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Corso ISPI “Prevenire la guerra: quale modello di Difesa?”

Il nuovo corso dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI, Milano) avrà luogo il 7 e l’8 marzo 2025

Chi si iscrive entro il 15 dicembre 2024 può beneficiare della quota agevolata

LINK PER L’ISCRIZIONE

“In un mondo sempre più complesso e interconnesso, comprendere le dinamiche della difesa è cruciale per garantire la sicurezza e la stabilità internazionale. Questo corso si propone di esplorare i modelli di difesa più attuali, analizzando sia le realtà nazionali che le prospettive europee.”

Vedi qui la presentazione completa del corso e dei suoi contenuti

PROGRAMMA DEL 7 MARZO 2025

9.00-10.00

La Difesa italiana

Struttura, costi, funzionamento e impiego

Claudio Bertolotti, START InSight e ISPI

10.00-11.00

La Difesa integrata europea

Lo Strategic Compass tra ambizioni e criticità

Claudio Bertolotti

11.15-12.15

Il concetto strategico del Capo di Stato Maggiore della Difesa

Claudio Bertolotti

12.15-13.15

Lo sviluppo di un’Europa della Difesa tra ambizioni e criticità

Sonia Lucarelli, Università degli studi di Bologna

14.15-15.15

Il ruolo della NATO nella Difesa europea

Una prospettiva politica

Sonia Lucarelli

15.15-16.15

La dimensione cyber della Difesa I

Giampiero Giacomello, Università di Bologna

16.30-17.30

La dimensione cyber della Difesa II

Giampiero Giacomello

PROGRAMMA DELL’8 MARZO 2025

9.00-10.00

La politica industriale della Difesa I

Nicolò Petrelli, Università degli studi Roma tre

10.00-11.00

La politica industriale della Difesa II

Nicolò Petrelli

11.15-12.15

Gli attori privati come componente integrata della Difesa I

Stefano Ruzza, Università degli studi di Torino

12.15-13.15

Gli attori privati come componente integrata della Difesa II

Stefano Ruzza


La strategia russa: offensiva (azione e interferenza), difensiva e deterrente. Diplomazia digitale, guerra informatica e intelligenza artificiale nella competizione globale.

di Claudio Bertolotti.

Abstract

Questo articolo esplora la strategia russa di diplomazia digitale, guerra informatica e uso dell’intelligenza artificiale (AI) come strumenti fondamentali nella competizione globale. La soft diplomacy russa, inizialmente accolta con favore, ha subito evoluzioni altalenanti a causa di campagne informative che hanno danneggiato l’immagine internazionale del paese. Negli ultimi anni, la Russia ha sviluppato una “diplomazia digitale” per influenzare l’opinione pubblica internazionale, sfruttando strumenti come i social media per diffondere messaggi polarizzanti e notizie alternative. Parallelamente, il paese ha potenziato le sue capacità di guerra informatica, considerandola una componente essenziale delle operazioni di informazione e un mezzo per raggiungere un equilibrio militare asimmetrico contro l’Occidente. L’uso dell’AI amplifica queste operazioni, consentendo la creazione di disinformazione su vasta scala e potenziando tecniche di spionaggio e attacchi cibernetici, con l’obiettivo di destabilizzare gli avversari e consolidare l’influenza russa a livello globale.

Soft diplomacy pubblica, diplomazia digitale e operazioni informatiche

All’inizio del 21° secolo, l’affermarsi della soft diplomacy pubblica russa è stata accolta con ottimismo sia dagli analisti che dall’opinione pubblica internazionale. Tuttavia, successivamente, la diplomazia pubblica russa ha attraversato diverse fasi altalenanti a causa di campagne informative che hanno danneggiato l’immagine della Russia a livello globale, in particolare dopo il conflitto russo-georgiano del 2008.

Negli ultimi anni, l’avanzamento delle tecnologie dell’informazione e la crescente diffusione dei social media hanno introdotto la cosiddetta “diplomazia digitale”. Questa forma di comunicazione, lanciata per la prima volta dall’amministrazione Obama, consiste in un dialogo diretto tra i governi e la comunità degli utenti Internet, conosciuta come netizen o cybercittadini, con l’obiettivo di influenzare l’opinione pubblica. Inizialmente, la diplomazia digitale è stata apprezzata per la sua capacità di esercitare un impatto significativo sull’opinione pubblica internazionale durante i conflitti, grazie a strategie di comunicazione mirate, guerra psicologica e operazioni online.[1] Tuttavia, ben presto si è rivelato l’aspetto negativo della diplomazia digitale, soprattutto quando alcuni regimi autoritari hanno utilizzato le risorse di Internet per manipolare il traffico online, con l’obiettivo di ostacolare i gruppi dissidenti e l’opposizione politica.[2]

Un altro aspetto significativo legato al progresso digitale dell’informazione è l’uso crescente della guerra dell’informazione, ora potenziata dall’intelligenza artificiale, che è diventata un fattore cruciale nel raggiungimento di obiettivi strategici.[3]

La strategia e la dottrina russe hanno sempre attribuito grande importanza alla sicurezza informatica e alle operazioni cibernetiche, considerandole una parte essenziale delle più ampie operazioni di informazione. Questo approccio rende spesso indistinguibile la linea di confine tra capacità militari e civili, poiché entrambe collaborano all’interno della strategia nazionale complessiva. Le principali agenzie informatiche russe, infatti, partecipano attivamente, anche ai più alti livelli, all’interno del Consiglio di sicurezza del governo, che include membri come il ministro della Difesa, il capo del Servizio di sicurezza federale (FSB) e il capo di stato maggiore generale.

La dottrina militare del 2015, che ha preceduto la dottrina per la sicurezza informatica del 2016, sottolinea l’importanza della protezione dello spazio cibernetico come parte integrante della sicurezza nazionale russa, affidando questo compito alle forze armate. In linea con questa dottrina, nel 2017 la Russia ha istituito “unità per le operazioni di informazione”, inizialmente concepite per la difesa del cyberspazio, ma che hanno rapidamente assunto un ruolo più ampio, includendo attività di informazione tradizionali e operazioni psicologiche. La “Direzione Principale dello Stato Maggiore” (GU), precedentemente nota come GRU, insieme ai suoi comandi subordinati, come l’85° Centro Servizi Speciali Principali (Unità 26165) e il 72° Centro Servizi Speciali (Unità 54777), sotto il diretto controllo del capo di stato maggiore delle forze armate russe, è considerata l’entità principale responsabile delle operazioni cibernetiche offensive e di influenza.

Figura 1. Evoluzione della Diplomazia russa e delle operazioni informatiche.

Il grafico in Figura 1 rappresenta l’evoluzione della diplomazia russa e delle operazioni informatiche, mostrando come queste siano diventate sempre più influenti nel tempo. Le fasi temporali sono così illustrate:

Prima fase: inizio del 21° secolo – Introduzione della soft diplomacy pubblica.

Seconda fase: 2008-2012 – Sviluppo della diplomazia digitale e delle prime operazioni informatiche, specialmente dopo il conflitto russo-georgiano.

Terza fase: 2013-Presente – Consolidamento e intensificazione delle operazioni informatiche e dell’influenza attraverso la diplomazia digitale, potenziate dall’intelligenza artificiale.

Il grafico evidenzia un aumento progressivo del livello di influenza di queste strategie nel contesto globale.

La diplomazia pubblica della Russia: tra strategia e meccanismi

La diplomazia pubblica russa contemporanea si fonda sulla strategia di politica estera delineata nel 2013. In un articolo intitolato “Russia and the Changing World“, pubblicato nel febbraio 2012, il presidente russo Vladimir Putin ha definito il soft power come un insieme di strumenti e metodi per conseguire obiettivi di politica estera senza ricorrere all’uso di armi o altre forme di pressione, con un’enfasi particolare sull’utilizzo della leva finanziaria.[4]  In linea con questa visione, il “Concetto di politica estera della Federazione Russa”, approvato da Putin nel febbraio 2013, dichiara che il soft power, un insieme completo di strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di politica estera basato sul potenziale della società civile, dell’informazione, e su metodi e tecnologie culturali alternativi alla diplomazia tradizionale, è diventato una componente essenziale nelle relazioni internazionali contemporanee.

Tuttavia, l’intensificazione della competizione globale e l’aumento del rischio di crisi possono talvolta portare a un uso distorto e illegale del soft power e dei diritti umani «per esercitare pressioni politiche sui paesi sovrani, interferire nei loro affari interni, destabilizzare la situazione politica e manipolare l’opinione pubblica, anche attraverso il finanziamento di progetti culturali e sui diritti umani».[5] La citazione inquadra molto bene l’atteggiamento della Russia verso il concetto di soft power, inteso come motore delle cosiddette “rivoluzioni colorate” e delle attività dell’Occidente che la Russia considera sfavorevoli per sé stessa. Russia che, nello sviluppo della propria diplomazia pubblica, ha fatto ampio utilizzo degli strumenti d’influenza per condizionare la vita politica di paesi terzi.[6]

Con queste ambizioni, nel 2010 la Russia ha creato due agenzie diplomatiche: il “Russian World”, focalizzato sulla diffusione della lingua russa, e il “Fondo Alexander Gorchakov per la Diplomazia Pubblica”. Inoltre, già nel 2008, all’interno del ministero degli Affari Esteri era stata istituita la Divisione Rossotrudnichestvo, l’Agenzia federale responsabile degli affari della Comunità degli Stati Indipendenti, dei compatrioti all’estero e della cooperazione umanitaria internazionale. Questa agenzia si occupa dei russi e delle comunità di lingua russa all’estero. Nel 2020, Rossotrudnichestvo ha ampliato la sua struttura aggiungendo dipartimenti dedicati all’informazione e alla sicurezza informatica, alla scienza e all’istruzione, e agli aiuti esteri.

Nel complesso, l’approccio russo alla diplomazia pubblica mostra una continua evoluzione nella comunicazione strategica e nel marketing politico di Mosca, in cui strumenti come messaggi mirati, tweet, e il coinvolgimento del pubblico diventano sempre più centrali, sia nella comunicazione tradizionale che in quella digitale.[7]

L’influenza russa attraverso la diffusione di informazioni è limitata dalla scarsa accessibilità e penetrazione dei contenuti in lingua russa, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Per superare questo ostacolo, la Russia sta efficacemente potenziando le sue capacità di azione e penetrazione nel cyberspazio. Considerando le pressioni politiche e l’inefficacia della diplomazia culturale tradizionale russa, è la diplomazia digitale e dei dati che viene utilizzata come strumento per diffondere “notizie alternative” nei paesi di interesse per il Cremlino. In questo contesto, i messaggi politici e le comunicazioni divisive sono mirati a polarizzare le opinioni pubbliche nazionali tramite social network come Facebook, Twitter e YouTube, utilizzati come strumenti di guerra informativa da utenti registrati in Russia.[8] Attraverso questi strumenti, la diplomazia pubblica russa ha intensificato i suoi sforzi durante la pandemia da Covid-19, sfruttando il supporto umanitario russo per presentarsi in modo credibile alle opinioni pubbliche straniere. Paesi come la Serbia nei Balcani, la Siria in Medio Oriente, il Venezuela in America Latina e persino l’Italia nell’Unione Europea hanno ricevuto aiuti russi, la cui portata è stata promossa sui social network attraverso una campagna propagandistica ben organizzata ed efficace.

Information warfare, artificial intelligence e la competizione con la Nato

Come discusso, la Russia percepisce l’Occidente come una minaccia. Questo punto di vista è stato ribadito dal capo di stato maggiore generale delle forze armate russe, Valery Gerasimov, nell’aprile 2019, quando ha sottolineato il pericolo rappresentato dall’espansione della NATO verso i confini russi e dai tentativi occidentali di destabilizzare il governo del presidente Putin attraverso l’uso della “guerra ibrida”.[9]

Questa percezione è ulteriormente rafforzata dalla consapevolezza della debolezza delle forze armate convenzionali russe, ritenute non sufficientemente preparate per affrontare un eventuale conflitto con la NATO. I vertici militari russi credono fermamente che sia essenziale evitare una guerra convenzionale, preferendo spostare il confronto sul piano cibernetico per raggiungere un equilibrio militare asimmetrico. Questa strategia è attivamente perseguita dal Cremlino per garantire alla Russia un vantaggio militare capace di contrastare le ambizioni dell’Alleanza Atlantica, senza dover ricorrere all’uso della forza cinetica convenzionale.

L’approccio russo può essere descritto come una forma di “dissuasione strategica”, o come ha indicato lo stesso Gerasimov, una “strategia di difesa attiva”, nota in Occidente come “guerra ibrida” o “attività sotto soglia”. Questo concetto si basa su operazioni non cinetiche mirate a indebolire, nel lungo termine, i potenziali avversari durante il tempo di pace, creando divisioni politiche e sociali al loro interno per minare la risolutezza e la capacità decisionale strategica dello Stato bersaglio. Gli obiettivi principali sarebbero i paesi fortemente anti-russi, in particolare quelli situati sul fianco orientale della NATO, dove la Russia potrebbe concentrare un’intensa guerra d’informazione per provocare cambiamenti politici significativi. In questo modo, la Russia potrebbe perseguire la sua dottrina di “autoaffermazione sovrana” e ottenere maggiore libertà di azione in regioni critiche come la Siria, il Medio Oriente e l’Africa. Queste misure preventive potrebbero anche servire a ostacolare qualsiasi decisione collettiva della NATO, compresa l’eventualità di un intervento diretto contro Mosca.[10]  In linea con questa lettura, in occasione dell’avvio della guerra russo-ucraina nel febbraio 2022 è stata registrata un’ondata di azioni per penetrare le reti della Nato all’inizio del conflitto, una precauzione ragionevole dal punto di vista russo, dato il timore di un possibile intervento dell’Alleanza a supporto di Kiev.

Information Warfare e Intelligenza Artificiale (AI)

Come già menzionato, Gerasimov ha sottolineato l’importanza crescente dell’informazione per neutralizzare gli oppositori dello Stato, sia interni che esterni. Secondo Gerasimov, «le tecnologie dell’informazione» stanno diventando «uno dei tipi di armi più promettenti» da impiegare contro altri paesi. Per questo motivo, egli afferma che «lo studio dei temi legati alla preparazione e alla conduzione delle azioni di informazione è il compito più importante della scienza militare».

Con questo approccio, la Russia ha dato priorità allo sviluppo di operazioni informative avanzate piuttosto che all’espansione di armi convenzionali, come carri armati o sistemi missilistici, poiché oggi le “tecnologie dell’informazione” possono essere notevolmente potenziate dall’intelligenza artificiale (AI).[11] Il pensiero delle forze armate russe riguardo allo sviluppo e all’impiego dell’intelligenza artificiale in ambito militare si focalizza sui vantaggi che essa può offrire nel supporto alle operazioni militari. Questi vantaggi spaziano dal miglioramento dei sistemi autonomi e di altre tecnologie militari fino alla gestione dell’informazione, in particolare a livello strategico globale. In questo contesto, l’intelligenza artificiale agisce come un amplificatore, potenziando le operazioni di disinformazione attraverso la diffusione intenzionale di notizie false e ingannevoli, con l’obiettivo di influenzare politiche e società e di creare instabilità su larga scala mediante la manipolazione delle informazioni e attività cibernetiche.[12]

Durante la crisi in Ucraina, la Russia avrebbe messo in atto un’ampia campagna di operazioni informative mirate a influenzare l’opinione pubblica e a creare confusione nello spazio dell’informazione, diffondendo una combinazione di informazioni vere, parzialmente vere e false per renderle credibili. Un esempio significativo di questi sforzi è rappresentato dai più di 65.000 tweet diffusi da falsi account russi nelle ventiquattr’ore successive all’abbattimento del volo MH-17 della Malaysia Airlines il 17 luglio 2014, con l’obiettivo di attribuire la colpa dell’incidente al governo ucraino. Inoltre, durante l’annessione della Crimea, le forze russe avrebbero oscurato nove canali televisivi ucraini in Crimea, sostituendoli con emittenti televisive russe per silenziare i media filo-governativi ucraini:[13] un fatto che confermerebbe la condotta di azioni di guerra elettronica (Electronic warfare, EW) come fattore abilitante per le operazioni di informazione.[14]

Le azioni menzionate evidenziano la determinazione della Russia a migliorare e intensificare le proprie capacità nel contesto della guerra informatica, che all’interno della dottrina militare russa è considerata una componente della più ampia guerra dell’informazione. La minaccia strategica posta dalla guerra informatica potenziata dall’intelligenza artificiale sarà particolarmente pericolosa, poiché gli strumenti informatici diventeranno sempre più capaci di generare disinformazione dettagliata e credibile (inclusi i “deep fake[15]) in volumi tali da rendere estremamente difficile distinguere la verità reale da un’enorme quantità di informazioni contrastanti.[16] L’AI consentirà di saturare lo spazio informativo con dati artificiali, creando una “verità virtuale” che potrà confondere e destabilizzare gli avversari, aprendo la strada a una possibile “guerra cognitiva” che la Russia potrebbe dominare.

Un altro aspetto cruciale della guerra informatica riguarda il piano tecnico: lo spionaggio, l’installazione di malware, la distruzione selettiva e, in particolare, la ricerca di vulnerabilità nei sistemi informatici degli avversari. Con l’avvento dell’AI, queste tecniche cibernetiche diventeranno sempre più efficaci, permettendo di individuare le debolezze dei sistemi IT avversari con maggiore rapidità.[17]

Figura 2. Evoluzione dell’importanza della sicurezza informatica nella strategia russa.

Il grafico rappresenta l’evoluzione dell’importanza attribuita alla sicurezza informatica e alle operazioni cibernetiche nella strategia russa nel corso degli anni. Il grafico mostra un aumento significativo dell’enfasi sulla sicurezza informatica dal 2010 al 2020, indicando la sua crescente priorità nella pianificazione strategica della Russia.


[1] J. Fieke, Digital Activism in the Middle East: Mapping Issue Networks in Egypt, “Knowledge Management for Development Journal” 6 (1), 2010, pp. 37–52.

[2] N. Tsvetkova, D. Rushchin, (2021), Russia’s Public Diplomacy: From Soft Power to Strategic Communication, Journal of Political Marketing. 20. 1-12. 10.1080/15377857.2020.1869845.

[3] R. Thornton & M. Miron, Towards the ‘Third Revolution in Military Affairs’, The RUSI Journal, 165:3, 2020, pp. 12-21, DOI: 10.1080/03071847.2020.1765514: https://doi.org/10.1080/03071847.2020.1765514.

[4] V. Putin (2012), Russia and the Changing World, “Rossiyskaya Gaseta”. Accessed October 20, 2020.

[5] A. Sergunin, L. Karabeshkin, Understanding Russia’s Soft Power Strategy, “Politics” 35

(3–4):347–63, 2015.

[6] U.S. Congress. 2015. “U.S. Senate Committee on the Judiciary. Extremist Content and Russian Disinformation

Online: Working with Tech to Find Solutions.”. In: https://www.judiciary.senate.gov/meetings/extremist-content-and-russian-disinformation-online-working-with-tech-to-find-solutions (ultimo accesso 21 luglio 2021).

[7] N. Tsvetkova & D. Rushchin, Russia’s Public Diplomacy…, cit.

[8] J. Bērziņš (2014), Russia’s New Generation Warfare in Ukraine: Implications for Latvian Defense Policy, Policy Paper No 02, (Riga: National Defence Academy of Latvian Center for Security and Strategic Research, April 2014), 5.

[9] V. Gerasimov, Vektory Razvitiya Voyennoy Strategii [“The Vectors of Military Strategic Development”], “Krasnaya Zvezda” [Red Star], 3 aprile 2019, in http://redstar.ru/vektory-razvitiya-voennoj-strategii/.

[10] R. Thornton & M. Miron, Towards the ‘Third Revolution…, cit.

[11] Ivi.

[12] Ivi.

[13] Office of the UN High Commissioner for Human Rights, ‘Report on the Human Rights Situation in Ukraine’, 15 July 2014, p. 31. In: https://www.ohchr.org/Documents/Countries/UA/Ukraine_Report_15July2014.pdf (ultimo accesso 21 luglio 2021).

[14] D. McCrory (2021), Russian Electronic Warfare, Cyber and Information Operations in Ukraine, “The RUSI Journal”, 2021, pp –.

[15] Deepfake: tecnica per la rielaborazione dell’immagine umana basata sull’intelligenza artificiale, usata per combinare e sovrapporre immagini e video esistenti con altri video, o immagini originali, tramite una tecnica di apprendimento automatico, nota come rete antagonista generativa.

[16] R. Thornton & M. Miron, Towards the ‘Third Revolution…, cit.

[17] Ivi.


Pubblicato il Rapporto #ReaCT2024 sul terrorismo e il radicalismo in Europa

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Introduzione di Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio ReaCT

In qualità di Direttore dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT), sono lieto, oltreché onorato, di presentare per il quinto anno consecutivo il nostro annuale prodotto di ricerca e analisi sul terrorismo e il radicalismo in Europa. Nel solco tracciato dai precedenti quattro numeri, #ReaCT2024 – 5° Rapporto sul radicalismo e il terrorismo in Europa è frutto dell’impegno e della costanza di ricercatori, accademici, professionisti che, con differenti approcci, metodi e punti di osservazione, collocandosi su un piano trasversale e multidisciplinare teso a definire le origini, le ragioni, i punti di forza e le vulnerabilità di un fenomeno poliedrico che la tradizionale metodologia analitica non è più in grado di collocare all’interno di definizioni che non siano meramente didascaliche o formali. È ormai consolidata l’evoluzione dei fenomeni di devianza sociale – così come anticipammo in maniera dettagliata e approfondita all’inizio del nostro percorso di ricerca ed editoriale a partire dal 2020 – che progressivamente si sovrappongono o si associano ai fenomeni di violenza radicale, sempre più a partecipazione individuale, emulativa con una rilevante ambizione “spettacolare”, rientranti in sfere ideologiche o identitarie dal crescente carattere “compartimentato”.

Il rapporto, coerentemente con il percorso sin qui tracciato, si propone come combinazione unica di rivista scientifica e volume collettivo, con contributi di vari autori, ricercatori e collaboratori che hanno dedicato il loro tempo, la loro esperienza e le loro conoscenze. A loro, indistintamente, va la gratitudine del board di ReaCT e mia personale, per il prezioso contributo di ricerca sul campo e per i loro immani sforzi intellettuali. Voglio altresì ringraziare il Ministero della Difesa italiano per aver confermato la stima e la fiducia nell’Osservatorio che dirigo concedendo il patrocinio agli eventi di presentazione del rapporto.

Quali risultati ci consegna la ricerca continua dell’Osservatorio?

Guardando agli ultimi cinque anni, nel più ampio contesto di un’evoluzione storica e operativa, da un punto di vista quantitativo l’incidenza degli attacchi terroristici di matrice jihadista si presenta lineare, con una percettibile diminuzione registrata negli ultimi anni, attestandosi ai livelli pre-fenomeno Isis/Stato islamico. Dal 2019 al 2023 sono stati registrati nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera 92 attacchi (12 sia nel 2023 che nel 2024 – dati al 30 settembre 2024), di successo e fallimentari: 99 quelli rilevati nel precedente periodo 2014-2018 (12 nel 2015). Sulla scia dei grandi eventi terroristici in Europa nel nome del gruppo Stato islamico, e successivamente in verosimile relazione con gli elementi galvanizzanti conseguenti alla presa del potere talebano in Afghanistan e all’appello del gruppo palestinese Hamas associato alla guerra contro Israele, sono stati registrate 194 azioni in nome del jihad dal 2014 al 2023, delle quali 70 esplicitamente rivendicate dallo Stato islamico. Nel 2023 sono state registrate 12 azioni jihadiste, coerenti con i dati del 2024 ma in lieve flessione rispetto ai 18 attacchi annuali del 2022 e 2021, e con un aumento significativo di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti, che ha portato il dato ad attestarsi sui livelli elevati degli anni precedenti. Il 2023 e il 2024 hanno inoltre confermato un trend ormai consolidato nell’evoluzione del fenomeno, con una sostanzialmente esclusiva predominanza di azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate.

Il Rapporto, dopo la disamina storica e quantitativa del fenomeno terroristico, approfondisce poi il tema dello Stato Islamico Khorasan e la possibile minaccia rivolta all’Europa con particolare attenzione al jihad di ritorno dal Sahel al Nord Africa. Allargando il campo di osservazione, #ReaCT2024 si concentra sulle variabili del terrorismo e i caratteri delle manifestazioni antisistema rilevando la necessità di analizzare un fenomeno estremamente dinamico in funzione degli spazi di azione e, su un piano paradigmatico, di procedere urgentemente verso una nuova e condivisa definizione di terrorismo poiché da questa discendono gli strumenti legislativi e giudiziari di prevenzione e contrasto del fenomeno. Altro tema approfondito è quello del “terrorismo solitario” inteso come fenomeno molteplice e puntiforme grazie al ruolo giocato dai social network, dalle dinamiche collettive, dai cluster e dalle ondate e comunità online, a cui si associa l’evoluzione di forme di estremismi “giovani, autonomi ed emancipati”.

In tale contesto in costante evoluzione si inseriscono i fenomeni di radicalizzazione ed estremismo negli ecosistemi digitali fra nuove tecnologie e intelligenza artificiale, i discorsi d’odio digitali come precursori della violenza estremista che apre all’ipotesi suggestiva del “caos armato” a cui il Rapporto dedica un’ampia analisi con un focus sull’accelerazionismo militante, dall’estrema sinistra all’estrema destra.

Sul piano della prevenzione, ampio spazio viene dedicato all’analisi sulla RAN (Radicalization Awareness Network), attraverso un bilancio approfondito su successi, limiti e fallimenti in termini di policy e pratiche, ponendo l’accento sulla vexata quaestio: i radicali torneranno mai a de-radicalizzarsi?

Ampio spazio viene poi dedicato all’insorgere di nuovi estremismi portatori di istanze anti-democratiche, per poi invitare i lettori a riflettere sull’evoluzione dei fenomeni attraverso due casi studio specifici: il primo sulla prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento attraverso il contributo delle forze di sicurezza in Portogallo; il secondo sulla sistematica discriminazione di genere in Afghanistan sotto il governo islamista dei talebani, teorizzando la sistematicità di un’apartheid di genere. In conclusione, anche il contributo di quest’anno ha voluto confermare l’ambizione dell’Osservatorio di essere testimonianza della forza e della dedizione della nostra comunità di studiosi e operatori nella lotta in corso contro l’evolvere dei fenomeni di devianza sociale violenta, dei radicalismi e dei terrorismi. Auspico, in qualità di Direttore dell’Osservatorio, che i risultati e le suggestioni contenute in questo Rapporto contribuiscano sempre più a una migliore comprensione dell’evoluzione della minaccia dei terrorismi in Europa e servano come appello all’azione per tutti i soggetti interessati a lavorare insieme ai fini della prevenzione e del contrasto agli estremismi violenti.

Grazie ancora a tutti gli Autori che, con il loro encomiabile lavoro, hanno contribuito ancora una volta alla realizzazione di #ReaCT2024. Un ringraziamento speciale va, come sempre, a START InSight, che ha consentito la pubblicazione e la distribuzione internazionale del nostro rapporto annuale. Infine, un doveroso ricordo al nostro amico Marco Cochi, ricercatore serio e capace, prematuramente scomparso.


Ucraina e Medioriente, conflitti e politica estera. C. Bertolotti ne parla su SkyTG24

Trasmissione del 12 agosto 2024


Nascita ed evoluzione del training camp di Arvier per giornalisti e operatori umanitari

Il primo corso HEFAT immersivo in Italia dedicato a giornalisti e operatori umanitari

di Ugo Lucio Borga

Centinaia di documenti, email, PEC, comunicazioni con le Istituzioni. E poi documenti contabili, preventivi, programmi, liberatorie, verbali, immagini, video. La storia del primo corso Hefat immersivo in Italia destinato a giornalisti e operatori umanitari che lavorano in aree di crisi e di guerra è diligentemente conservata in un paio di hard disk dall’aria anonima. Ma per parlare della sua nascita, bisogna tornare al gennaio 2015. Io e la fotografa Loredana Taglieri, fondatori, insieme alla fotografa Sophie Anne Herin, dell’Associazione Six Degrees, ci troviamo a Donetsk, per raccontare l’ennesima guerra per giornali italiani e spagnoli. Questo fa l’Associazione Six Degrees: racconta le guerre, soprattutto quelle dimenticate, i conflitti etnici, religiosi e razziali, le situazioni di instabilità politica e sociale e le problematiche connesse a migrazioni, povertà, emarginazione e discriminazione in ogni parte del mondo.

Nel gennaio 2015 si combatte duramente nell’aeroporto di Donetsk, l’assedio di Debaltseve è nelle sue fasi finali, il fronte si srotola come un cavo elettrico da Lugansk a Donetsk. E troppi giornalisti muoiono, come sempre succede a qualsiasi latitudine. Molti di loro sono freelance, esclusi da qualsiasi tipo di formazione specifica e con pochi mezzi.

Loredana Taglieri, Donetsk, Ucraina, gennaio 2015

L’IDEA
Nasce da questa consapevolezza l’idea dell’Associazione Six Degrees di creare un percorso formativo che permetta ai giornalisti e agli operatori umanitari impegnati in contesti di crisi e di guerra di acquisire tutte le competenze necessarie per operare nella massima sicurezza possibile.

Nel marzo 2015 l’Associazione si mette al lavoro. Occorre un percorso organico che riunisca tutte le competenze indispensabili, dalla medicina tattica alla sicurezza informatica, in un corso che abbia tre fondamentali caratteristiche.

La prima: deve essere un corso immersivo, ovvero capace di trasferire le conoscenze ai corsisti attraverso la sperimentazione diretta di situazioni tipiche dei contesti di crisi e di guerra, avvalendosi di professionisti di comprovata esperienza nel settore.

La seconda: deve essere un corso spartano, spogliato di tutto ciò che è inutile o non finalizzato alla sicurezza. Pochi fronzoli, niente chiacchiere, nessuna comodità: si dorme in tenda, si mangia quando possibile, esercitazioni continue, di notte e di giorno. Lo stress deve essere una componente essenziale, così come accade quando sei sul terreno.

La terza: a differenza dei corsi HEFAT esistenti in Italia e all’estero, che hanno prezzi inaffrontabili per i freelance, deve avere costi contenuti garantendo al contempo uno standard qualitativo d’eccezione. Essendo l’Associazione Six Degrees priva di scopo di lucro, la quota di partecipazione deve essere sufficiente solo a coprire le spese dei materiali e dei docenti.

La formazione, sin dalla prima edizione del 2015, è riservata ai soli soci dell’Associazione Six Degrees: per partecipare al training devi essere regolarmente associato.

https://www.agi.it/cronaca/news/2016-05-31/in_valle_daosta_il_war_traning_camp_scuola_per_reporter_in_zone_di_guerra-820612/

PRIMI CONTATTI
La sfida è trovare un luogo che si presti al training, e al contempo del personale già formato e in grado di ricreare situazioni immersive. Il primo contatto, nel marzo del 2015, avviene con Alex Junin, Presidente di una Associazione softair che opera nel territorio di Arvier, un Comune in Valle d’Aosta. Quando si dice la fortuna: Alex non solo comprende immediatamente il senso del percorso formativo che l’Associazione sta cercando di organizzare, ma mette le sue competenze e la sua profonda conoscenza del territorio a disposizione. Nei mesi successivi vengono individuati, grazie a lui, i terreni e gli spazi in cui si svolgeranno tutte le edizioni del training Camp, dal 2015 a oggi.

Il secondo contatto è con il Sindaco del bellissimo Comune che è divenuto, dopo otto edizioni del training e oltre 100 giornalisti e operatori umanitari formati e brevettati, il polo di riferimento per la formazione di coloro che sono destinati ad operare in zone di crisi e di guerra: Arvier, in Valle d’Aosta.

Anche in questo caso, questione di fortuna, o destino. il Sindaco, Mauro Lucianaz, condivide la valenza sociale del progetto: Il Comune di Arvier è stato colpito, nel corso dell’occupazione nazifascista, da una strage che ne ha segnato profondamente la storia e la coscienza collettiva, ed è quindi molto sensibile all’argomento. Dopo un incontro con la Giunta e la presentazione di un programma di massima, l’Associazione Six Degrees ottiene il via libera. Il supporto del Comune di Arvier, che ogni anno mette a disposizione la bellissima sala polivalente nel centro del paese e che patrocina l’evento, è fondamentale.

IL NOME
War reporting training Camp. Questo il primo nome che viene attribuito, nel 2015, dall’Associazione Six Degrees, al percorso formativo. Efficace, ma si può fare di meglio: il  riferimento troppo esplicito alla guerra può rendere “difficile” per le Istituzioni collaborare all’evento. Non solo: come sperimentato, inibisce gli eventuali sponsor, perché nessuno vuole vedere il proprio marchio associato a quel termine. Infatti, nessuna delle realtà internazionali che si occupa del settore lo utilizza.

Inoltre, sembra limitare ai soli contesti di guerra la formazione erogata, mentre il training Camp di Arvier forma giornalisti e operatori umanitari che siano in grado di lavorare in sicurezza anche in casi di calamità naturali o altre situazioni emergenziali.

In ultimo, la sigla: WRTC è già in uso, si riferisce al World Radiosport Team Championship, ciò che nel tempo comporta alcuni equivoci, soprattutto sui social media.

Il nome rimane in uso per otto edizioni: l’Associazione ha stabilito di procedere, infine, con il tanto auspicato cambio del nome a partire dalla IX edizione del training Camp di Arvier.

IL TEAM
Nella primavera del 2015 lo staff dell’Associazione Six Degrees inizia a lavorare sul terreno con i collaboratori individuati dal Presidente Alex Junin. Lo scopo, quello di creare delle situazioni immersive assolutamente aderenti alla realtà. Vengono ripresi e analizzati eventi vissuti in prima persona e accadimenti che hanno segnato la storia del giornalismo di guerra, e riproposti nei minimi dettagli. Gli addestramenti si protraggono per tutta l’estate del 2015, in previsione del primo evento del training camp, che si svolge dal 9 al 13 settembre 2015.

Intanto, l’Associazione cerca figure professionali e collaboratori che possano mettere a disposizione le loro competenze. Avendo frequentato l’ottavo corso per giornalisti impegnati in aree di crisi organizzato dalla FNSI in collaborazione con l’Esercito Italiano, invio una prima mail allo Stato Maggiore della Difesa il 19 maggio del 2015, per chiederne la partecipazione.

Alcune settimane prima, il 16 aprile 2015, contatto il collega Cristiano Tinazzi, invitandolo a collaborare alla realizzazione del training progettato dall’Associazione. Inizialmente collaboratore esterno, Cristiano Tinazzi diventa membro effettivo del direttivo dell’Associazione Six Degrees dal maggio 2019 al gennaio 2024.

Si aggiungono poi, a partire dalla prima edizione, Paolo Fusinaz, istruttore TAS (topologia applicata al soccorso) membro dell’Associazione dal maggio del 2019, Laura Lambertucci, psicologa specializzata in EMDR, e gli istruttori di BLSD Sergio Pesavento e Christian Voyat. La tutor del training, a partire dall’edizione del 2018, è Anais Foretier, membro del direttivo dell’Associazione, mentre i tutor delle attività immersive sono Alex Junin e Mattia Cubito. A partire dal 2021, la formazione riguardante la medicina tattica e gli esplodenti viene assicurata dal personale della TFA, Tactical Firearms Academy – Tactical Rescue Unit- società riconosciuta a livello internazionale e autorizzata dal Ministero della Difesa americano DoD per la fornitura di training certificati e qualificati NATO.

Ad oggi, lo staff che partecipa alle varie fasi degli addestramenti previsti durante il training camp di Arvier supera le 30 unità; il numero massimo di corsisti ammessi è di 12 unità.

L’EVOLUZIONE
Il programma del training Camp di Arvier si è costantemente aggiornato e ampliato, per rispondere con maggiore efficacia alle esigenze formative dei giornalisti e degli operatori umanitari destinati a operare in aree di crisi o di guerra. Per citare un esempio, a partire dalla VIII edizione, il training Camp di Arvier assicura crediti formativi per i giornalisti iscritti all’Ordine nazionale dei giornalisti. La durata del training, il cui programma è stato integrato con l’imprescindibile formazione in ambito NBC (rischio Nucleare, Biologico, Chimico) SERE (Survival, Evasion, Resistance and Escape) e una nuova formazione sulla difesa passiva da droni FPV, è passata da 5 a 7 giorni. Così pure sono cambiati, nel tempo, alcuni dei collaboratori di cui l’Associazione si avvale, nel tentativo costante di migliorare ulteriormente l’offerta formativa: ad affiancare lo staff dell’Associazione Six Degrees nella conduzione del training, saranno quest’anno le giornaliste Nancy Porsia e Luciana Coluccello, con il loro straordinario bagaglio di talento ed esperienza.

La IX edizione del Training Camp di Arvier si terrà quest’anno dal 15 al 22 settembre 2024

Per info e iscrizioni: training@fromthefrontline.net


La nuova strategia di intelligence USA: implicazioni per il Sistema di Informazioni e Sicurezza della Repubblica.

di Niccolò Petrelli, START InSight, Assistant Professor, Strategic Studies

Nell’Agosto 2023 l’US Office of the Director of National Intelligence (ODNI) ha pubblicato una National Intelligence Strategy (NIS) incentrata sulla nuova era di competizione con la Cina che nel corso degli ultimi mesi ha iniziato ad essere attuata.[1] Uno degli elementi centrali del documento, che essenzialmente delinea la visione per il futuro dell’ODNI più che una vera e propria strategia, è la decisione di rafforzare ed espandere la rete internazionale di “collegamenti” con altri servizi informativi (nonché con vari tipi di attori privati).[2] Quale l’eventuale impatto sul Sistema di Informazioni e Sicurezza della Repubblica (SISR)? Esiste la possibilità che la strategia di collegamento USA si traduca in opportunità per il sistema d’intelligence italiano?

Per rispondere a queste domande è possibile partire da un precedente analogo nella storia dell’intelligence USA. Tra la seconda metà del 1945 e la prima metà del 1947 infatti, l’emergere della competizione con l’Unione Sovietica spinse l’apparato informativo statunitense ad investire in maniera sistematica risorse, capacità, expertise, e relazioni personali nella creazione di una massiccia e stratificata infrastruttura di collegamenti con i servizi segreti di numerosi paesi dell’Europa occidentale.[3] In un primo momento a guidare tale strategia furono principalmente requisiti di “accesso” e ampliamento della raccolta informativa sull’URSS e i suoi “alleati” in Europa orientale: i paesi dell’Europa occidentale rappresentavano infatti quella che potremmo definire la più valida “piattaforma” per accedere a tali obiettivi informativi. Nel 1946 ad esempio fu raggiunto un tacito accordo in base al quale la MUST e la FRA, le due agenzie di intelligence militare svedesi, iniziarono a passare all’intelligence USA tutti le informazioni di HUMINT e SIGINT sulle attività militari sovietiche nella regione baltica in cambio di finanziamenti e equipaggiamento per la raccolta informativa tecnica. Un altro esempio, più noto, è quello dell’accordo UKUSA, sempre del 1946, in base a cui la State-Army-Navy Communications Intelligence Board degli Stati Uniti e la London SIGINT Board si impegnavano a condividere ogni prodotto informativo di raccolta tecnica, mettendo di fatto in piedi una ripartizione del lavoro che l’ex direttore del Government Communications Headquarters (GCHQ) David Omand ha definito basata sui “soldi statunitensi e cervelli britannici”.[4]

La situazione iniziò tuttavia a cambiare approssimativamente dal 1949. L’intelligence americana modificò progressivamente la propria azione di collegamento, strutturandola in base alla percezione della natura della competizione prevalente a Washington, ovvero quella di un confronto in primo luogo politico-ideologico con l’URSS. Ciò si riteneva richiedesse una fusione dei paradigmi strategici di “guerra” e “pace” in uno sforzo unitario e coordinato di political warfare,[5] come la definì George Kennan. Tanto la CIA quanto le varie componenti dell’intelligence militare intensificarono dunque le proprie attività di collegamento in Europa occidentale promuovendo, in modi e forme diverse a seconda delle circostanze, lo sviluppo di tutte quelle capacità ritenute essenziali per gestire il nuovo tipo di confronto: propaganda, guerra psicologica, sostegno clandestino a forze politiche locali e, qualora necessario, contro-guerriglia.[6] In Germania ad esempio, oltre alla creazione di diverse reti stay-behind (S/B), documentazione recentemente declassificata ha gettato luce sul sostegno fornito dalla CIA e dall’intelligence militare USA per attività clandestine condotte dall’Organizzazione Gehlen (la prima struttura di intelligence di quella che sarebbe diventata la Repubblica Federale Tedesca), al fine di minare la stabilità della zona di occupazione sovietica della Germania.[7] Dove si rivelò più difficile cooperare ad ampio spettro con le controparti locali la comunità di intelligence statunitense combinò attività di collegamento ad operazioni clandestine. Un approccio di questo tipo fu adottato ad esempio in Italia, dove dalla fine della Seconda Guerra Mondiale l’intelligence americana operò simultaneamente a due diversi livelli: da un lato collaborando con i servizi segreti italiani, in particolare nel programma S/B, dall’altro sviluppando autonomamente reti clandestine per condurre attività di guerra psicologica, propaganda e destabilizzazione.

La strategia di collegamento USA generò dunque effetti trasformativi della struttura, capacità, e funzioni degli apparati informativi europei occidentali, rischi di vario tipo, basti pensare proprio al caso dell’Italia, ma anche opportunità, in particolare di beneficiare di finanziamenti, anche cospicui, nonché di forniture di equipaggiamento tecnologicamente avanzato. Non tutti i servizi europei occidentali tuttavia furono parimenti in grado di sfruttare tali opportunità. Ciò dipese da variabili di vario tipo legate al contesto, la natura delle relazioni diplomatiche con gli USA, il grado di fiducia esistente tra i decisori politici ed i vertici degli apparati informativi, la condizione politica prodotta dalla Seconda Guerra Mondiale e, non da ultimo, la posizione geografica dei vari paesi rispetto agli obiettivi informativi di prioritario interesse per la comunità d’intelligence USA. Di cruciale importanza furono tuttavia anche taluni fattori squisitamente materiali, ovvero il grado di “interoperabilità” con il sistema d’intelligence statunitense, l’adattabilità e funzionalità delle capacità, esistenti e potenziali, dei servizi dell’Europa occidentale rispetto alle missioni affidate al sistema d’intelligence USA nel quadro della political warfare nei confronti del blocco comunista, e da ultimo la complementarietà di capacità e competenze rispetto a quelle espresse dalle varie componenti del sistema USA.

Il GCHQ britannico fu ad esempio in grado, capitalizzando sulle proprie competenze specifiche in termini di analisi politica del sistema internazionale e crittoanalisi, nonché sulla “interoperabilità” tecnica con il sistema USA, di massimizzare i vantaggi derivanti dalla strategia di collegamento attuata dagli USA arrivando, come visto sopra, a siglare un accordo che garantiva accesso ad ogni prodotto (in teoria) di raccolta tecnica statunitense. L’intelligence svedese, da parte sua, riuscì, in particolare in virtù delle proprie autonome capacità di raccolta tecnica in un’area di cruciale importanza strategica per gli USA, ad assicurarsi finanziamenti e equipaggiamento per rafforzare un settore di raccolta prioritario per la sicurezza nazionale del paese. Il caso italiano dimostra invece come, nonostante l’abilità dimostrata in diverse circostanze dai vertici dell’apparato informativo nello sfruttare a proprio vantaggio la propensione USA ad intensificare i collegamenti, come ad esempio nel caso del programma congiunto S/B Italia-USA “Gladio” avviato nel 1951, limiti capacitivi impedirono di cogliere ulteriori potenziali opportunità. Infatti, le scarse competenze analitiche dell’intelligence italiana, in particolare sotto il profilo economico, sociologico e politologico, e la conseguente incapacità di sviluppare analisi ad ampio spettro della base di sostegno e infrastruttura sociale del Partito Comunista Italiano (PCI) contribuì in maniera non trascurabile a far sì che l’intelligence USA procedesse in maniera autonoma sia alla raccolta informativa che ad una serie di attività operative di contrasto nei confronti del PCI.[8] Allo stesso modo la mancanza di una solida capacità di raccolta SIGINT da parte dell’apparato informativo italiano precluse l’opportunità, intorno alla metà degli anni ’50, nel momento in cui Washington era particolarmente interessata a monitorare l’intensificazione dell’attività navale sovietica nel Mediterraneo, di estendere i collegamenti con il sistema d’intelligence USA a condizioni vantaggiose per l’Italia, e rappresentò molto probabilmente una delle ragioni alla base della creazione da parte statunitense nel 1960 di una struttura SIGINT gestita dall’Air Force Security Group (USAFSS) a San Vito dei Normanni.[9]

Basandoci su quanto sopra, si può ipotizzare che l’attuazione della strategia di collegamento delineata nella NIS 2023 presenterà per l’apparato informativo italiano, con buona probabilità, opportunità analoghe a quelle che emersero al principio della Guerra Fredda. Due sono dunque gli elementi su cui concentrare l’attenzione per comprendere come esse potrebbero essere sfruttate nella maniera più efficace: il primo è la percezione USA della natura della competizione con la Cina, il secondo sono le capacità (a livello aggregato) che i vertici dell’intelligence USA stanno sviluppando ed intendono promuovere per i prossimi anni.

Per quanto riguarda il primo elemento, dopo un periodo piuttosto lungo di dibattito, la natura della competizione con la Cina ha iniziato ad essere definita con maggiore precisione. Benché l’assunto di partenza rimanga quello di una competizione globale in ogni ambito, economico, politico, sociale, dell’informazione, e militare, è recentemente emerso un consenso sempre più ampio circa il fatto che la componente centrale di tale competizione sia di natura tecnologico-economica.[10] In altre parole, si ritiene che essa sia incentrata sulla creazione di un vantaggio competitivo duraturo nelle principali tecnologie di frontiera, intelligenza artificiale generale, microprocessori e reti di comunicazione di prossima generazione, produzione avanzata, stoccaggio e produzione di energie, biotecnologie, al fine di poter plasmare l’economia globale della prossima generazione e definire gli standard di accesso e impiego a tali tecnologie.[11]

In merito al secondo elemento, per comprendere il tipo di capacità che l’ODNI intende promuovere nella comunità d’intelligence USA è possibile fare riferimento alla nozione di Revolution in Intelligence Affairs (RIA), da alcuni anni ormai popolare nel dibattito professionale e politico USA sull’intelligence. Benché nella NIS non vi siano espliciti riferimenti al concetto, appare evidente come la RIA rappresenti il costrutto-guida de facto impiegato per coordinare una serie di trasformazioni, nel procurement e integrazione di nuove tecnologie, nella struttura organizzativa, e nelle procedure operative del sistema d’intelligence USA, al fine di porlo nelle condizioni migliori per affrontare le sfide dei prossimi decenni, in primis quelle legate alla competizione con la Cina.

La trasformazione immaginata dall’ODNI prevede di procedere in primo luogo all’acquisizione e integrazione su vasta scala di intelligenza artificiale, sensori all’avanguardia e tecnologie di automazione, evitando approcci incrementali o settoriali. Simultaneamente, alla luce della velocità, della scala, e della complessità a cui opereranno queste tecnologie, verranno promossi rapidi cambiamenti organizzativi e operativi volti ad agevolare forme di integrazione tra raccolta e analisi, promuovere ridondanza tra le varie fasi del ciclo di intelligence, nonché a creare meccanismi più rapidi per la diffusione in tempo reale dei prodotti informativi. In altre parole, si intende promuovere un modus operandi “a rete” per il sistema di intelligence basato sulla fusione completa dei flussi di dati prodotti da ogni tipo di sensori e piattaforme, la sincronia e integrazione di tutte le attività operative, e la trasmissione rapida e continua di prodotti a operatori umani, macchine e decisori in tutti i dominii.[12]  

Quali dunque le capacità e competenze su cui il SISR dovrebbe puntare per essere in grado di cogliere le opportunità generate dalla strategia di collegamento dell’intelligence USA? Essenziale è che esse rispondano alla percezione della competizione come di un confronto essenzialmente tecno-economico, e che siano complementari alle capacità espresse dal sistema d’intelligence USA.

In primo luogo dunque il SISR dovrebbe rafforzare le proprie capacità di raccolta e analisi in ambito economico e tecnologico. La questione non è nuova, il dibattito sul rafforzamento dell’intelligence economica risale agli anni 90, con il lavoro delle commissioni Ortona (1992) e Jucci (1997).[13] Approssimativamente nello stesso periodo inoltre in seno al Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza (CESIS) fu attivato un “gruppo permanente per l’intelligence economica”. Di recente l’ex direttore del SISDE Mori ha rilanciato l’idea di un organismo collegiale dove siano rappresentati il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), le due agenzie (Aisi e Aise), i ministeri interessati e le associazioni degli imprenditori. Nel caso specifico tuttavia la questione chiave sarebbe, in coerenza con quello che è l’approccio USA all’intelligence economico-tecnologica, adottare una postura proattiva, che includa attività offensive su base continuativa nei confronti non solo della Cina e dei suoi principali partner economici e tecnologici, ma anche di imprese e enti privati riconducibili a quello che potremmo chiamare “l’ecosistema tecno-economico” cinese.

In secondo luogo, il SISR dovrebbe investire sullo sviluppo ulteriore delle proprie capacità operative in aree in cui gode di un vantaggio competitivo, ed in cui esse possano impiegarsi in maniera complementare a quelle del sistema d’intelligence statunitense. La scelta più logica appare l’area del Mediterraneo, dove da diversi decenni ormai il sistema d’intelligence italiano conduce attività operativa di ampio respiro. Proprio nel Mediterraneo infatti negli ultimi anni la Cina ha, con discrezione, ampliato la propria presenza attraverso grandi aziende private ​​(Shanghai International Port Group, China Merchants) e pubbliche (COSCO, China Communications and Construction Company) stipulando accordi commerciali di vario tipo, accordi per partecipazioni nei porti di paesi situati lungo rotte marittime vitali per la Belt and Road Initiative, e acquisendo aziende di medie dimensioni, spesso allo scopo di avere accesso a tecnologie Europee.[14]

Il necessario presupposto ovviamente, come evidenziano gli esempi di UK e Svezia durante la Guerra Fredda, è che il sistema d’intelligence italiano goda di un buon livello di “interoperabilità” con quello USA. Ciò, a sua volta, richiede che i vertici dell’apparato informativo proseguano, e auspicabilmente diano ulteriore impulso, a quel processo di acquisizione e integrazione di tecnologie dell’informazione di ultima generazione, sensori avanzati, Intelligenza Artificiale e sistemi di apprendimento automatico, che sembra essere iniziato da qualche anno.


[1] https://oversight.house.gov/wp-content/uploads/2024/05/05062024-ODNI-Letter.pdf.

[2] https://www.voanews.com/a/new-us-intelligence-strategy-calls-for-more-partners-more-sharing-/7220725.html

[3] Michael Warner AID

[4] https://media.defense.gov/2021/Jul/15/2002763709/-1/-1/0/AGREEMENT_OUTLINE_5MAR46.PDF; https://www.securityweek.com/britains-gchq-listening-post-tune-nsa.

[5] George F. Kennan, The Inauguration of Organized Political Warfare [Redacted Version], 30 aprile 1948, Woodrow Wilson Center, History and Public Policy Program Digital Archive, https://digitalarchive.wilsoncenter.org/document/114320.pdf?v=94.

[6] US Department of State, Foreign Relations of the United States, 1951, Vol. I, National Security Affairs, Foreign Economic Policy, Washington DC, Government Printing Office, 1979 (FRUS 1951), Doc. 18 Attachment to Memorandum for the National Security Council by the Executive Secretary, 8 maggio 1951.

[7] https://nsarchive.gwu.edu/briefing-book/openness-russia-and-eastern-europe-intelligence/2022-05-11/secret-war-germany-cias.

[8] Niccolò Petrelli, “Alcide De Gasperi e le Origini del Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR)”, in Mario Caligiuri (a cura di) De Gasperi e L’Intelligence (in corso di pubblicazione).

[9] https://www.cia.gov/readingroom/docs/DOC_0000278476.pdf

[10] Intelligence Innovation. Repositioning for Future Technology Competition, Second Intelligence Interim Panel Report (IPR) of the Special Competitive Studies Project (SCSP), Aprile 2024.

[11] Brandon Kirk Williams, The Innovation Race: US-China Science and Technology Competition and the Quantum Revolution (Washington DC: Woodrow Wilson Center, 2023).

[12] Creating Cross-Domain Kill Webs in Real Time, DARPA (Sept. 18, 2020), https://www.darpa.mil/news-events/2020-09-18a e AI Fusion: Enabling Distributed Artificial Intelligence to Enhance Multi-Domain Operations & Real-Time Situational Awareness, Carnegie Mellon University (2020), http://www.cs.cmu.edu/~ai-fusion/overview.

[13] Gabriele Carrer, Perché all’Italia serve intelligence economica. Intervista al generale Mori, Formiche 9 Giugno 2024 https://formiche.net/2024/06/intervista-intelligence-economica-mario-mori/#content..

[14] Claudia De Martino, The Growing Chinese Presence in the Mediterranean, Med-Or Geopolitics, 22 April 2024, https://www.med-or.org/en/news/la-crescente-penetrazione-cinese-nel-mediterraneo.


Iran, Israele, Hamas, Russia, NATO: il commento di C. Bertolotti a SKY TG24

La presentazione di Gaza Underground – il libro, a SKY TG24: le incognite e le difficoltà nella guerra urbana e sotterranea. E ancora: la morte del presidente di Raisi e la sua successione: quali ripercussioni a livello interno ed esterno? La Russia minaccia di ridefinire i confini marittimi: provocazione o atto deliberato?

Il commento di Claudio Bertolotti a TIMELINE, SKY TG24 (puntata del 22 maggio 2024).


Terrorismo: lo Stato islamico e i campionati di calcio.

di Claudio Bertolotti. Dall’intervista di Giampaolo Musumeci per Radio 24 – Nessun Luogo è Lontano del 9 aprile 2024.

Il Cairo, 9 apr. (Adnkronos) – Il sedicente Stato Islamico, tornato a spaventare l’Europa dopo l’attentato a Mosca, ha minacciato di lanciare un attacco contro i quattro stadi in cui da stasera si disputeranno i quarti di finale di Champions League. Al-Azaim, uno degli organi di propaganda dell’Isis, ha confermato queste intenzioni pubblicando l’immagine dei quattro stadi in cui si disputeranno le partite di andata – il Parco dei Principi di Parigi, il Santiago Bernabeu di Madrid, il Metropolitan sempre di Madrid e l’Emirates di Londra – accompagnata dalla didascalia “Uccideteli tutti”.

Una necessaria premessa: l’esperienza dell’ISIS, così come l’abbiamo conosciuta in Iraq e Siria si è conclusa nel giugno 2014 con la proclamazione del Califfato da parte di al-Baghdadi e l’istituzione dello Stato islamico. L’ISIS non esiste più, al suo posto lo Stato islamico dunque. Non è una precisazione da poco, perché segna l’avvio dell’epoca post-territoriale del movimento, quella che stiamo osservando e subendo oggi, sia in Occidente, sia in Medioriente come dimostra la forza sempre più manifesta di questo gruppo in particolare in Siria e Afghanistan.

Quanto seria è questa minaccia? Ricordiamo una allerta simile il 30 marzo in Germania.

Un primo aspetto. In questo caso, come nella maggior parte degli episodi, non è lo Stato islamico ma i suoi gruppi affiliati a chiamare alla lotta. E quella attuale sembra non tanto una avvisaglia quanto un appello a colpire, e dunque non una minaccia diretta. Anche perchè, come ci ha dimostrato la storia recente dello Stato islamico e dei suoi affiliati in franchise, quando il gruppo colpisce lo fa senza preavvertire – di fatto sfruttando l’effetto sorpresa per ottenere il massimo dei risultati. Quanto accaduto in Russia ne è una conferma. Però, e questo è il secondo aspetto, coerentemente con gli attacchi degli ultimi anni, attribuiti o rivendicati dallo Stato islamico, è l’appello a colpire che viene colto da singoli soggetti, o più raramente da parte di piccoli gruppi, spesso disorganizzati o scarsamente organizzati, che costituisce la forza propulsiva del gruppo che, di norma e per evidente opportunità, rivendica solamente quelli di successo, una minima parte, non citando quelli invece più numerosi che si concludono con un risultato fallimentare.

Dopo l’attentato a Mosca, queste minacce e l’arresto ieri a Roma di un tajiko ex miliziano Isis, ci sono a tuo parere le condizioni per capire quale sia la strategia dell’Isis? Sta rialzando la testa? Riacquisendo forza?

Lo Stato islamico sta rialzando la testa, e lo sta facendo in maniera dirompente ed efficace, riportandoci sul piano emotivo e del terrore ai terribili anni 2015-2017 quando l’Europa fu travolta da una serie di eventi dirompenti, a loro volta in grado di riportare le emozioni agli attacchi di al-Qa’ida in Europa del 2004, a Madrid e a Londra. Oggi è sufficiente guardare alla Siria, dove si pensava – complici anche i riflettori mediatici rivolti altrove – che lo Stato islamico fosse stato sconfitto: non è così. Al contrario, l’aumento progressivo di attacchi dello Stato islamico, gli assalti continui e ripetuti alle carceri per liberare i combattenti detenuti dal regime siriano, la capacità di colpire sostanzialmente ovunque. È un campanello d’allarme che suona molto forte e che anticipa una nuova ondata che si autoalimenta: dalla retorica della vittoria talebana in Afghanistan, alla competizione con i talebani, all’aumentare degli affiliati, singoli e gruppi dal Medioriente al Sud-Est asiatico, fino all’Europa. Non uno Stato islamico ex-novo, ma è un fenomeno che si sta risvegliando.


Russia: attentato a Crocus City Hall. Bertolotti (Ispi): Mosca paga aiuto a talebani e Siria in lotta a Stato Islamico (La Presse).

da La Presse, intervista di Luca La Mantia

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Ascolta l’intervista radio di Laura Zucchetti a Claudio Bertolotti per Radio 3i

Roma, 23 mar. (LaPresse) – “In Afghanistan la Russia dialoga con la frangia più anziana dei talebani contribuendo a quel ciclo di intelligence che consente ai talebani stessi di combattere lo Stato islamico del Khorasan (Is-Kp)”, quindi l’attentato a Mosca per il gruppo jihadista “è un modo per dire ‘tu aiuti i talebani a colpirci e noi colpiamo te‘”. Così a LaPresse Claudio Bertolotti, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e direttore di Start Insight, commentando l’attentato nella Crocus City Hall, a nordovest della capitale russa. La Russia, prosegue, ha anche “un ruolo specifico e ben definito, da una parte, nella lotta al terrorismo islamico” e dall’altra nel sostegno in Siria al presidente Bashar al Assad nel contrasto “a tutti i gruppi sunniti ribelli, compresi quelli affiliati allo Stato islamico“.

Roma, 23 mar. (LaPresse) – “E’ molto difficile tenere sotto controllo e prevenire un attacco” come quello avvenuto alla Crocus City Hall, a nordovest di Mosca, rivendicato dall’Isis. Così a LaPresse Claudio Bertolotti, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e direttore di Start Insight. “La storia recente, sia in Europa che in Russia”, spiega, ha dimostrato quanto sia difficile prevedere attentati di questo tipo, “sia quelli organizzati, sia quelli emulativi, ovvero portati avanti da singoli soggetti che si rifanno all’ideologia dello Stato islamico ma agiscono in modo autonomo”. 
(segue) 

Roma, 23 mar. (LaPresse) – Gli Stati Uniti, sottolinea Bertolotti, avevano avvertito sul rischio di attentati in Russia “perché hanno un’ottima capacità di raccolta di informazioni legate all’intelligence associata al dialogo con la nuova leadership talebana” in Afghanistan che è “acerrima nemica dello Stato Islamico del Khorasan (Is-Kp)”. Washington, prosegue il ricercatore Ispi, ha “quindi raccolto informazioni e le ha messe e a diposizione della Russia che ha anche messo in atto misure preventive ma è impossibile organizzare in tutto il Paese un sistema efficace al 100%“.


Roma, 23 mar. (LaPresse) – “In Europa non sono mai diminuiti i tentativi di attacchi terroristici che si attestano sui 10-15 l’anno. E’ però diminuita”, rispetto a qualche anno fa, “l’efficacia e quindi anche l’attenzione mediatica“, che porta lo Stato Islamico a rivendicare solo gli attentati “che hanno successo”. Così a LaPresse Claudio Bertolotti, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e direttore di Start Insight, commentando l’attentato nella Crocus City Hall, a nordovest di Mosca. La strage rivendicata “è un grande rilancio per lo Stato Islamico”, spiega. C’è poi, prosegue Bertolotti, l’appello di Hamas a tutti i musulmani, dopo l’inizio della guerra con Israele, “a colpire ovunque” gli alleati di Tel Aviv, e questo rappresenta “una minaccia sostanziale” anche per l’Europa. 


Roma, 23 mar. (LaPresse) – Il Cremlino ha “tutto l’interesse a parlare di una responsabilità di Kiev” nell’attacco nella Crocus City Hall, a nordovest di Mosca, poi rivendicato dall’Isis, “perché questo consente di confermare la minaccia rappresentata dall’Ucraina di fronte all’opinione pubblica russa“. Così a LaPresse Claudio Bertolotti, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e direttore di Start Insight. “E’ un modo per spostare la responsabilità contro un obiettivo che si sta già colpendo”, spiega, un messaggio anche “per quelle frange dell’opinione pubblica russa che dopo due anni cominciano a non essere più convinte” sulla guerra. Bertolotti esclude una responsabilità ucraina nell’attacco, sia per le “tecniche e procedure” usate dai terroristi sia per l’obiettivo che sarebbe “appagante” per l’Ucraina, in quanto “colpire civili nella narrazione di un popolo che si difende da un’aggressione non è vincente”.


Italia, riforma dell’intelligence: “lavorare sul funzionamento, non sulla struttura”

Nel 2023 il governo italiano ha avviato una riflessione attorno a una riforma dell’Intelligence che dovrebbe vedere la luce il prossimo anno.

In cosa consiste questo cambiamento, quali sono le ragioni, come funziona il sistema informativo ma soprattutto, come e dove bisognerebbe intervenire? Ecco le risposte del nostro esperto sul tema, il Senior Research Fellow Niccolò Petrelli, docente di Studi Strategici all’Università Roma Tre.  

Perché riformare il sistema informativo italiano?

Il nostro sistema informativo soffre di problemi di funzionamento, come sottolineato in diverse occasioni da addetti ai lavori, la sua efficacia è minata dalla persistente frammentazione tra le tre componenti, il DIS (Dipartimento Informazioni per la Sicurezza), l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) e l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), un qualche tipo di intervento per correggere il problema è necessario.

l’efficacia del sistema informativo è minata dalla persistente frammentazione tra le tre componenti, il DIS, l’AISE e l’AISI

La creazione di un servizio unico, ovvero la centralizzazione del sistema, è una soluzione praticabile?

Certamente, ma ci sono ostacoli burocratici non da poco, nonché timori e resistenze che, sulla scorta della travagliata storia degli apparati informativi nell’Italia repubblicana, la proposta di creare un servizio informazioni unificato potrebbe generare in parte della classe politica e dell’opinione pubblica. Modificare l’architettura organizzativa del sistema di intelligence inoltre non è l’unica opzione per risolvere il problema della frammentazione e migliorarne la performance. Una soluzione alternativa potrebbe essere lavorare sul funzionamento del sistema, invece che sulla sua struttura.

La letteratura sulla progettazione organizzativa mostra chiaramente che l’elemento chiave per rendere un’organizzazione efficace è allineare i suoi processi di lavoro con la funzione da essa espletata e, soprattutto, con l’ambiente in cui l’organizzazione opera. Chiaramente sia un assetto centralizzato che uno decentralizzato hanno i propri vantaggi e svantaggi, tuttavia una serie di fattori sembrano rendere quest’ultimo più appropriato per il nostro sistema di intelligence oggi.

Infatti, in primo luogo è noto che un assetto decentralizzato risulta adatto per organizzazioni che, come i servizi informativi, operano oggi a beneficio di vari “clienti”; in secondo luogo, una struttura decentralizzata come quella attuale, promuovendo flessibilità, appare più in linea con la natura instabile e cangiante del contesto in cui il sistema informativo italiano si trova oggi ad operare; terzo ed ultimo, i problemi di coordinamento che inevitabilmente sono associati ad una struttura decentralizzata possono essere oggi meglio gestiti grazie alla disponibilità di sistemi e tecnologie digitali che favoriscono comunicazione, pianificazione e monitoraggio delle attività quasi in tempo reale.

una soluzione alternativa potrebbe essere lavorare sul funzionamento del sistema, invece che sulla sua struttura

Come procedere dunque?

Il costrutto-guida teorico più adatto credo sia il concetto di “integrazione” (Jointness). Nella teoria dell’intelligence con “integrazione” si fa riferimento ad un livello di interazione tra le varie componenti del sistema più avanzato rispetto a forme di collaborazione occasionali, che sono piuttosto frequenti, come la condivisione di strutture (sistemi, database), e prodotti (rapporti, analisi) o la formazione di gruppi di lavoro ad hoc. L’“integrazione” si riferisce infatti alla creazione di nuove capacità sistemiche attraverso la fusione delle risorse e delle competenze delle varie componenti dello stesso. Tre sono le linee di riforma ritenute essenziali per la creazione di tali capacità sistemiche: ridondanza, riordino dei processi di lavoro, autonomia. La ridondanza si riferisce alla generazione all’interno delle varie componenti del sistema di surplus di competenze analoghe rispetto alle rispettive esigenze, sia per quanto concerne metodologie di raccolta delle informazioni sia in relazione a tecniche analitiche.

Il secondo elemento, il riordino dei processi lavorativi, contempla invece che all’interno delle varie componenti del sistema, accanto ai classici processi lineari, paralleli e funzionalmente segmentati, si sviluppino anche in pari misura processi “di rete” che eliminino la tradizionale separazione tra la raccolta e l’elaborazione delle informazioni, ad esempio attraverso l’istituzionalizzazione di gruppi di lavoro che, in ambiti specifici, operino congiuntamente lungo l’intero “ciclo dell’intelligence” su base permanente.

Infine, per quanto riguarda l’autonomia, ci si riferisce al trasferimento di autorità pratica dai capi reparto ai sottoposti in un modello analogo al “mission command” da tempo in uso nelle forze armate di molti paesi occidentali, in cui i componenti di ogni unità godono della massima autonomia nella gestione dei compiti affidati dai vertici che si limitano, da parte loro, a operare come facilitatori, “abilitatori” e “sintetizzatori” dei prodotti finali.

La teoria fa apparire le cose sempre semplici e lineari, ma come e dove bisognerebbe intervenire? Che cosa ci dice di rilevante in merito la storia del sistema informativo italiano?

Storicamente il sistema di intelligence della Repubblica italiana ha mostrato una più che buona predisposizione all’integrazione orizzontale, sia all’interno delle singole agenzie, sia nelle interazioni esterne tra le stesse. Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna ricordare che già il primo apparato informativo militare della repubblica, il Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), era strutturato in due branche principali, una offensiva e l’altra difensiva ognuna delle quali deputata alla gestione di entrambe le funzioni principali, raccolta e analisi delle informazioni, nei rispettivi ambiti di competenza. I successori del SIFAR, il Servizio Informazioni Difesa (SID), il Servizio Informazioni e Sicurezza Miliare (SISMI), così come poi il Servizio Informazioni e Sicurezza Democratica (SISDE) pur sviluppando strutture più articolate, hanno sempre mantenuto assetti organizzativi di tipo ibrido in cui le funzioni di raccolta e analisi erano compartimentate in alcuni ambiti e fuse in altri.

storicamente il sistema di intelligence della Repubblica italiana ha mostrato una più che buona predisposizione all’integrazione orizzontale

Per quanto riguarda le interazioni tra le varie agenzie, dalla storia del sistema informativo italiano emerge chiaramente come, anche in situazioni di accesa rivalità, le varie componenti abbiano dimostrato eccellenti capacità sia di coordinamento che di cooperazione. Tra il 1951 ed il 1954 SIFAR e la Divisione Affari Riservati (DAR) del Ministero dell’Interno collaborarono efficacemente attraverso tavoli di lavoro a scadenza regolare per coordinare le penetrazioni della rete informativa Los Angeles, impiantata dall’intelligence militare USA nell’Italia nordorientale (sfruttando ex-ufficiali nazisti ed i loro collaboratori) e tentare di appropriarsene.

Anche la documentazione disponibile sul caso del rapimento di Aldo Moro mostra una notevole attitudine all’integrazione orizzontale da parte dell’apparato informativo. Infatti, in una condizione di gravissima crisi, il Comitato Esecutivo per le Informazioni e la Sicurezza – CESIS, il Servizio Informazioni e Sicurezza Militare – SISMI, ed il Servizio Informazioni e Sicurezza Democratica – SISDE, in diverse sedi (i noti “Comitati” istituiti dall’allora Ministro dell’Interno Cossiga) cooperarono abbattendo de facto le barriere tra raccolta ed analisi, condividendo non solo informazioni, ma in molti casi comunicandone le fonti, e conducendo analisi congiunte di specifici eventi, così come dell’evoluzione generale della situazione. Nonostante la mancanza di risultati rispetto all’obiettivo primario di fornire informazioni rilevanti per la liberazione dell’ostaggio, la collaborazione tra le componenti del sistema informativo che ebbe luogo durante i quasi due mesi del sequestro Moro si sarebbe rivelata di notevole importanza nel periodo immediatamente successivo, non solo come “esperimento organizzativo” utile a definire percorsi di cooperazione, ma anche per sviluppare il quadro informativo alla base delle operazioni anti-terrorismo condotte sotto il comando del Generale Dalla Chiesa.

la documentazione d’archivio disponibile evidenzia importanti lacune in relazione alla dimensione verticale dell’integrazione

Al contrario, la documentazione d’archivio disponibile evidenzia importanti lacune in relazione alla dimensione verticale dell’integrazione. Il principale organo di coordinamento e sintesi informativa creato dalla legge 801/1977, ovvero il CESIS, nel corso degli anni ha svolto un ruolo sempre più incisivo, i suoi poteri tuttavia sono de facto rimasti più circoscritti rispetto a quanto effettivamente previsto nella disciplina di legge. Ciò, a sua volta, ha fatto sì che in ultimo l’efficacia del CESIS sia storicamente rimasta molto legata alle capacità individuali del Segretario Generale.

Da quanto ha detto sembra si possa concludere che gli interventi da attuarsi sull’apparato informativo dovrebbero capitalizzare sul buon livello di integrazione orizzontale esistente e, al contempo, correggere lo scarso livello di integrazione verticale, è così?

Si. Non possiamo ovviamente essere sicuri che l’attuale sistema d’intelligence italiano sia ancora caratterizzato da alti livelli di integrazione orizzontale di cui abbiamo parlato prima. L’ipotesi più plausibile, tuttavia, è la situazione non sia cambiata molto da quel punto di vista, e che la creazione del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) in luogo del CESIS, abbia solo in parte sanato le carenze in materia di integrazione verticale. Gli interventi sul sistema di intelligence dovrebbero dunque mirare a: espandere lo spazio di interazione delle due agenzie operative al fine di rafforzare ulteriormente l’integrazione orizzontale, e consentire al DIS di perseguire quelle che potremmo chiamare forme di “integrazione verticale a monte” sul processo di produzione dell’intelligence.

Come visto in precedenza nella cultura organizzativa di entrambe le agenzie operative esiste una forte attitudine alla fusione di raccolta e analisi, così come, a mettere in pratica sia all’interno che all’esterno, processi di lavoro congiunti e non funzionalmente segmentati. Al fine di sfruttare questo vantaggio comparato, la riforma del sistema dovrebbe puntare sull’incrementare l’autonomia, spingendola quanto meno a livello di aree (introdurre ridondanza è più semplice e può essere fatto attraverso il reclutamento). Ciò rafforzerebbe ulteriormente l’integrazione orizzontale creando dei potenziali spazi di lavoro congiunti tra le agenzie operative da attivarsi in base alle necessità.

la riforma del sistema dovrebbe puntare sull’incrementare l’autonomia, spingendola quanto meno a livello di aree

Per quanto riguarda l’integrazione verticale, in cui invece come si è visto il sistema è relativamente debole, una soluzione potrebbe essere rappresentata dal consentire al DIS di integrare all’interno delle proprie attività un maggior numero di “passaggi intermedi” nel processo di produzione dell’intelligence. In altre parole dovrebbe essere consentito al Dipartimento di esercitare un ruolo di coordinamento (operando di fatto come “abilitatore”/”facilitatore”) sulle attività congiunte delle agenzie operative fino al livello più basso a cui si intende spingere l’integrazione orizzontale. Solo in tal modo sembra possibile lasciarsi definitivamente alle spalle le lacune croniche di integrazione verticale di cui il sistema sembra soffrire dal 1977.

Da ultimo, vale la pena ribadire che, come più volte sottolineato, essenziale per il rafforzamento dell’integrazione e la creazione di un surplus capacitivo è il reintegro del Reparto Informazioni per la Sicurezza (RIS) nel Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica. Ciò alla luce del fatto che il RIS dispone di una serie di risorse per la raccolta tecnica la cui condivisione in un sistema d’intelligence relativamente piccolo come quello italiano potrebbe essere di fondamentale importanza. 

la soluzione al problema della frammentazione non passa dalla centralizzazione del processo di produzione dell’intelligence ma dalla centralizzazione della conoscenza

In sintesi, dunque, la soluzione qui prospettata potrebbe risolvere il problema della frammentazione non attraverso la centralizzazione del processo di produzione dell’intelligence, come avverrebbe con la creazione di servizio unico, ma mediante la centralizzazione del suo output, ovvero della conoscenza.

Niccolò Petrelli è Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre, dove insegna Studi Strategici, e Senior Research Fellow per Start InSight.