Da Kiev al Medioriente: il commento di C. Bertolotti a SKY TG 24 TIMELINE.
di Claudio Bertolotti.
Da Kiev al Medioriente: il commento di C. Bertolotti a SKY TG 24 TIMELINE (puntata del 4 luglio 2025).
Dopo la telefonata Trump-Putin
A conversazione conclusa, il presidente statunitense Donal J. Trump ha ammesso
di non aver ottenuto “alcun passo avanti” verso il cessate-il-fuoco, lasciando
trapelare delusione e irritazione. Pochi minuti dopo, dal Cremlino filtrava la
ferma linea di Mosca: “gli obiettivi militari resteranno immutati” e i
negoziati dovranno svolgersi «solo fra Mosca e Kyiv, senza mediatori».
L’ondata di
missili e droni
Le parole hanno trovato immediata conferma nei fatti: fra la notte del 3 e
l’alba del 4 luglio la Russia ha scatenato la più massiccia offensiva aerea
dall’inizio della guerra — circa 550 vettori tra droni Shahed e missili
balistici, diretti soprattutto su Kyiv ma anche su diverse città dell’ovest
ucraino — un segnale assai eloquente di continuità bellica reuters.com.
La chiave
di lettura
Putin sta usando la pressione militare come leva negoziale: più alza la soglia
del dolore ucraino, più indebolisco la loro resilienza politica e la loro
fiducia nelle difese occidentali». Quando lancia centinaia di droni e missili,
il presidente russo Vladimir Putin sa che la contraerea ucraina non potrà
intercettarli tutti. È una dimostrazione pratica del vantaggio tattico e
operativo mantenuto da Mosca in questo conflitto e degli effetti in termini di vulnerabilità
psicologica ucraina.
Non si tratta soltanto di terrorizzare i
civili; la campagna aerea serve a preparare l’offensiva estiva: «la Russia
chiama i coscritti due volte l’anno, in aprile e novembre; dopo due mesi
d’addestramento sono pronti. Siamo esattamente all’apice di quel ciclo: da un
momento all’altro Mosca potrebbe puntare su Odessa per chiudere l’accesso
ucraino al Mar Nero
L’arma-tempo
e il nodo degli aiuti USA
Il fattore decisivo è la pazienza strategica di Mosca: «Più il tempo passa, più
Kiev dipende dagli arsenali occidentali, mentre la Russia rigenera
continuamente le proprie riserve umane». In questo quadro, la decisione di
Washington di sospendere parte delle forniture — in particolare i Patriot e le
munizioni guidate — pesa in modo sproporzionato: «Kyiv non può permettersi
buchi di poche settimane, figuriamoci di mesi».
Trump nega che si tratti di un vero
“congelamento” e insiste sulla necessità di salvaguardare le scorte interne, ma
il messaggio politico che arriva in Ucraina (e in Russia) è chiaro: la
protezione USA non è più illimitata. Ma, a ben guardare i precedenti, è più
probabile che tale scelta sia una concessione indiretta a Putin, con la
clausola non scritta di riprendere la fornitura di equipaggiamenti militari all’Ucraina
nel momento in cui Putin non dovesse aprire a una qualunque ipotesi negoziale.
Che cosa
vedo all’orizzonte
Un’escalation “controllata”: Mosca continuerà a
colpire infrastrutture civili e militari per logorare la rete di difesa aerea e
mostrare l’impotenza di Kyiv.
Pressione su Odessa: il rafforzamento russo a
sud fa pensare a un tentativo di sigillare definitivamente la costa ucraina.
Diplomazia in stallo: finché nell’arco atlantico
non si chiarirà l’entità reale dello stop agli aiuti, qualunque negoziato
resterà intrappolato in un gioco di specchi.
Fragilità europea: l’UE dipende dalla linea di
Washington; senza un piano alternativo, rischia di trovarsi spettatrice di un
accordo imposto dal terreno di battaglia.
Per
concludere
La sequenza telefonata-bombardamenti mostra come Putin utilizzi
sistematicamente l’azione militare per dettare i tempi politici, contando sul
logoramento del sostegno occidentale. Se Washington non riattiverà in fretta la
filiera degli armamenti — o se Mosca non incapperà in un errore strategico — le
prossime settimane potrebbero segnare un ulteriore peggioramento per l’Ucraina,
con un tavolo negoziale sempre più sbilanciato a favore del Cremlino.
‘After the Bridge’ – Film e testimonianze sulla vita dopo un attentato terroristico
Come si ricostruisce e come prosegue la vita dopo un attentato terroristico? Ricordi, riflessioni, speranze e il valore della testimonianza.
È questo l’argomento affrontato da OtherMovie Film Festival sezione “Culture e conflitti” domenica 30 marzo 2025 Cinema Iride, Lugano inizio ore 20.00
Sullo sfondo, il terrorismo jihadista, protagonista e
istigatore di innumerevoli tragedie negli ultimi venti anni. Un fenomeno in
continua evoluzione che in Europa -come anche altri estremismi violenti –
continua oggi ad attrarre ragazzi sempre più giovani.
Dopo una breve introduzione sul tema a cura di Chiara Sulmoni (START InSight), la serata prevede due importanti momenti di riflessione con le testimonianze (pre-registrate) di Valeria Collina, madre di uno degli attentatori entrati in azione sul London Bridge nel 2017, e di Morena Pedruzzi, che ha vissuto in prima persona l’attacco avvenuto al Caffè Argana di Marrakesh nel 2011. Da due prospettive diverse, hanno dovuto fare i conti con le conseguenze dolorose del terrorismo e trovare la forza di reagire e andare avanti con la propria vita.
La storia di Valeria Collina è anche il tema del documentario ‘After the Bridge’ (Italia, 2023), la cui proiezione va a completare il programma della serata.
‘After the bridge’,
di Davide Rizzo e Marzia Toscano | Italia | 2023 | 66’ | v.o. |
Trama Valeria Collina, italiana convertita all’Islam, torna a vivere in Italia dopo vent’anni trascorsi in Marocco. Nel giugno del 2017, la sua vita è sconvolta dalla morte del giovane figlio Youssef, ucciso dalla polizia. Youssef era membro del commando jihadista che a Londra, sul London Bridge, ha provocato otto morti. Dopo l’attentato, la piccola casa di Valeria sui colli bolognesi è invasa da giornalisti provenienti da tutto il mondo. Superata la confusione di quei giorni, Valeria si ritrova sola, nella quiete di casa sua, cercando di rimettere insieme la sua vita e affrontando il dolore del peso delle azioni del figlio e della sua perdita.
Il vertice di Parigi e le incognite europee. Il commento.
OFFICINA GEOPOLITICA di START InSight: il commento di Claudio Bertolotti sullo scenario internazionale.
Il vertice di #Parigi e le ambizioni francesi. La visione europea e le sue effettive capacità di incidere in un processo negoziale che sembra ormai definito, almeno nei giocatori: Stati Uniti e Russia, alias Donald Trump e Vladimir Putin. Come leggere la mossa di Emmanuel Macron? Non dovrebbe essere Ursula Von der Leyen a muoversi? Sull’Ucraina, l’Europa riuscirà a ritagliarsi un ruolo oppure no? È un vertice da cui potrebbe emergere qualcosa di concreto? L’Unione Europea conta sempre meno. È un problema di struttura dell’UE o di un’assenza di leader? Trump riuscirà ad arrivare ad un accordo con Putin? Quale sarà il prezzo per l’Ucraina? Per la Russia sarà una vittoria?
Claudio Bertolotti risponde a queste domande ponendo particolare attenzione al ruolo dell’Unione europea e alla sua debole posizione nell’arena internazionale.
Il vertice di Parigi del 17 febbraio 2025, convocato dal presidente francese Emmanuel Macron, ha riunito i leader di 8 paesi Europei, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi, Danimarca, insieme al presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il segretario generale della Nato Mark Rutte, per discutere della situazione in Ucraina e della sicurezza europea. Questa iniziativa europea nasce in risposta ai negoziati tra Stati Uniti e Russia in corso a Riad, dai quali l’Europa e l’Ucraina sono state inizialmente escluse.
La presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha partecipato al vertice nonostante alcune riserve iniziali, sottolineando l’importanza di ascoltare i partner europei e di mantenere una posizione unitaria. L’Italia ha evidenziato la necessità di far leva sulle sanzioni imposte alla Russia come strumento per ottenere un ruolo nei negoziati e ha espresso preoccupazione per l’esclusione dell’Europa dalle trattative tra Washington e Mosca.
Tuttavia, non tutti i Paesi europei hanno sostenuto
l’iniziativa di Macron. L’Ungheria, ad esempio, ha criticato il vertice,
affermando che potrebbe ostacolare gli sforzi di pace in Ucraina e accusando i
leader europei di alimentare l’escalation del conflitto.
In parallelo, il presidente Macron ha avuto una
conversazione telefonica con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump,
prima dell’inizio del vertice, nel tentativo di coordinare le posizioni e
ribadire l’importanza di un approccio concertato tra Europa e Stati Uniti nella
ricerca di una soluzione al conflitto ucraino.
Questo vertice rappresenta un tentativo dell’Europa di
riaffermare il proprio ruolo centrale nei negoziati di pace e di garantire che
gli interessi europei e ucraini siano adeguatamente rappresentati nelle future
discussioni internazionali.
Medioriente: l’operazione antiterrorismo di Israele in Cisgiordania.
Il commendo del Direttore Claudio Bertolotti a TIMELINE SKY TG 24 (30 agosto 2024, dal minuto 13′).
Quanto sta accadendo oggi in Medioriente presenta due
aspetti significativi. Il primo riguarda l’operazione militare anti-terrorismo avviata
da Israele in Cisgiordania, un’operazione che è la conseguenza dell’attentato
suicida a Tel Aviv, rivendicato da Hamas, e seguito dalla minaccia di Khaled
Meshal (leader di Hamas all’estero) di lanciare una vasta campagna di attacchi
suicidi in Israele, partendo proprio dalla Cisgiordania. Il secondo aspetto
riguarda le tensioni interne tra i gruppi islamisti e terroristi palestinesi,
con l’ipotesi di un possibile colpo di stato per destituire Hamas e porre fine
al conflitto con Israele.
Due fattori che si sommano all’attesa rappresaglia iraniana
(e l’attesa stessa è un’arma psicologica usata da Teheran per mantenere in
apprensione l’opinione pubblica israeliana) e l’ipotesi di una tregua umanitaria
nella Striscia di Gaza; una tregua, svincolata dall’ipotesi di cessate il fuoco
in discussione a Doha, che però Hamas certamente utilizzerebbe per riorganizzare
le proprie forze.
E, dal punto di vista tattico e operativo, Hamas starebbe
dimostrando di aver perso in termini di capacità di colpire e coordinare il
proprio sforzo contro Israele. Un aspetto non secondario, che confermerebbe l’efficacia
dell’azione militare israeliana.
Hezbollah: next stop? Il rischio di una guerra con Israele. Il commento di C. Bertolotti
di Claudio Bertolotti
Dall’intervento di Claudio Bertolotti a SKY TG24 MONDO, ospite di Roberto Tallei (Puntata del 19 giugno 2024, h. 19.20.
Quali differenze possiamo rilevare tra la guerra a Gaza e un’eventuale guerra in Libano?
Possiamo considerare i due conflitti, quello combattuto a
Gaza e quello ipotetico contro Hezbollah molto differenti. Il primo, quello di
Gaza si inserisce in un contesto politico-sociale e religioso omogeneo dove
Hamas, di fatto governa un popolo e un territorio. In Libano, al contrario,
abbiamo un attore, Hezbollah, che rappresenta una delle minoranze che
compongono il Paese e che potrebbe doversi scontrare – in caso di guerra con
Israele – anche con i competitor interni, dai gruppi di potere sunniti a quelli
cristiani. Insomma, a Gaza l’ipotesi peggiore è quella di una guerra urbana e
sotterranea, così come la stiamo osservando da 8 mesi, che potrebbe
trasformarsi in guerra insurrezionale. E questo sarebbe lo scenario peggiore
per Israele. In Libano, al contrario, lo scenario peggiore è quello della
guerra civile, dove Hezbollah potrebbe dover affrontare anche uno o più fronti
interni oltre a quello con Israele aprendo così all’ipotesi di un allargamento
regionale del conflitto.
Israele ha le forze per tenere aperti entrambi i fronti?
Ha le forze, la capacità militare e la dottrina strategica
israeliana prevede l’organizzazione e la struttura adeguata per gestire
un’escalation orizzzontale che preveda la partecipazione di tutti i competitor
a livello regionale: dai piccoli eserciti di Hezbollah e Hamas, allo scontro
aperto con l’Iran. Essere preparati a farlo impone però un sostegno indiscusso
e costante da parte statunitense. Un sostegno che lo stesso Biden ha dimostrato
di non voler far venire meno e che un’ipotetica amministrazione Trump non
avrebbe difficolatà a garantire.
Netanyahu in polemica con gli USA per mancata fornitura di alcune armi. Quanto Israele dipende dagli USA?
le Forze di Difesa Israeliane sono una delle forze armate
più capaci ed efficaci del mondo, ma dipendono in maniera rilevante dalle armi
statunitensi, a partire dalle armi individuali, fucili leggeri, al rifornimento
di bombe aeree di precisione, colpi di artiglieria, motori dei carri armati, il
sistema di difesa aerea Iron Dome, fino agli aerei F-35. Di fatto è un
contributo strategico, senza il quale Israele non può condurre una campagna
militare estesa nello spazio e nel tempo.
Hezbollah come è equipaggiato? E’ perseguibile l’obiettivo di cancellare Hezbollah?
Miglior esercito di fanteria leggera a livello regionale,
dopo quello israeliano ovviamente. Con una prolungata esperienza di guerra in
Siria al fianco del regime di Bashar al-Assad e delle Guardie rivoluzionarie
iraniane. Conta circa 20.000 effettivi e altrettanti miliziani part-time e un
arsenale con più di 100.000 tra razzi e missili con cui minaccia Israele. È una
minaccia, si, ma non esistenziale per lo stato di Israele, almeno sul piano
militare.
Finora Nasrallah, il leader di Hezbollah, abbaia ma non morde. Perché?
È il timore di uno scontro diretto con Israele e il rischio
di precipitare il Libano in una guerra civile, dove potrebbe trascinare i
gruppi politico-religiosi libanesi in uno scenario simile a quello degli anni
80, ossia quello di una guerra civile devastante che potrebbe portare alla fine
dello stesso Stato libanese così come lo conosciamo oggi, basato su precari
equilibri interni a rischio di collasso.
Un eventuale conflitto con Hezbollah sarebbe la pietra tombale sul possibile accordo per il cessate il fuoco a Gaza?
Non è detto. E comunque l’ipotesi potrebbe non incidere
sulla volontà di Hamas di proseguire il conflitto; questo perché il gruppo
palestinese non vuole nessun accordo, così come dimostrato sino ad oggi, nei
fatti e nelle parole dei suoi leader politico-militari – da Sinwar a Haniyeh.
Al contrario, è vero che un maggior impegno militare
potrebbe indurre Israele a concedere qualcosa di più in caso di dialogo
negoziale, ma a fare gli accordi occorre essere in due e le posizioni,
nonostante le ultime aperture israeliane, sembrano abbastanza definite da parte
di Hamas che, coerentemente con la sua storia e i suoi obiettivi, perseguirà lo
scopo principale: indebolire Israele per mirare alla sua distruzione.
Hostile Environment First Aid Training: il War Report Training Camp dedicato a fotografi e inviati di guerra
Anche quest’anno torna il War Reporting Training Camp, il corso HEFAT (Hostile Environment First Aid Training) che dal 2015 si occupa di formare gli operatori dell’informazione in aree di crisi. Un training creato da fotografi e giornalisti con esperienza ventennale nelle aree più calde del mondo e che, nel corso del tempo, si è arricchito di professionisti provenienti da differenti settori.
lI corso si svolgerà dal 10 al 14 luglio a Poggio Mirteto, in provincia di Rieti, su un terreno di circa 35 ettari immerso nelle campagne laziali. Un addestramento multidisciplinare che spazia dalla medicina di guerra alla gestione psicologica dello stress, dal diritto internazionale umanitario alla cybersecurity, passando per le manovre salvavita in ambiente tattico, la conoscenza della cartografia e tanto, tanto altro ancora.
Un corso full immersion di 5 giorni, suddiviso tra pratica e teoria, in cui saranno presenti anche collegamenti con chi la guerra la vive veramente (come i soldati di una unità droni dell’esercito ucraino, che spiegheranno le nuove tecnologie sul campo di battaglia) e durante il quale verranno illustrate anche le tecniche di disinformazione, guerra ibrida e propaganda dai massimi esperti italiani del settore. Con noi Croce Rossa Italiana, il Club Alpino Italiano e i paramedici svizzeri di Hunpa, appena rientrati da una missione umanitaria in Ucraina.
Durante il training si terrà anche un panel dedicato a etica e giornalismo in zona di guerra con Riccardo Venturi (World Press Photo 2011), Micol Flammini, (inviata del ‘Foglio’) e Cristiano Tinazzi (giornalista freelance, radio/tv producer per Rsi e Today.it). Per informazioni www.imagopress.it
Iran, Israele, Hamas, Russia, NATO: il commento di C. Bertolotti a SKY TG24
La presentazione di Gaza Underground – il libro, a SKY TG24: le incognite e le difficoltà nella guerra urbana e sotterranea. E ancora: la morte del presidente di Raisi e la sua successione: quali ripercussioni a livello interno ed esterno? La Russia minaccia di ridefinire i confini marittimi: provocazione o atto deliberato?
Il commento di Claudio Bertolotti a TIMELINE, SKY TG24 (puntata del 22 maggio 2024).
Azione israeliana in Libano e rischio di escalation regionale: il punto del Direttore.
Dall’intervista di Stefano Leszczynski a Claudio Bertolotti, per Radio Vaticana, trasmissione Il Mondo alla Radiodel 3 gennaio 2024 (VAI AL PODCAST)
L’azione israeliana in Libano e il rischio di escalation.
Gli attentati a Beirut e in Iran infiammano la crisi medio orientale. La guerra di Israele tra battaglie nella Striscia di Gaza e omicidi mirati.
Federica Saini Fasanotti – storica militare e studiosa dell’ISPI
Eric Salerno – giornalista esperto di questioni medio orientali e relazioni internazionali
Claudio Bertolotti – direttore di Start Insight e ricercatore ISPI
Il 2 gennaio 2024, un attacco nel sud di Beirut, Libano, in cui è avvenuta l’uccisione del numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, è stato attribuito a Israele e ha preso di mira una roccaforte del gruppo sciita e filo-iraniano Hezbollah. L’attacco ha causato anche vittime collaterali, suscitando la condanna di Hezbollah e la promessa che l'”assassinio” di al Arouri a Beirut non resterà impunito. Le forze armate israeliane hanno diffuso video dell’attacco, sottolineando il loro coinvolgimento nell’incidente. L’evento ha sollevato preoccupazioni riguardo a una possibile escalation tra Libano e Israele.
Dottor Bertolotti, c’è il rischio che le operazioni mirate israeliane come quella in Libano inneschino davvero un conflitto regionale?
Dal punto di vista razionale – secondo Bertolotti – nessuno degli attori coinvolti vuole un allargamento del conflitto a livello regionale. Non lo vuole Israele e non lo vuole l’Iran che, invece, punta a una serie di micro-conflitti e coinvolgimento dei piccoli attori regionali, dagli Houthi nello Yemen ad Hezbollah in Libano per distrarre lo sforzo militare di Israele, indebolendolo. Ma al di la della volontà razionale ci sono le scelte emotive, che spesso condizionano le dinamiche delle relazioni internazionali che possono portare ad effetti incontrollabili. E il rischio di un’escalation orizzontale a livello regionale, in questo senso, è un rischio possibile.
Dott. Bertolotti, la prudenza del governo libanese, che ha chiesto a Hezbollah di non reagire a Israele in maniera autonoma, che cosa suggerisce?
Il governo di Beirut è il primo a voler scongiurare un allargamento del conflitto, perchè ciò significherebbe il collasso dello stato libanese e l’avvio di una nuova guerra civile che sarebbe micidiale per la sopravvivenza dello stesso stato libanese. Questa la ragione per cui il governo libanese svolge un ruolo di intermediario con Hezbollah che noN è, come non è mai stato, sotto controllo governativo, ponendosi come milizia, esercito autonomo legato ai gruppi di potere sciiti a loro volta legati con l’Iran, che di Hezbollah ne sta facendo un uso opportunistico in funzione anti-israeliana, senza però farsi direttamente coinvolgere.
Direttore, la posizione di Ankara (membro della NATO) in questa crisi pone alcuni interrogativi sul proprio ruolo e affidabilità?
La Turchia persegue un proprio e ben definito progetto di proiezione di influenza in tutto l’arco mediterraneo allargato, dal Corno d’Africa ai paesi del Maghreb. La vicinanza ad Hamas, che si lega alla pericolosa organizzazione dei Fratelli Musulmani, è coerente con questa visione di potenza che prevede il consolidamento dei rapporti con i governi e le organizzazioni locali in un’ottica di ricostituzione di un perimetro geopolitico artificiosamente coerente con la storia e con l’ego sproporzionato del presidente Erdogan. Ma non illudiamoci che una qualsiasi alternativa a Erdogan possa avere una visione differente, questa è l’ambizione della Turchia contemporanea.
Gaza è una trappola, ma l’offensiva di terra inevitabile (Bertolotti -Ispi), ADNKRONOS
Incubo close combat e urban warfare, dimensione sotterranea della Striscia è l’asso nella manica di Hamas, rischio ‘escalation orizzontale’
ADNKRONOS, 24 ottobre 2923, (Vir/Adnkronos)
“Gaza è una trappola”, ma non c’è alternativa all’operazione dentro la Striscia. L’incubo israeliano si chiama ‘close combat’. E lo scenario peggiore si concretizza nella “dimensione sotterranea” della Striscia, in quel labirinto di tunnel che sono l’obiettivo dei raid israeliani e l’ “asso nella manica” di Hamas mentre l’opinione pubblica israeliana si aspetta il ‘mission accomplished’. Ma c’è anche il rischio “escalation orizzontale”. Claudio Bertolotti, analista dell’Ispi esperto di Medio Oriente e Nord Africa, di radicalizzazione e terrorismo internazionale e direttore di Start InSight, ragiona con l’Adnkronos mentre la crisi in Medio Oriente, scatenata dal terribile attacco del 7 ottobre di Hamas in Israele, non sembra destinata a esaurirsi in tempi brevi e anzi si teme un allargamento del conflitto.
Bertolotti è convinto che “non esista un’opzione alternativa dal punto di vista politico” all’operazione dentro la Striscia, ritiene sia una “opzione inevitabile”, perché “non agire con forza” nei confronti di Hamas dopo quel brutale attacco significherebbe dire che qualunque azione terroristica di fondo passa senza grandi conseguenze… (vai all’articolo di Alessia Virdis per ADNKRONOS.
Punti in evidenza nell’articolo
‘Mettere in conto un numero di perdite elevato’
‘In area urbana mezzi corazzati estremamente vulnerabili’
‘Iran opera per aprire due fronti, quello libanese e quello siriano’
Polveriera Mediterraneo. Dall’Afghanistan all’Algeria, le nuove sfide per l’ordine mondiale. Presentazione del libro.
A Torino, il 14 settembre 2023 alle ore 17.30 avrà luogo il convegno di presentazione del libro, curato da Michela Mercuri e Alberto Gasparetto dal titolo: “Polveriera Mediterraneo. Dall’Afghanistan all’Algeria, le nuove sfide per l’ordine mondiale“
L’evento, ospitato dalla Regione Piemonte presso la Sala Conferenze del Palazzo della Regione Piemonte – Via Nizza, 330 Torino (Piano Terra), intende affrontare e analizzare in maniera quanto più approfondita – attraverso il contributo di importanti attori istituzionali ed esperti del settore pubblico e privato – le minacce, le criticità, ma anche le opportunità di un’area mediterranea che rimane instabile, sul piano politico, sociale, energetico, economico e delle relazioni internazionali.
Intervengono la curatrice Michela Mercuri (Professore Università di Padova), il co-autore Claudio Bertolotti (Direttore START InSight), Arturo Varvelli (Direttore ECFR), Stefano Mannino (Gen. C.A., C.te Scuola di Applicazione dell’Esercito). Apre i lavori l’assessore regionale Maurizio Marrone. Modera Valentina Ciappina (Direttore Torino Crime) .
Il contenuto del libro: dalla guerra d’Ucraina alla crisi del Mediterraneo
La guerra in Ucraina non ha zittito le armi in Nord Africa e nel Medio Oriente, un’area segnata da conflitti irrisolti, guerre per procura e rivolte che si estendono fino ai confini dell’Asia centrale. Il Mediterraneo è una polveriera pronta a esplodere. Le recenti proteste in Iran, la crisi che sta vivendo l’Afghanistan dopo il ritiro delle truppe americane, le ambizioni egemoniche turche, l’instabilità libica, il revanscismo jihadista in Nord Africa e la futura traiettoria di paesi “in bilico” come l’Algeria, l’Arabia Saudita e la Siria rappresentano alcune delle maggiori incognite per il futuro. Gli effetti di queste “bombe a orologeria” potrebbero riverberarsi sugli Stati vicini e sull’intero sistema internazionale, con esiti che potrebbero essere devastanti. Gli autori affrontano questi temi descrivendo realtà differenti ma interconnesse, riunendo i pezzi di quel grande puzzle che è la “polveriera Mediterraneo”.
Indice del volume e degli autori
Vittorio Emanuele Parsi, Prefazione Alberto Gasparetto,Michela Mercuri, Introduzione Claudio Bertolotti, La lezione afghana. Dalla “guerra più lunga” al nuovo terrorismo insurrezionale Giuseppe Acconcia, “Donna, vita, libertà”. I movimenti sociali in Iran e il revival nazionalista degli ayatollah Jessica Pulsone, Dall’identità religiosa all’identità nazionale: la rivoluzione nazionalista della “nuova” Arabia Saudita Mauro Primavera, La presidenza di Bashar al-Assad tra riformismo, ideologia e geopolitica Alberto Gasparetto, Il populismo nella politica estera dell’AK Parti. Fra autoritarismo, islamismo e nazionalismo Sara Senno, Il revival islamista nel panorama delle post-primavere arabe in Nord Africa Michela Mercuri, Lo stallo libico tra nazionalismo e tribalismo. Un’analisi alla luce dell’attuale crisi politica Caterina Roggero, La nuova Algeria nella rivista El Djeich (2020-2022)
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