Nel contesto della competizione geopolitica contemporanea, la guerra cognitiva si configura come una dimensione emergente della conflittualità ibrida, in cui l’informazione, la percezione e l’influenza culturale assumono un ruolo strategico. In questo ambito, la Federazione Russa ha sviluppato una complessa architettura di diplomazia pubblica orientata non solo alla promozione dell’immagine nazionale, ma alla produzione intenzionale di narrazioni che favoriscano i propri interessi strategici e delegittimino quelli dei competitor internazionali. Analizziamo qui i principali strumenti e attori della diplomazia pubblica russa, con particolare attenzione al ruolo svolto dal concetto di “Mondo Russo”, dagli istituti statali di proiezione culturale e dall’impiego della diplomazia digitale nel contesto pandemico. Particolare attenzione sarà dedicata al caso italiano, con riferimento all’operazione “Dalla Russia con amore”, emblematica per comprendere la sovrapposizione tra assistenza umanitaria e strumenti di guerra informativa.
1. Il “Mondo Russo” come dispositivo ideologico
Il
concetto di Russkij
Mir (Mondo Russo) rappresenta un pilastro fondamentale nella
strategia comunicativa e geopolitica della Federazione Russa. Questa ideologia
combina elementi di identità linguistica, memoria storica e solidarietà
diasporica per consolidare l’influenza di Mosca sulle comunità russofone nel
mondo. Non si tratta solo di un collante culturale, ma di un paradigma
geopolitico che giustifica l’intervento e la presenza russa nei Paesi ex
sovietici e oltre.
Origini e Sviluppo del Concetto di
Russkij Mir
Il termine Russkij Mir
ha radici storiche profonde, ma è stato rilanciato nel discorso politico russo
contemporaneo a partire dagli anni 2000. Nel 2007, il presidente Vladimir Putin
ha istituito la Fondazione Russkij Mir con l’obiettivo di promuovere la lingua
e la cultura russa all’estero. Questo concetto è stato ulteriormente sviluppato
per includere una visione del mondo in cui la Russia si presenta come
protettrice dei russofoni ovunque essi si trovino, giustificando così
interventi politici e militari in nome della difesa dei “compatrioti”.
Strumenti di Promozione del Russkij Mir
La promozione del Russkij Mir avviene attraverso
una serie di strumenti istituzionali e narrativi:
Fondazione Russkij
Mir: organizzazione che finanzia progetti culturali e
educativi per diffondere la lingua e la cultura russa.
Rossotrudničestvo: agenzia governativa che coordina la cooperazione umanitaria
internazionale e sostiene le comunità russofone all’estero.
Chiesa Ortodossa
Russa: istituzione che svolge un ruolo chiave nel
rafforzare l’identità spirituale e culturale russa, spesso in sinergia con le
politiche statali.
Media e Diplomazia
Pubblica: utilizzo di media statali e social media per
diffondere narrazioni favorevoli alla Russia e per influenzare l’opinione
pubblica internazionale.
Implicazioni Geopolitiche
Il Russkij Mir funge da
giustificazione ideologica per le politiche espansionistiche della Russia. È stato utilizzato per legittimare l’annessione della Crimea nel
2014 e il sostegno ai separatisti nelle regioni orientali dell’Ucraina. La narrativa del Russkij Mir sostiene che la Russia ha il diritto e il dovere di proteggere
i russofoni ovunque si trovino, anche attraverso l’intervento militare .
Critiche e Controversie
Il concetto di Russkij Mir
è stato oggetto di critiche sia interne che internazionali. Molti lo vedono
come una forma di neo-imperialismo che mina la sovranità degli Stati vicini.
Inoltre, l’uso della lingua e della cultura come strumenti di influenza
politica solleva preoccupazioni riguardo alla manipolazione dell’identità
culturale per fini geopolitici.
2. Gli attori istituzionali: Gorchakov Fund e Rossotrudnichestvo
Due istituzioni svolgono un ruolo cardinale nella diplomazia pubblica
russa: il “Gorchakov Fund for Public Diplomacy” e Rossotrudnichestvo.
Il Gorchakov Fund for Public Diplomacy
Istituito nel 2010 su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri russo,
il Gorchakov Fund ha l’obiettivo di promuovere la visione geopolitica del
Cremlino nel contesto internazionale. Finanzia progetti, conferenze e programmi
accademici mirati a consolidare l’influenza russa all’estero, in particolare
nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Il Fondo sostiene organizzazioni non profit
russe e straniere, nonché centri di ricerca orientati alla politica estera,
attraverso l’erogazione di sovvenzioni. Inoltre, implementa programmi
scientifici ed educativi per giovani esperti, figure pubbliche e giornalisti,
come il “Dialogue for the Future” e il “Diplomatic Seminar of
Young Specialists”
Rossotrudnichestvo
Fondata nel 2008, Rossotrudnichestvo è l’agenzia federale russa incaricata
di gestire le relazioni con la diaspora e sviluppare iniziative di cooperazione
umanitaria, educazione e promozione linguistica. Opera in oltre 80 Paesi
attraverso i Centri Russi di Scienza e Cultura, promuovendo la lingua e la
cultura russa, e organizzando programmi educativi e culturali. Tra le sue
attività principali vi sono il programma “New Generation”, che offre
viaggi di studio in Russia per giovani leader stranieri, e “Hello,
Russia!”, rivolto ai giovani compatrioti all’estero. Rossotrudnichestvo
svolge un ruolo attivo nella politica estera russa, consolidando le attività
dei sostenitori pro-Russia nella regione post-sovietica e diffondendo la
narrativa del Cremlino.
Entrambe le istituzioni sono strumenti chiave della strategia di soft power
russa, mirata a rafforzare l’influenza culturale e politica di Mosca a livello
globale.
3. Diplomazia digitale, disinformazione e il caso italiano
Uno degli elementi più innovativi della strategia russa è
l’adozione della diplomazia digitale, intesa come utilizzo sistematico delle
tecnologie informatiche per finalità di influenza politica e manipolazione
dell’informazione. Le piattaforme digitali, i social media e i portali
informativi alternativi vengono impiegati per veicolare narrazioni filo-russe,
alimentare il dubbio e polarizzare le opinioni pubbliche, sfruttando spesso il
meccanismo della disinformazione e delle fake news.
Durante la pandemia da Covid-19, la Russia ha intensificato tali operazioni, presentandosi come attore responsabile e solidale (si pensi agli aiuti medici inviati in Italia), mentre diffondeva contenuti che screditavano i sistemi sanitari e politici dei Paesi occidentali. Questo approccio ha trovato espressione nell’operazione “Dalla Russia con amore”, che ha visto il dispiegamento di personale militare russo in Lombardia nel 2020, ufficialmente per attività di sanificazione. Tuttavia, numerose fonti italiane ed europee hanno sollevato preoccupazioni in merito al potenziale utilizzo di tale missione come strumento di spionaggio e raccolta informativa su infrastrutture sensibili. Come ho avuto modo di approfondire in un mio precedente articolo, tale operazione rappresenta un esempio concreto di applicazione della guerra ibrida russa, in cui propaganda, disinformazione e attività di intelligence convergono nel contesto di una crisi umanitaria.
Conclusioni
La diplomazia pubblica russa si configura come uno
strumento strutturato e deliberatamente orientato alla proiezione di influenza,
parte integrante di una più ampia strategia di guerra cognitiva. Essa si fonda
su una combinazione di dispositivi simbolici (come il “Mondo Russo”),
istituzioni statali operative (come il Gorchakov Fund e Rossotrudnichestvo), e
tecnologie comunicative digitali sofisticate. Il caso dell’operazione “Dalla
Russia con amore” dimostra come, in contesti di emergenza, la cooperazione
umanitaria possa trasformarsi in un’occasione di penetrazione informativa e di
influenza strategica. Comprendere tali dinamiche è oggi essenziale per
proteggere la resilienza cognitiva delle democrazie e prevenire l’erosione
della fiducia pubblica nelle istituzioni.
Bibliografia
Bertolotti, C. (2025). Dalla Russia con amore: le nuove
minacce per l’Italia e il ruolo della Russia tra cyberspazio, salute pubblica,
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“Dalla Russia con amore”: le nuove minacce per l’Italia e il ruolo della Russia tra cyberspazio, salute pubblica, disinformazione e spionaggio.
Articolo originale pubblicato su Osservatorio Strategico 1/2025 del Centro Alti Studi per la Difesa – Scuola Superiore Universitaria.
Abstract
L’articolo analizza le principali minacce alla sicurezza nazionale italiana attribuite alla Russia, con un focus su tre aree strategiche: cyber security, disinformazione e spionaggio. La Russia emerge come una delle principali sfide per l’Italia in ambito informatico, grazie alla sua capacità di condurre attacchi mirati volti a ottenere informazioni sensibili o a interferire con le infrastrutture critiche. Parallelamente, l’uso sistematico della disinformazione da parte di Mosca rappresenta uno strumento per influenzare l’opinione pubblica e le decisioni politiche in Italia, sfruttando social media e media tradizionali per diffondere contenuti falsi o manipolati. Il tema dello spionaggio si inserisce nel quadro di cooperazioni bilaterali come l’operazione “Dalla Russia con amore” del 2020, durante la quale sono emersi rischi legati alla raccolta di informazioni sensibili sotto il pretesto di assistenza sanitaria. Questo aspetto si collega a casi emblematici come l’arresto di Walter Biot, ufficiale della Marina militare italiana, accusato di spionaggio a favore della Russia. L’articolo sottolinea la necessità di strategie di contrasto multidimensionali per fronteggiare queste minacce, combinando tecnologie avanzate, cooperazione internazionale e rafforzamento della resilienza istituzionale.
Situazioni di emergenza, crisi e vulnerabilità: il terreno ideale per l’emergere di nuove minacce.
Le dinamiche delle relazioni
internazionali e le politiche globali incidono profondamente sulla competizione
tra attori statali e non statali, influenzando i settori politico, sociale ed
economico. L’assertività dimostrata da alcuni Paesi nell’arena internazionale
sta contribuendo, inoltre, a ridefinire gli equilibri di potere sia a livello
regionale che globale. Fenomeni come l’emergenza pandemica da Covid-19, il
conflitto tra Russia e Ucraina e la crisi energetica stanno già lasciando
un’impronta destinata a perdurare a lungo, sia per l’Italia che per molte altre
nazioni, con effetti significativi in ambito economico e sociale.
La pandemia da Covid-19 ha
messo a dura prova l’Italia, evidenziando vulnerabilità sistemiche e criticità
latenti. Essa ha generato una crisi sanitaria senza precedenti, con un
incremento esponenziale dei contagi e dei decessi, oltre a un sovraccarico del
sistema sanitario. A ciò si è aggiunta una crisi economica e sociale, caratterizzata
da un aumento della disoccupazione e da una contrazione dei consumi,
conseguenze dirette delle misure restrittive come i lockdown, che hanno portato alla chiusura di numerose attività
produttive.
Prima che gli impatti della
pandemia potessero essere completamente assorbiti, il 24 febbraio 2022 è
scoppiato il conflitto in Ucraina, avviato dall’invasione russa. Questa guerra
ha innescato una nuova crisi economica, aggravata dall’aumento dei costi delle
materie prime e dalla riduzione dei flussi commerciali. Parallelamente, ha
provocato una crisi politica internazionale, con l’introduzione di sanzioni
contro la Russia e complicazioni nell’approvvigionamento energetico per molti
Paesi europei.
La crisi energetica che ne è
derivata ha ulteriormente peggiorato il quadro economico, determinando un
ulteriore incremento dei prezzi delle risorse primarie e difficoltà di accesso
all’energia. Questi fattori hanno avuto un impatto diretto sull’economia
italiana, riducendo la competitività delle imprese nazionali. Questo contesto
evidenzia la complessità delle relazioni internazionali e la volatilità dei
rapporti tra alleati e rivali, sottolineando l’imprevedibilità di eventi capaci
di ostacolare l’accesso alle risorse energetiche, condizionandone disponibilità
e prezzi. Tali dinamiche hanno ripercussioni significative sui piani sociale,
politico ed economico, rendendo indispensabile una gestione attenta e
strategica di questi fenomeni globali (Bertolotti, 2023).
Minacce emergenti per la sicurezza dell’Italia e capacità della Russia (e sue linee d’azione).
La sicurezza e la difesa dell’Italia sono
messe a rischio da una serie di minacce emergenti, che si manifestano in vari
ambiti in relazione al contesto globale. Tra queste, il cybercrime rappresenta una delle sfide più rilevanti. Con la
crescente dipendenza dalle tecnologie digitali, le infrastrutture critiche e le
imprese italiane diventano bersagli sempre più vulnerabili ad attacchi
informatici. Tali attacchi, spesso condotti attraverso metodi sofisticati,
mirano a sottrarre informazioni sensibili o compromettere sistemi, causando
danni significativi. La Russia, in particolare, è considerata una delle
principali fonti di queste minacce, utilizzando il cyberspazio per attività di
spionaggio e interferenza sulle infrastrutture strategiche.
Un ulteriore rischio è rappresentato
dallo spionaggio industriale, che colpisce i
settori d’eccellenza del sistema produttivo italiano e il know-how nazionale.
In un contesto di competizione globale, settori come l’automotive,
l’aerospazio, la difesa e l’energia risultano particolarmente esposti a tali
pratiche. Le tecnologie avanzate e le innovazioni di punta diventano obiettivi
di attacchi mirati, con conseguenze strategiche per la competitività del Paese.
Anche il sistema
sanitario nazionale è vulnerabile. Gli attacchi informatici contro questo
settore possono compromettere la fornitura di servizi essenziali, mettere a
rischio i dati personali di pazienti e operatori, e generare perdite economiche
significative per le strutture sanitarie. Queste azioni possono avere un
impatto devastante sulla salute pubblica, aggravando ulteriormente situazioni
di emergenza.
La disinformazione
e propaganda costituiscono un’altra minaccia emergente, con la capacità
di manipolare l’opinione pubblica attraverso la diffusione di notizie false o
distorte. Social media e media tradizionali sono spesso usati per creare
confusione e incertezza, influenzando le decisioni politiche e ostacolando la
gestione di crisi. In un contesto già fragile, segnato dagli effetti della
pandemia e della crisi energetica, tali dinamiche possono amplificare le
divisioni sociali, minando la stabilità e la coesione nazionale.
La crisi
energetica, inoltre, si configura come una minaccia significativa. La
dipendenza dalle risorse esterne e l’aumento dei prezzi delle materie prime
hanno un impatto diretto sull’economia italiana e sulla competitività delle
imprese, rendendo più complessa la gestione delle emergenze e il processo
decisionale delle autorità (Bertolotti, 2023).
Il ruolo della Russia.
La Russia si posiziona come uno degli attori principali nello scenario delle minacce emergenti per l’Italia. Grazie a una vasta capacità nel campo degli attacchi informatici, Mosca utilizza tecnologie avanzate per condurre azioni di hacking, impiegare malware sofisticati e sfruttare tecniche di phishing e ingegneria sociale. Questi strumenti, spesso supportati da gruppi APT (Advanced Persistent Threat) collegati al governo russo, permettono di interferire con sistemi protetti e ottenere informazioni strategiche.
In ambito geopolitico, la Russia ha sviluppato un approccio integrato alla comunicazione strategica e alla diplomazia digitale. Come descritto dal presidente Vladimir Putin nel 2012, il soft power viene utilizzato per perseguire obiettivi di politica estera senza ricorrere direttamente a strumenti militari. Organizzazioni come il “Russian World” e il “Gorchakov Fund of Public Diplomacy”, insieme all’Agenzia Rossotrudnichestvo, sono attori chiave di questa strategia, operando attraverso la diffusione di informazioni mirate e narrative alternative sui social network.
Durante la pandemia da Covid-19, la
Russia ha intensificato il proprio impegno propagandistico attraverso l’invio
di aiuti umanitari a vari Paesi, tra cui l’Italia. Tali iniziative, veicolate
attraverso una comunicazione mirata sui social media, sono state utilizzate per
consolidare la propria influenza a livello internazionale. Questo approccio ha
permesso al Cremlino di guadagnare consenso in regioni strategiche come i
Balcani, il Medio Oriente e l’America Latina, oltre che all’interno dell’Unione
Europea.
La combinazione di disinformazione,
propaganda e capacità cyber rende la Russia un attore centrale nelle dinamiche
delle minacce emergenti, con impatti significativi sulla sicurezza e sulla
stabilità globale. Per l’Italia, affrontare queste sfide richiede strategie
coordinate e mirate, capaci di tutelare le infrastrutture critiche, proteggere
la coesione sociale e rafforzare la resilienza nazionale.
Invitare la spia in casa: l’Operazione “Dalla Russia con amore”. Un’analisi delle dinamiche e implicazioni.
Durante le fasi iniziali
della pandemia di Covid-19, il 7° Reggimento di difesa chimica, biologica,
radiologica e nucleare “Cremona” (CBRN) dell’Esercito Italiano fu coinvolto,
tra marzo e maggio 2020, in attività di sanificazione e decontaminazione.
Questo impegno includeva il supporto ai centri di accoglienza per persone
provenienti dall’estero e la sanificazione di oltre 180 strutture in Lombardia.
A queste operazioni partecipò un contingente russo inviato nell’ambito
dell’operazione “Dalla Russia con amore”, che portò alla formazione
di 9 task force miste italo-russe (Senato della Repubblica, Doc. CLXIV n. 31,
p. 85). L’intervento, inizialmente concentrato nella provincia di Bergamo,
evidenziò vulnerabilità legate alla raccolta di informazioni da parte di attori
esterni, con il rischio che l’aiuto offerto fosse usato come pretesto per
penetrare il perimetro di sicurezza nazionale.
La missione russa vide il coinvolgimento di 104 operatori, tra cui i due epidemiologi di spicco Natalia Y. Pshenichnaya e Aleksandr V. Semenov. La presenza russa, tuttavia, fu oggetto di limitazioni: il contributo iniziale previsto di 400 operatori fu ridotto a 100 per decisione dell’allora ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Inoltre, il generale Luciano Portolano, comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, respinse richieste di estendere le operazioni russe a siti strategici come basi militari e uffici governativi, tra cui la base di Ghedi (Brescia), utilizzata dalla NATO, limitandole ad ospedali e case di cura. Durante queste attività, i russi tentarono più volte di raccogliere campioni di virus e offrirono incentivi economici a ricercatori italiani per ottenere dati scientifici. Un esempio significativo fu l’offerta di 250mila euro a un dirigente dell’ospedale Spallanzani di Roma, che favorì il vaccino russo “Sputnik” a scapito del progetto italiano “Reithera” (Jacoboni, 2022).
Il Contesto e le Controversie.
L’accordo tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte fu raggiunto telefonicamente il 21 marzo 2020. Tuttavia, l’intervento russo, percepito come una forma di “assegno in bianco” da parte dell’Italia, fu attuato in modo non coordinato, senza consultare adeguatamente il governo italiano. Il contributo russo includeva esperti militari, specialisti in minacce biologiche e chimiche, e unità tecniche per lo studio di agenti patogeni, ma mancavano dispositivi per il rilevamento specifico del Covid-19.
Le aree selezionate dai russi
per la sanificazione sollevarono preoccupazioni: molti dei siti erano vicini a
infrastrutture sensibili come basi NATO contenenti arsenali nucleari. Questi
fattori portarono il governo italiano a interrompere prematuramente
l’operazione, considerandola un potenziale rischio per la sicurezza nazionale.
Ruolo degli epidemiologi russi
Un elemento di rilievo fu la
presenza non autorizzata dei due epidemiologi russi, Pshenichnaya e Semenov,
entrambi operativi presso la Rospotrebnadzor, l’ente russo responsabile della
gestione della pandemia. I due avevano precedentemente lavorato a Wuhan e
dichiararono che l’obiettivo della loro missione era acquisire esperienza sulle
modalità di gestione del Covid-19 adottate in altri Paesi. Tuttavia, due mesi
dopo la loro partenza dall’Italia, pubblicarono un report critico sulla
gestione italiana della pandemia (Santarelli, 2022), alimentando dubbi sul reale
scopo della loro presenza (Bertolotti, 2023).
Considerazioni finali
L’operazione “Dalla
Russia con amore” solleva interrogativi sulla gestione di aiuti
internazionali in contesti di emergenza e sui rischi connessi alla sicurezza
nazionale. Mentre l’intervento russo fu ufficialmente presentato come un
contributo umanitario, molteplici azioni suggeriscono che potesse servire anche
come strumento per raccogliere informazioni strategiche e consolidare
l’influenza geopolitica di Mosca. Queste dinamiche sottolineano l’importanza di
un coordinamento rigoroso e di un’attenta valutazione dei rischi legati alla
cooperazione internazionale in situazioni di crisi.
Analisi dell’operazione russa in Italia: una strategia di guerra ibrida
L’intervento militare russo in Italia durante la
pandemia di Covid-19 rappresenta un esempio pratico dell’applicazione della
cosiddetta “guerra ibrida,” utilizzata da Mosca per ottenere un
vantaggio strategico temporaneo nel contesto dell’emergenza sanitaria globale
(Santarelli, 2022). A differenza della Cina, che si limitò a fornire consulenza
tramite videoconferenze, l’Italia accolse e offrì ampia libertà di azione ai
militari russi. Questo permise loro di raccogliere preziose informazioni sulla
gestione e diffusione del virus, informazioni che furono sfruttate per una
campagna di propaganda sia interna che internazionale, inclusa la promozione
del vaccino russo “Sputnik V.”
L’operazione russa sembrava perseguire tre obiettivi
principali. Primo, l’acquisizione di informazioni strategiche attraverso
attività di spionaggio, con l’obiettivo di sviluppare una strategia di gestione
della pandemia basata sulle conoscenze acquisite in Italia. Secondo, la
propaganda interna ed esterna, finalizzata a esaltare i progressi della Russia
e a promuovere l’adozione del vaccino “Sputnik” da parte di altri
Paesi, inclusa l’Italia. Terzo, una campagna di “guerra informativa”
volta a screditare la gestione italiana della crisi sanitaria, attraverso il
contributo e le dichiarazioni di autorevoli epidemiologi russi.
Implicazioni per la Sicurezza Nazionale
L’operazione “Dalla Russia con amore”
evidenzia la necessità di valutare attentamente le implicazioni per la
sicurezza nazionale in situazioni di emergenza. Questo caso offre un esempio
concreto di come attori esterni possano sfruttare contesti critici per
infiltrare le loro reti di intelligence, raccogliere dati strategici o
penetrare sistemi di sicurezza nazionale. In nome di una presunta assistenza
umanitaria, tali operazioni possono minare la stabilità interna e rafforzare
l’influenza geopolitica di Paesi terzi.
L’esperienza italiana dimostra l’importanza di
mantenere un controllo rigoroso e di definire limiti chiari nelle
collaborazioni internazionali in situazioni emergenziali, al fine di prevenire
rischi per l’integrità e la sicurezza dello Stato (Bertolotti, 2023).
Bibliografia
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della Russia (cyber, sanitaria, disinformazione, spionaggio), in “La Russia
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sull’efficacia nell’allocazione delle risorse e sul grado di efficienza
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Il dilemma della difesa europea: perché PESCO e altre iniziative non riescono mai a dare risultati
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
L’Unione Europea ha sempre
aspirato a rafforzare la sua sicurezza collettiva e l’autonomia strategica.
Negli ultimi anni, iniziative come la Cooperazione Strutturata Permanente
(PESCO), il Fondo europeo per la difesa (EDF) e la Revisione annuale coordinata
sulla difesa (CARD) sono state lanciate per potenziare le capacità di difesa
europee. Tuttavia, queste iniziative, pur essendo simbolicamente significative,
non sono riuscite a dare all’Europa un framework per la sicurezza coerente ed
efficace. Con l’aumento delle tensioni geopolitiche, in particolare con una
Russia sempre più aggressiva e l’instabilità in corso in Medio Oriente e Nord
Africa, è giunto il momento per l’Europa di riconoscere i difetti fondamentali
nel suo attuale approccio alla difesa e considerare soluzioni più radicali.
Ad oggi, la Cooperazione
Strutturata Permanente (PESCO) continua a essere il quadro di riferimento dell’Unione
Europea per approfondire la collaborazione in ambito difensivo tra i suoi Stati
membri. Dalla sua creazione nel 2017, PESCO si è estesa includendo oggi 26
paesi che lavorano collettivamente su 68 progetti volti a migliorare le
capacità militari e l’interoperabilità. Nel novembre 2024, il Consiglio
dell’Unione Europea ha approvato le conclusioni della revisione strategica di
PESCO, riaffermando il suo ruolo centrale nel promuovere la cooperazione nell’ambito
della difesa. La revisione ha messo in luce la necessità di adattare PESCO al
mutato panorama geopolitico e ha evidenziato l’importanza di affrontare le
sfide esistenti per potenziarne l’efficacia.
Nonostante questi sforzi,
PESCO continua comunque ad avere limiti significativi. Molti progetti hanno
subito ritardi a causa di una pianificazione finanziaria e opertativa insufficiente,
portando a discussioni sul rilancio o l’abbandono di iniziative poco
performanti. Inoltre, gli interessi nazionali divergenti e le diverse
interpretazioni dell’autonomia strategica tra gli Stati membri hanno ostacolato
il raggiungimento di un livello accettabile di coesione. Ad esempio, la Polonia
ha espresso preoccupazioni sul fatto che PESCO potrebbe minare la NATO o
indebolire la cooperazione in materia di sicurezza con gli Stati Uniti,
entrambi vitali per la sicurezza del fianco orientale della NATO.
Per aumentare l’efficacia
di PESCO, l’UE ha lanciato diversi progetti aperti alla partecipazione di terzi
rispetto all’Unione. In particolare, Canada, Norvegia e Stati Uniti sono
coinvolti nel progetto “Mobilità Militare” dal dicembre 2021, con il
Regno Unito che si è unito nel novembre 2022. Il Canada è stato anche invitato
a partecipare, a partire da febbraio 2023, al progetto di creazione di una rete
di hub logistici in Europa e supporto alle operazioni. Questa inclusione mira a
sfruttare competenze e risorse esterne per rafforzare le iniziative PESCO.
Nell’agosto 2024, la Svizzera ha ottenuto l’approvazione per partecipare a due
progetti PESCO: “Mobilità Militare” e “Cyber Ranges
Federation”. Questa apertura è volta a potenziare le capacità di difesa
nazionale della Svizzera, pur rispettando i suoi obblighi di neutralità.
Guardando al futuro, la
revisione strategica in corso di PESCO, prevista per concludersi entro la fine
del 2025, offre un’opportunità per rimodellare il quadro per affrontare meglio
le sfide di sicurezza contemporanee. La revisione mira a rivitalizzare PESCO
affinando i suoi obiettivi, migliorando la gestione dei progetti e garantendo
che gli sforzi collaborativi portino a concreti avanzamenti militari. In
sintesi, sebbene PESCO abbia fatto progressi nel promuovere la cooperazione in
ambito difensivo all’interno dell’UE, continua a fare i conti con inefficienze
burocratiche, priorità nazionali divergenti e livelli variabili di impegno tra
gli Stati membri. La valutazione dei risultati della revisione strategica e dell’inclusione
di partecipanti terzi saranno cruciali per determinare l’efficacia futura di
PESCO nel rafforzare la postura difensiva dell’Europa.
Allo stesso modo, il
Fondo europeo per la difesa (EDF), istituito nel 2017, è uno strumento
fondamentale per rafforzare la ricerca e l’innovazione nel settore della difesa
dell’Unione Europea. Per il periodo 2021-2027, l’EDF ha ricevuto un budget di
circa 8 miliardi di euro, di cui 2,7 miliardi destinati alla ricerca difensiva
collaborativa e 5,3 miliardi destinati a progetti di sviluppo delle capacità.
Riconoscendo la necessità di potenziare le capacità di difesa, la Commissione
Europea ha proposto un sostanziale aumento dei fondi per la difesa. Nel marzo
2025, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha annunciato
piani per un fondo di difesa da 150 miliardi di euro, volto a incoraggiare gli
Stati membri a investire in capacità militari con il supporto di prestiti
sostenuti dall’UE. Questa iniziativa sottolinea l’impegno dell’UE nel
rafforzare la propria postura difensiva in risposta alle sfide geopolitiche in
evoluzione.
La Revisione Annuale
Coordinata sulla Difesa (CARD) è un altro meccanismo cruciale progettato per
armonizzare la pianificazione e gli investimenti della difesa tra gli Stati
membri dell’UE. CARD fornisce una panoramica completa del panorama della difesa
dell’UE, identificando opportunità di collaborazione e facilitando la
cooperazione. Tuttavia, il rapporto CARD del 2024 indica che, nonostante i
progressi nella spesa per la difesa e nella cooperazione, resta ampio spazio
per miglioramenti. Gli Stati membri sono incoraggiati a prendere azioni
decisive per mantenere gli investimenti e migliorare l’efficienza delle loro
forze armate.
In aggiunta all’EDF e al
CARD, numerose altre iniziative e agenzie difensive europee contribuiscono al
potenziamento delle capacità di difesa dell’Unione Europea. Istituita nel 2004,
l’Agenzia Europea per la Difesa (EDA) supporta gli Stati membri dell’UE nel
migliorare le loro capacità di difesa attraverso la cooperazione europea.
Agendo come facilitatore per progetti difensivi collaborativi, l’EDA funge da
centro per la cooperazione nella difesa europea, coprendo una vasta gamma di
attività legate alla difesa.
La Politica Comune di
Sicurezza e Difesa (CSDP) è il quadro dell’UE per la difesa e la gestione delle
crisi, formando una componente principale della Politica Estera e di Sicurezza
Comune (CFSP) dell’UE. La CSDP consente all’UE di intraprendere missioni
operative al di fuori dei suoi confini, utilizzando sia risorse civili che
militari per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti
e il rafforzamento della sicurezza internazionale. L’UE sta anche esplorando lo
sviluppo di una nuova rete satellitare per ridurre la dipendenza
dall’intelligence militare degli Stati Uniti. Questa iniziativa mira a
migliorare la capacità dell’UE di rilevare minacce e coordinare azioni
militari, fornendo aggiornamenti più frequenti e maggiore autonomia nella raccolta
di informazioni. Queste iniziative e agenzie contribuiscono collettivamente a
un quadro difensivo europeo più integrato e robusto, affrontando le sfide di
sicurezza sia attuali che emergenti.
A complicare le sfide
affrontate da queste iniziative c’è comunque la continua dipendenza dell’UE
dalla NATO come suo principale garante della sicurezza. Mentre i leader europei
parlano spesso di “autonomia strategica”, la realtà è che l’Europa
rimane dipendente dal potere militare americano. La guerra in Ucraina ha
sottolineato il ruolo insostituibile della NATO nella sicurezza europea, con
gli Stati Uniti che forniscono la maggior parte degli aiuti militari e del
coordinamento strategico. Questa dipendenza dalla NATO crea un paradosso:
mentre l’UE desidera una maggiore indipendenza difensiva, non è disposta o in
grado di sviluppare le capacità necessarie per rendere quell’indipendenza
significativa. I tentativi di stabilire un’identità difensiva europea
credibile, come l’Iniziativa di Intervento Europea (EI2) guidata dalla Francia,
hanno fatto pochi progressi a causa delle priorità concorrenti degli Stati
membri.
Per affrontare queste
carenze, l’Europa deve riconsiderare la sua strategia di difesa con soluzioni
audaci e pragmatiche. In primo luogo, è necessaria un’autentica volontà di
spesa per la difesa. L’UE dovrebbe stabilire obiettivi vincolanti di
investimento in difesa, simili all’aumento della richiesta di PIL della NATO.
ReArm Europe è un passo nella giusta direzione, ma un bilancio militare comune
europeo, finanziato attraverso meccanismi a livello UE, potrebbe aiutare a
superare la frammentazione nell’acquisto di armamenti e nello sviluppo delle
capacità.
In secondo luogo,
dobbiamo capire che la creazione di un esercito europeo pienamente integrato è
stata a lungo considerata politicamente irrealizzabile a causa delle
preoccupazioni sulla sovranità nazionale e della complessità nell’allineare
strutture militari diversificate. Tuttavia, gli sviluppi recenti indicano un
cambiamento verso capacità difensive europee più coese. Nel marzo 2022, l’UE ha
introdotto lo strumento dello Strategic Compass, delineando la creazione di una
Capacità di Dispiegamento Rapido (RDC) entro il 2025. Questa forza modulare
mira a mobilitare fino a 5.000 persone, incorporando i battaglioni modificati
dell’UE e forze aggiuntive degli Stati membri.
Il presidente francese
Emmanuel Macron è da sempre un sostenitore vocale del rafforzamento dei
meccanismi di difesa dell’UE. Nell’aprile 2024, ha proposto l’istituzione di
una Forza di Reazione Rapida Europea entro il 2025, sottolineando la necessità
di un'”Iniziativa di Difesa Europea” per sviluppare concetti
strategici e capacità, in particolare nella difesa aerea e nelle operazioni a
lungo raggio. Nonostante queste iniziative, permangono numerosi problemi.
Nazioni come la Germania affrontano difficoltà nel reclutare e preparare le
loro forze armate, soprattutto tra le giovani generazioni che potrebbero dare
priorità all’equilibrio tra vita lavorativa e impegni militari. Nazioni come
l’Italia non si fidano della Francia, riconoscendo che molto spesso le priorità
strategiche e gli interessi nazionali di Parigi divergono da quelli di Roma.
Infine, potenziare la
sicurezza dell’Europa richiede un approccio globale che integri i quadri
militari istituzionali e la preparazione civile. Sebbene l’idea di un diritto
di autodifesa a livello dell’UE simile al Secondo Emendamento degli Stati Uniti
sia culturalmente e giuridicamente complessa, l’Europa ha avviato iniziative
per rafforzare la resilienza e la preparazione civile.
In conclusione,
l’ambiente di sicurezza dell’Europa sta peggiorando, e le attuali iniziative di
difesa sono inadeguate per affrontare le sfide future. PESCO, l’EDF e il CARD
non sono riusciti a offrire un cammino credibile verso l’autonomia strategica.
Se l’Europa è seria nel difendersi, deve adottare soluzioni più ambiziose, tra
cui un aumento della spesa per la difesa, l’integrazione operativa e un quadro
giuridico che dia potere agli Stati e ai cittadini in materia di sicurezza. Senza
tali misure, la difesa europea rimarrà un mosaico frammentato e inefficace,
lasciando il continente vulnerabile in un mondo sempre più ostile.
AMERICA FIRST- Il piano economico dell’amministrazione Trump 2025
di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato (US)
Qualche giorno
fa a New York, il ministro del Tesoro statunitense Scott Bessent ha illustrato
le principali politiche economiche del governo Trump davanti a esperti di
economia e finanza. L’obiettivo centrale è quello di superare la grave crisi
finanziaria che ancora colpisce il Paese, nonostante la sua grande ricchezza.
“America First”, ha spiegato Bessent, non riguarda solo politica interna o internazionale, economia o sicurezza nazionale. È piuttosto un piano completo che punta a migliorare la vita di ogni americano attraverso tre priorità fondamentali, coordinate dal Dipartimento del Commercio e del Tesoro. La base di questo piano è una nuova politica fiscale.
Politica
interna
La parola chiave è deregolamentazione,
cioè ridurre le regole inutili nel settore finanziario per accelerare la
ripresa economica. Secondo l’amministrazione Trump, le regole attuali sono
eccessive e non sempre efficaci. Un recente decreto presidenziale obbliga le
principali autorità finanziarie (Federal Reserve, FDIC e OCC) a far revisionare
le proprie regole dall’Ufficio di Gestione e Bilancio, per garantire più
controllo e responsabilità.
Secondo
Bessent, la crisi bancaria del 2023, in particolare il fallimento della Silicon
Valley Bank, è nata proprio a causa della scarsa supervisione. Chi doveva
controllare non ha compreso in tempo i rischi che la banca stava assumendo, e
non è intervenuto con decisione per risolverli.
L’agenda del
governo prevede quindi una revisione completa delle priorità nella supervisione
bancaria. La cultura delle banche deve cambiare: meno attenzione alla
burocrazia formale e più concentrazione sui rischi reali. Questo cambiamento
sarà promosso dal Financial Stability Oversight Council (FSOC) e dal Working
Group on Financial Markets, creando un migliore dialogo tra le banche, i
regolatori e il Tesoro.
Secondo
Bessent, le grandi banche americane oggi soffrono di troppe regole inefficienti
e poco chiare. La sua proposta è di semplificare e aggiornare queste norme. Ad
esempio, il regolamento sul rapporto di leva finanziaria rischia di limitare
inutilmente anche l’utilizzo degli investimenti più sicuri, come i titoli di
stato americani.
Bessent si è focalizzato sul successo delle piccole banche, che ad oggi sono solo 4.000, ma svolgono un ruolo significativo nell’economia degli Stati Uniti, nonostante detengano solo il 15% degli asset e depositi d’industria. Queste banche rappresentano il 40% dei prestiti alle piccole imprese, il 70% dei prestiti agricoli e il 40% dei prestiti immobiliari commerciali. Sfortunatamente, sono state sovraccaricate, dice Bessent, da requisiti di reporting improduttivi, regolamentazioni assai gravose, che hanno poco a che fare con la riduzione del rischio finanziario materiale. Dice Bessent: “è necessario migliorare l’efficienza e l’efficacia nel nostro settore finanziario, concentrandoci su attività domestiche sottoscritte, riducendo l’indebitamento del settore pubblico e facendo leva sul settore privato. Ciò comporterà una rivitalizzazione intelligente delle nostre istituzioni finanziarie regolate”.
Queste politiche economiche hanno suscitato molte critiche da diversi settori. La proposta di ridurre il deficit federale al 3% del PIL è stata accolta con preoccupazione, poiché per raggiungere questo obiettivo, sarebbero necessarie ingenti riduzioni dei programmi sociali, come Medicaid, e un aumento delle tasse sui beni importati, penalizzando le famiglie a basso e medio reddito. Inoltre il sostegno alla deregolamentazione del settore finanziario, mirato a stimolare la crescita economica, ha suscitato preoccupazioni circa l’instabilità finanziaria, simile a quella che ha preceduto la crisi del 2008. La riduzione della supervisione potrebbe aumentare i rischi legati agli eccessi del settore bancario e a un rischio sistemico maggiore, per non parlare della proposta di coordinare la politica monetaria con misure fiscali per influenzare i tassi di interesse a lungo termine. La paura è che questa politica destabilizzi i mercati finanziari.
La proposta di ridurre il deficit federale al 3% del PIL è stata accolta con preoccupazione, poiché per raggiungere questo obiettivo, sarebbero necessarie ingenti riduzioni dei programmi sociali, come Medicaid, e un aumento delle tasse sui beni importati, penalizzando le famiglie a basso/medio reddito.
Politica commerciale
Sul fronte internazionale, l’agenda economica del presidente Trump si basa su tre fattori principali: Annullare le tariffe, creando un equilibrio nel commercio internazionale tra importazioni ed esportazioni.
Riportare la produzione manifatturiera negli Stati Uniti, riducendo così la dipendenza economica da paesi esteri come Cina, Canada e Messico. Sebbene questo processo richiederà tempo, l’obiettivo è ridurre gradualmente la delocalizzazione produttiva avvenuta negli ultimi decenni.
Rivedere gli accordi commerciali e militari, integrando politica militare, economica e politica estera, anziché trattarle come ambiti separati. Secondo l’amministrazione Trump, la spesa militare, infatti, non garantisce una crescita economica sana e sostenibile. Diversi economisti sostengono questa visione, tra cui James K. Galbraith, che considera la spesa militare improduttiva rispetto agli investimenti civili; Norman Angell, che già nel 1909 spiegava nel suo saggio “La grande illusione” che il potere militare non genera benessere economico duraturo; e John Maynard Keynes, che nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” evidenziava come le spese pubbliche produttive siano preferibili rispetto alla costruzione di armamenti per sostenere una crescita economica stabile.
Secondo l’amministrazione Trump, la spesa militare non garantisce una crescita economica sana e sostenibile. In quest’ottica, gli Stati Uniti non intendono più sovvenzionare altri paesi Nato, concentrando invece le risorse verso lo sviluppo produttivo interno e nuove relazioni commerciali.
In quest’ottica, gli Stati Uniti non intendono più sovvenzionare altri paesi Nato, concentrando invece le risorse verso lo sviluppo produttivo interno e nuove relazioni commerciali. Non possiamo dare torto al ministro del Tesoro quando afferma “ gli Stati Uniti sono anche consumatori di prima e ultima istanza. Questo sistema non è sostenibile”. E come stoccata alla Cina, dice: “ L’accesso a beni a basso costo non è l’essenza del sogno americano. Il sogno americano riguarda la mobilità sociale, la sicurezza economica e l’opportunità di raggiungere la prosperità. Le relazioni economiche internazionali che non funzionano per il popolo americano devono essere riesaminate. Questo è ciò che le tariffe sono progettate per affrontare: livellare il campo di gioco affinché il sistema commerciale internazionale premi l’ingegnosità, la sicurezza, lo stato di diritto e la stabilità, invece di sopprimere i salari, manipolare le valute, rubare proprietà intellettuali e introdurre regolamenti draconiani. Gli Stati Uniti risponderanno a pratiche dannose, incluse leggi ingiuste, politiche governative che minano la concorrenza globale e manipolazione delle valute”.
Ancora una volta Trump e Bessent hanno definito impropriamente queste multe come “tariffe”. L’Unione Europea ha sanzionato Google per pratiche anticoncorrenziali relative al suo servizio di shopping online, accusandola di privilegiare i propri prodotti rispetto a quelli della concorrenza, limitando così la libertà di scelta dei consumatori.
L’accesso a beni a basso costo non è l’essenza del sogno americano. Il sogno americano riguarda la mobilità sociale, la sicurezza economica e l’opportunità di raggiungere la prosperità.
Scott Bessent, segretario al Tesoro statunitense
In realtà, si tratta di sanzioni
applicate sulla base di precise normative europee a tutela della privacy e
della libera concorrenza. L’Europa, attraverso regolamenti come il Digital
Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA), ha tracciato una
netta linea di difesa—una sorta di “linea Maginot”—che limita il
potere delle grandi piattaforme digitali, impedendo loro di prevalere sugli
interessi dei singoli cittadini. Il DMA, in particolare, identifica grandi
aziende tecnologiche come Alphabet (Google), Amazon, Apple, ByteDance, Meta e
Microsoft, definendole “gatekeeper” e imponendo loro obblighi
specifici per garantire un mercato equo e competitivo.
Parlando poi di sicurezza militare Bessent afferma: “La sicurezza economica è la sicurezza nazionale. Questo è evidente nelle azioni di sanzione del Tesoro degli Stati Uniti. Nel suo discorso dello scorso settembre, il presidente Trump ha espresso il suo parere che l’uso eccessivo delle sanzioni potrebbe influenzare la supremazia del dollaro. Sono d’accordo e aggiungo che, come l’uso eccessivo di antibiotici, l’obiettivo diventa immune e muta. Le sanzioni che non sono monitorate con attenzione creano semplicemente nuovi mercati che devono essere sanzionati a loro volta, e il ciclo continua. Un fattore importante che ha permesso alla macchina da guerra russa di continuare è stata la debolezza delle sanzioni sull’energia russa da parte dell’amministrazione Biden, causata dalle preoccupazioni per l’aumento dei prezzi dell’energia negli Stati Uniti durante una stagione elettorale. Questa amministrazione ha mantenuto in atto le sanzioni potenziate e non esiterà ad andare fino in fondo se ciò fornirà leva nelle negoziazioni di pace. La guida del presidente Trump sulle sanzioni è chiara: saranno utilizzate in modo esplicito e aggressivo per un impatto massimo e saranno monitorate con attenzione per garantire che raggiungano obiettivi specifici.”
Sebbene il piano economico “America First” abbia il merito di riportare l’attenzione sulla centralità dell’economia domestica, alcuni suoi aspetti andrebbero rivisti con cautela per evitare conseguenze indesiderate sul piano economico e sociale, sia nazionale che internazionale
In conclusione,
il piano economico “America First” proposto dall’amministrazione
Trump presenta alcune idee interessanti, come la volontà di riportare la
manifattura negli Stati Uniti e di semplificare alcune regolamentazioni
finanziarie considerate troppo burocratiche. Tuttavia, molte delle soluzioni
proposte, in particolare la forte deregolamentazione e la riduzione drastica
del deficit federale, sollevano preoccupazioni concrete. Da un lato, c’è il
rischio che l’allentamento delle regole bancarie possa portare nuovamente a
crisi finanziarie, come già avvenuto nel 2008 e nel 2023. Dall’altro, la
riduzione dei programmi sociali per contenere il deficit potrebbe aggravare le
disuguaglianze economiche e sociali negli Stati Uniti.
Sul fronte
internazionale, il desiderio di riportare la manifattura negli USA e rivedere i
rapporti commerciali e militari evidenzia una presa di coscienza della
vulnerabilità economica del paese, e rappresenta un tentativo ambizioso e
positivo di ridare impulso alla produzione nazionale. Tuttavia, questa
strategia richiederà tempo, investimenti mirati e relazioni diplomatiche
attente.
Infine, la
posizione di Trump e Bessent rispetto alle sanzioni europee verso le grandi
aziende tecnologiche appare semplicistica e rischia di creare inutili tensioni.
Non riconoscere la differenza tra “tariffe” e sanzioni antitrust
indica una possibile incomprensione delle normative europee, che sono volte a
tutelare la concorrenza e i diritti dei cittadini.
In sintesi,
sebbene il piano economico “America First” abbia il merito di
riportare l’attenzione sulla centralità dell’economia domestica, alcuni suoi
aspetti andrebbero rivisti con cautela per evitare conseguenze indesiderate sul
piano economico e sociale, sia nazionale che internazionale.
L’evoluzione della guerra irregolare e una roadmap per il futuro.
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
Storicamente parlando, la
guerra irregolare (IW) è stata una costante dei conflitti, evolvendosi in
risposta a dinamiche politiche, tecnologiche e sociali in continuo cambiamento.
Nella dottrina militare degli Stati Uniti, essa è definita come “una lotta
violenta tra attori statali e non statali per la legittimità e l’influenza
sulle popolazioni di interesse” e, secondo la legge statunitense, come
“attività del Dipartimento della Difesa che non coinvolgono conflitti
armati ma supportano politiche e obiettivi militari prestabiliti degli Stati
Uniti, condotte da, con e attraverso forze regolari, forze irregolari, gruppi e
individui”. In senso più ampio, si tratta di una forma di guerra che mira
a minare il potere di un avversario attraverso tattiche asimmetriche. Oggi, la
guerra irregolare ha assunto molte forme, dalla guerriglia alle operazioni
cyber-enabled. Sebbene il dibattito moderno sulla IW sia fortemente influenzato
dalle esperienze occidentali, in particolare dagli Stati Uniti, è essenziale
esaminare una gamma più ampia di casi storici e contemporanei per comprenderne
l’evoluzione e affrontare le sfide della sicurezza futura.
Nel corso della storia,
la guerra irregolare è stata l’arma della parte più debole in un conflitto, che
si trattasse di insorti contro potenze coloniali, movimenti di resistenza
contro occupazioni o attori non statali che sfidavano l’autorità statale.
Esempi precoci includono le tattiche di guerriglia impiegate dagli spagnoli
contro le forze napoleoniche nella Guerra d’Indipendenza spagnola (1808-1814) e
le strategie asimmetriche utilizzate dai gruppi indigeni contro gli eserciti
coloniali europei.
Nel XX secolo, la guerra
irregolare è diventata una caratteristica dominante dei conflitti globali,
soprattutto nelle lotte di decolonizzazione. La resistenza vietnamita contro le
forze francesi e, successivamente, contro quelle americane ha dimostrato
l’efficacia di una combinazione di tattiche di guerriglia, guerra politica e
operazioni convenzionali. Analogamente, la strategia della guerra prolungata di
Mao Zedong in Cina ha enfatizzato l’importanza della mobilitazione della
popolazione e della fusione tra ideologia politica e azione militare per
logorare un avversario più forte nel tempo.
Durante la Guerra Fredda,
entrambe le superpotenze furono coinvolte in campagne di guerra irregolare
attraverso guerre per procura, sostegno alle insurrezioni e operazioni di
controinsurrezione. L’esperienza sovietica in Afghanistan (1979-1989) e i
conflitti degli Stati Uniti in Vietnam, Iraq e Afghanistan dimostrano le
difficoltà di combattere avversari irregolari con mezzi militari convenzionali.
Questi casi evidenziano l’importanza della comprensione delle dinamiche locali,
della legittimità politica e dei limiti del potere militare nei conflitti
irregolari.
Oggi, la guerra
irregolare si è espansa oltre le insurrezioni tradizionali e i movimenti di
guerriglia per includere la guerra cibernetica, la guerra dell’informazione e
le minacce ibride. Attori non statali come l’ISIS e minacce ibride da parte di
stati, come l’uso russo di forze proxy e delle campagne di disinformazione in
Ucraina, illustrano la natura in evoluzione della guerra irregolare. Il ruolo
della tecnologia, in particolare l’intelligenza artificiale, i droni e le
capacità informatiche, ha poi cambiato radicalmente il modo in cui la guerra
irregolare viene condotta.
Tuttavia, una carenza
critica negli studi attuali sulla guerra irregolare è il focus occidentale, che
spesso ignora le esperienze ricche e variegate di altre regioni. Ad esempio, le
strategie di guerra asimmetrica di Hezbollah contro Israele, l’uso di droni e
missili da parte degli Houthi in Yemen e l’insurrezione prolungata delle FARC
in Colombia offrono lezioni preziose sull’adattabilità e la resilienza delle
forze irregolari. Esaminare come le nazioni africane contrastano le
insurrezioni, come la lotta della Nigeria contro Boko Haram, o come l’India ha
affrontato le insurrezioni in Kashmir e nel Nord-Est, potrebbe offrire nuove
prospettive sulle strategie di controinsurrezione e stabilizzazione.
Per affrontare
efficacemente le sfide della guerra irregolare futura, è necessaria una
revisione del pensiero strategico. I responsabili politici e i militari
dovrebbero ampliare la base di conoscenza oltre le esperienze occidentali,
integrando le lezioni derivanti da conflitti globali diversificati. Le
esperienze di attori mediorientali, africani e asiatici, sia nell’insurrezione
che nella controinsurrezione, forniscono lezioni critiche di adattabilità e
resilienza. Allo stesso tempo, i progressi nell’intelligenza artificiale, nei
sistemi autonomi e nella guerra cibernetica modelleranno il futuro della guerra
irregolare. Molti attori ostili stanno infatti già integrando propaganda basata
sull’IA, deepfake e sabotaggi informatici nei loro arsenali, rendendo
essenziale lo sviluppo di contromisure e strategie proattive.
Come la storia ha
dimostrato, la guerra irregolare non riguarda solo la forza militare, ma anche
la vittoria nelle battaglie politiche e sociali. Le future strategie devono
integrare la guerra politica, le operazioni di informazione e gli strumenti
economici per contrastare efficacemente gli avversari. Con l’aumento delle
minacce ibride che fondono tattiche convenzionali, irregolari e cibernetiche,
le nazioni devono adottare un approccio alla sicurezza globale che coinvolga
collaborazione tra settori militare, civile e privato. Inoltre, è fondamentale
dare priorità alle partnership locali e alla comprensione culturale,
riconoscendo che le soluzioni ai conflitti irregolari sono spesso specifiche
del contesto. Programmi di addestramento, raccolta di intelligence e operazioni
militari dovrebbero incorporare una conoscenza profonda della cultura e della
storia locale.
Per sviluppare
efficacemente le strategie di guerra irregolare, dovrebbe essere implementata il
prima possibile una roadmap strutturata. Tale roadmap dovrebbe iniziare con una
fase dedicata alla ricerca e all’analisi da condursi nei prossimi anni,
concentrandosi su studi approfonditi delle esperienze non occidentali e
sull’integrazione delle loro lezioni nei programmi di formazione militare e
politica. Dovrebbero essere istituiti gruppi di lavoro internazionali composti
da esperti di diverse regioni, mentre modelli predittivi basati su IA e big
data potrebbero anticipare le tendenze della guerra irregolare e le potenziali
minacce, garantendo strategie adattabili e lungimiranti.
Dopo questa fase di
ricerca, i successivi due o tre anni dovrebbero essere dedicati alla revisione
delle politiche e delle dottrine militari. Questo comporterebbe l’aggiornamento
delle linee guida operative per integrare le lezioni della guerra ibrida e
informatica, il rafforzamento dei meccanismi di condivisione dell’intelligence
tra nazioni alleate e l’affinamento dei quadri legali ed etici per affrontare
le complessità della guerra irregolare, specialmente nel cyberspazio e nelle
operazioni di informazione. Man mano che gli avversari evolvono le loro tattiche,
i responsabili politici devono garantire che i quadri giuridici rimangano
solidi ma flessibili di fronte alle nuove sfide.
Successivamente, gli
sforzi dovrebbero concentrarsi sulla costruzione delle capacità e sulla
formazione. Dovrebbero essere istituiti programmi di addestramento
specializzati che si focalizzino su studi di casi non occidentali e sulle
tattiche di guerra ibrida, preparando il personale militare e dell’intelligence
a operare in ambienti diversi. Le innovazioni tecnologiche dovrebbero essere
integrate in questi programmi, mentre partenariati tra governi, mondo
accademico e settore privato dovrebbero favorire lo sviluppo di contromisure
innovative contro le campagne di disinformazione e la propaganda digitale.
In conclusione, la guerra irregolare è una forma di
conflitto persistente ed evolutiva che richiede un adattamento continuo.
L’approccio occidentale ha fornito importanti intuizioni, ma le strategie
future devono incorporare un’ampia gamma di esperienze globali per rimanere
efficaci. Solo abbracciando questi cambiamenti, le nazioni potranno contrastare
efficacemente le minacce irregolari del futuro.
L’Alleanza dei Five Eyes e l’erosione della fiducia sotto la politica di Trump.
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
L’Alleanza dei Five Eyes,
formata nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, è una delle reti
di condivisione di informazioni più potenti al mondo. Composta da Australia,
Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, i Five Eyes rappresentano un
raro esempio di cooperazione internazionale nel mondo oscuro dell’intelligence
e della sicurezza. I suoi membri condividono dati riservati, conducono
operazioni congiunte e valutano regolarmente le minacce globali. In questo
modo, si scambiano le informazioni critiche necessarie per proteggere gli
interessi nazionali, prevenire il terrorismo e rispondere alle sfide militari.
Per quasi otto decenni,
le nazioni dei Five Eyes hanno operato sulla base della fiducia reciproca.
Questa fiducia ha permesso loro di cooperare senza problemi, condividendo non
solo informazioni di intelligence, ma anche priorità strategiche. Tuttavia, gli
sviluppi recenti sotto la leadership di Donald Trump hanno sollevato
preoccupazioni che questa partnership potrebbe essere sull’orlo del collasso.
Dall’inizio del suo
attuale mandato, le politiche e la retorica di Trump hanno gettato una lunga
ombra sulle relazioni degli Stati Uniti con i suoi alleati più stretti. La sua
decisione di ritirare il supporto militare e di intelligence all’Ucraina, ad
esempio, ha segnato un cambiamento drammatico nella politica estera americana.
Questo ritiro, avvenuto in un periodo di crescente aggressività russa, ha
lasciato gli alleati degli Stati Uniti perplessi e ansiosi riguardo
l’affidabilità degli Stati Uniti come partner. Sebbene la decisione di Trump
fosse apparentemente motivata dal desiderio di concentrarsi sugli interessi
americani, ha ulteriormente indebolito la fiducia tra le nazioni dei Five Eyes.
Infatti, mentre gli Stati
Uniti si ritirano dai loro impegni, paesi come il Regno Unito e il Canada si
trovano a dover colmare il divario. Ci sono già piani per aumentare la spesa
per la difesa e intensificare gli aiuti all’Ucraina. Ma la domanda più grande
è: cosa significa per i Five Eyes quando uno dei suoi membri fondatori, gli Stati
Uniti, segnala che non condivide più lo stesso livello di impegno verso gli
obiettivi comuni dell’alleanza?
Le radici del problema
non risiedono solo nelle decisioni controverse di politica estera di Trump, ma
anche nella sua gestione avventata delle informazioni sensibili. Diversi
episodi, tra cui la fuga di materiale riservato a leader stranieri e la cattiva
gestione di documenti, hanno sollevato dubbi sull’affidabilità degli Stati
Uniti nella salvaguardia dell’intelligence. Se gli Stati Uniti non possono
proteggere i propri dati riservati, come si può fare affidamento su di loro per
gestire i segreti degli alleati dei Five Eyes?
Questa nuova postura ha
avuto un effetto a catena sull’alleanza. I paesi che un tempo erano desiderosi
di condividere informazioni con gli Stati Uniti si trovano ora a chiedersi se
valga la pena correre il rischio. Funzionari britannici e canadesi hanno
espresso preoccupazione che la loro intelligence possa essere mal gestita o
abusata, con gravi conseguenze per la sicurezza nazionale. E forse ancor più
preoccupante è il crescente senso che gli Stati Uniti non stiano più dando
priorità alla sicurezza a lungo termine dei loro alleati. I Five Eyes hanno
sempre operato sul principio del “rischio condiviso”; quando uno dei
partner è compromesso, tutti i partner ne sentono l’impatto.
La retorica di
“America First” di Trump ha anche contribuito a un cambiamento nelle
dinamiche di potere globali, mentre gli Stati Uniti si ritirano sempre più in
se stessi. Sotto la sua leadership, gli Stati Uniti non solo hanno ridotto il
loro supporto per alleanze tradizionali come la NATO, ma hanno anche mostrato
scarso rispetto per l’ordine internazionale più ampio. Le conseguenze di questo
approccio non sono solo teoriche: sono già evidenti. I leader europei, in
particolare nel Regno Unito, sono stati costretti a riconsiderare i loro
accordi di sicurezza. Alcuni stanno addirittura contemplando la possibilità di
formare alleanze alternative senza gli Stati Uniti, in risposta alla politica
estera imprevedibile di Trump.
Per paesi come il Regno
Unito, questa è una situazione particolarmente difficile. L’Alleanza dei Five
Eyes è stata la pietra angolare delle operazioni di intelligence britanniche
per decenni, offrendo un accesso senza pari alle capacità di intelligence degli
Stati Uniti. Ma alla luce del comportamento erratico di Trump, ora si sta
diffondendo la consapevolezza che la Gran Bretagna potrebbe dover diversificare
le proprie partnership di intelligence per tutelare i propri interessi di sicurezza.
Questo potrebbe portare a un riallineamento delle alleanze, con le potenze
europee che cercano legami più stretti con i membri della NATO al di fuori
degli Stati Uniti o addirittura esplorando la cooperazione con altri attori
globali.
Le ripercussioni delle
politiche di Trump sono evidenti anche nel suo approccio ai conflitti globali.
Il suo ritiro del supporto all’Ucraina, ad esempio, ha lasciato le nazioni
europee in una posizione scomoda. Con gli Stati Uniti che si ritirano dal campo
di battaglia, i membri della NATO come il Regno Unito e la Francia hanno dovuto
assumere un ruolo più attivo nel supportare la difesa dell’Ucraina contro
l’aggressione russa. Questo ha aumentato il senso di incertezza tra i partner
dei Five Eyes riguardo l’affidabilità degli Stati Uniti come alleato. Se gli
Stati Uniti sono disposti ad abbandonare i propri impegni verso uno dei suoi
alleati più stretti di fronte all’espansionismo russo, cosa accadrà quando
emergerà la prossima crisi globale?
C’è anche la pressante questione
delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, che ha ulteriormente complicato la
capacità dei Five Eyes di mantenere la coesione. L’approccio di Trump verso la
Cina—caratterizzato da una guerra commerciale e da tentativi di minare l’ascesa
tecnologica di Pechino—ha avvicinato gli Stati Uniti a un confronto con la
Cina. Ciò ha costretto le nazioni dei Five Eyes a schierarsi. Mentre
l’Australia e il Regno Unito hanno sostenuto la posizione degli Stati Uniti
sulla Cina, paesi come il Canada e la Nuova Zelanda hanno mostrato riluttanza
nell’adottare un approccio duro, in parte a causa dei loro legami economici con
la Cina. Questa spaccatura potrebbe minare il quadro di condivisione
dell’intelligence che è stato il marchio di fabbrica dei Five Eyes, soprattutto
mentre le dinamiche globali di potere cambiano.
Guardando al futuro, il
destino dell’Alleanza dei Five Eyes è incerto. L’aumento dell’imprevedibilità
della politica estera degli Stati Uniti sotto Trump—unito alle preoccupazioni
per la gestione impropria delle informazioni e l’isolazionismo diplomatico—ha
lasciato molti a chiedersi se l’alleanza possa continuare nella sua forma
attuale. Se gli Stati Uniti rimarranno riluttanti o incapaci di riaffermare i
propri impegni verso i suoi alleati, i Five Eyes potrebbero dover subire una
trasformazione significativa. L’alleanza potrebbe evolversi per fare più
affidamento sui suoi membri europei, con nuovi accordi forgiati al di fuori
dell’orbita degli Stati Uniti.
In conclusione, mentre l’Alleanza dei Five Eyes è
stata una forza potente nella sicurezza globale per decenni, lo stato attuale
della politica estera degli Stati Uniti sotto Donald Trump ha messo a rischio
questa partnership. Se la fiducia continua a erodersi, le fondamenta stesse
dell’alleanza potrebbero crollare, costringendo i suoi membri a tracciare un
nuovo corso. La domanda rimane: possono i Five Eyes rimanere uniti di fronte a
un ordine mondiale in cambiamento, o saranno costretti ad adattarsi a un futuro
senza gli Stati Uniti al centro?
Un arsenale nucleare per l’Italia: quanto costerebbe?
di Andrea Molle e Claudio Bertolotti.
Quanto costerebbe
all’Italia dotarsi di un proprio arsenale nucleare?
L’idea che l’Italia possa
dotarsi di un’arma nucleare è un tema complesso, con implicazioni economiche,
politiche e strategiche. In uno scenario ipotetico, Roma potrebbe scegliere tra
due modelli: una triade nucleare completa, come quella di Stati Uniti, Russia e
Cina, oppure una forza nucleare più limitata, simile alla “Force de
Frappe” francese. Ma quanto costerebbe ciascuna opzione?
Una deterrenza nucleare
basata su tre componenti – missili balistici terrestri, sottomarini nucleari
con missili balistici e bombardieri strategici – richiederebbe enormi
investimenti in ricerca, produzione e infrastrutture. Per la componente
terrestre, lo sviluppo dei missili balistici intercontinentali potrebbe costare
tra i 10 e i 20 miliardi di euro, mentre la loro produzione richiederebbe un
investimento di circa 50-100 milioni per ogni missile. Le infrastrutture, tra
cui silos e basi mobili, avrebbero un costo aggiuntivo tra i 5 e i 10 miliardi,
mentre la manutenzione e gli aggiornamenti per un periodo di trent’anni
potrebbero richiedere tra i 30 e i 50 miliardi. Nel complesso, questa
componente costerebbe tra i 50 e gli 80 miliardi di euro. Questo senza contare
il problema politico di dove allestire le basi di lancio.
La componente sottomarina
prevedrebbe la costruzione di quattro o meglio sei sottomarini nucleari con
missili balistici, con un costo stimato tra i 3 e i 5 miliardi per unità.
Sappiamo che la Marina sta già considerando lo sviluppo di unità a propulsione
nucleare, ma lo sviluppo e la produzione dei missili SLBM comporterebbe una
spesa tra i 5 e i 10 miliardi, mentre le infrastrutture e la manutenzione
richiederebbero un ulteriore investimento tra i 15 e i 20 miliardi.
Complessivamente, questa parte del programma costerebbe tra i 50 e i 70
miliardi di euro.
Per la componente aerea,
lo sviluppo di un nuovo bombardiere stealth richiederebbe un investimento tra i
20 e i 40 miliardi di euro, mentre l’acquisto di bombardieri esistenti
costerebbe tra 1 e 2 miliardi per unità. Le infrastrutture e gli aggiornamenti
aggiungerebbero altri 5-10 miliardi. Il costo totale di questa componente
sarebbe tra i 30 e i 50 miliardi di euro.
Infine, lo sviluppo e la
produzione delle testate nucleari richiederebbe tra i 10 e i 20 miliardi di
euro. La costruzione di impianti per l’arricchimento dell’uranio e la
produzione di plutonio costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi, mentre la creazione
di sistemi di comando, controllo e comunicazione necessiterebbe di ulteriori 15-20
miliardi. Il costo totale di questa parte del programma sarebbe compreso tra i
35 e i 55 miliardi di euro.
Nel complesso, il costo
stimato per una triade nucleare completa si aggirerebbe tra i 165 e i 255
miliardi di euro, con un periodo di realizzazione tra i 20 e i 30 anni.
Un modello più realistico
per l’Italia potrebbe essere quello della Francia, che basa la sua deterrenza
nucleare su sottomarini con missili balistici e una componente aerea con
missili da crociera lanciabili da caccia. La costruzione di quattro sottomarini
nucleari lanciamissili avrebbe un costo di circa 3-5 miliardi per unità. Lo
sviluppo dei missili balistici per sottomarini richiederebbe tra i 5 e i 10
miliardi, mentre le infrastrutture e la manutenzione costerebbero tra i 10 e i
15 miliardi. Nel complesso, questa componente costerebbe tra i 40 e i 60
miliardi di euro.
Per la componente aerea,
l’Italia potrebbe affidarsi agli F-35, già in dotazione e capaci di trasportare
missili da crociera con testate nucleari. Lo sviluppo di tali missili
comporterebbe una spesa tra i 5 e i 10 miliardi, portando il costo totale della
componente aerea tra i 10 e i 20 miliardi di euro.
Infine, lo sviluppo e la
produzione delle testate nucleari costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi, mentre
la costruzione di impianti per l’arricchimento e la produzione di plutonio
avrebbe un costo di circa 10 miliardi. I sistemi di comando e controllo
aggiungerebbero un ulteriore investimento di circa 10 miliardi. Il costo totale
di questa parte del programma sarebbe compreso tra i 30 e i 35 miliardi di
euro.
Nel complesso, il costo
stimato per una forza nucleare ridotta si aggirerebbe tra gli 80 e i 115
miliardi di euro, con un periodo di realizzazione tra i 15 e i 20 anni.
L’Italia, come firmataria
del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) e membro della NATO, non ha
avuto bisogno fino ad ora di un arsenale nucleare nazionale grazie alla
protezione dell’ombrello nucleare statunitense. Tuttavia, in un contesto
geopolitico in rapido mutamento, il dibattito su un’eventuale autonomia
strategica non è da escludere. Se si optasse per una triade nucleare completa,
il costo sarebbe esorbitante e difficilmente sostenibile. Un modello alla
francese, più agile e meno oneroso, potrebbe essere una scelta più realistica,
ma comunque con un prezzo elevato, sia in termini economici che diplomatici.
Alla luce di questi numeri, è evidente che la questione non è solo
“possiamo permettercelo?”, ma anche “ne vale davvero la
pena?”.
Quale confronto con lo stato dell’arte di Stati
Uniti, Russia e Francia in termini di dissuasione?
L’ipotesi di una
“capacità nucleare” italiana si scontra inevitabilmente con il
confronto con le citate grandi potenze nucleari globali – Stati Uniti, Russia e
Francia – le cui dottrine strategiche sono il risultato di decenni di sviluppo,
test e consolidamento. Come abbiamo detto, l’Italia, pur non possedendo armi nucleari
proprie, beneficia del citato ombrello nucleare e della dissuasione estesa
garantita dagli Stati Uniti. Tuttavia, immaginare uno scenario in cui l’Italia
si doti di una capacità nucleare autonoma solleva interrogativi strategici,
tecnologici e politici di grande rilevanza.
Le capacità nucleari di
Stati Uniti e Russia si basano su una strategia di dissuasione strategica, ma
con alcune differenze dottrinali. Entrambi i Paesi adottano il principio della destruction mutuelle assurée (MAD),
ovvero la distruzione reciproca assicurata, ma lo declinano in modi diversi.
Negli Stati Uniti, la
strategia nucleare si fonda su un modello di dissuasione flessibile, concepito
per rispondere a minacce su diversi livelli. Questo approccio si articola sulla
cosiddetta “triade nucleare”, che include missili balistici
intercontinentali (ICBM), sottomarini nucleari lanciamissili (SSBN) e
bombardieri strategici in grado di trasportare armi nucleari. La dottrina
americana prevede anche una dissuasione estesa, fornendo protezione nucleare
agli alleati, inclusa l’Italia. Inoltre, l’introduzione di testate a bassa
potenza rende più credibile la deterrenza contro attori regionali, mentre la
capacità di attacco preventivo, sebbene non dichiarata esplicitamente, rimane
un’opzione praticabile nel quadro della sicurezza nazionale.
La Russia, invece, adotta
un modello più aggressivo, noto come “Escalate to De-Escalate”, in
cui il ricorso limitato alle armi nucleari potrebbe essere impiegato per porre
fine a un conflitto prima che esso si intensifichi. La strategia russa si
avvale anch’essa di una triade nucleare, con una particolare enfasi sugli ICBM
mobili e su nuove armi ipersoniche e strategiche, sviluppate per mantenere un
vantaggio rispetto agli Stati Uniti. La dottrina russa prevede esplicitamente
l’uso nucleare in risposta a una minaccia esistenziale, rendendo il confine tra
guerra convenzionale e guerra nucleare più sfumato rispetto alla posizione
statunitense.
Anche la Francia, con la
sua Force de Frappe, si è dotata di un arsenale nucleare autonomo, incentrato
su una componente sottomarina e su una flotta di caccia-bombardieri capaci di
colpire obiettivi strategici con missili a testata nucleare. La Francia ha
sempre rifiutato di integrare completamente il suo deterrente nucleare nella
NATO, mantenendo un principio di autonomia decisionale in materia di impiego
delle sue forze strategiche. Questo modello potrebbe rappresentare il
riferimento più realistico per un’ipotetica capacità nucleare italiana, in
quanto orientato alla difesa nazionale piuttosto che a una proiezione di forza
su scala globale.
L’Italia, nel contesto
della NATO, ha una dottrina di sicurezza che esclude lo sviluppo di un proprio
arsenale nucleare, affidandosi piuttosto alla protezione statunitense e alle
dinamiche della dissuasione collettiva. L’acquisizione di una capacità nucleare
autonoma implicherebbe non solo enormi investimenti economici, ma anche un
cambiamento radicale nella politica estera e di sicurezza del Paese, con
inevitabili ripercussioni sulle relazioni con gli altri membri dell’Alleanza
Atlantica e dell’Unione Europea.
A differenza degli Stati
Uniti e della Russia, che operano sotto una logica di deterrenza su scala
globale, e della Francia, che ha scelto un deterrente nazionale indipendente,
l’Italia dovrebbe valutare attentamente se una strategia di dissuasione
nucleare autonoma sarebbe coerente con i suoi interessi strategici. L’attuale
assetto garantisce comunque un livello di sicurezza elevato, senza i costi e le
implicazioni geopolitiche di un programma nucleare indipendente. In un contesto
internazionale in continua evoluzione, il confronto con i modelli esistenti
dimostra che la dissuasione non è solo una questione di tecnologia e arsenali,
ma anche di strategia politica e di posizionamento nel sistema internazionale.
Il messaggio di Macron e la ridefinizione dell’identità europea
Il recente discorso del Presidente francese
Emmanuel Macron in cui si esorta l’Europa al riarmo non è solo un campanello
d’allarme, ma un momento decisivo per la sicurezza del continente e il suo
ruolo nella geopolitica globale. Dichiarando che l’Europa non può più
“vivere dei dividendi della pace”, Macron ha riconosciuto una realtà
che molti leader europei hanno a lungo preferito ignorare. Il mondo è cambiato
e l’assunto post-Guerra Fredda secondo cui la sicurezza europea poteva essere
delegata agli Stati Uniti non è più sostenibile. È giunto il momento di una
maggiore autonomia strategica.
Al centro del messaggio di Macron vi è la crescente minaccia rappresentata dalla Russia. La guerra in corso in Ucraina, insieme agli sforzi più ampi di destabilizzazione della Russia in Europa, sottolineano l’urgenza della situazione. Gli Stati Uniti sono stati un alleato cruciale, ma il loro panorama politico sta cambiando e le future amministrazioni potrebbero non essere altrettanto impegnate nella sicurezza europea come in passato. La proposta di Macron di estendere la deterrenza nucleare francese agli alleati europei rappresenta un cambiamento strategico fondamentale — uno di quei momenti che ridefiniscono il quadro della sicurezza europea. Non un regalo, e certamente non la condivisione del controllo operativo, ma una vera e propria offerta per l’acquisto della leadership della Difesa Europea.
Questo cambiamento è particolarmente
interessante data la postura storica della Francia sulla difesa. Fin dalla
presidenza di Charles de Gaulle, la Francia ha perseguito una strategia di
difesa indipendente, enfatizzando la sovranità nazionale piuttosto che
l’affidamento alla NATO. Nel 1966, de Gaulle ritirò la Francia dal comando
militare integrato della NATO, affermando che la Francia avrebbe dovuto
controllare la propria politica militare piuttosto che essere subordinata alla
leadership degli Stati Uniti. Sebbene la Francia sia rientrata nella struttura
di comando della NATO nel 2009 sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, la sua
deterrenza nucleare è sempre rimasta strettamente sotto controllo nazionale. La
disponibilità di Macron a discutere l’estensione dell’ombrello nucleare
francese segna una significativa deviazione da questa posizione tradizionale,
segnalando una nuova era nella difesa europea, ma allo stesso tempo un ritorno
al paradigma gollista.
Le implicazioni di questo cambiamento si
estendono oltre la Francia. L’Unione Europea sta già esplorando massicci
investimenti nella difesa, potenzialmente mobilitando centinaia di miliardi di
euro. Questa mossa segnala l’intenzione di ridurre la dipendenza dalla NATO, o
perlomeno di stabilire un pilastro europeo più forte all’interno dell’alleanza.
Se riuscisse, questa trasformazione potrebbe alterare l’equilibrio del potere
globale, rendendo l’Europa un attore più indipendente sulla scena mondiale.
L’Italia si trova a un bivio in questo nuovo
paradigma e il tempo per una decisione stringe. Il Presidente del Consiglio
Giorgia Meloni ha sottolineato l’importanza dell’unità occidentale, avvertendo
che la divisione sarebbe “fatale per tutti”. L’Italia, storicamente
cauta nelle spese per la difesa, potrebbe ora essere costretta ad aumentare
significativamente il proprio budget militare. Inoltre, mentre si evolvono le
discussioni sulla deterrenza nucleare europea, l’Italia potrebbe essere costretta
a riconsiderare le proprie politiche strategiche. Dovrebbe allinearsi più
strettamente alla visione francese, mantenere la sua tradizionale dipendenza
dall’ombrello nucleare statunitense o Roma opterà piuttosto per creare una
propria “Forza di Deterrenza”?
In ogni caso, il discorso di Macron non
riguardava solo la spesa militare; riguardava la ridefinizione dell’identità
europea. L’era della compiacenza europea in materia di difesa è finita. La
domanda ora è se i leader europei, in particolare in Italia, siano disposti a
cogliere l’occasione e assumersi le responsabilità che accompagnano la vera
autonomia strategica. Se non agiranno, il costo potrebbe non essere solo la
sicurezza dell’Europa, ma il suo posto stesso nell’ordine mondiale.
Il discorso di Trump davanti al Congresso
di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti – giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti
Secondo l’Articolo II sezione 3 della Costituzione degli Stati Uniti che in parte recita: “Egli darà di volta in volta al Congresso una Informativa sullo stato dell’Unione, e raccomanderà (all’Assemblea) di esaminare le misure che giudicherà necessarie e convenienti;” Trump martedì sera (4 marzo 2025) ha abbracciato il possibile e l’inimmaginabile. In un’atmosfera tesa e vibrante, Donald Trump ha tenuto il suo primo, atteso discorso congiunto di fronte al Congresso, facendo segnare un record storico di un’ora e quaranta minuti. Nel contesto di un Dow Jones che ha subìto un drammatico calo di 1300 punti dopo l’annuncio di nuove tariffe, il presidente ha delineato la sua visione per il futuro dell’America, tra applausi, dissensi e momenti di forte contrasto. Mentre una metà dell’assemblea, divisa tra repubblicani e democratici, ha risposto con applausi e standing ovations, l’altra ha alzato cartelli con la scritta “falso”, dando un tono di grande polarizzazione a questo discorso. Non sono mancati colpi di scena, a partire dalla politica interna sull’economia e le nuove misure contro il wokismo, fino agli aggiornamenti sul fronte internazionale, dove Trump ha fatto promesse audaci riguardo la sicurezza globale e la politica estera. In questo articolo, esploreremo i punti salienti di un discorso che, come sempre, ha diviso l’opinione pubblica e suscitato forti reazioni politiche.
Le notizie sono tante, ma partiamo dalla politica interna: “Ho imposto un congelamento immediato su tutte le assunzioni federali, un congelamento su tutte le nuove regolamentazioni federali e un congelamento su tutta l’assistenza estera. Ho terminato la ridicola truffa del Green New Deal, mi sono ritirato dall’ingiusto Accordo sul clima di Parigi, che ci costava trilioni di dollari che altri paesi non stavano pagando. Mi sono ritirato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità corrotta e mi sono ritirato anche dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che era antiamericano. Abbiamo annullato tutte le restrizioni ambientali di Biden che rendevano il nostro paese molto meno sicuro e completamente insostenibile. E, cosa importante, abbiamo annullato il mandato folle della precedente amministrazione sui veicoli elettrici, salvando i nostri lavoratori automobilistici e le nostre aziende dalla distruzione economica. Abbiamo ordinato a tutti i lavoratori federali di tornare in ufficio, dovranno presentarsi al lavoro di persona o essere rimossi dal loro lavoro. Abbiamo messo fine al governo politicizzato, e ho fermato tutta la censura governativa e riportato la libertà di parola in America. Due giorni fa, ho firmato un ordine che rende l’inglese la lingua ufficiale degli Stati Uniti d’America. Abbiamo messo fine alla tirannia delle cosiddette politiche di diversità, equità e inclusione in tutto il governo federale e, infatti, nel settore privato e nel nostro esercito. Il nostro paese non sarà più “woke”. Crediamo che, sia che tu sia un medico, un contabile, un avvocato o un controllore del traffico aereo, dovresti essere assunto e promosso in base alle competenze, non alla razza o al genere. Dovresti essere assunto in base al merito e la Corte Suprema, in una decisione coraggiosa ci ha permesso di farlo. Grazie. Abbiamo rimosso il veleno della teoria critica della razza dalle nostre scuole pubbliche e ho firmato un ordine che rende politica ufficiale del governo degli Stati Uniti che ci sono solo due generi: maschio e femmina. Ho anche firmato un ordine esecutivo per vietare agli uomini di giocare negli sport femminili.” E qui presenta una ragazza ex pallavolista che, per una pallonata da un transgender maschio, è rimasta menomata a vita. Inoltre, chiede al Congresso di proibire il cambiamento di sesso per i bambini.
Economia – In economia ha aperto
il discorso partendo dalla manifattura americana dove prevede ridurre le tasse
sulla produzione domestica fornendo un’ammortizzazione del 100%, che sarà
retroattiva al 20 gennaio 2025. Ha abolito la legge di Biden che prevedeva la
sostituzione di tutte i motori a benzina o diesel per l’elettrico. L’biettivo
principale nella lotta per sconfiggere l’inflazione è ridurre rapidamente il
costo dell’energia. “L’amministrazione precedente ha ridotto il numero di nuovi
contratti di estrazione di petrolio e gas del 95%, ha rallentato la costruzione
di oleodotti a zero e ha chiuso più di 100 centrali elettriche. Noi stiamo
riaprendo molte di queste centrali proprio ora. La mia amministrazione sta
anche lavorando a un gigantesco gasdotto di gas naturale in Alaska, uno dei più
grandi al mondo, dove Giappone, Corea del Sud e altre nazioni vogliono essere
nostri partner con investimenti di trilioni di dollari ciascuno. I permessi
sono stati ottenuti e in settimana faremo in modo di ampliare la produzione di
minerali critici e terre rare qui negli Stati Uniti.”
Per combattere
l’inflazione, Trump dedica una parte del suo discorso ai risparmi ottenuti
grazie a Elon Musk, presente in galleria tra gli ospiti. Il presidente elenca
alcuni degli sprechi identificati dal DOGE, il dipartimento governativo creato
per combattere le inefficienze: “22 miliardi di dollari dal HHS per fornire
alloggi e automobili gratuite agli immigrati illegali, 45 milioni di dollari
per borse di studio di diversità, equità e inclusione in Birmania, 40 milioni
di dollari per migliorare l’inclusione sociale ed economica dei migranti
sedentari, nessuno sa cosa sia. 8 milioni di dollari per promuovere l’LGBTQI+
negli Stati africani, 60 milioni di dollari per i popoli indigeni e
l’empowerment afro-colombiano in America Centrale, 8 milioni di dollari per
trasformare i topi in transgender… è tutto vero.”
Prosegue poi elencando fatti e storie per rendere credibile e accettabile quanto fatto da Musk, che, ad oggi, trova il mondo democratico contro: “Abbiamo scoperto grazie a Musk, una frode annuale di oltre 500 miliardi di dollari, e livelli scioccanti di incompetenza. Ad esempio, i database governativi riportano 4,7 milioni pensionati tra i 100 e i 109 anni… e addirittura ce n’è uno che ha più di 350 anni e percepisce la pensione. Casi folli.” Con l’eliminazione di queste frodi, sprechi e furti, così li definisce il presidente: “sconfiggeremo l’inflazione, abbasseremo i tassi dei mutui, ridurremo i pagamenti delle auto e dei generi alimentari, proteggeremo i nostri anziani e metteremo più soldi nelle tasche delle famiglie americane.”
Tasse – A ridosso delle frodi o sbagli Trump si aggancia e parla delle importanti detassazioni che vuole introdurre: no tasse per chi percepisce già la pensione (Social Security), le mance, gli straordinari, gli interessi sui prestiti auto, ma solo se l’auto è prodotta in America. E a proposito, dell’industria automobilistica verranno riaperti molti impianti di produzione delle maggiori case automobilistiche, inclusa la giapponese Honda che ha appena annunciato un nuovo impianto in Indiana, uno dei più grandi al mondo.
Tariffe – A partire dal 2
aprile, le tariffe che verranno imposte agli Stati Uniti saranno riapplicate di
conseguenza ai beni importati.
Pena di morte – Per debellare la
crescente criminalità nelle città, e proteggere i poliziotti e i pompieri,
Trump ha firmato un altro decreto presidenziale che prevede la pena di morte
per assassini recidivi che nonostante gli arresti vengono rilasciati e
continuano a commettere omicidi: “Sto anche chiedendo una nuova legge sul
crimine per essere più severi con i recidivi, affinché i poliziotti americani,
possano fare il loro lavoro senza temere che le loro vite vengano distrutte.
Non vogliono essere uccisi, e noi non permetteremo che lo siano.”
Salute -Parlando poi di salute
infantile ci ha mostrato qualche dato: “Dal 1975, i tassi di cancro
infantile sono aumentati di oltre il 40%. Invertire questa tendenza è una delle
priorità principali della nostra nuova commissione presidenziale per rendere di
nuovo l’America sana, presieduta dal nostro nuovo segretario alla Salute e ai
Servizi Umani, Robert F. Kennedy Jr.
Il nostro obiettivo è
eliminare le tossine dal nostro ambiente, i veleni dalla nostra fornitura
alimentare e mantenere i nostri bambini sani e forti. Per esempio, non molto
tempo fa, e non potete nemmeno credere a questi numeri, uno su 10.000 bambini
aveva l’autismo, uno su 10.000, e ora è uno su 36. C’è qualcosa che non va,
pensateci. Quindi scopriremo cosa sta succedendo.”
Difesa – affrontando le imposizioni woke, e quindi anche la politica transgender, dall’insediamento non sono ammessi i transgender nelle forze armate né wokismi. Secondo Trump questo è il motivo principale per cui si è registrato un numero record di richieste di arruolamento che non si vedeva da almeno 15 anni. Saranno potenziate le forze navali con la costruzione di nuove navi e, sorprendentemente, ha ripreso in mano il programma dello Scudo Spaziale di Ronald Reagan per proteggere il paese da ogni minaccia missilistica, ribattezzandolo però “Golden Dome” (Cupola d’Oro).
Sul fronte politica estera:
Panama – ha dichiarato che una importante società americana sta comprando ambo i porti intorno al canale di Panama e altri canali, ma qui il presidente non è stato volutamente specifico. Rubio, il ministro affari esteri è incaricato di supervisionare le operazioni d’acquisto in atto.
Groenlandia – “….supportiamo fermamente il vostro diritto di determinare il vostro futuro e, se lo sceglierete, vi accogliamo negli Stati Uniti d’America. Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza nazionale e anche per la sicurezza internazionale, e stiamo lavorando con tutte le persone coinvolte per cercare di ottenerla, ma ne abbiamo veramente bisogno per la sicurezza internazionale del mondo. E credo che lo otterremo, in un modo o nell’altro, lo otterremo. Vi terremo al sicuro, vi renderemo ricchi e insieme porteremo la Groenlandia a vette che non avete mai pensato possibili. È una popolazione molto piccola, ma una terra molto, molto vasta e molto, molto importante per la sicurezza militare.”
Afghanistan – “Anni fa, i terroristi dell’Isis uccisero 13 membri dei servizi americani e innumerevoli altri nell’attentato all’Abbey Gate durante il disastroso e incompetente ritiro dall’Afghanistan….. Stasera sono lieto di annunciare che abbiamo appena arrestato il principale terrorista responsabile di quella atrocità e ora è in viaggio verso di noi per affrontare la rapida spada della giustizia americana. Voglio ringraziare specialmente il governo del Pakistan per averci aiutato ad arrestare questo mostro. È stato un giorno molto significativo per quelle 13 famiglie che ho avuto modo di conoscere molto bene, la maggior parte delle quali ha visto i propri figli uccisi, e per le tante persone che sono state gravemente ferite, oltre 42, in quel giorno fatale.”
Ucraina – “Sto lavorando instancabilmente per porre fine al conflitto selvaggio in Ucraina. Milioni di ucraini e russi sono stati uccisi o feriti inutilmente in questo conflitto orribile e brutale, senza alcuna fine in vista. Gli Stati Uniti hanno inviato centinaia di miliardi di dollari per sostenere la difesa dell’Ucraina, senza alcuna sicurezza, senza nulla. 2.000 persone vengono uccise ogni singola settimana, sono giovani russi, sono giovani ucraini, non sono americani, ma voglio fermare questo conflitto. Nel frattempo, l’Europa ha tristemente speso più soldi per comprare petrolio e gas russi di quanto ne abbia speso per difendere l’Ucraina. Oggi ho ricevuto una lettera importante dal presidente Zelensky dell’Ucraina. La lettera dice che l’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo dei negoziati il prima possibile per portare la pace duratura più vicina. Nessuno desidera la pace più degli ucraini, ha detto. Il mio team ed io siamo pronti a lavorare sotto la forte leadership del presidente Trump per ottenere una pace che duri. Apprezziamo davvero quanto l’America ha fatto per aiutare l’Ucraina a mantenere la sua sovranità e indipendenza. Per quanto riguarda l’accordo su minerali e sicurezza, l’Ucraina è pronta a firmarlo in qualsiasi momento sia conveniente per voi. Apprezzo che abbia inviato questa lettera, l’ho ricevuta poco fa. Contemporaneamente, abbiamo avuto discussioni serie con la Russia e abbiamo ricevuto segnali forti che sono pronti per la pace. Non sarebbe bello? È il momento di fermare questa follia, è il momento di fermare gli omicidi, è il momento di porre fine a questa guerra insensata. Se volete fermare le guerre, dovete parlare con entrambe le parti.”
E queste le sue conclusioni: “Credo che… Grazie mille. Dai patrioti di Lexington e
Concord agli eroi di Gettysburg e Normandia, dai guerrieri che attraversarono
il Delaware ai pionieri che scalarono le Montagne Rocciose, dalle leggende che
volarono a Kittyhawk agli astronauti che toccarono la luna, gli americani sono
sempre stati il popolo che ha sfidato tutte le arti, ha superato tutti i
pericoli, ha fatto i sacrifici più straordinari e ha fatto tutto ciò che era
necessario per difendere i nostri bambini, il nostro paese e la nostra libertà.
E come abbiamo visto in questa camera stasera, quella stessa forza, fede, amore
e spirito sono ancora vivi e prosperano nei cuori del popolo americano,
nonostante i migliori sforzi di coloro che cercherebbero di censurarci, di
farci tacere, di frantumarci, di distruggerci. Gli americani sono oggi una
nazione orgogliosa, libera, sovrana e indipendente che sarà sempre libera, e
noi lotteremo per essa fino alla morte. Non permetteremo mai che succeda
qualcosa al nostro amato paese, perché siamo un paese di realizzatori,
sognatori, combattenti e sopravvissuti. I nostri antenati attraversarono un
vasto oceano, si avventurarono nell’ignoto deserto e scolpirono la loro fortuna
dalla roccia e dalla terra di una frontiera pericolosa e molto pericolosa.
Inseguirono il nostro destino attraverso un continente senza confini,
costruirono le ferrovie, stesero le autostrade e resero il mondo meravigliato
con le meraviglie americane come l’Empire State Building, la potente diga Hoover
e il maestoso ponte Golden Gate. Illuminarono il mondo con l’elettricità, si
liberarono dalla forza di gravità, misero in moto i motori dell’industria
americana e sconfissero i comunisti, i fascisti e i marxisti in tutto il mondo,
regalandoci innumerevoli meraviglie moderne scolpite in ferro, vetro e acciaio.
Noi siamo sulla spalla di questi pionieri che hanno vinto e costruito l’era
moderna, questi lavoratori che hanno versato il loro sudore negli orizzonti
delle nostre città, questi guerrieri che hanno versato il loro sangue nei campi
di battaglia e dato tutto ciò che avevano per i nostri diritti e per la nostra
libertà. Ora è il nostro momento di prendere la giusta causa della libertà
americana e tocca a noi prendere il destino dell’America nelle nostre mani e
cominciare i giorni più entusiasmanti nella storia del nostro paese. Questa
sarà la nostra era più grande, con l’aiuto di Dio, nei prossimi quattro anni
guideremo questa nazione ancora più in alto e forgiamo la civiltà più libera,
avanzata, dinamica e dominante che sia mai esistita sulla faccia della Terra.
Creeremo la più alta qualità della vita, costruiremo le comunità più sicure,
più ricche, più sane e più vitali in qualsiasi parte del mondo. Conquisteremo
le vaste frontiere della scienza e guideremo l’umanità nello spazio, piantando
la bandiera americana sul pianeta Marte e anche molto oltre. E attraverso tutto
ciò, riscopriremo il potere inarrestabile dello spirito americano e rinnoveremo
la promessa illimitata del sogno americano. Ogni singolo giorno ci alzeremo e
lotteremo, lotteremo, lotteremo per il paese in cui i nostri cittadini credono
e per il paese che il nostro popolo merita. Miei cari americani, preparatevi
per un futuro incredibile, perché l’età dell’oro dell’America è appena
iniziata. Sarà come nulla che sia mai stato visto prima. Grazie, che Dio vi
benedica e che Dio benedica l’America.”
Il commento di C. Bertolotti a Officina geopolitica di START inSight.
La scelta di Trump di spingere verso una conclusione del conflitto, anche a discapito dell’Ucraina, è razionale e coerente con la sua promessa elettorale, cioè quello per cui è stato eletto. Ed è, soprattutto, “una leva con cui fare forza nei confronti di Zelensky affinché il presidente possa rispondere al proprio elettorato, al quale aveva promesso di porre termine alla guerra russo-ucraina. È quindi una scelta di politica interna rispetto a un costo che viene imposto ai contribuenti statunitensi”. “Detto questo quello dell’amministrazione Trump è un passo certamente importante e significativo in quello che sarà lo sviluppo della guerra, perché andando a ridurre o a congelare gli aiuti l’Ucraina di fatto passerà da un livello di sufficienza minima (garantito dall’amministrazione Biden) al non avere più le risorse per condurre una guerra. Oltretutto, verrebbe a mancare anche la spinta morale, cioè l’assenza di un sostegno statunitense farebbe venir meno la volontà dei soldati stessi di combattere e degli stati maggiori di gestire la condotta sul campo di battaglia”.
Nulla da eccepire sul piano razionale: se la precedente amministrazione Biden non ha voluto porre l’Ucraina nelle condizioni di vincere la guerra, perché dovrebbe farlo l’amministrazione Trump? È semplicemente la chiusura di un dossier che Washington non reputa più conveniente sostenere.
È un game over?
“È sicuramente l’avvio di un processo di conclusione di una guerra che
sarà sfavorevole all’Ucraina, in termini di cessione di territori a favore
della Russia, ma lo sarà ancora di più a livello strategico, proiettato nel
lungo periodo”, commenta Bertolotti. “La Russia utilizzerebbe – così come ha
già fatto con la Crimea – la base territoriale conquistata come punto di
partenza per la successiva possibile fase offensiva. Non avverrà domani né
dopodomani, ma nei prossimi 5-10 anni, indipendentemente da quella che sarà la
leadership russa”.
Negli ultimi giorni si sono fatte sempre più insistenti le
richieste, da parte di stretti collaboratori di Trump, di un passo indietro
di Zelensky, la cui presenza viene
descritta come ormai “insostenibile”. Ipotesi, quella delle dimissioni di
Zelensky che si pone come plausibile: “È un’opportunità per lui di uscire
a testa alta, come l’uomo che non si è piegato alla volontà di Trump e che piuttosto
lascia la guida del Paese. Se arriviamo alla scadenza naturale del suo mandato,
e quindi all’ipotesi di nuove elezioni, produrrà una narrazione interna di
volontà di concludere la guerra a qualunque costo, che quindi poterà la sigla
di un’intesa commerciale con gli Stati Uniti a cui seguirà un sostegno
statunitense all’accordo negoziale con la Russia. Soltanto a quel punto
Zelensky potrebbe riproporsi come voce politica, e quindi come competitor al
successivo appuntamento elettorale, come colui che non ha firmato e non avrebbe
firmato, fiero della sua postura europea e occidentale e non filorussa”.
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