
indipendente). A questa forza già considerevole si aggiungono 11 brigate e 13
reggimenti della Guardia Nazionale, una componente definita “paramilitare” ma
che all’atto pratico dispone di materiali e capacità del tutto equiparabili
alle formazioni da combattimento regolari, insieme alle unità speciali della
polizia, per un totale di altri 102.000 uomini (dati tratti dalla pubblicazione
“Military Balance” 2021).
In esito a ciò, per quanto riguarda le
forze terrestri, è di tutta evidenza l’assenza di un rapporto di forze
favorevole, da parte russa, per la condotta di un’invasione su vasta scala
dell’Ucraina, anche se limitata alla sua parte orientale. Da un punto di vista
puramente militare, quindi, le operazioni offensive condotte dalle truppe di
Mosca sono iniziate (e sono tutt’ora in corso) in condizioni tutt’altro che
favorevoli, se non addirittura proibitive, da questo punto di vista. La proiezione,
insita nell’immaginario collettivo occidentale, delle forze quantitativamente
schiaccianti che “l’orso russo” ha tradizionalmente messo in campo nella storia
delle guerre che lo hanno visto protagonista, è quindi piuttosto distante dalla
attuale realtà dei fatti se è vero che l’esercito russo nel suo complesso conta
in totale su circa 280.000 effettivi (dati Military Balance 2021). Alla luce di
ciò, è anche possibile concludere che le avanzate, tutt’altro che trascurabili,
realizzate dalle forze russe nei primi giorni della campagna, soprattutto nel
settore sud, (di oltre 200 Km, ad esempio, sulle direttrici di Zaporozhie e
Mariupol) sono da considerare di tutto rilievo e relativamente sorprendenti. Di
fatto, solamente una decisione presa
d’imperio dal vertice politico, molto probabilmente basata su presupposti che
andavano ben al di là delle condizioni puramente strategico-militari,
nettamente non favorevoli, ha potuto giustificare l’inizio di un’impresa molto
rischiosa e sicuramente densa di insidie come gli sviluppi sul campo si
stanno incaricando di dimostrare.
Errore operativo russo: troppe
direttrici di attacco, ma coerente con la dottrina
Sulla base di quanto esposto riguardo le
forze in campo, è dunque opportuno abbozzare alcune ipotesi riguardo il
“design” a livello operativo della campagna russa. Uno degli aspetti maggiormente
criticati è stato quello relativo ai molteplici assi d’attacco seguiti dalle
forze attaccanti, la pluralità dei quali non avrebbe consentito la
realizzazione di una gravitazione sufficiente a ottenere una superiorità di
forze decisiva in nessuno dei settori entro cui si sono sviluppati. Inoltre,
l’andamento ad ampio arco della linea di confine tra l’Ucraina, la Bielorussia
e la Russia, sommata alla scelta dello stato maggiore generale russo (organo di
vertice che sulla base del ben noto modello del “Generalstab” prussiano/tedesco
è quello deputato al pieno sviluppo della pianificazione a livello strategico-operativo)
di mettere in atto più sforzi offensivi, consente tutt’ora alle forze ucraine
il vantaggio della “manovra per linee interne”, mentre, specularmente, quelle
russe sono costrette allo svantaggio della “manovra per linee esterne”.
Tuttavia, un concetto operativo, come quello dei molteplici sforzi offensivi,
che intuitivamente e a una prima analisi è sembrato a giudizio di vari
commentatori un evidente errore di pianificazione e suddivisione delle forze, a
ben guardare è proprio dello schema tradizionalmente previsto da quella che era
“l’arte operativa” di scuola sovietica, il cui retaggio è ancora ben presente
nello stato maggiore generale di Mosca. Molte delle grandi operazioni offensive
condotte dall’Armata Rossa nella seconda guerra mondiale, dall’operazione
Uranus dell’autunno-inverno 1942-43, che portò alla vittoria di Stalingrado,
all’operazione “Bagration”, in Bielorussia, nell’estate 1944, fino ad arrivare
all’operazione “Berlin”, ossia l’offensiva finale che culminò con la caduta di
Berlino nella primavera del 1945, sono state condotte esattamente con uno modello
operativo che prevedeva più sforzi offensivi lungo altrettante direttrici
d’attacco. D’altro canto, sin dall’inizio dello scorso XX secolo (come
illustrato, ad esempio, in un articolo del 1921 da un ufficiale britannico, il
Lt.Col J.C. Dundas), era ben nota la differenza tra una campagna offensiva
condotta “per linee interne”, ossia lungo un singolo (o solo altri pochi e ben
coordinati, assi d’attacco) e quella invece sviluppata “per linee esterne”,
ossia su diverse e molteplici direttrici. Nel primo caso l’attaccante può
concentrare le proprie forze per penetrare rapidamente nel territorio
dell’avversario, dividerne le forze e godere del vantaggio di poter concentrare
le proprie risorse logistiche lungo poche e più ravvicinate linee di
comunicazione. Lo svantaggio è che anche il difensore può concentrare le sue
forze sulla singola direttrice d’attacco dell’avversario, e da ciò ne discende
che quest’ultimo deve poter contare su una significativa superiorità numerica
(concetto già valido di per sé come regola generale universalmente riconosciuta
in offensiva) per avere ragionevoli probabilità di prevalere. L’approccio
offensivo “per linee esterne”, invece, consente all’attaccante di costringere
il nemico a dividere le proprie forze, imponendogli il dilemma di dove
focalizzare le priorità per l’impiego di queste, e lasciandolo per quanto
possibile nell’indeterminatezza di capire quali siano realmente gli sforzi
offensivi principali del nemico. Tuttavia, una campagna offensiva sviluppata
con il secondo tipo di approccio crea la difficoltà di dover gestire diverse
linee di comunicazione, estese e molto più articolate rispetto a quelle
sufficienti a gestire un singolo asse di penetrazione, che sono necessarie per
l’alimentazione tattica e logistica delle forze in attacco, e presenta la
necessità, anche in questo caso, di una superiorità numerica idonea alla
realizzazione di una adeguata gravitazione su ogni singola direttrice.
Rapporto di forze sfavorevole
alla Russia
Sulla base di queste argomentazioni
teoriche, è possibile supporre che nel momento in cui il vertice
politico-strategico di Mosca ha imposto la sua volontà sull’inizio di
un’offensiva su larga scala per la conquista, posta come prioritaria, delle
aree meridionali dell’Ucraina, per realizzare la contiguità territoriale tra
Crimea e Donbass e occupare totalmente quest’ultima regione (basandosi, anche,
come insistono nell’affermare diversi analisti autorevoli, sull’ “assumption”
di uno sfaldamento in poco tempo dell’intero apparato politico-militare di Kiev
sotto i colpi delle prime, rapide operazioni), lo stato maggiore generale russo
ha dovuto forzatamente elaborare un disegno della campagna a livello operativo
in condizioni non favorevoli in termini di rapporti di forze sull’avversario.
In questo quadro, è possibile che nella visione dei pianificatori russi la
scelta, apparentemente più semplice, di lanciare un’offensiva “per linee
interne” su poche direttrici d’attacco tutte concentrate nel settore
meridionale, (dove peraltro era già schierato il meglio delle forze terrestri
ucraine), avrebbe consentito a sua volta all’avversario di concentrare le
proprie, non trascurabili, forze per contrastarlo efficacemente. Da qui,
probabilmente, la decisione di lanciare altri due attacchi, se non secondari
quantomeno “concorrenti”, a nord, lungo la sponda ovest del Dnepr (dove
peraltro il terreno è particolarmente difficile), su Kiev e a nord-est, lungo la
direttrice Sumy-Konotop-Nizhyn, verso i sobborghi orientali della capitale
ucraina. Su questi settori settentrionali potrebbe essersi anche innestato
l’obiettivo, altamente opportunistico, di provocare la caduta del governo
Zelensky dopo averlo sottoposto alla minaccia delle truppe di Mosca giunte sin
dalle prime ore dell’invasione a pochi Km da Kiev. Il recente, repentino,
ripiegamento delle forze russe dai settori nord e nord-est, pur pagato al
prezzo di un forte danno d’immagine, già scosso da “operazioni sulle
informazioni” ucraine aggressive e pervicaci sin dai primi giorni dell’invasione,
potrebbe essere un indicatore che effettivamente avvalora il quadro
tratteggiato secondo questi lineamenti.
Problemi logistici e resistenza
ucraina
Le comunque innegabili difficoltà delle
forze russe, incontrate in primo luogo nei settori nord e nord-est, che
probabilmente hanno determinato la decisione di ripiegare la gran parte delle
forze impiegate, deriverebbero da problematiche innescate proprio dai requisiti
richiesti da un disegno operativo “per linee esterne”. Le linee di
comunicazione che stanno alimentando gli sforzi offensivi russi sono estese per
centinaia di Km, dal territorio russo, già prima di oltrepassare il confine
ucraino, e soprattutto nel settore nord-est sono state per giorni soggette a
continui attacchi e minacciate dalle sacche di resistenza dove le unità
ucraine, seppur isolate, hanno continuato a operare con tenacia e abilità,
com’è accaduto in modo particolare a Chernihiv e Sumy. In aggiunta a ciò,
alcune criticità intrinseche al sistema logistico dell’esercito russo, che è
bene ricordare sta affrontando una campagna terrestre di così ampia portata per
la prima volta dal 1945, avrebbero già da sole provocato non pochi problemi.
Innanzitutto, la forte dipendenza dal trasporto ferroviario, e dalle relative
“teste di sbarco” in prossimità delle aree di operazioni, e una relativa
scarsità di reparti e organi logistici già nell’organico a livello di armata.
Questo fattore fondamentale, riferito alla logistica, enfatizzato da forze come
quelle russe altamente meccanizzate, sommato alle linee di comunicazione
“esterne”, numerose ed estese per poter alimentare i molteplici assi offensivi
previsti dal disegno operativo iniziale, potrebbe aver determinato il
raggiungimento del “punto culmine” dell’offensiva delle forze russe nella parte
settentrionale dell’Ucraina, e la conseguente necessità di ripiegarle per non
rischiare di perderne una parte significativa, anche di fronte a contrattacchi
ucraini che già si stavano manifestando in modo significativo.
Inizia la
terza fase offensiva russa
Dopo il
ripiegamento delle forze russe dai settori nord e nord-est la campagna è
entrata in una nuova fase (che potrebbe essere numerata come la terza
dall’inizio del conflitto) che dopo quella di attrito, prolungatasi per almeno
3-4 settimane, ora vede le truppe di Mosca cercare di applicare il principio
dell’economia delle forze (universalmente riconosciuto tra quelli fondamentali
dell’arte militare) per concentrare il massimo della potenza di combattimento
nei settori sud e sud-est, quelli verosimilmente riconosciuti, sin dall’inizio,
come prioritari. L’esito di questa ampia manovra, realizzata di certo dai russi
al fine di mantenere l’iniziativa operativa e strategica, non potrà che essere
fornito dalle inappellabili sentenze che il campo di battaglia emetterà nelle
prossime settimane.
Conferenza – Da Washington alla guerra in Ucraina. Le dimensioni della disinformazione
Una conferenza aperta al pubblico organizzata in collaborazione tra Università della Svizzera Italiana – ASIS Svizzera – START InSight
Giovedì 31 marzo dalle 18.00 alle 20.00 Aula A21 Palazzo rosso del Campus Ovest Università della Svizzera Italiana (Lugano)
Programma
Introduzione 18.00-18.15 Jean-Patrick Villeneuve Professore e Direttore dell’Istituto di comunicazione e politiche pubbliche, USI Luca Tenzi Security Strategist e Responsabile di ASIS Svizzera Italiana
Interventi
18.15-18.30 Andrea Molle (in collegamento) Docente di Scienze Politiche, Chapman University e ricercatore, START InSight L’uso strategico della disinformazione: dalle elezioni americane alla guerra in Ucraina L’intervento illustra i fondamenti dell’attività strategica di disinformazione, con particolare attenzione alle fake news e al memetic warfare, al fine di creare polarizzazioni e conflitti sociali ovvero supporto per attori statali e non statali impegnati in un conflitto. Gli esempi portati nella presentazione vanno dalle elezioni presidenziali americane del 2016 all’attuale conflitto in Ucraina e includono gli eventi che hanno condotto alla sommossa del 6 Gennaio 2021 a Capitol Hill (Washington DC).
18.30-18.45 Philipp Di Salvo (in collegamento) Ricercatore presso l’Istituto di Media e Giornalismo, USI e Visiting Fellow al Department of Media and Communications della London School of Economics and Political Science (LSE) Hacks e leaks: strategie cyber per il conflitto informativo L’intervento tratterà il ruolo generale degli hackers e delle fughe strategiche di notizie, degli attacchi informatici e dell’hacktivismo. Quella ucraina non è (ancora) una guerra cibernetica, ma il conflitto sta offrendo spunti interessanti sull’uso delle strategie informatiche da parte di diversi attori, specialmente quando si tratta di hack & leak e del ruolo dei giornalisti / media.
18.45-19.00 Claudio Bertolotti Analista strategico e Direttore di START InSight I foreign fighters nel conflitto ucraino La guerra in Ucraina sta mobilitando combattenti stranieri su entrambi i fronti, suscitando interrogativi che vanno dalla legalità della loro partecipazione a operazioni militari all’estero, alla natura della guerra, al rischio rappresentato dai foreign fighters legati a gruppi estremisti violenti. L’intervento spiegherà la situazione attuale e le prospettive future.
19.00-19.15 Chiara Sulmoni (in presenza) giornalista, analista START InSight I nuovi orizzonti della radicalizzazione e dell’estremismo Negli ultimi anni instabilità politica, crisi e pandemia hanno portato a una crescita della polarizzazione sociale e degli estremismi violenti di ogni orientamento. L’intervento dà conto di questo contesto generale -presentato anche nel Rapporto #ReaCT sul Terrorismo e il Radicalismo in Europa 2022- dentro il quale si inserisce oggi il richiamo esercitato della guerra in Ucraina -con le sue narrative- sui militanti.
19.15-19.30 Conclusioni generali
19.30 Dibattito con il pubblico presente in sala
Potete partecipare alla conferenza anche da remoto collegandovi con questo link
Allentato l’assedio a Kiev? Mosca guarda a sud. Il commento di C. Bertolotti. RaiNews 24, 24 2022
Le forze armate ucraine sfondano la sottile linea d’assedio dei russi a nord-ovest di Kiev imponendo un arretramento alla 35a armata combinata russa, schierata in posizione difensiva (e non offensiva). Grande impatto emotivo e mediatico, ma i russi mantengono l’iniziativa sul fronte più importante, quello meridionale dove, con la caduta di Mariupol, Mosca ottiene la continuità territoriale dalla Crimea al Donbass.
In attesa dei rinforzi provenienti dai distretti orientali e con la riorganizzazione delle forze in campo rimane incerto l’esito di un conflitto che le sole forze ucraine non potranno risolvere attraverso una controffensiva: mancano le forze, i mezzi e le risorse. Al contrario, gli ucraini hanno la sola capacità di rallentare le operazioni russe.
Il commento di Claudio Bertolotti ospite di RaiNews 24; puntata del 24 marzo 2022.
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