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La diplomazia pubblica russa nella guerra cognitiva: attori, narrazioni e strumenti digitali.

di Claudio Bertolotti.

Introduzione

Nel contesto della competizione geopolitica contemporanea, la guerra cognitiva si configura come una dimensione emergente della conflittualità ibrida, in cui l’informazione, la percezione e l’influenza culturale assumono un ruolo strategico. In questo ambito, la Federazione Russa ha sviluppato una complessa architettura di diplomazia pubblica orientata non solo alla promozione dell’immagine nazionale, ma alla produzione intenzionale di narrazioni che favoriscano i propri interessi strategici e delegittimino quelli dei competitor internazionali. Analizziamo qui i principali strumenti e attori della diplomazia pubblica russa, con particolare attenzione al ruolo svolto dal concetto di “Mondo Russo”, dagli istituti statali di proiezione culturale e dall’impiego della diplomazia digitale nel contesto pandemico. Particolare attenzione sarà dedicata al caso italiano, con riferimento all’operazione “Dalla Russia con amore”, emblematica per comprendere la sovrapposizione tra assistenza umanitaria e strumenti di guerra informativa.

1. Il “Mondo Russo” come dispositivo ideologico

Il concetto di Russkij Mir (Mondo Russo) rappresenta un pilastro fondamentale nella strategia comunicativa e geopolitica della Federazione Russa. Questa ideologia combina elementi di identità linguistica, memoria storica e solidarietà diasporica per consolidare l’influenza di Mosca sulle comunità russofone nel mondo. Non si tratta solo di un collante culturale, ma di un paradigma geopolitico che giustifica l’intervento e la presenza russa nei Paesi ex sovietici e oltre. 

Origini e Sviluppo del Concetto di Russkij Mir

Il termine Russkij Mir ha radici storiche profonde, ma è stato rilanciato nel discorso politico russo contemporaneo a partire dagli anni 2000. Nel 2007, il presidente Vladimir Putin ha istituito la Fondazione Russkij Mir con l’obiettivo di promuovere la lingua e la cultura russa all’estero. Questo concetto è stato ulteriormente sviluppato per includere una visione del mondo in cui la Russia si presenta come protettrice dei russofoni ovunque essi si trovino, giustificando così interventi politici e militari in nome della difesa dei “compatrioti”. 

Strumenti di Promozione del Russkij Mir

La promozione del Russkij Mir avviene attraverso una serie di strumenti istituzionali e narrativi:

  • Fondazione Russkij Mir: organizzazione che finanzia progetti culturali e educativi per diffondere la lingua e la cultura russa.
  • Rossotrudničestvo: agenzia governativa che coordina la cooperazione umanitaria internazionale e sostiene le comunità russofone all’estero.
  • Chiesa Ortodossa Russa: istituzione che svolge un ruolo chiave nel rafforzare l’identità spirituale e culturale russa, spesso in sinergia con le politiche statali.
  • Media e Diplomazia Pubblica: utilizzo di media statali e social media per diffondere narrazioni favorevoli alla Russia e per influenzare l’opinione pubblica internazionale.

Implicazioni Geopolitiche

Il Russkij Mir funge da giustificazione ideologica per le politiche espansionistiche della Russia. È stato utilizzato per legittimare l’annessione della Crimea nel 2014 e il sostegno ai separatisti nelle regioni orientali dell’Ucraina. La narrativa del Russkij Mir sostiene che la Russia ha il diritto e il dovere di proteggere i russofoni ovunque si trovino, anche attraverso l’intervento militare .

Critiche e Controversie

Il concetto di Russkij Mir è stato oggetto di critiche sia interne che internazionali. Molti lo vedono come una forma di neo-imperialismo che mina la sovranità degli Stati vicini. Inoltre, l’uso della lingua e della cultura come strumenti di influenza politica solleva preoccupazioni riguardo alla manipolazione dell’identità culturale per fini geopolitici.

2. Gli attori istituzionali: Gorchakov Fund e Rossotrudnichestvo

Due istituzioni svolgono un ruolo cardinale nella diplomazia pubblica russa: il “Gorchakov Fund for Public Diplomacy” e Rossotrudnichestvo.

Il Gorchakov Fund for Public Diplomacy

Istituito nel 2010 su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri russo, il Gorchakov Fund ha l’obiettivo di promuovere la visione geopolitica del Cremlino nel contesto internazionale. Finanzia progetti, conferenze e programmi accademici mirati a consolidare l’influenza russa all’estero, in particolare nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Il Fondo sostiene organizzazioni non profit russe e straniere, nonché centri di ricerca orientati alla politica estera, attraverso l’erogazione di sovvenzioni. Inoltre, implementa programmi scientifici ed educativi per giovani esperti, figure pubbliche e giornalisti, come il “Dialogue for the Future” e il “Diplomatic Seminar of Young Specialists”

Rossotrudnichestvo

Fondata nel 2008, Rossotrudnichestvo è l’agenzia federale russa incaricata di gestire le relazioni con la diaspora e sviluppare iniziative di cooperazione umanitaria, educazione e promozione linguistica. Opera in oltre 80 Paesi attraverso i Centri Russi di Scienza e Cultura, promuovendo la lingua e la cultura russa, e organizzando programmi educativi e culturali. Tra le sue attività principali vi sono il programma “New Generation”, che offre viaggi di studio in Russia per giovani leader stranieri, e “Hello, Russia!”, rivolto ai giovani compatrioti all’estero. Rossotrudnichestvo svolge un ruolo attivo nella politica estera russa, consolidando le attività dei sostenitori pro-Russia nella regione post-sovietica e diffondendo la narrativa del Cremlino.

Entrambe le istituzioni sono strumenti chiave della strategia di soft power russa, mirata a rafforzare l’influenza culturale e politica di Mosca a livello globale.

3. Diplomazia digitale, disinformazione e il caso italiano

Uno degli elementi più innovativi della strategia russa è l’adozione della diplomazia digitale, intesa come utilizzo sistematico delle tecnologie informatiche per finalità di influenza politica e manipolazione dell’informazione. Le piattaforme digitali, i social media e i portali informativi alternativi vengono impiegati per veicolare narrazioni filo-russe, alimentare il dubbio e polarizzare le opinioni pubbliche, sfruttando spesso il meccanismo della disinformazione e delle fake news.

Durante la pandemia da Covid-19, la Russia ha intensificato tali operazioni, presentandosi come attore responsabile e solidale (si pensi agli aiuti medici inviati in Italia), mentre diffondeva contenuti che screditavano i sistemi sanitari e politici dei Paesi occidentali. Questo approccio ha trovato espressione nell’operazione “Dalla Russia con amore”, che ha visto il dispiegamento di personale militare russo in Lombardia nel 2020, ufficialmente per attività di sanificazione. Tuttavia, numerose fonti italiane ed europee hanno sollevato preoccupazioni in merito al potenziale utilizzo di tale missione come strumento di spionaggio e raccolta informativa su infrastrutture sensibili. Come ho avuto modo di approfondire in un mio precedente articolo, tale operazione rappresenta un esempio concreto di applicazione della guerra ibrida russa, in cui propaganda, disinformazione e attività di intelligence convergono nel contesto di una crisi umanitaria.

Conclusioni

La diplomazia pubblica russa si configura come uno strumento strutturato e deliberatamente orientato alla proiezione di influenza, parte integrante di una più ampia strategia di guerra cognitiva. Essa si fonda su una combinazione di dispositivi simbolici (come il “Mondo Russo”), istituzioni statali operative (come il Gorchakov Fund e Rossotrudnichestvo), e tecnologie comunicative digitali sofisticate. Il caso dell’operazione “Dalla Russia con amore” dimostra come, in contesti di emergenza, la cooperazione umanitaria possa trasformarsi in un’occasione di penetrazione informativa e di influenza strategica. Comprendere tali dinamiche è oggi essenziale per proteggere la resilienza cognitiva delle democrazie e prevenire l’erosione della fiducia pubblica nelle istituzioni.

Bibliografia

  • Bertolotti, C. (2025). Dalla Russia con amore: le nuove minacce per l’Italia e il ruolo della Russia tra cyberspazio, salute pubblica, disinformazione e spionaggio. START InSight.
  • EUvsDisinfo. (2020). Coronavirus: Disinformation Can Kill. European External Action Service.
  • Kuznetsova, I., & Mikhelidze, N. (2020). Russian Public Diplomacy: Instruments and Narratives. Istituto Affari Internazionali.
  • Laruelle, M. (2015). Russian World: Russia’s Soft Power and Geopolitical Imagination. Center on Global Interests.
  • Pomerantsev, P. (2019). This Is Not Propaganda: Adventures in the War Against Reality. Faber & Faber.

“Dalla Russia con amore”: le nuove minacce per l’Italia e il ruolo della Russia tra cyberspazio, salute pubblica, disinformazione e spionaggio.

di Claudio Bertolotti.

Articolo originale pubblicato su Osservatorio Strategico 1/2025 del Centro Alti Studi per la Difesa – Scuola Superiore Universitaria.

Abstract

L’articolo analizza le principali minacce alla sicurezza nazionale italiana attribuite alla Russia, con un focus su tre aree strategiche: cyber security, disinformazione e spionaggio. La Russia emerge come una delle principali sfide per l’Italia in ambito informatico, grazie alla sua capacità di condurre attacchi mirati volti a ottenere informazioni sensibili o a interferire con le infrastrutture critiche. Parallelamente, l’uso sistematico della disinformazione da parte di Mosca rappresenta uno strumento per influenzare l’opinione pubblica e le decisioni politiche in Italia, sfruttando social media e media tradizionali per diffondere contenuti falsi o manipolati. Il tema dello spionaggio si inserisce nel quadro di cooperazioni bilaterali come l’operazione “Dalla Russia con amore” del 2020, durante la quale sono emersi rischi legati alla raccolta di informazioni sensibili sotto il pretesto di assistenza sanitaria. Questo aspetto si collega a casi emblematici come l’arresto di Walter Biot, ufficiale della Marina militare italiana, accusato di spionaggio a favore della Russia. L’articolo sottolinea la necessità di strategie di contrasto multidimensionali per fronteggiare queste minacce, combinando tecnologie avanzate, cooperazione internazionale e rafforzamento della resilienza istituzionale.

Situazioni di emergenza, crisi e vulnerabilità: il terreno ideale per l’emergere di nuove minacce.

Le dinamiche delle relazioni internazionali e le politiche globali incidono profondamente sulla competizione tra attori statali e non statali, influenzando i settori politico, sociale ed economico. L’assertività dimostrata da alcuni Paesi nell’arena internazionale sta contribuendo, inoltre, a ridefinire gli equilibri di potere sia a livello regionale che globale. Fenomeni come l’emergenza pandemica da Covid-19, il conflitto tra Russia e Ucraina e la crisi energetica stanno già lasciando un’impronta destinata a perdurare a lungo, sia per l’Italia che per molte altre nazioni, con effetti significativi in ambito economico e sociale.

La pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova l’Italia, evidenziando vulnerabilità sistemiche e criticità latenti. Essa ha generato una crisi sanitaria senza precedenti, con un incremento esponenziale dei contagi e dei decessi, oltre a un sovraccarico del sistema sanitario. A ciò si è aggiunta una crisi economica e sociale, caratterizzata da un aumento della disoccupazione e da una contrazione dei consumi, conseguenze dirette delle misure restrittive come i lockdown, che hanno portato alla chiusura di numerose attività produttive.

Prima che gli impatti della pandemia potessero essere completamente assorbiti, il 24 febbraio 2022 è scoppiato il conflitto in Ucraina, avviato dall’invasione russa. Questa guerra ha innescato una nuova crisi economica, aggravata dall’aumento dei costi delle materie prime e dalla riduzione dei flussi commerciali. Parallelamente, ha provocato una crisi politica internazionale, con l’introduzione di sanzioni contro la Russia e complicazioni nell’approvvigionamento energetico per molti Paesi europei.

La crisi energetica che ne è derivata ha ulteriormente peggiorato il quadro economico, determinando un ulteriore incremento dei prezzi delle risorse primarie e difficoltà di accesso all’energia. Questi fattori hanno avuto un impatto diretto sull’economia italiana, riducendo la competitività delle imprese nazionali. Questo contesto evidenzia la complessità delle relazioni internazionali e la volatilità dei rapporti tra alleati e rivali, sottolineando l’imprevedibilità di eventi capaci di ostacolare l’accesso alle risorse energetiche, condizionandone disponibilità e prezzi. Tali dinamiche hanno ripercussioni significative sui piani sociale, politico ed economico, rendendo indispensabile una gestione attenta e strategica di questi fenomeni globali (Bertolotti, 2023).

Minacce emergenti per la sicurezza dell’Italia e capacità della Russia (e sue linee d’azione).

La sicurezza e la difesa dell’Italia sono messe a rischio da una serie di minacce emergenti, che si manifestano in vari ambiti in relazione al contesto globale. Tra queste, il cybercrime rappresenta una delle sfide più rilevanti. Con la crescente dipendenza dalle tecnologie digitali, le infrastrutture critiche e le imprese italiane diventano bersagli sempre più vulnerabili ad attacchi informatici. Tali attacchi, spesso condotti attraverso metodi sofisticati, mirano a sottrarre informazioni sensibili o compromettere sistemi, causando danni significativi. La Russia, in particolare, è considerata una delle principali fonti di queste minacce, utilizzando il cyberspazio per attività di spionaggio e interferenza sulle infrastrutture strategiche.

Un ulteriore rischio è rappresentato dallo spionaggio industriale, che colpisce i settori d’eccellenza del sistema produttivo italiano e il know-how nazionale. In un contesto di competizione globale, settori come l’automotive, l’aerospazio, la difesa e l’energia risultano particolarmente esposti a tali pratiche. Le tecnologie avanzate e le innovazioni di punta diventano obiettivi di attacchi mirati, con conseguenze strategiche per la competitività del Paese.

Anche il sistema sanitario nazionale è vulnerabile. Gli attacchi informatici contro questo settore possono compromettere la fornitura di servizi essenziali, mettere a rischio i dati personali di pazienti e operatori, e generare perdite economiche significative per le strutture sanitarie. Queste azioni possono avere un impatto devastante sulla salute pubblica, aggravando ulteriormente situazioni di emergenza.

La disinformazione e propaganda costituiscono un’altra minaccia emergente, con la capacità di manipolare l’opinione pubblica attraverso la diffusione di notizie false o distorte. Social media e media tradizionali sono spesso usati per creare confusione e incertezza, influenzando le decisioni politiche e ostacolando la gestione di crisi. In un contesto già fragile, segnato dagli effetti della pandemia e della crisi energetica, tali dinamiche possono amplificare le divisioni sociali, minando la stabilità e la coesione nazionale.

La crisi energetica, inoltre, si configura come una minaccia significativa. La dipendenza dalle risorse esterne e l’aumento dei prezzi delle materie prime hanno un impatto diretto sull’economia italiana e sulla competitività delle imprese, rendendo più complessa la gestione delle emergenze e il processo decisionale delle autorità (Bertolotti, 2023).

Il ruolo della Russia.

La Russia si posiziona come uno degli attori principali nello scenario delle minacce emergenti per l’Italia. Grazie a una vasta capacità nel campo degli attacchi informatici, Mosca utilizza tecnologie avanzate per condurre azioni di hacking, impiegare malware sofisticati e sfruttare tecniche di phishing e ingegneria sociale. Questi strumenti, spesso supportati da gruppi APT (Advanced Persistent Threat) collegati al governo russo, permettono di interferire con sistemi protetti e ottenere informazioni strategiche.

In ambito geopolitico, la Russia ha sviluppato un approccio integrato alla comunicazione strategica e alla diplomazia digitale. Come descritto dal presidente Vladimir Putin nel 2012, il soft power viene utilizzato per perseguire obiettivi di politica estera senza ricorrere direttamente a strumenti militari. Organizzazioni come il “Russian World” e il “Gorchakov Fund of Public Diplomacy”, insieme all’Agenzia Rossotrudnichestvo, sono attori chiave di questa strategia, operando attraverso la diffusione di informazioni mirate e narrative alternative sui social network.

Durante la pandemia da Covid-19, la Russia ha intensificato il proprio impegno propagandistico attraverso l’invio di aiuti umanitari a vari Paesi, tra cui l’Italia. Tali iniziative, veicolate attraverso una comunicazione mirata sui social media, sono state utilizzate per consolidare la propria influenza a livello internazionale. Questo approccio ha permesso al Cremlino di guadagnare consenso in regioni strategiche come i Balcani, il Medio Oriente e l’America Latina, oltre che all’interno dell’Unione Europea.

La combinazione di disinformazione, propaganda e capacità cyber rende la Russia un attore centrale nelle dinamiche delle minacce emergenti, con impatti significativi sulla sicurezza e sulla stabilità globale. Per l’Italia, affrontare queste sfide richiede strategie coordinate e mirate, capaci di tutelare le infrastrutture critiche, proteggere la coesione sociale e rafforzare la resilienza nazionale.

Invitare la spia in casa: l’Operazione “Dalla Russia con amore”. Un’analisi delle dinamiche e implicazioni.

Durante le fasi iniziali della pandemia di Covid-19, il 7° Reggimento di difesa chimica, biologica, radiologica e nucleare “Cremona” (CBRN) dell’Esercito Italiano fu coinvolto, tra marzo e maggio 2020, in attività di sanificazione e decontaminazione. Questo impegno includeva il supporto ai centri di accoglienza per persone provenienti dall’estero e la sanificazione di oltre 180 strutture in Lombardia. A queste operazioni partecipò un contingente russo inviato nell’ambito dell’operazione “Dalla Russia con amore”, che portò alla formazione di 9 task force miste italo-russe (Senato della Repubblica, Doc. CLXIV n. 31, p. 85). L’intervento, inizialmente concentrato nella provincia di Bergamo, evidenziò vulnerabilità legate alla raccolta di informazioni da parte di attori esterni, con il rischio che l’aiuto offerto fosse usato come pretesto per penetrare il perimetro di sicurezza nazionale.

La missione russa vide il coinvolgimento di 104 operatori, tra cui i due epidemiologi di spicco Natalia Y. Pshenichnaya e Aleksandr V. Semenov. La presenza russa, tuttavia, fu oggetto di limitazioni: il contributo iniziale previsto di 400 operatori fu ridotto a 100 per decisione dell’allora ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Inoltre, il generale Luciano Portolano, comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, respinse richieste di estendere le operazioni russe a siti strategici come basi militari e uffici governativi, tra cui la base di Ghedi (Brescia), utilizzata dalla NATO, limitandole ad ospedali e case di cura. Durante queste attività, i russi tentarono più volte di raccogliere campioni di virus e offrirono incentivi economici a ricercatori italiani per ottenere dati scientifici. Un esempio significativo fu l’offerta di 250mila euro a un dirigente dell’ospedale Spallanzani di Roma, che favorì il vaccino russo “Sputnik” a scapito del progetto italiano “Reithera” (Jacoboni, 2022).

Il Contesto e le Controversie.

L’accordo tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte fu raggiunto telefonicamente il 21 marzo 2020. Tuttavia, l’intervento russo, percepito come una forma di “assegno in bianco” da parte dell’Italia, fu attuato in modo non coordinato, senza consultare adeguatamente il governo italiano. Il contributo russo includeva esperti militari, specialisti in minacce biologiche e chimiche, e unità tecniche per lo studio di agenti patogeni, ma mancavano dispositivi per il rilevamento specifico del Covid-19.

Le aree selezionate dai russi per la sanificazione sollevarono preoccupazioni: molti dei siti erano vicini a infrastrutture sensibili come basi NATO contenenti arsenali nucleari. Questi fattori portarono il governo italiano a interrompere prematuramente l’operazione, considerandola un potenziale rischio per la sicurezza nazionale.

Ruolo degli epidemiologi russi

Un elemento di rilievo fu la presenza non autorizzata dei due epidemiologi russi, Pshenichnaya e Semenov, entrambi operativi presso la Rospotrebnadzor, l’ente russo responsabile della gestione della pandemia. I due avevano precedentemente lavorato a Wuhan e dichiararono che l’obiettivo della loro missione era acquisire esperienza sulle modalità di gestione del Covid-19 adottate in altri Paesi. Tuttavia, due mesi dopo la loro partenza dall’Italia, pubblicarono un report critico sulla gestione italiana della pandemia (Santarelli, 2022), alimentando dubbi sul reale scopo della loro presenza (Bertolotti, 2023).

Considerazioni finali

L’operazione “Dalla Russia con amore” solleva interrogativi sulla gestione di aiuti internazionali in contesti di emergenza e sui rischi connessi alla sicurezza nazionale. Mentre l’intervento russo fu ufficialmente presentato come un contributo umanitario, molteplici azioni suggeriscono che potesse servire anche come strumento per raccogliere informazioni strategiche e consolidare l’influenza geopolitica di Mosca. Queste dinamiche sottolineano l’importanza di un coordinamento rigoroso e di un’attenta valutazione dei rischi legati alla cooperazione internazionale in situazioni di crisi.

Analisi dell’operazione russa in Italia: una strategia di guerra ibrida 

L’intervento militare russo in Italia durante la pandemia di Covid-19 rappresenta un esempio pratico dell’applicazione della cosiddetta “guerra ibrida,” utilizzata da Mosca per ottenere un vantaggio strategico temporaneo nel contesto dell’emergenza sanitaria globale (Santarelli, 2022). A differenza della Cina, che si limitò a fornire consulenza tramite videoconferenze, l’Italia accolse e offrì ampia libertà di azione ai militari russi. Questo permise loro di raccogliere preziose informazioni sulla gestione e diffusione del virus, informazioni che furono sfruttate per una campagna di propaganda sia interna che internazionale, inclusa la promozione del vaccino russo “Sputnik V.”

L’operazione russa sembrava perseguire tre obiettivi principali. Primo, l’acquisizione di informazioni strategiche attraverso attività di spionaggio, con l’obiettivo di sviluppare una strategia di gestione della pandemia basata sulle conoscenze acquisite in Italia. Secondo, la propaganda interna ed esterna, finalizzata a esaltare i progressi della Russia e a promuovere l’adozione del vaccino “Sputnik” da parte di altri Paesi, inclusa l’Italia. Terzo, una campagna di “guerra informativa” volta a screditare la gestione italiana della crisi sanitaria, attraverso il contributo e le dichiarazioni di autorevoli epidemiologi russi. 

Implicazioni per la Sicurezza Nazionale 

L’operazione “Dalla Russia con amore” evidenzia la necessità di valutare attentamente le implicazioni per la sicurezza nazionale in situazioni di emergenza. Questo caso offre un esempio concreto di come attori esterni possano sfruttare contesti critici per infiltrare le loro reti di intelligence, raccogliere dati strategici o penetrare sistemi di sicurezza nazionale. In nome di una presunta assistenza umanitaria, tali operazioni possono minare la stabilità interna e rafforzare l’influenza geopolitica di Paesi terzi. 

L’esperienza italiana dimostra l’importanza di mantenere un controllo rigoroso e di definire limiti chiari nelle collaborazioni internazionali in situazioni emergenziali, al fine di prevenire rischi per l’integrità e la sicurezza dello Stato (Bertolotti, 2023).

Bibliografia

Bertolotti, C. (2023). Le minacce emergenti per l’Italia e il ruolo della Russia (cyber, sanitaria, disinformazione, spionaggio), in “La Russia nel contesto post-bipolare (RUSPOL). I rapporti con l’Europa tra competizione e cooperazione”, 2° Geopolitical Brief, Geopolitica.info, la Sapienza, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Roma.

Bērziņš, J. (2014). Russia’s New Generation Warfare in Ukraine: Implications for Latvian Defense Policy, Policy Paper No 02, (Riga: National Defence Academy of Latvian Center for Security and Strategic Research), 5.

Putin, V. (2012). Russia and the Changing World. Rossiyskaya Gaseta, 29 febbraio 2012.

Santarelli, M., (2022). Dalla Russia con amore. Aiuti covid o spionaggio dalla Russia? Cosa c’è dietro la missione dell’esercito russo a Bergamo, Agenda Digitale, 17 gennaio 2022.

Senato della Repubblica (2020), XVIII Legislatura, Doc. CLXIV n. 31, “Relazione sullo stato della spesa, sull’efficacia nell’allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell’azione amministrativa svolta dal ministero della Difesa, corredata del rapporto sull’attività di analisi e revisione delle procedure di spesa e dell’allocazione delle relative risorse in bilancio”, p. 85.

Tsvetkova, N., Rushchin D. (2021). Russia’s Public Diplomacy: From Soft Power to Strategic Communication. Journal of Political Marketing, 20(1), 50-59.


Il dilemma della difesa europea: perché PESCO e altre iniziative non riescono mai a dare risultati

di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.

L’Unione Europea ha sempre aspirato a rafforzare la sua sicurezza collettiva e l’autonomia strategica. Negli ultimi anni, iniziative come la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), il Fondo europeo per la difesa (EDF) e la Revisione annuale coordinata sulla difesa (CARD) sono state lanciate per potenziare le capacità di difesa europee. Tuttavia, queste iniziative, pur essendo simbolicamente significative, non sono riuscite a dare all’Europa un framework per la sicurezza coerente ed efficace. Con l’aumento delle tensioni geopolitiche, in particolare con una Russia sempre più aggressiva e l’instabilità in corso in Medio Oriente e Nord Africa, è giunto il momento per l’Europa di riconoscere i difetti fondamentali nel suo attuale approccio alla difesa e considerare soluzioni più radicali.

Ad oggi, la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) continua a essere il quadro di riferimento dell’Unione Europea per approfondire la collaborazione in ambito difensivo tra i suoi Stati membri. Dalla sua creazione nel 2017, PESCO si è estesa includendo oggi 26 paesi che lavorano collettivamente su 68 progetti volti a migliorare le capacità militari e l’interoperabilità. Nel novembre 2024, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato le conclusioni della revisione strategica di PESCO, riaffermando il suo ruolo centrale nel promuovere la cooperazione nell’ambito della difesa. La revisione ha messo in luce la necessità di adattare PESCO al mutato panorama geopolitico e ha evidenziato l’importanza di affrontare le sfide esistenti per potenziarne l’efficacia.

Nonostante questi sforzi, PESCO continua comunque ad avere limiti significativi. Molti progetti hanno subito ritardi a causa di una pianificazione finanziaria e opertativa insufficiente, portando a discussioni sul rilancio o l’abbandono di iniziative poco performanti. Inoltre, gli interessi nazionali divergenti e le diverse interpretazioni dell’autonomia strategica tra gli Stati membri hanno ostacolato il raggiungimento di un livello accettabile di coesione. Ad esempio, la Polonia ha espresso preoccupazioni sul fatto che PESCO potrebbe minare la NATO o indebolire la cooperazione in materia di sicurezza con gli Stati Uniti, entrambi vitali per la sicurezza del fianco orientale della NATO.

Per aumentare l’efficacia di PESCO, l’UE ha lanciato diversi progetti aperti alla partecipazione di terzi rispetto all’Unione. In particolare, Canada, Norvegia e Stati Uniti sono coinvolti nel progetto “Mobilità Militare” dal dicembre 2021, con il Regno Unito che si è unito nel novembre 2022. Il Canada è stato anche invitato a partecipare, a partire da febbraio 2023, al progetto di creazione di una rete di hub logistici in Europa e supporto alle operazioni. Questa inclusione mira a sfruttare competenze e risorse esterne per rafforzare le iniziative PESCO. Nell’agosto 2024, la Svizzera ha ottenuto l’approvazione per partecipare a due progetti PESCO: “Mobilità Militare” e “Cyber Ranges Federation”. Questa apertura è volta a potenziare le capacità di difesa nazionale della Svizzera, pur rispettando i suoi obblighi di neutralità.

Guardando al futuro, la revisione strategica in corso di PESCO, prevista per concludersi entro la fine del 2025, offre un’opportunità per rimodellare il quadro per affrontare meglio le sfide di sicurezza contemporanee. La revisione mira a rivitalizzare PESCO affinando i suoi obiettivi, migliorando la gestione dei progetti e garantendo che gli sforzi collaborativi portino a concreti avanzamenti militari. In sintesi, sebbene PESCO abbia fatto progressi nel promuovere la cooperazione in ambito difensivo all’interno dell’UE, continua a fare i conti con inefficienze burocratiche, priorità nazionali divergenti e livelli variabili di impegno tra gli Stati membri. La valutazione dei risultati della revisione strategica e dell’inclusione di partecipanti terzi saranno cruciali per determinare l’efficacia futura di PESCO nel rafforzare la postura difensiva dell’Europa.

Allo stesso modo, il Fondo europeo per la difesa (EDF), istituito nel 2017, è uno strumento fondamentale per rafforzare la ricerca e l’innovazione nel settore della difesa dell’Unione Europea. Per il periodo 2021-2027, l’EDF ha ricevuto un budget di circa 8 miliardi di euro, di cui 2,7 miliardi destinati alla ricerca difensiva collaborativa e 5,3 miliardi destinati a progetti di sviluppo delle capacità. Riconoscendo la necessità di potenziare le capacità di difesa, la Commissione Europea ha proposto un sostanziale aumento dei fondi per la difesa. Nel marzo 2025, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha annunciato piani per un fondo di difesa da 150 miliardi di euro, volto a incoraggiare gli Stati membri a investire in capacità militari con il supporto di prestiti sostenuti dall’UE. Questa iniziativa sottolinea l’impegno dell’UE nel rafforzare la propria postura difensiva in risposta alle sfide geopolitiche in evoluzione.

La Revisione Annuale Coordinata sulla Difesa (CARD) è un altro meccanismo cruciale progettato per armonizzare la pianificazione e gli investimenti della difesa tra gli Stati membri dell’UE. CARD fornisce una panoramica completa del panorama della difesa dell’UE, identificando opportunità di collaborazione e facilitando la cooperazione. Tuttavia, il rapporto CARD del 2024 indica che, nonostante i progressi nella spesa per la difesa e nella cooperazione, resta ampio spazio per miglioramenti. Gli Stati membri sono incoraggiati a prendere azioni decisive per mantenere gli investimenti e migliorare l’efficienza delle loro forze armate.

In aggiunta all’EDF e al CARD, numerose altre iniziative e agenzie difensive europee contribuiscono al potenziamento delle capacità di difesa dell’Unione Europea. Istituita nel 2004, l’Agenzia Europea per la Difesa (EDA) supporta gli Stati membri dell’UE nel migliorare le loro capacità di difesa attraverso la cooperazione europea. Agendo come facilitatore per progetti difensivi collaborativi, l’EDA funge da centro per la cooperazione nella difesa europea, coprendo una vasta gamma di attività legate alla difesa.

La Politica Comune di Sicurezza e Difesa (CSDP) è il quadro dell’UE per la difesa e la gestione delle crisi, formando una componente principale della Politica Estera e di Sicurezza Comune (CFSP) dell’UE. La CSDP consente all’UE di intraprendere missioni operative al di fuori dei suoi confini, utilizzando sia risorse civili che militari per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale. L’UE sta anche esplorando lo sviluppo di una nuova rete satellitare per ridurre la dipendenza dall’intelligence militare degli Stati Uniti. Questa iniziativa mira a migliorare la capacità dell’UE di rilevare minacce e coordinare azioni militari, fornendo aggiornamenti più frequenti e maggiore autonomia nella raccolta di informazioni. Queste iniziative e agenzie contribuiscono collettivamente a un quadro difensivo europeo più integrato e robusto, affrontando le sfide di sicurezza sia attuali che emergenti.

A complicare le sfide affrontate da queste iniziative c’è comunque la continua dipendenza dell’UE dalla NATO come suo principale garante della sicurezza. Mentre i leader europei parlano spesso di “autonomia strategica”, la realtà è che l’Europa rimane dipendente dal potere militare americano. La guerra in Ucraina ha sottolineato il ruolo insostituibile della NATO nella sicurezza europea, con gli Stati Uniti che forniscono la maggior parte degli aiuti militari e del coordinamento strategico. Questa dipendenza dalla NATO crea un paradosso: mentre l’UE desidera una maggiore indipendenza difensiva, non è disposta o in grado di sviluppare le capacità necessarie per rendere quell’indipendenza significativa. I tentativi di stabilire un’identità difensiva europea credibile, come l’Iniziativa di Intervento Europea (EI2) guidata dalla Francia, hanno fatto pochi progressi a causa delle priorità concorrenti degli Stati membri.

Per affrontare queste carenze, l’Europa deve riconsiderare la sua strategia di difesa con soluzioni audaci e pragmatiche. In primo luogo, è necessaria un’autentica volontà di spesa per la difesa. L’UE dovrebbe stabilire obiettivi vincolanti di investimento in difesa, simili all’aumento della richiesta di PIL della NATO. ReArm Europe è un passo nella giusta direzione, ma un bilancio militare comune europeo, finanziato attraverso meccanismi a livello UE, potrebbe aiutare a superare la frammentazione nell’acquisto di armamenti e nello sviluppo delle capacità.

In secondo luogo, dobbiamo capire che la creazione di un esercito europeo pienamente integrato è stata a lungo considerata politicamente irrealizzabile a causa delle preoccupazioni sulla sovranità nazionale e della complessità nell’allineare strutture militari diversificate. Tuttavia, gli sviluppi recenti indicano un cambiamento verso capacità difensive europee più coese. Nel marzo 2022, l’UE ha introdotto lo strumento dello Strategic Compass, delineando la creazione di una Capacità di Dispiegamento Rapido (RDC) entro il 2025. Questa forza modulare mira a mobilitare fino a 5.000 persone, incorporando i battaglioni modificati dell’UE e forze aggiuntive degli Stati membri.

Il presidente francese Emmanuel Macron è da sempre un sostenitore vocale del rafforzamento dei meccanismi di difesa dell’UE. Nell’aprile 2024, ha proposto l’istituzione di una Forza di Reazione Rapida Europea entro il 2025, sottolineando la necessità di un'”Iniziativa di Difesa Europea” per sviluppare concetti strategici e capacità, in particolare nella difesa aerea e nelle operazioni a lungo raggio. Nonostante queste iniziative, permangono numerosi problemi. Nazioni come la Germania affrontano difficoltà nel reclutare e preparare le loro forze armate, soprattutto tra le giovani generazioni che potrebbero dare priorità all’equilibrio tra vita lavorativa e impegni militari. Nazioni come l’Italia non si fidano della Francia, riconoscendo che molto spesso le priorità strategiche e gli interessi nazionali di Parigi divergono da quelli di Roma.

Infine, potenziare la sicurezza dell’Europa richiede un approccio globale che integri i quadri militari istituzionali e la preparazione civile. Sebbene l’idea di un diritto di autodifesa a livello dell’UE simile al Secondo Emendamento degli Stati Uniti sia culturalmente e giuridicamente complessa, l’Europa ha avviato iniziative per rafforzare la resilienza e la preparazione civile.

In conclusione, l’ambiente di sicurezza dell’Europa sta peggiorando, e le attuali iniziative di difesa sono inadeguate per affrontare le sfide future. PESCO, l’EDF e il CARD non sono riusciti a offrire un cammino credibile verso l’autonomia strategica. Se l’Europa è seria nel difendersi, deve adottare soluzioni più ambiziose, tra cui un aumento della spesa per la difesa, l’integrazione operativa e un quadro giuridico che dia potere agli Stati e ai cittadini in materia di sicurezza. Senza tali misure, la difesa europea rimarrà un mosaico frammentato e inefficace, lasciando il continente vulnerabile in un mondo sempre più ostile.


AMERICA FIRST- Il piano economico dell’amministrazione Trump 2025

di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti
giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato (US)

Qualche giorno fa a New York, il ministro del Tesoro statunitense Scott Bessent ha illustrato le principali politiche economiche del governo Trump davanti a esperti di economia e finanza. L’obiettivo centrale è quello di superare la grave crisi finanziaria che ancora colpisce il Paese, nonostante la sua grande ricchezza.

“America First”, ha spiegato Bessent, non riguarda solo politica interna o internazionale, economia o sicurezza nazionale. È piuttosto un piano completo che punta a migliorare la vita di ogni americano attraverso tre priorità fondamentali, coordinate dal Dipartimento del Commercio e del Tesoro. La base di questo piano è una nuova politica fiscale.

Politica interna

La parola chiave è deregolamentazione, cioè ridurre le regole inutili nel settore finanziario per accelerare la ripresa economica. Secondo l’amministrazione Trump, le regole attuali sono eccessive e non sempre efficaci. Un recente decreto presidenziale obbliga le principali autorità finanziarie (Federal Reserve, FDIC e OCC) a far revisionare le proprie regole dall’Ufficio di Gestione e Bilancio, per garantire più controllo e responsabilità.

Secondo Bessent, la crisi bancaria del 2023, in particolare il fallimento della Silicon Valley Bank, è nata proprio a causa della scarsa supervisione. Chi doveva controllare non ha compreso in tempo i rischi che la banca stava assumendo, e non è intervenuto con decisione per risolverli.

L’agenda del governo prevede quindi una revisione completa delle priorità nella supervisione bancaria. La cultura delle banche deve cambiare: meno attenzione alla burocrazia formale e più concentrazione sui rischi reali. Questo cambiamento sarà promosso dal Financial Stability Oversight Council (FSOC) e dal Working Group on Financial Markets, creando un migliore dialogo tra le banche, i regolatori e il Tesoro.

Secondo Bessent, le grandi banche americane oggi soffrono di troppe regole inefficienti e poco chiare. La sua proposta è di semplificare e aggiornare queste norme. Ad esempio, il regolamento sul rapporto di leva finanziaria rischia di limitare inutilmente anche l’utilizzo degli investimenti più sicuri, come i titoli di stato americani.

Bessent si è focalizzato sul successo delle piccole banche, che ad oggi sono solo 4.000, ma svolgono un ruolo significativo nell’economia degli Stati Uniti, nonostante detengano solo il 15% degli asset e depositi d’industria. Queste banche rappresentano il 40% dei prestiti alle piccole imprese, il 70% dei prestiti agricoli e il 40% dei prestiti immobiliari commerciali. Sfortunatamente, sono state sovraccaricate, dice Bessent, da requisiti di reporting improduttivi, regolamentazioni assai gravose, che hanno poco a che fare con la riduzione del rischio finanziario materiale. Dice Bessent: “è necessario migliorare l’efficienza e l’efficacia nel nostro settore finanziario, concentrandoci su attività domestiche sottoscritte, riducendo l’indebitamento del settore pubblico e facendo leva sul settore privato. Ciò comporterà una rivitalizzazione intelligente delle nostre istituzioni finanziarie regolate”.

Queste  politiche economiche  hanno suscitato molte critiche da diversi settori. La proposta di ridurre il deficit federale al 3% del PIL è stata accolta con preoccupazione, poiché per raggiungere questo obiettivo, sarebbero necessarie ingenti riduzioni dei programmi sociali, come Medicaid, e un aumento delle tasse sui beni importati, penalizzando le famiglie a basso e medio reddito. Inoltre il sostegno alla deregolamentazione del settore finanziario, mirato a stimolare la crescita economica, ha suscitato preoccupazioni circa l’instabilità finanziaria, simile a quella che ha preceduto la crisi del 2008. La riduzione della supervisione potrebbe aumentare i rischi legati agli eccessi del settore bancario e a un rischio sistemico maggiore, per non parlare della proposta di coordinare la politica monetaria con misure fiscali per influenzare i tassi di interesse a lungo termine. La paura è che questa politica  destabilizzi i mercati finanziari.

La proposta di ridurre il deficit federale al 3% del PIL è stata accolta con preoccupazione, poiché per raggiungere questo obiettivo, sarebbero necessarie ingenti riduzioni dei programmi sociali, come Medicaid, e un aumento delle tasse sui beni importati, penalizzando le famiglie a basso/medio reddito.

  • Politica commerciale
  • Sul fronte internazionale, l’agenda economica del presidente Trump si basa su tre fattori principali:  Annullare le tariffe, creando un equilibrio nel commercio internazionale tra importazioni ed esportazioni.
  • Riportare la produzione manifatturiera negli Stati Uniti, riducendo così la dipendenza economica da paesi esteri come Cina, Canada e Messico. Sebbene questo processo richiederà tempo, l’obiettivo è ridurre gradualmente la delocalizzazione produttiva avvenuta negli ultimi decenni.
  • Rivedere gli accordi commerciali e militari, integrando politica militare, economica e politica estera, anziché trattarle come ambiti separati. Secondo l’amministrazione Trump, la spesa militare, infatti, non garantisce una crescita economica sana e sostenibile. Diversi economisti sostengono questa visione, tra cui James K. Galbraith, che considera la spesa militare improduttiva rispetto agli investimenti civili; Norman Angell, che già nel 1909 spiegava nel suo saggio “La grande illusione” che il potere militare non genera benessere economico duraturo; e John Maynard Keynes, che nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” evidenziava come le spese pubbliche produttive siano preferibili rispetto alla costruzione di armamenti per sostenere una crescita economica stabile.

Secondo l’amministrazione Trump, la spesa militare non garantisce una crescita economica sana e sostenibile. In quest’ottica, gli Stati Uniti non intendono più sovvenzionare altri paesi Nato, concentrando invece le risorse verso lo sviluppo produttivo interno e nuove relazioni commerciali.

In quest’ottica, gli Stati Uniti non intendono più sovvenzionare altri paesi Nato, concentrando invece le risorse verso lo sviluppo produttivo interno e nuove relazioni commerciali. Non possiamo dare torto al ministro del Tesoro quando afferma “ gli Stati Uniti sono anche consumatori di prima e ultima istanza. Questo sistema non è sostenibile”. E come stoccata alla Cina, dice: “ L’accesso a beni a basso costo non è l’essenza del sogno americano. Il sogno americano riguarda la mobilità sociale, la sicurezza economica e l’opportunità di raggiungere la prosperità. Le relazioni economiche internazionali che non funzionano per il popolo americano devono essere riesaminate. Questo è ciò che le tariffe sono progettate per affrontare: livellare il campo di gioco affinché il sistema commerciale internazionale premi l’ingegnosità, la sicurezza, lo stato di diritto e la stabilità, invece di sopprimere i salari, manipolare le valute, rubare proprietà intellettuali e introdurre regolamenti draconiani. Gli Stati Uniti risponderanno a pratiche dannose, incluse leggi ingiuste, politiche governative che minano la concorrenza globale e manipolazione delle valute”.

Ancora una volta Trump e Bessent hanno definito impropriamente queste multe come “tariffe”. L’Unione Europea ha sanzionato Google per pratiche anticoncorrenziali relative al suo servizio di shopping online, accusandola di privilegiare i propri prodotti rispetto a quelli della concorrenza, limitando così la libertà di scelta dei consumatori.

L’accesso a beni a basso costo non è l’essenza del sogno americano. Il sogno americano riguarda la mobilità sociale, la sicurezza economica e l’opportunità di raggiungere la prosperità.

Scott Bessent, segretario al Tesoro statunitense

In realtà, si tratta di sanzioni applicate sulla base di precise normative europee a tutela della privacy e della libera concorrenza. L’Europa, attraverso regolamenti come il Digital Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA), ha tracciato una netta linea di difesa—una sorta di “linea Maginot”—che limita il potere delle grandi piattaforme digitali, impedendo loro di prevalere sugli interessi dei singoli cittadini. Il DMA, in particolare, identifica grandi aziende tecnologiche come Alphabet (Google), Amazon, Apple, ByteDance, Meta e Microsoft, definendole “gatekeeper” e imponendo loro obblighi specifici per garantire un mercato equo e competitivo.

Parlando poi di sicurezza militare Bessent afferma: “La sicurezza economica è la sicurezza nazionale. Questo è evidente nelle azioni di sanzione del Tesoro degli Stati Uniti. Nel suo discorso dello scorso settembre, il presidente Trump ha espresso il suo parere che l’uso eccessivo delle sanzioni potrebbe influenzare la supremazia del dollaro. Sono d’accordo e aggiungo che, come l’uso eccessivo di antibiotici, l’obiettivo diventa immune e muta. Le sanzioni che non sono monitorate con attenzione creano semplicemente nuovi mercati che devono essere sanzionati a loro volta, e il ciclo continua. Un fattore importante che ha permesso alla macchina da guerra russa di continuare è stata la debolezza delle sanzioni sull’energia russa da parte dell’amministrazione Biden, causata dalle preoccupazioni per l’aumento dei prezzi dell’energia negli Stati Uniti durante una stagione elettorale. Questa amministrazione ha mantenuto in atto le sanzioni potenziate e non esiterà ad andare fino in fondo se ciò fornirà leva nelle negoziazioni di pace. La guida del presidente Trump sulle sanzioni è chiara: saranno utilizzate in modo esplicito e aggressivo per un impatto massimo e saranno monitorate con attenzione per garantire che raggiungano obiettivi specifici.”

Sebbene il piano economico “America First” abbia il merito di riportare l’attenzione sulla centralità dell’economia domestica, alcuni suoi aspetti andrebbero rivisti con cautela per evitare conseguenze indesiderate sul piano economico e sociale, sia nazionale che internazionale

In conclusione, il piano economico “America First” proposto dall’amministrazione Trump presenta alcune idee interessanti, come la volontà di riportare la manifattura negli Stati Uniti e di semplificare alcune regolamentazioni finanziarie considerate troppo burocratiche. Tuttavia, molte delle soluzioni proposte, in particolare la forte deregolamentazione e la riduzione drastica del deficit federale, sollevano preoccupazioni concrete. Da un lato, c’è il rischio che l’allentamento delle regole bancarie possa portare nuovamente a crisi finanziarie, come già avvenuto nel 2008 e nel 2023. Dall’altro, la riduzione dei programmi sociali per contenere il deficit potrebbe aggravare le disuguaglianze economiche e sociali negli Stati Uniti.

Sul fronte internazionale, il desiderio di riportare la manifattura negli USA e rivedere i rapporti commerciali e militari evidenzia una presa di coscienza della vulnerabilità economica del paese, e rappresenta un tentativo ambizioso e positivo di ridare impulso alla produzione nazionale. Tuttavia, questa strategia richiederà tempo, investimenti mirati e relazioni diplomatiche attente.

Infine, la posizione di Trump e Bessent rispetto alle sanzioni europee verso le grandi aziende tecnologiche appare semplicistica e rischia di creare inutili tensioni. Non riconoscere la differenza tra “tariffe” e sanzioni antitrust indica una possibile incomprensione delle normative europee, che sono volte a tutelare la concorrenza e i diritti dei cittadini.

In sintesi, sebbene il piano economico “America First” abbia il merito di riportare l’attenzione sulla centralità dell’economia domestica, alcuni suoi aspetti andrebbero rivisti con cautela per evitare conseguenze indesiderate sul piano economico e sociale, sia nazionale che internazionale.


L’evoluzione della guerra irregolare e una roadmap per il futuro.

di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.

Storicamente parlando, la guerra irregolare (IW) è stata una costante dei conflitti, evolvendosi in risposta a dinamiche politiche, tecnologiche e sociali in continuo cambiamento. Nella dottrina militare degli Stati Uniti, essa è definita come “una lotta violenta tra attori statali e non statali per la legittimità e l’influenza sulle popolazioni di interesse” e, secondo la legge statunitense, come “attività del Dipartimento della Difesa che non coinvolgono conflitti armati ma supportano politiche e obiettivi militari prestabiliti degli Stati Uniti, condotte da, con e attraverso forze regolari, forze irregolari, gruppi e individui”. In senso più ampio, si tratta di una forma di guerra che mira a minare il potere di un avversario attraverso tattiche asimmetriche. Oggi, la guerra irregolare ha assunto molte forme, dalla guerriglia alle operazioni cyber-enabled. Sebbene il dibattito moderno sulla IW sia fortemente influenzato dalle esperienze occidentali, in particolare dagli Stati Uniti, è essenziale esaminare una gamma più ampia di casi storici e contemporanei per comprenderne l’evoluzione e affrontare le sfide della sicurezza futura.

Nel corso della storia, la guerra irregolare è stata l’arma della parte più debole in un conflitto, che si trattasse di insorti contro potenze coloniali, movimenti di resistenza contro occupazioni o attori non statali che sfidavano l’autorità statale. Esempi precoci includono le tattiche di guerriglia impiegate dagli spagnoli contro le forze napoleoniche nella Guerra d’Indipendenza spagnola (1808-1814) e le strategie asimmetriche utilizzate dai gruppi indigeni contro gli eserciti coloniali europei.

Nel XX secolo, la guerra irregolare è diventata una caratteristica dominante dei conflitti globali, soprattutto nelle lotte di decolonizzazione. La resistenza vietnamita contro le forze francesi e, successivamente, contro quelle americane ha dimostrato l’efficacia di una combinazione di tattiche di guerriglia, guerra politica e operazioni convenzionali. Analogamente, la strategia della guerra prolungata di Mao Zedong in Cina ha enfatizzato l’importanza della mobilitazione della popolazione e della fusione tra ideologia politica e azione militare per logorare un avversario più forte nel tempo.

Durante la Guerra Fredda, entrambe le superpotenze furono coinvolte in campagne di guerra irregolare attraverso guerre per procura, sostegno alle insurrezioni e operazioni di controinsurrezione. L’esperienza sovietica in Afghanistan (1979-1989) e i conflitti degli Stati Uniti in Vietnam, Iraq e Afghanistan dimostrano le difficoltà di combattere avversari irregolari con mezzi militari convenzionali. Questi casi evidenziano l’importanza della comprensione delle dinamiche locali, della legittimità politica e dei limiti del potere militare nei conflitti irregolari.

Oggi, la guerra irregolare si è espansa oltre le insurrezioni tradizionali e i movimenti di guerriglia per includere la guerra cibernetica, la guerra dell’informazione e le minacce ibride. Attori non statali come l’ISIS e minacce ibride da parte di stati, come l’uso russo di forze proxy e delle campagne di disinformazione in Ucraina, illustrano la natura in evoluzione della guerra irregolare. Il ruolo della tecnologia, in particolare l’intelligenza artificiale, i droni e le capacità informatiche, ha poi cambiato radicalmente il modo in cui la guerra irregolare viene condotta.

Tuttavia, una carenza critica negli studi attuali sulla guerra irregolare è il focus occidentale, che spesso ignora le esperienze ricche e variegate di altre regioni. Ad esempio, le strategie di guerra asimmetrica di Hezbollah contro Israele, l’uso di droni e missili da parte degli Houthi in Yemen e l’insurrezione prolungata delle FARC in Colombia offrono lezioni preziose sull’adattabilità e la resilienza delle forze irregolari. Esaminare come le nazioni africane contrastano le insurrezioni, come la lotta della Nigeria contro Boko Haram, o come l’India ha affrontato le insurrezioni in Kashmir e nel Nord-Est, potrebbe offrire nuove prospettive sulle strategie di controinsurrezione e stabilizzazione.

Per affrontare efficacemente le sfide della guerra irregolare futura, è necessaria una revisione del pensiero strategico. I responsabili politici e i militari dovrebbero ampliare la base di conoscenza oltre le esperienze occidentali, integrando le lezioni derivanti da conflitti globali diversificati. Le esperienze di attori mediorientali, africani e asiatici, sia nell’insurrezione che nella controinsurrezione, forniscono lezioni critiche di adattabilità e resilienza. Allo stesso tempo, i progressi nell’intelligenza artificiale, nei sistemi autonomi e nella guerra cibernetica modelleranno il futuro della guerra irregolare. Molti attori ostili stanno infatti già integrando propaganda basata sull’IA, deepfake e sabotaggi informatici nei loro arsenali, rendendo essenziale lo sviluppo di contromisure e strategie proattive.

Come la storia ha dimostrato, la guerra irregolare non riguarda solo la forza militare, ma anche la vittoria nelle battaglie politiche e sociali. Le future strategie devono integrare la guerra politica, le operazioni di informazione e gli strumenti economici per contrastare efficacemente gli avversari. Con l’aumento delle minacce ibride che fondono tattiche convenzionali, irregolari e cibernetiche, le nazioni devono adottare un approccio alla sicurezza globale che coinvolga collaborazione tra settori militare, civile e privato. Inoltre, è fondamentale dare priorità alle partnership locali e alla comprensione culturale, riconoscendo che le soluzioni ai conflitti irregolari sono spesso specifiche del contesto. Programmi di addestramento, raccolta di intelligence e operazioni militari dovrebbero incorporare una conoscenza profonda della cultura e della storia locale.

Per sviluppare efficacemente le strategie di guerra irregolare, dovrebbe essere implementata il prima possibile una roadmap strutturata. Tale roadmap dovrebbe iniziare con una fase dedicata alla ricerca e all’analisi da condursi nei prossimi anni, concentrandosi su studi approfonditi delle esperienze non occidentali e sull’integrazione delle loro lezioni nei programmi di formazione militare e politica. Dovrebbero essere istituiti gruppi di lavoro internazionali composti da esperti di diverse regioni, mentre modelli predittivi basati su IA e big data potrebbero anticipare le tendenze della guerra irregolare e le potenziali minacce, garantendo strategie adattabili e lungimiranti.

Dopo questa fase di ricerca, i successivi due o tre anni dovrebbero essere dedicati alla revisione delle politiche e delle dottrine militari. Questo comporterebbe l’aggiornamento delle linee guida operative per integrare le lezioni della guerra ibrida e informatica, il rafforzamento dei meccanismi di condivisione dell’intelligence tra nazioni alleate e l’affinamento dei quadri legali ed etici per affrontare le complessità della guerra irregolare, specialmente nel cyberspazio e nelle operazioni di informazione. Man mano che gli avversari evolvono le loro tattiche, i responsabili politici devono garantire che i quadri giuridici rimangano solidi ma flessibili di fronte alle nuove sfide.

Successivamente, gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla costruzione delle capacità e sulla formazione. Dovrebbero essere istituiti programmi di addestramento specializzati che si focalizzino su studi di casi non occidentali e sulle tattiche di guerra ibrida, preparando il personale militare e dell’intelligence a operare in ambienti diversi. Le innovazioni tecnologiche dovrebbero essere integrate in questi programmi, mentre partenariati tra governi, mondo accademico e settore privato dovrebbero favorire lo sviluppo di contromisure innovative contro le campagne di disinformazione e la propaganda digitale. In conclusione, la guerra irregolare è una forma di conflitto persistente ed evolutiva che richiede un adattamento continuo. L’approccio occidentale ha fornito importanti intuizioni, ma le strategie future devono incorporare un’ampia gamma di esperienze globali per rimanere efficaci. Solo abbracciando questi cambiamenti, le nazioni potranno contrastare efficacemente le minacce irregolari del futuro.


L’Alleanza dei Five Eyes e l’erosione della fiducia sotto la politica di Trump.

di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.

L’Alleanza dei Five Eyes, formata nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, è una delle reti di condivisione di informazioni più potenti al mondo. Composta da Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, i Five Eyes rappresentano un raro esempio di cooperazione internazionale nel mondo oscuro dell’intelligence e della sicurezza. I suoi membri condividono dati riservati, conducono operazioni congiunte e valutano regolarmente le minacce globali. In questo modo, si scambiano le informazioni critiche necessarie per proteggere gli interessi nazionali, prevenire il terrorismo e rispondere alle sfide militari.

Per quasi otto decenni, le nazioni dei Five Eyes hanno operato sulla base della fiducia reciproca. Questa fiducia ha permesso loro di cooperare senza problemi, condividendo non solo informazioni di intelligence, ma anche priorità strategiche. Tuttavia, gli sviluppi recenti sotto la leadership di Donald Trump hanno sollevato preoccupazioni che questa partnership potrebbe essere sull’orlo del collasso.

Dall’inizio del suo attuale mandato, le politiche e la retorica di Trump hanno gettato una lunga ombra sulle relazioni degli Stati Uniti con i suoi alleati più stretti. La sua decisione di ritirare il supporto militare e di intelligence all’Ucraina, ad esempio, ha segnato un cambiamento drammatico nella politica estera americana. Questo ritiro, avvenuto in un periodo di crescente aggressività russa, ha lasciato gli alleati degli Stati Uniti perplessi e ansiosi riguardo l’affidabilità degli Stati Uniti come partner. Sebbene la decisione di Trump fosse apparentemente motivata dal desiderio di concentrarsi sugli interessi americani, ha ulteriormente indebolito la fiducia tra le nazioni dei Five Eyes.

Infatti, mentre gli Stati Uniti si ritirano dai loro impegni, paesi come il Regno Unito e il Canada si trovano a dover colmare il divario. Ci sono già piani per aumentare la spesa per la difesa e intensificare gli aiuti all’Ucraina. Ma la domanda più grande è: cosa significa per i Five Eyes quando uno dei suoi membri fondatori, gli Stati Uniti, segnala che non condivide più lo stesso livello di impegno verso gli obiettivi comuni dell’alleanza?

Le radici del problema non risiedono solo nelle decisioni controverse di politica estera di Trump, ma anche nella sua gestione avventata delle informazioni sensibili. Diversi episodi, tra cui la fuga di materiale riservato a leader stranieri e la cattiva gestione di documenti, hanno sollevato dubbi sull’affidabilità degli Stati Uniti nella salvaguardia dell’intelligence. Se gli Stati Uniti non possono proteggere i propri dati riservati, come si può fare affidamento su di loro per gestire i segreti degli alleati dei Five Eyes?

Questa nuova postura ha avuto un effetto a catena sull’alleanza. I paesi che un tempo erano desiderosi di condividere informazioni con gli Stati Uniti si trovano ora a chiedersi se valga la pena correre il rischio. Funzionari britannici e canadesi hanno espresso preoccupazione che la loro intelligence possa essere mal gestita o abusata, con gravi conseguenze per la sicurezza nazionale. E forse ancor più preoccupante è il crescente senso che gli Stati Uniti non stiano più dando priorità alla sicurezza a lungo termine dei loro alleati. I Five Eyes hanno sempre operato sul principio del “rischio condiviso”; quando uno dei partner è compromesso, tutti i partner ne sentono l’impatto.

La retorica di “America First” di Trump ha anche contribuito a un cambiamento nelle dinamiche di potere globali, mentre gli Stati Uniti si ritirano sempre più in se stessi. Sotto la sua leadership, gli Stati Uniti non solo hanno ridotto il loro supporto per alleanze tradizionali come la NATO, ma hanno anche mostrato scarso rispetto per l’ordine internazionale più ampio. Le conseguenze di questo approccio non sono solo teoriche: sono già evidenti. I leader europei, in particolare nel Regno Unito, sono stati costretti a riconsiderare i loro accordi di sicurezza. Alcuni stanno addirittura contemplando la possibilità di formare alleanze alternative senza gli Stati Uniti, in risposta alla politica estera imprevedibile di Trump.

Per paesi come il Regno Unito, questa è una situazione particolarmente difficile. L’Alleanza dei Five Eyes è stata la pietra angolare delle operazioni di intelligence britanniche per decenni, offrendo un accesso senza pari alle capacità di intelligence degli Stati Uniti. Ma alla luce del comportamento erratico di Trump, ora si sta diffondendo la consapevolezza che la Gran Bretagna potrebbe dover diversificare le proprie partnership di intelligence per tutelare i propri interessi di sicurezza. Questo potrebbe portare a un riallineamento delle alleanze, con le potenze europee che cercano legami più stretti con i membri della NATO al di fuori degli Stati Uniti o addirittura esplorando la cooperazione con altri attori globali.

Le ripercussioni delle politiche di Trump sono evidenti anche nel suo approccio ai conflitti globali. Il suo ritiro del supporto all’Ucraina, ad esempio, ha lasciato le nazioni europee in una posizione scomoda. Con gli Stati Uniti che si ritirano dal campo di battaglia, i membri della NATO come il Regno Unito e la Francia hanno dovuto assumere un ruolo più attivo nel supportare la difesa dell’Ucraina contro l’aggressione russa. Questo ha aumentato il senso di incertezza tra i partner dei Five Eyes riguardo l’affidabilità degli Stati Uniti come alleato. Se gli Stati Uniti sono disposti ad abbandonare i propri impegni verso uno dei suoi alleati più stretti di fronte all’espansionismo russo, cosa accadrà quando emergerà la prossima crisi globale?

C’è anche la pressante questione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, che ha ulteriormente complicato la capacità dei Five Eyes di mantenere la coesione. L’approccio di Trump verso la Cina—caratterizzato da una guerra commerciale e da tentativi di minare l’ascesa tecnologica di Pechino—ha avvicinato gli Stati Uniti a un confronto con la Cina. Ciò ha costretto le nazioni dei Five Eyes a schierarsi. Mentre l’Australia e il Regno Unito hanno sostenuto la posizione degli Stati Uniti sulla Cina, paesi come il Canada e la Nuova Zelanda hanno mostrato riluttanza nell’adottare un approccio duro, in parte a causa dei loro legami economici con la Cina. Questa spaccatura potrebbe minare il quadro di condivisione dell’intelligence che è stato il marchio di fabbrica dei Five Eyes, soprattutto mentre le dinamiche globali di potere cambiano.

Guardando al futuro, il destino dell’Alleanza dei Five Eyes è incerto. L’aumento dell’imprevedibilità della politica estera degli Stati Uniti sotto Trump—unito alle preoccupazioni per la gestione impropria delle informazioni e l’isolazionismo diplomatico—ha lasciato molti a chiedersi se l’alleanza possa continuare nella sua forma attuale. Se gli Stati Uniti rimarranno riluttanti o incapaci di riaffermare i propri impegni verso i suoi alleati, i Five Eyes potrebbero dover subire una trasformazione significativa. L’alleanza potrebbe evolversi per fare più affidamento sui suoi membri europei, con nuovi accordi forgiati al di fuori dell’orbita degli Stati Uniti. In conclusione, mentre l’Alleanza dei Five Eyes è stata una forza potente nella sicurezza globale per decenni, lo stato attuale della politica estera degli Stati Uniti sotto Donald Trump ha messo a rischio questa partnership. Se la fiducia continua a erodersi, le fondamenta stesse dell’alleanza potrebbero crollare, costringendo i suoi membri a tracciare un nuovo corso. La domanda rimane: possono i Five Eyes rimanere uniti di fronte a un ordine mondiale in cambiamento, o saranno costretti ad adattarsi a un futuro senza gli Stati Uniti al centro?


Un arsenale nucleare per l’Italia: quanto costerebbe?

di Andrea Molle e Claudio Bertolotti.

Quanto costerebbe all’Italia dotarsi di un proprio arsenale nucleare?

L’idea che l’Italia possa dotarsi di un’arma nucleare è un tema complesso, con implicazioni economiche, politiche e strategiche. In uno scenario ipotetico, Roma potrebbe scegliere tra due modelli: una triade nucleare completa, come quella di Stati Uniti, Russia e Cina, oppure una forza nucleare più limitata, simile alla “Force de Frappe” francese. Ma quanto costerebbe ciascuna opzione?

Una deterrenza nucleare basata su tre componenti – missili balistici terrestri, sottomarini nucleari con missili balistici e bombardieri strategici – richiederebbe enormi investimenti in ricerca, produzione e infrastrutture. Per la componente terrestre, lo sviluppo dei missili balistici intercontinentali potrebbe costare tra i 10 e i 20 miliardi di euro, mentre la loro produzione richiederebbe un investimento di circa 50-100 milioni per ogni missile. Le infrastrutture, tra cui silos e basi mobili, avrebbero un costo aggiuntivo tra i 5 e i 10 miliardi, mentre la manutenzione e gli aggiornamenti per un periodo di trent’anni potrebbero richiedere tra i 30 e i 50 miliardi. Nel complesso, questa componente costerebbe tra i 50 e gli 80 miliardi di euro. Questo senza contare il problema politico di dove allestire le basi di lancio.

La componente sottomarina prevedrebbe la costruzione di quattro o meglio sei sottomarini nucleari con missili balistici, con un costo stimato tra i 3 e i 5 miliardi per unità. Sappiamo che la Marina sta già considerando lo sviluppo di unità a propulsione nucleare, ma lo sviluppo e la produzione dei missili SLBM comporterebbe una spesa tra i 5 e i 10 miliardi, mentre le infrastrutture e la manutenzione richiederebbero un ulteriore investimento tra i 15 e i 20 miliardi. Complessivamente, questa parte del programma costerebbe tra i 50 e i 70 miliardi di euro.

Per la componente aerea, lo sviluppo di un nuovo bombardiere stealth richiederebbe un investimento tra i 20 e i 40 miliardi di euro, mentre l’acquisto di bombardieri esistenti costerebbe tra 1 e 2 miliardi per unità. Le infrastrutture e gli aggiornamenti aggiungerebbero altri 5-10 miliardi. Il costo totale di questa componente sarebbe tra i 30 e i 50 miliardi di euro.

Infine, lo sviluppo e la produzione delle testate nucleari richiederebbe tra i 10 e i 20 miliardi di euro. La costruzione di impianti per l’arricchimento dell’uranio e la produzione di plutonio costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi, mentre la creazione di sistemi di comando, controllo e comunicazione necessiterebbe di ulteriori 15-20 miliardi. Il costo totale di questa parte del programma sarebbe compreso tra i 35 e i 55 miliardi di euro.

Nel complesso, il costo stimato per una triade nucleare completa si aggirerebbe tra i 165 e i 255 miliardi di euro, con un periodo di realizzazione tra i 20 e i 30 anni.

Un modello più realistico per l’Italia potrebbe essere quello della Francia, che basa la sua deterrenza nucleare su sottomarini con missili balistici e una componente aerea con missili da crociera lanciabili da caccia. La costruzione di quattro sottomarini nucleari lanciamissili avrebbe un costo di circa 3-5 miliardi per unità. Lo sviluppo dei missili balistici per sottomarini richiederebbe tra i 5 e i 10 miliardi, mentre le infrastrutture e la manutenzione costerebbero tra i 10 e i 15 miliardi. Nel complesso, questa componente costerebbe tra i 40 e i 60 miliardi di euro.

Per la componente aerea, l’Italia potrebbe affidarsi agli F-35, già in dotazione e capaci di trasportare missili da crociera con testate nucleari. Lo sviluppo di tali missili comporterebbe una spesa tra i 5 e i 10 miliardi, portando il costo totale della componente aerea tra i 10 e i 20 miliardi di euro.

Infine, lo sviluppo e la produzione delle testate nucleari costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi, mentre la costruzione di impianti per l’arricchimento e la produzione di plutonio avrebbe un costo di circa 10 miliardi. I sistemi di comando e controllo aggiungerebbero un ulteriore investimento di circa 10 miliardi. Il costo totale di questa parte del programma sarebbe compreso tra i 30 e i 35 miliardi di euro.

Nel complesso, il costo stimato per una forza nucleare ridotta si aggirerebbe tra gli 80 e i 115 miliardi di euro, con un periodo di realizzazione tra i 15 e i 20 anni.

L’Italia, come firmataria del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) e membro della NATO, non ha avuto bisogno fino ad ora di un arsenale nucleare nazionale grazie alla protezione dell’ombrello nucleare statunitense. Tuttavia, in un contesto geopolitico in rapido mutamento, il dibattito su un’eventuale autonomia strategica non è da escludere. Se si optasse per una triade nucleare completa, il costo sarebbe esorbitante e difficilmente sostenibile. Un modello alla francese, più agile e meno oneroso, potrebbe essere una scelta più realistica, ma comunque con un prezzo elevato, sia in termini economici che diplomatici. Alla luce di questi numeri, è evidente che la questione non è solo “possiamo permettercelo?”, ma anche “ne vale davvero la pena?”.

Quale confronto con lo stato dell’arte di Stati Uniti, Russia e Francia in termini di dissuasione?

L’ipotesi di una “capacità nucleare” italiana si scontra inevitabilmente con il confronto con le citate grandi potenze nucleari globali – Stati Uniti, Russia e Francia – le cui dottrine strategiche sono il risultato di decenni di sviluppo, test e consolidamento. Come abbiamo detto, l’Italia, pur non possedendo armi nucleari proprie, beneficia del citato ombrello nucleare e della dissuasione estesa garantita dagli Stati Uniti. Tuttavia, immaginare uno scenario in cui l’Italia si doti di una capacità nucleare autonoma solleva interrogativi strategici, tecnologici e politici di grande rilevanza.

Le capacità nucleari di Stati Uniti e Russia si basano su una strategia di dissuasione strategica, ma con alcune differenze dottrinali. Entrambi i Paesi adottano il principio della destruction mutuelle assurée (MAD), ovvero la distruzione reciproca assicurata, ma lo declinano in modi diversi.

Negli Stati Uniti, la strategia nucleare si fonda su un modello di dissuasione flessibile, concepito per rispondere a minacce su diversi livelli. Questo approccio si articola sulla cosiddetta “triade nucleare”, che include missili balistici intercontinentali (ICBM), sottomarini nucleari lanciamissili (SSBN) e bombardieri strategici in grado di trasportare armi nucleari. La dottrina americana prevede anche una dissuasione estesa, fornendo protezione nucleare agli alleati, inclusa l’Italia. Inoltre, l’introduzione di testate a bassa potenza rende più credibile la deterrenza contro attori regionali, mentre la capacità di attacco preventivo, sebbene non dichiarata esplicitamente, rimane un’opzione praticabile nel quadro della sicurezza nazionale.

La Russia, invece, adotta un modello più aggressivo, noto come “Escalate to De-Escalate”, in cui il ricorso limitato alle armi nucleari potrebbe essere impiegato per porre fine a un conflitto prima che esso si intensifichi. La strategia russa si avvale anch’essa di una triade nucleare, con una particolare enfasi sugli ICBM mobili e su nuove armi ipersoniche e strategiche, sviluppate per mantenere un vantaggio rispetto agli Stati Uniti. La dottrina russa prevede esplicitamente l’uso nucleare in risposta a una minaccia esistenziale, rendendo il confine tra guerra convenzionale e guerra nucleare più sfumato rispetto alla posizione statunitense.

Anche la Francia, con la sua Force de Frappe, si è dotata di un arsenale nucleare autonomo, incentrato su una componente sottomarina e su una flotta di caccia-bombardieri capaci di colpire obiettivi strategici con missili a testata nucleare. La Francia ha sempre rifiutato di integrare completamente il suo deterrente nucleare nella NATO, mantenendo un principio di autonomia decisionale in materia di impiego delle sue forze strategiche. Questo modello potrebbe rappresentare il riferimento più realistico per un’ipotetica capacità nucleare italiana, in quanto orientato alla difesa nazionale piuttosto che a una proiezione di forza su scala globale.

L’Italia, nel contesto della NATO, ha una dottrina di sicurezza che esclude lo sviluppo di un proprio arsenale nucleare, affidandosi piuttosto alla protezione statunitense e alle dinamiche della dissuasione collettiva. L’acquisizione di una capacità nucleare autonoma implicherebbe non solo enormi investimenti economici, ma anche un cambiamento radicale nella politica estera e di sicurezza del Paese, con inevitabili ripercussioni sulle relazioni con gli altri membri dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea.

A differenza degli Stati Uniti e della Russia, che operano sotto una logica di deterrenza su scala globale, e della Francia, che ha scelto un deterrente nazionale indipendente, l’Italia dovrebbe valutare attentamente se una strategia di dissuasione nucleare autonoma sarebbe coerente con i suoi interessi strategici. L’attuale assetto garantisce comunque un livello di sicurezza elevato, senza i costi e le implicazioni geopolitiche di un programma nucleare indipendente. In un contesto internazionale in continua evoluzione, il confronto con i modelli esistenti dimostra che la dissuasione non è solo una questione di tecnologia e arsenali, ma anche di strategia politica e di posizionamento nel sistema internazionale.


Il messaggio di Macron e la ridefinizione dell’identità europea

di Andrea Molle

(Immagine di copertina: Foto di Guillaume Périgois su Unsplash)

Il recente discorso del Presidente francese Emmanuel Macron in cui si esorta l’Europa al riarmo non è solo un campanello d’allarme, ma un momento decisivo per la sicurezza del continente e il suo ruolo nella geopolitica globale. Dichiarando che l’Europa non può più “vivere dei dividendi della pace”, Macron ha riconosciuto una realtà che molti leader europei hanno a lungo preferito ignorare. Il mondo è cambiato e l’assunto post-Guerra Fredda secondo cui la sicurezza europea poteva essere delegata agli Stati Uniti non è più sostenibile. È giunto il momento di una maggiore autonomia strategica.

Al centro del messaggio di Macron vi è la crescente minaccia rappresentata dalla Russia. La guerra in corso in Ucraina, insieme agli sforzi più ampi di destabilizzazione della Russia in Europa, sottolineano l’urgenza della situazione. Gli Stati Uniti sono stati un alleato cruciale, ma il loro panorama politico sta cambiando e le future amministrazioni potrebbero non essere altrettanto impegnate nella sicurezza europea come in passato. La proposta di Macron di estendere la deterrenza nucleare francese agli alleati europei rappresenta un cambiamento strategico fondamentale — uno di quei momenti che ridefiniscono il quadro della sicurezza europea. Non un regalo, e certamente non la condivisione del controllo operativo, ma una vera e propria offerta per l’acquisto della leadership della Difesa Europea.

Questo cambiamento è particolarmente interessante data la postura storica della Francia sulla difesa. Fin dalla presidenza di Charles de Gaulle, la Francia ha perseguito una strategia di difesa indipendente, enfatizzando la sovranità nazionale piuttosto che l’affidamento alla NATO. Nel 1966, de Gaulle ritirò la Francia dal comando militare integrato della NATO, affermando che la Francia avrebbe dovuto controllare la propria politica militare piuttosto che essere subordinata alla leadership degli Stati Uniti. Sebbene la Francia sia rientrata nella struttura di comando della NATO nel 2009 sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, la sua deterrenza nucleare è sempre rimasta strettamente sotto controllo nazionale. La disponibilità di Macron a discutere l’estensione dell’ombrello nucleare francese segna una significativa deviazione da questa posizione tradizionale, segnalando una nuova era nella difesa europea, ma allo stesso tempo un ritorno al paradigma gollista.

Le implicazioni di questo cambiamento si estendono oltre la Francia. L’Unione Europea sta già esplorando massicci investimenti nella difesa, potenzialmente mobilitando centinaia di miliardi di euro. Questa mossa segnala l’intenzione di ridurre la dipendenza dalla NATO, o perlomeno di stabilire un pilastro europeo più forte all’interno dell’alleanza. Se riuscisse, questa trasformazione potrebbe alterare l’equilibrio del potere globale, rendendo l’Europa un attore più indipendente sulla scena mondiale.

L’Italia si trova a un bivio in questo nuovo paradigma e il tempo per una decisione stringe. Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sottolineato l’importanza dell’unità occidentale, avvertendo che la divisione sarebbe “fatale per tutti”. L’Italia, storicamente cauta nelle spese per la difesa, potrebbe ora essere costretta ad aumentare significativamente il proprio budget militare. Inoltre, mentre si evolvono le discussioni sulla deterrenza nucleare europea, l’Italia potrebbe essere costretta a riconsiderare le proprie politiche strategiche. Dovrebbe allinearsi più strettamente alla visione francese, mantenere la sua tradizionale dipendenza dall’ombrello nucleare statunitense o Roma opterà piuttosto per creare una propria “Forza di Deterrenza”?

In ogni caso, il discorso di Macron non riguardava solo la spesa militare; riguardava la ridefinizione dell’identità europea. L’era della compiacenza europea in materia di difesa è finita. La domanda ora è se i leader europei, in particolare in Italia, siano disposti a cogliere l’occasione e assumersi le responsabilità che accompagnano la vera autonomia strategica. Se non agiranno, il costo potrebbe non essere solo la sicurezza dell’Europa, ma il suo posto stesso nell’ordine mondiale.


Il discorso di Trump davanti al Congresso

di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti – giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti

(immagine di copertina: Foto di Louis Velazquez su Unsplash)

Secondo l’Articolo II sezione 3 della Costituzione degli Stati Uniti che in parte recita: “Egli darà di volta in volta al Congresso una Informativa sullo stato dell’Unione, e raccomanderà (all’Assemblea) di esaminare le misure che giudicherà necessarie e convenienti;” Trump martedì sera (4 marzo 2025) ha abbracciato il possibile e l’inimmaginabile. In un’atmosfera tesa e vibrante, Donald Trump ha tenuto il suo primo, atteso discorso congiunto di fronte al Congresso, facendo segnare un record storico di un’ora e quaranta minuti. Nel contesto di un Dow Jones che ha subìto un drammatico calo di 1300 punti dopo l’annuncio di nuove tariffe, il presidente ha delineato la sua visione per il futuro dell’America, tra applausi, dissensi e momenti di forte contrasto. Mentre una metà dell’assemblea, divisa tra repubblicani e democratici, ha risposto con applausi e standing ovations, l’altra ha alzato cartelli con la scritta “falso”, dando un tono di grande polarizzazione a questo discorso. Non sono mancati colpi di scena, a partire dalla politica interna sull’economia e le nuove misure contro il wokismo, fino agli aggiornamenti sul fronte internazionale, dove Trump ha fatto promesse audaci riguardo la sicurezza globale e la politica estera. In questo articolo, esploreremo i punti salienti di un discorso che, come sempre, ha diviso l’opinione pubblica e suscitato forti reazioni politiche.

Le notizie sono tante, ma partiamo dalla politica interna: “Ho imposto un congelamento immediato su tutte le assunzioni federali, un congelamento su tutte le nuove regolamentazioni federali e un congelamento su tutta l’assistenza estera. Ho terminato la ridicola truffa del Green New Deal, mi sono ritirato dall’ingiusto Accordo sul clima di Parigi, che ci costava trilioni di dollari che altri paesi non stavano pagando. Mi sono ritirato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità corrotta e mi sono ritirato anche dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che era antiamericano. Abbiamo annullato tutte le restrizioni ambientali di Biden che rendevano il nostro paese molto meno sicuro e completamente insostenibile. E, cosa importante, abbiamo annullato il mandato folle della precedente amministrazione sui veicoli elettrici, salvando i nostri lavoratori automobilistici e le nostre aziende dalla distruzione economica. Abbiamo ordinato a tutti i lavoratori federali di tornare in ufficio, dovranno presentarsi al lavoro di persona o essere rimossi dal loro lavoro. Abbiamo messo fine al governo politicizzato, e ho fermato tutta la censura governativa e riportato la libertà di parola in America. Due giorni fa, ho firmato un ordine che rende l’inglese la lingua ufficiale degli Stati Uniti d’America. Abbiamo messo fine alla tirannia delle cosiddette politiche di diversità, equità e inclusione in tutto il governo federale e, infatti, nel settore privato e nel nostro esercito. Il nostro paese non sarà più “woke”. Crediamo che, sia che tu sia un medico, un contabile, un avvocato o un controllore del traffico aereo, dovresti essere assunto e promosso in base alle competenze, non alla razza o al genere. Dovresti essere assunto in base al merito e la Corte Suprema, in una decisione coraggiosa ci ha permesso di farlo. Grazie. Abbiamo rimosso il veleno della teoria critica della razza dalle nostre scuole pubbliche e ho firmato un ordine che rende politica ufficiale del governo degli Stati Uniti che ci sono solo due generi: maschio e femmina. Ho anche firmato un ordine esecutivo per vietare agli uomini di giocare negli sport femminili.” E qui presenta una ragazza ex pallavolista che, per una pallonata da un transgender maschio, è rimasta menomata a vita. Inoltre, chiede al Congresso di proibire il cambiamento di sesso per i bambini.


Foto di Natilyn Hicks Photography su Unsplash

Economia – In economia ha aperto il discorso partendo dalla manifattura americana dove prevede ridurre le tasse sulla produzione domestica fornendo un’ammortizzazione del 100%, che sarà retroattiva al 20 gennaio 2025. Ha abolito la legge di Biden che prevedeva la sostituzione di tutte i motori a benzina o diesel per l’elettrico. L’biettivo principale nella lotta per sconfiggere l’inflazione è ridurre rapidamente il costo dell’energia. “L’amministrazione precedente ha ridotto il numero di nuovi contratti di estrazione di petrolio e gas del 95%, ha rallentato la costruzione di oleodotti a zero e ha chiuso più di 100 centrali elettriche. Noi stiamo riaprendo molte di queste centrali proprio ora. La mia amministrazione sta anche lavorando a un gigantesco gasdotto di gas naturale in Alaska, uno dei più grandi al mondo, dove Giappone, Corea del Sud e altre nazioni vogliono essere nostri partner con investimenti di trilioni di dollari ciascuno. I permessi sono stati ottenuti e in settimana faremo in modo di ampliare la produzione di minerali critici e terre rare qui negli Stati Uniti.”

Per combattere l’inflazione, Trump dedica una parte del suo discorso ai risparmi ottenuti grazie a Elon Musk, presente in galleria tra gli ospiti. Il presidente elenca alcuni degli sprechi identificati dal DOGE, il dipartimento governativo creato per combattere le inefficienze: “22 miliardi di dollari dal HHS per fornire alloggi e automobili gratuite agli immigrati illegali, 45 milioni di dollari per borse di studio di diversità, equità e inclusione in Birmania, 40 milioni di dollari per migliorare l’inclusione sociale ed economica dei migranti sedentari, nessuno sa cosa sia. 8 milioni di dollari per promuovere l’LGBTQI+ negli Stati africani, 60 milioni di dollari per i popoli indigeni e l’empowerment afro-colombiano in America Centrale, 8 milioni di dollari per trasformare i topi in transgender… è tutto vero.”

Prosegue poi elencando fatti e storie per rendere credibile e accettabile quanto fatto da Musk, che, ad oggi, trova il mondo democratico contro: “Abbiamo scoperto grazie a Musk, una frode annuale di oltre 500 miliardi di dollari, e livelli scioccanti di incompetenza. Ad esempio, i database governativi riportano 4,7 milioni pensionati tra i 100 e i 109 anni… e addirittura ce n’è uno che ha più di 350 anni e percepisce la pensione. Casi folli.”  Con l’eliminazione di queste frodi, sprechi e furti, così li definisce il presidente: “sconfiggeremo l’inflazione, abbasseremo i tassi dei mutui, ridurremo i pagamenti delle auto e dei generi alimentari, proteggeremo i nostri anziani e metteremo più soldi nelle tasche delle famiglie americane.”

Tasse – A ridosso delle frodi o sbagli Trump si aggancia e parla delle importanti detassazioni che vuole introdurre: no tasse per chi percepisce già la pensione (Social Security), le mance, gli straordinari, gli interessi sui prestiti auto, ma solo se l’auto è prodotta in America. E a proposito, dell’industria automobilistica verranno riaperti molti impianti di produzione delle maggiori case automobilistiche, inclusa la giapponese Honda che ha appena annunciato un nuovo impianto in Indiana, uno dei più grandi al mondo.

Tariffe – A partire dal 2 aprile, le tariffe che verranno imposte agli Stati Uniti saranno riapplicate di conseguenza ai beni importati.

Pena di morte – Per debellare la crescente criminalità nelle città, e proteggere i poliziotti e i pompieri, Trump ha firmato un altro decreto presidenziale che prevede la pena di morte per assassini recidivi che nonostante gli arresti vengono rilasciati e continuano a commettere omicidi: “Sto anche chiedendo una nuova legge sul crimine per essere più severi con i recidivi, affinché i poliziotti americani, possano fare il loro lavoro senza temere che le loro vite vengano distrutte. Non vogliono essere uccisi, e noi non permetteremo che lo siano.”

Salute -Parlando poi di salute infantile ci ha mostrato qualche dato: “Dal 1975, i tassi di cancro infantile sono aumentati di oltre il 40%. Invertire questa tendenza è una delle priorità principali della nostra nuova commissione presidenziale per rendere di nuovo l’America sana, presieduta dal nostro nuovo segretario alla Salute e ai Servizi Umani, Robert F. Kennedy Jr.

Il nostro obiettivo è eliminare le tossine dal nostro ambiente, i veleni dalla nostra fornitura alimentare e mantenere i nostri bambini sani e forti. Per esempio, non molto tempo fa, e non potete nemmeno credere a questi numeri, uno su 10.000 bambini aveva l’autismo, uno su 10.000, e ora è uno su 36. C’è qualcosa che non va, pensateci. Quindi scopriremo cosa sta succedendo.”

Difesa – affrontando le imposizioni woke, e quindi anche la politica transgender, dall’insediamento non sono ammessi i transgender nelle forze armate né wokismi. Secondo Trump questo è il motivo principale per cui si è registrato un numero record di richieste di arruolamento che non si vedeva da almeno 15 anni. Saranno potenziate le forze navali con la costruzione di nuove navi e, sorprendentemente, ha ripreso in mano il programma dello Scudo Spaziale di Ronald Reagan per proteggere il paese da ogni minaccia missilistica, ribattezzandolo però “Golden Dome” (Cupola d’Oro).

Sul fronte politica estera:

  • Panama – ha dichiarato che una importante società americana sta comprando ambo i porti intorno al canale di Panama e altri canali, ma qui il presidente non è stato volutamente specifico. Rubio, il ministro affari esteri è incaricato di supervisionare le operazioni d’acquisto in atto. 
  • Groenlandia – “….supportiamo fermamente il vostro diritto di determinare il vostro futuro e, se lo sceglierete, vi accogliamo negli Stati Uniti d’America. Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza nazionale e anche per la sicurezza internazionale, e stiamo lavorando con tutte le persone coinvolte per cercare di ottenerla, ma ne abbiamo veramente bisogno per la sicurezza internazionale del mondo. E credo che lo otterremo, in un modo o nell’altro, lo otterremo. Vi terremo al sicuro, vi renderemo ricchi e insieme porteremo la Groenlandia a vette che non avete mai pensato possibili. È una popolazione molto piccola, ma una terra molto, molto vasta e molto, molto importante per la sicurezza militare.”
  • Afghanistan – “Anni fa, i terroristi dell’Isis uccisero 13 membri dei servizi americani e innumerevoli altri nell’attentato all’Abbey Gate durante il disastroso e incompetente ritiro dall’Afghanistan….. Stasera sono lieto di annunciare che abbiamo appena arrestato il principale terrorista responsabile di quella atrocità e ora è in viaggio verso di noi per affrontare la rapida spada della giustizia americana. Voglio ringraziare specialmente il governo del Pakistan per averci aiutato ad arrestare questo mostro. È stato un giorno molto significativo per quelle 13 famiglie che ho avuto modo di conoscere molto bene, la maggior parte delle quali ha visto i propri figli uccisi, e per le tante persone che sono state gravemente ferite, oltre 42, in quel giorno fatale.”
  • Ucraina – “Sto lavorando instancabilmente per porre fine al conflitto selvaggio in Ucraina. Milioni di ucraini e russi sono stati uccisi o feriti inutilmente in questo conflitto orribile e brutale, senza alcuna fine in vista. Gli Stati Uniti hanno inviato centinaia di miliardi di dollari per sostenere la difesa dell’Ucraina, senza alcuna sicurezza, senza nulla.  2.000 persone vengono uccise ogni singola settimana, sono giovani russi, sono giovani ucraini, non sono americani, ma voglio fermare questo conflitto. Nel frattempo, l’Europa ha tristemente speso più soldi per comprare petrolio e gas russi di quanto ne abbia speso per difendere l’Ucraina.  Oggi ho ricevuto una lettera importante dal presidente Zelensky dell’Ucraina. La lettera dice che l’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo dei negoziati il prima possibile per portare la pace duratura più vicina. Nessuno desidera la pace più degli ucraini, ha detto. Il mio team ed io siamo pronti a lavorare sotto la forte leadership del presidente Trump per ottenere una pace che duri. Apprezziamo davvero quanto l’America ha fatto per aiutare l’Ucraina a mantenere la sua sovranità e indipendenza. Per quanto riguarda l’accordo su minerali e sicurezza, l’Ucraina è pronta a firmarlo in qualsiasi momento sia conveniente per voi. Apprezzo che abbia inviato questa lettera, l’ho ricevuta poco fa. Contemporaneamente, abbiamo avuto discussioni serie con la Russia e abbiamo ricevuto segnali forti che sono pronti per la pace. Non sarebbe bello?  È il momento di fermare questa follia, è il momento di fermare gli omicidi, è il momento di porre fine a questa guerra insensata. Se volete fermare le guerre, dovete parlare con entrambe le parti.”

E queste le sue conclusioni: “Credo che… Grazie mille. Dai patrioti di Lexington e Concord agli eroi di Gettysburg e Normandia, dai guerrieri che attraversarono il Delaware ai pionieri che scalarono le Montagne Rocciose, dalle leggende che volarono a Kittyhawk agli astronauti che toccarono la luna, gli americani sono sempre stati il popolo che ha sfidato tutte le arti, ha superato tutti i pericoli, ha fatto i sacrifici più straordinari e ha fatto tutto ciò che era necessario per difendere i nostri bambini, il nostro paese e la nostra libertà. E come abbiamo visto in questa camera stasera, quella stessa forza, fede, amore e spirito sono ancora vivi e prosperano nei cuori del popolo americano, nonostante i migliori sforzi di coloro che cercherebbero di censurarci, di farci tacere, di frantumarci, di distruggerci. Gli americani sono oggi una nazione orgogliosa, libera, sovrana e indipendente che sarà sempre libera, e noi lotteremo per essa fino alla morte. Non permetteremo mai che succeda qualcosa al nostro amato paese, perché siamo un paese di realizzatori, sognatori, combattenti e sopravvissuti. I nostri antenati attraversarono un vasto oceano, si avventurarono nell’ignoto deserto e scolpirono la loro fortuna dalla roccia e dalla terra di una frontiera pericolosa e molto pericolosa. Inseguirono il nostro destino attraverso un continente senza confini, costruirono le ferrovie, stesero le autostrade e resero il mondo meravigliato con le meraviglie americane come l’Empire State Building, la potente diga Hoover e il maestoso ponte Golden Gate. Illuminarono il mondo con l’elettricità, si liberarono dalla forza di gravità, misero in moto i motori dell’industria americana e sconfissero i comunisti, i fascisti e i marxisti in tutto il mondo, regalandoci innumerevoli meraviglie moderne scolpite in ferro, vetro e acciaio. Noi siamo sulla spalla di questi pionieri che hanno vinto e costruito l’era moderna, questi lavoratori che hanno versato il loro sudore negli orizzonti delle nostre città, questi guerrieri che hanno versato il loro sangue nei campi di battaglia e dato tutto ciò che avevano per i nostri diritti e per la nostra libertà. Ora è il nostro momento di prendere la giusta causa della libertà americana e tocca a noi prendere il destino dell’America nelle nostre mani e cominciare i giorni più entusiasmanti nella storia del nostro paese. Questa sarà la nostra era più grande, con l’aiuto di Dio, nei prossimi quattro anni guideremo questa nazione ancora più in alto e forgiamo la civiltà più libera, avanzata, dinamica e dominante che sia mai esistita sulla faccia della Terra. Creeremo la più alta qualità della vita, costruiremo le comunità più sicure, più ricche, più sane e più vitali in qualsiasi parte del mondo. Conquisteremo le vaste frontiere della scienza e guideremo l’umanità nello spazio, piantando la bandiera americana sul pianeta Marte e anche molto oltre. E attraverso tutto ciò, riscopriremo il potere inarrestabile dello spirito americano e rinnoveremo la promessa illimitata del sogno americano. Ogni singolo giorno ci alzeremo e lotteremo, lotteremo, lotteremo per il paese in cui i nostri cittadini credono e per il paese che il nostro popolo merita. Miei cari americani, preparatevi per un futuro incredibile, perché l’età dell’oro dell’America è appena iniziata. Sarà come nulla che sia mai stato visto prima. Grazie, che Dio vi benedica e che Dio benedica l’America.”


Stop degli USA al sostegno all’Ucraina. E adesso?

di Claudio Bertolotti.

Donald Trump ha ordinato una pausa negli aiuti militari statunitensi all’Ucrainatre giorni dopo lo scontro alla Casa Bianca con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky

Il commento di C. Bertolotti a Officina geopolitica di START inSight.

La scelta di Trump di spingere verso una conclusione del conflitto, anche a discapito dell’Ucraina, è razionale e coerente con la sua promessa elettorale, cioè quello per cui è stato eletto. Ed è, soprattutto, “una leva con cui fare forza nei confronti di Zelensky affinché il presidente possa rispondere al proprio elettorato, al quale aveva promesso di porre termine alla guerra russo-ucraina. È quindi una scelta di politica interna rispetto a un costo che viene imposto ai contribuenti statunitensi”. “Detto questo quello dell’amministrazione Trump è un passo certamente importante e significativo in quello che sarà lo sviluppo della guerra, perché andando a ridurre o a congelare gli aiuti l’Ucraina di fatto passerà da un livello di sufficienza minima (garantito dall’amministrazione Biden) al non avere più le risorse per condurre una guerra. Oltretutto, verrebbe a mancare anche la spinta morale, cioè l’assenza di un sostegno statunitense farebbe venir meno la volontà dei soldati stessi di combattere e degli stati maggiori di gestire la condotta sul campo di battaglia”.

Nulla da eccepire sul piano razionale: se la precedente amministrazione Biden non ha voluto porre l’Ucraina nelle condizioni di vincere la guerra, perché dovrebbe farlo l’amministrazione Trump? È semplicemente la chiusura di un dossier che Washington non reputa più conveniente sostenere.

È un game over? “È sicuramente l’avvio di un processo di conclusione di una guerra che sarà sfavorevole all’Ucraina, in termini di cessione di territori a favore della Russia, ma lo sarà ancora di più a livello strategico, proiettato nel lungo periodo”, commenta Bertolotti. “La Russia utilizzerebbe – così come ha già fatto con la Crimea – la base territoriale conquistata come punto di partenza per la successiva possibile fase offensiva. Non avverrà domani né dopodomani, ma nei prossimi 5-10 anni, indipendentemente da quella che sarà la leadership russa”.

Negli ultimi giorni si sono fatte sempre più insistenti le richieste, da parte di stretti collaboratori di Trump, di un passo indietro di  Zelensky, la cui presenza viene descritta come ormai “insostenibile”. Ipotesi, quella delle dimissioni di Zelensky che si pone come plausibile: “È un’opportunità per lui di uscire a testa alta, come l’uomo che non si è piegato alla volontà di Trump e che piuttosto lascia la guida del Paese. Se arriviamo alla scadenza naturale del suo mandato, e quindi all’ipotesi di nuove elezioni, produrrà una narrazione interna di volontà di concludere la guerra a qualunque costo, che quindi poterà la sigla di un’intesa commerciale con gli Stati Uniti a cui seguirà un sostegno statunitense all’accordo negoziale con la Russia. Soltanto a quel punto Zelensky potrebbe riproporsi come voce politica, e quindi come competitor al successivo appuntamento elettorale, come colui che non ha firmato e non avrebbe firmato, fiero della sua postura europea e occidentale e non filorussa”.