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Droni di Kiev su Mosca: una pressione sugli USA? Il commento al TG RSI.

Claudio Bertolotti (StartInsight) al TG della Radio e Televisione Svizzera Italiana, intervistato da Gianmaria Giulini

Vai al video sul sito della Radio e Televisione della Svizzera italiana (edizione del 9 agosto 2023)

Colpire la capitale russa con i droni non cambia il bilanciamento militare, ma ha un impatto psicologico e diplomatico

RSI – Svizzera, 9 agosto 2023. La strategia ucraina di aumentare gli attacchi con droni su Mosca e sul territorio russo, preannunciata il 30 luglio dal presidente Zelensky “è una strategia efficace a basso costo, manda un messaggio politico di forte impatto psicologico sulla popolazione moscovita, che è lontana dalla guerra, perché la maggior parte delle reclute mobilitate fino ad ora viene da distretti orientali e periferici del paese”. Lo dice al Telegiornale RSI il direttore di StartInsight Claudio Bertolotti.

Difficilmente attaccare la capitale russa e le forze armate di Mosca con droni determinerà una svolta sul campo di battaglia, ma ha un impatto sui russi e su chi sostiene Kiev. Come contropartita alla riduzione delle sue azioni sul suolo russo, Zelensky può chiedere ai suoi sostenitori – cominciando dagli USA – di fornirgli piu armamenti. E gli USA probabilmente lo ascolteranno perché non vogliono una guerra totale con il Cremlino.

Quanti sono stati gli attacchi dell’Ucraina sul suolo russo?

L’Ucraina celebra gli attacchi su suolo russo, ma non ne conferma mai la paternità, cioè  non rivendica ufficialmente le azioni. Questo per ovvie ragioni di opportunità: l’obiettivo è non garantire alla Russia l’escamotage formale di dirsi attaccata sul proprio suolo, il che le potrebbe anche consentire di sdoganare l’opzione atomica.

Possiamo contare alcune decine di attacchi diretti in territorio russo, prevalentemente attacchi con droni, che hanno colpito obiettivi, da un lato simbolici, nel cuore di Mosca, che si contrappongono agli obiettivi militari propriamente detti: infrastrutture, ponti, depositi di carburante, linee ferroviarie e aeroporti.

Tra i principali attacchi ricordiamo l’azione condotta con elicotteri da combattimento, nell’aprile del 2022, contro un deposito di carburanti russo vicino al confine con l’Ucraina; l’attacco missilistico sulla nave ammiraglia russa del Mar Nero, sempre ad aprile; l’attacco partigiano alla base aerea russa in Crimea, nell’agosto dello stesso anno; l’autobomba vicino a Mosca, in cui ha trovato la morte la figlia dell’ideologo Dugin, vicino a Putin; e ancora, ad ottobre, l’esplosione del ponte di Crimea; e poi, gli attacchi con droni marittimi, aerei contro infrastrutture logistiche, depositi di carburanti, ecc…

La guerra sta tornando sul territorio russo, questo è un processo inevitabile?

L’obiettivo che possiamo ritenere più logico è quello di imporre un aumento della pressione psicologica sull’aggressore che, in questo modo, viene colpito in casa propria. È un messaggio politico dal forte impatto psicologico su una popolazione – quella moscovita in particolare – che è la più lontana dal coinvolgimento diretto della guerra. La maggior parte delle reclute mobilitate viene dai distretti orientali e periferici, non da quelli della Russia occidentale.

Cosa cambia con questi attacchi per l’Occidente? Cosa si rischia?

Potremmo dire che non cambia lo stato delle cose, almeno in Europa. Quello che pesa, in primo luogo, è lo sviluppo della campagna elettorale per l’elezione del presidente degli Stati Uniti. Biden si trova in una scomoda situazione: è sotto il fuoco incrociato di chi vuole sostenere l’Ucraina e di chi invece vorrebbe ridurre il coinvolgimento di Washington in una guerra europea. Comunque si muova le critiche nei suoi confronti non mancheranno. È per questo motivo che il tema “guerra in Ucraina” sarà per quanto possibile evitato, o limitato al minimo indispensabile, nei vari comizi e incontri pubblici.

Attaccare il territorio russo significa oltrepassare una linea rossa?

È una linea rossa, un cambio di equilibri e di postura, ma difficilmente determinerà una svolta sul campo di battaglia. L’effetto è sul piano psicologico, di chi viene colpito, dunque i russi, ma anche di chi sostiene Kiev, in primis gli Stati Uniti, che saranno spinti, nelle intenzioni di Zelenski, ad aumentare il sostegno militare come contropartita alla riduzione di azioni di questo tipo su suolo Russo. Washington non vuole un’escalation, come non vuole un cambio di regime in Russia, che potrebbe aprire a uno scenario politico peggiore di quello attuale.


Guerra in Ucraina: attacchi a Mosca e rallentamento dell’offensiva (SKY TG24)

di Claudio Bertolotti

Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a SKY TG24 Mondo (puntata del 1° agosto 2023, ore 19.30), ospite di Roberto Tallei: video disponibile al seguente LINK.

Nuovo attacco con i droni a Mosca. Due edifici sono stati danneggiati ma non ci sono feriti: è l’ultimo di una serie di attacchi simili. Rallenta l’offensiva Ucraina e tengono le difese russe. Sempre più tiepido il sostegno statunitense: la priorità sono le elezioni presidenziali. Questi i temi affrontati dal Direttore Claudio Bertolotti a SKY TG24.

A quale scopo Kiev aumenta gli attacchi su Mosca?

L’obiettivo che possiamo ritenere più logico è quello di imporre un aumento della pressione psicologica sull’aggressore che, in questo modo, viene colpito in casa propria. È un messaggio politico dal forte impatto emotivo su una popolazione – quella moscovita in particolare – che è la più lontana dal coinvolgimento diretto della guerra. La maggior parte delle reclute mobilitate viene dai distretti orientali e periferici, non da quelli della Russia occidentale. E dunque colpire <Mosca significa arrivare dritti al cuore della capitale dove le decisioni sulla guerra vengono prese e più forte è la pressione dei cittadini sulla classe politica. Obiettivi civili, più facili da colpire rispetto a quelli militari o istituzionali, e volti a dimostrare l’incapacità della difesa russa.

Perché prima Kiev li negava e ora li rivendica mentre Mosca prima minimizzava e ora denuncia?

Ora Kiev ha capito che il sostegno dell’Occidente non è una cambiale in bianco illimitata. Al contrario, come dimostrano gli aiuti generosi ma limitati nel tempo e nella tipologia da parte di Washington, parliamo di un supporto che potrebbe ridursi sempre più, almeno da un punto di vista di numeri e qualità degli armamenti forniti. Questo è chiaro a Zelenski, che non può che azzardare nel fare ciò che gli Stati Uniti gradiscono meno, ossia colpire i russi in casa. Di fatto l’Ucraina sta mettendo gli stati Uniti di fronte a un’opzione obbligata: continuare a sostenere militarmente, in maniera massiccia, l’esercito di Kiev o sopportare l’insubordinazione ucraina che, colpendo sempre più Mosca (e non la Russia in generale) ma solo la capitale, metterà in difficoltà un candidato presidente – Biden in questo caso – che nel pieno della campagna elettorale dovrà rispondere dell’operato ucraino e dell’oneroso sostegno a Kiev che grava sulle tasche del contribuente statunitense.

Mosca non può più far finta di nulla o minimizzare con la propria opinione pubblica

Mosca è abituata ed è strutturata per gestire l’opinione pubblica. Oggi più che mai la repressione sulla comunicazione ha un ruolo determinante per garantire nella forma e nella sostanza il sostegno, o comunque l’assenza di opposizione, al Cremlino. La cosa ci può preoccupare, ma non ci sorprende. Ma l’aspetto ancora più importante, al di la del minimizzare, è la consolidata capacità di trasformare gli eventi descrivendoli come “atti terroristici” da parte di Kiev, cercando così di rafforzare una narrazione basata sulla pericolosità di un’Ucraina fuori dal rapporto di amicizia, ossia dal controllo effettivo, di Mosca

Gli alleati (USA in primis) sono piuttosto freddi, se non apertamente contrari: cosa si rischia?

Quello che pesa, in primo luogo, è lo sviluppo della campagna elettorale per l’elezione del presidente degli Stati Uniti. Biden si trova in una scomoda situazione: è sotto il fuoco incrociato di chi vuole sostenere l’Ucraina e di chi invece vorrebbe ridurre il coinvolgimento di Washington in una guerra europea. Comunque si muova le critiche nei suoi confronti non mancheranno. È per questo motivo che il tema “guerra in Ucraina” sarà per quanto possibile evitato, o limitato al minimo indispensabile, nei vari comizi e incontri pubblici.

Quanto può durare ancora la controffensiva ucraina e cosa succederà se non porterà a risultati concreti?

L’offensiva di fatto ha perso la spinta iniziale e questo in conseguenza, della capacità di difesa russa e della limitata disponibilità di equipaggiamento da combattimento. Prima dell’attuale fase possiamo dire che la capacità di Kiev fosse sufficiente per garantire una difesa, tuttalpiù la possibilità di condurre azioni di contrattacco mirate, ma limitate. Ora, con le perdite al fronte, è verosimile valutare come altamente improbabile la conquista di territori in profondità e lo scardinamento del sistema difensivo dei russi. Di fatto riproponendo lo scenario di una guerra di logoramento così come l’abbiamo conosciuta a partire dal luglio dello scorso anno. C’è un aspetto importante da ricordare: ossia che le capacità militari ucraine non sono infinite, tutt’altro, e che queste dipendono in toto dagli Stati Uniti che, come abbiamo detto, hanno perso l’iniziale entusiasmo e cominciano a guardare con preoccupazione ai consumi di una guerra di logoramento che va avanti da quasi un anno e mezzo e, alle condizioni attuali, potrebbe durare almeno altrettanto.

Dunque, se è vero che la questione è politica, è però anche vero che ci sono dei problemi logistici e di approvvigionamento. Di fatto si sta consolidando la convinzione della scarsità di munizionamento negli arsenali statunitensi e della NATO. In questo quadro, fornire il necessario a Kiev, rileva Andrea Molle, indebolirebbe le capacità americane di far fronte ad altre esigenze e, al contempo, nel mantenere delle riserve necessarie in caso di estensione del conflitto alla Nato.