Ucraina: l’evoluzione sul campo e le munizioni all’uranio impoverito

di Claudio Bertolotti

dal commento di Claudio Bertolotti a “In un’ora” – RaiNews 24 del 22 marzo 2023

Ucraina: munizioni all’Uranio impoverito? Il commento di C. Bertolotti a “In un’ora” RaiNews24, puntata dal 22 marzo 2023

La situazione sul campo: iniziativa ancora in mano russa

Le operazioni terrestri in Ucraina, e più in generale l’intero andamento del conflitto, hanno ormai assunto il carattere di una lotta d’attrito e logoramento, relegando la manovra militare a poche azioni tattiche a vantaggio della Russia (Riggi). Di fatto ciò che prevale è la capacità di mettere forze in campo e disporre di munizionamenti ed equipaggiamenti. Anche qui la Russia è in una posizione di vantaggio in termini di quantità. Chi tra i due contendenti riuscirà e avrà la forza di condurre azioni offensive dovrà tenere conto della sostenibilità sul medio periodo. Insomma sembra difficile prevedere l’azzardo di una manovra di sfondamento su tutto il fronte, mentre appare più probabile una pressione costante attraverso azioni tattiche ripetute e progressive. Non molto diverso da ciò che è accaduto su quello stesso fronte durante la seconda guerra mondiale.

Le forze russe continuarono limitate operazioni offensive lungo la linea Kupyansk-Svatove-Kreminna e non hanno fatto ottenuto vantaggi nell’area di Bakhmut; continuano le operazioni offensive lungo la periferia della città di Donetsk.

La questione dei proiettili all’uranio impoverito che arriveranno dalla Gran Bretagna

Sull’uso del munizionamento all’uranio impoverito direi che è un tema ricorrente in ogni guerra combattuta dagli anni ’70 in poi e al centro del dibattito pubblico dagli anni ’90, con la Guerra del Golfo di Bosnia e del Kossovo, dove l’utilizzo è stato ampio. Tutti i paesi usano munizionamento DU, cosiddetto uranio impoverito: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia. E il suo ampio utilizzo che, per quanto dibattuto, è legittimo, è conseguenza degli indubbi vantaggi operativi: è efficace, perfora con maggiore efficacia le corazzature dei carrarmati e il cemento armato dei bunker e in più costa poco (essendo prodotto di scarto degli impianti nucleari). Tra gli svantaggi certamente quello della contaminazione del terreno, per periodi brevi, e i rischi per i soggetti, militari e civili, che dovessero inalarne il particolato in prossimità dell’esplosione.

Cresce la tensione tra Stati uniti e la Russia. Due le due ragioni fondamentali

La prima è che la Russia dopo un anno di guerra ha dimostrato di essere in grado, pur a costo di enormi sacrifici, di tenere le posizioni del fronte in una guerra pressocchè statica, di attrito e logoramento, che potrebbe durare ancora molto, con il sostegno della Cina e dei suoi alleati minori e sostenuta attraverso una progressiva mobilitazione degli scaglioni di coscritti, certo sempre meno preparati alla guerra ma in quantità sufficiente per mantenere l’iniziativa.

La seconda è che il tempo che ha la Russia è molto più di quello che hanno a disposizione gli Stati Uniti. Così come in tutte le guerre – dall’Iraq all’Afghanistan – gli appuntamenti elettorali hanno imposto i tempi e i modi della guerra. L’imminente avvio della campagna elettorale per le presidenziali sarà determinante per le prossime scelte strategiche, anche tenuto conto del fatto che il contribuente-elettore statunitense non è particolarmente entusiasta dei costi crescenti di questa guerra che, ad oggi avrebbe visto impegnati oltre 40miliardi di dollari: agli oppositori repubblicani potrebbero così aggiungersi anche i democratici che non rispondono al Presidente, bensì ai loro elettori.


Xi incontra Putin a Mosca: il peso della parola “amicizia”

di Claudio Bertolotti

Vladimir Putin ha incontrato il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping

Il messaggio di questa visita: Xi “caro amico di Putin” o più Xi “negoziatore”?

L’evento è la testimonianza concreta di un’amicizia illimitata tra Pechino e Mosca, per la Cina, in particolare, è un passo avanti nell’arena internazionale all’interno della quale intende imporsi come antagonista agli Stati Uniti partendo dal Pacifico, che Washington ritiene essere il pilastro primario della supremazia statunitense, all’Africa e all’Europa dove oggi si sta combattendo una guerra convenzionale.

Vi è poi un aspetto interessante in cui alla visione strategica della Cina si sommano alcuni fattori personali.  Interessante notare come il presidente Xi Jinping abbia definito Putin “caro amico”, il che significa dal punto di vista cinese, comunanza di visione politica del mondo, e non certo amicizia personale con Putin; a questo elemento dobbiamo aggiungere il radicato legame famigliare e affettivo di Xi Jinping con una Russia che ha avuto modo di conoscere grazie all’esperienza politica del padre e sua personale. Un risultato che fa del presidente cinese un leader con una visione strategica di lungo periodo.


La Cina sostiene sempre una politica estera indipendente. Consolidare e sviluppare bene le relazioni Cina-Russia è una scelta strategica che la Cina ha fatto sulla base dei propri interessi fondamentali e delle tendenze prevalenti del mondo.

Xi Jinping

Rischio o opportunità per gli Usa e per l’Ucraina?

La Cina sta tentando, in parte riuscendoci, di giocare con la Russia il ruolo che Washington gioca a favore dell’Ucraina senza però esporsi perchè non vuole essere coinvolta in uno scontro diretto, ma  al tempo stesso non può permettere che la leadership di Putin venga danneggiata o peggio sostituita da una nuova classe politica che potrebbe avvicinare Mosca all’Occidente. Questo sarebbe lo scenario peggiore per la Cina, che perderebbe un alleato fondamentale.


La Cina ha pubblicato un documento sulla sua posizione sulla crisi ucraina, sostenendo la soluzione politica della crisi e rifiutando la mentalità della Guerra Fredda e le sanzioni unilaterali.

Xi Jinping

Al contempo la Cina continua a mantenere un atteggiamento ambiguo a fronte del quale si colloca la necessaria opportunità del presidente Joe Biden di concludere in qualche modo il conflitto prima dell’avvio della campagna elettorale che, negli Stati Uniti, si rivolge a quei contribuenti-elettori che mal volentieri guardano agli importanti aiuti dell’ordine di 40miliardi stanziati da Washington per l’Ucraina.


la Russia apprezza la Cina per aver costantemente sostenuto una posizione imparziale, obiettiva ed equilibrata e per aver sostenuto equità e giustizia sulle principali questioni internazionali. La Russia ha studiato attentamente il documento di posizione della Cina sulla soluzione politica della questione ucraina ed è aperta ai colloqui per la pace. La Russia accoglie con favore la Cina per svolgere un ruolo costruttivo in questo senso.

Vladimir Putin

La visita di Xi Jinping a Mosca ha innervosito Washington, e questo è già un risultato importante. La dimostrazione è nell’immediata risposta politica statunitense che non si è fatta attendere poichè concomitantemente con l’arrivo del presidente cinese a Mosca, la Casa Bianca ha annunciato un nuovo e importante pacchetto di aiuti militari.

E in tutto questo, Mosca e Kiev sembrano dipendere sempre più da quelle che saranno le decisioni politiche dei loro rispettivi alleati.


Dallo stallo ai due possibili schemi di manovra offensiva russa.

Analisi del primo anno di guerra e la prospettiva della Storia militare

di Fabio Riggi, Analista indipendente.

Abstract (Italian)

Dopo un ciclo operativo sostanzialmente favorevole ai russi, che si era concretizzato nel periodo maggio-luglio 2022 (battaglia del Donbas), con la conquista da parte delle forze di Mosca della città portuale di Mariupol (con la quale la Russia si è assicurata il controllo di tutta la costa settentrionale del Mar d’Azov) Severodonetsk e Lysichansk, l’offensiva di Mosca ha raggiunto il suo punto culmine. Le operazioni terrestri in Ucraina, e più in generale l’intero andamento del conflitto, avrebbero ormai assunto il carattere di una lotta basata sull’attrito, molto più che sulla manovra. Una vera “Materialschlacht”, ossia una “battaglia di materiali”, come questa veniva definita dalla classica terminologia militare tedesca, dove la forza del numero e dell’acciaio hanno un ruolo preminente.

Key Takeaways:

  • La capacità offensiva russa ha raggiunto il culmine (maggio-luglio);
  • Il momentum ucraino: la svolta grazie al sistema HIMARS (agosto-novembre);
  • L’esaurimento ucraino e la ripresa russa alla fine del 2022;
  • L’attesa dell’offensiva russa: la manovra dei 300.000 prima della “Rasputitsa”;
  • La guerra di manovra della Nato: dalla “difesa attiva” alla dottrina Air-Land Battle;
  • Gli insegnamenti della Storia militare per comprendere la “manovra” russa;
  • La prima lezione appresa: campo di battaglia trasparente e importanza del livello tattico;
  • Due futuri possibili schemi di manovra russa;
  • La prevalenza dell’attrito sulla manovra.

Keywords: manovra, momentum, air-land battle,Russia, Ukraine

La capacità offensiva russa ha raggiunto il culmine (maggio-luglio)

La guerra in Ucraina è entrata nel suo primo anno, e oltre ad alcune annotazioni relative all’andamento attuale delle operazioni è oggi possibile formulare considerazioni e ipotesi di carattere generale, frutto delle informazioni e del materiale attualmente disponibili. Ciò con la pur sempre doverosa avvertenza che praticamente nulla può ancora essere ritenuto consolidato e definitivo, nella considerazione che l’oggetto di studio è un conflitto ancora in pieno svolgimento e dall’esito incerto.

Dopo un ciclo operativo sostanzialmente favorevole ai russi, che si era concretizzato nel periodo maggio-luglio 2022 (battaglia del Donbas), con la conquista da parte delle forze di Mosca della città portuale di Mariupol (con la quale la Russia si è assicurata il controllo di tutta la costa settentrionale del Mar d’Azov) Severodonetsk e Lysichansk, l’offensiva di Mosca ha raggiunto il suo punto culmine. A proposito di quest’ultima definizione, giova ricordare come essa sia dottrinalmente definita come il momento di un’operazione in cui le capacità operative di chi la conduce non consentono più l’assolvimento della missione, o nel caso specifico di un’offensiva, quando quella dell’attaccante tende a equivalersi con quella del difensore, andando a rallentare, fino ad arrestarla, la sua progressione. A causa di ciò, le forze russe non sono riuscite nemmeno a intaccare la successiva linea fortificata ucraina della regione del Donbas, quella corrispondente all’allineamento Sloviansk-Kramatorsk.

Il momentum ucraino: la svolta grazie al sistema HIMARS (agosto-novembre)

In seguito, nel prosieguo delle settimane estive, si è assistito a un sostanziale stallo delle operazioni, situazione caratterizzata però da una crescente intensità delle azioni di fuoco di interdizione in profondità condotte dall’artiglieria ucraina. Queste si sono svolte in particolare grazie alle forniture di uno specifico sistema: il lanciarazzi multiplo statunitense HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System), che con le sue munizioni guidate (razzi M-30/M-31 con gittata di 70 Km) ha rappresentato un “fattore” nel colpire tutta una serie di obiettivi nella “zona arretrata” delle forze russe. Anche grazie all’efficacia di queste attività, dalla fine di agosto si è materializzata una massiccia controffensiva ucraina, sviluppatasi dapprima contro la testa di ponte di Kherson, nel settore meridionale, poi, a partire dal 6 settembre, in quello orientale, a sud di Kharkiv. L’attacco su Kherson, condotto con ingenti forze e su tre direttrici, ha subito incontrato una forte resistenza e nonostante alcuni progressi iniziali è stato in seguito sostanzialmente contenuto da un dispositivo difensivo predisposto in precedenza e articolato in profondità su tre linee difensive. Le operazioni ucraine nel quadrante est, al contrario, hanno avuto subito un travolgente successo, che nel volgere di poche settimane ha costretto le forze russe ad abbandonare non solo le importanti posizioni di Kupiansk, Izium e Lyman, ma anche a ripiegare dall’intero oblast di Kharkiv.

Nel prosieguo delle settimane autunnali l’iniziativa è rimasta saldamente nelle mani delle forze di Kiev, che ad est, dopo aver attraversato il fiume Oskil, hanno continuato a spingere verso la linea Svatove-Kremmina. A sud gli ucraini hanno mantenuto una costante pressione sulla testa di ponte di Kherson, spingendo alla fine i russi ad abbandonarla – ripiegamento condotto peraltro in buon ordine e riducendo al minimo le perdite – completandone l’evacuazione entro l’11 novembre per attestarsi sulla riva sinistra del Dnepr, dove hanno proseguito i lavori di rafforzamento delle posizioni difensive. In seguito però l’intensità e il ritmo delle operazioni offensive ucraine sono venuti meno, e in poco tempo il loro “momentum” è scemato fino a spegnersi del tutto; quest’ultimo concetto, in particolare, è un preciso parametro operativo definito oggi dottrinalmente come la combinazione tra la velocità di progressione di un’offensiva e il mantenimento dell’iniziativa. A tale riguardo, comunque, altri autori classici nello studio dell’arte militare contemporanea avevano in precedenza coniato diverse definizioni del concetto di momentum, come ha fatto il brigadiere Richard E. Simpkin, un ufficiale dell’esercito britannico, nel suo libro pubblicato negli anni ’80 dello scorso secolo, “Race to the Swift”, il quale lo ha descritto come il prodotto di velocità, massa di forze impegnate e risultante celerità con la quale viene assolta una missione assegnata. Si tratta di una teoria che, ripresa e ampliata da un altro ufficiale, lo statunitense Robert Leonhard nel suo “The art of Maneuver”, applica alle operazioni militari terrestri (specie quelle offensive) termini e definizioni mutuati da quella branca della fisica che è la meccanica, associando in qualche modo lo studio dei movimenti e delle azioni degli eserciti a quello dei corpi materiali. In questo modo, dopo questi studi ci si è azzardati a parlare della teorizzazione di una sorta di “phisics of war”. Accade così, ad esempio, che una formazione lanciata all’attacco vede quello che è tradizionalmente chiamato “impeto” assimilato al concetto fisico di inerzia.

L’esaurimento ucraino e la ripresa russa alla fine del 2022

All’inizio di dicembre gli sforzi ucraini volti a scardinare la linea Svatove-Kremmina, a est del fiume Oskil, dove la difesa russa si era alla fine irrigidita dopo una serie di ripiegamenti, non hanno avuto esito e i tentativi di riconquistare queste due stesse località sono gradualmente stati fermati. Nello stesso mese, quasi con la stessa gradualità, l’iniziativa in quasi tutti i settori è nuovamente passata dalla parte russa, dapprima con una serie di contrattacchi volti ad arrestare definitivamente l’azione avversaria, poi con operazioni sempre più autonome e ad ampio respiro. Come noto, l’epicentro della lotta si è concentrato nel settore di Bakhmut, insediamento situato 30 Km a sud-est di Kramatorsk. A proposito di quest’ultima località, dove una violenta e sanguinosa battaglia è in corso da quasi due mesi, inizialmente diversi commentatori si sono affrettati a definirla “priva di significato” e di valore “puramente simbolico”. In realtà, con un’analisi più approfondita dal punto di vista tattico, si può rilevare come si tratti di un centro urbano di non trascurabili dimensioni, e come tale rappresenta un ostacolo per l’attaccante e specularmente un’opportunità per il difensore, caratteristiche che lo rendono intrinsecamente importante. Inoltre, Bakhmut si trova in posizione baricentrica rispetto a un sistema di strade che si diramano verso tutte le direzioni, la principale delle quali è l’autostrada M-03, che puntando a nord-ovest, passando per Sloviansk, collega la regione del Donbas con il resto dell’Ucraina e la capitale Kiev. La conquista di Bakhmut consentirebbe dunque ai russi di assumere il controllo di un importante snodo di comunicazioni, e di quello che rappresenta il bastione e l’ancoraggio meridionale della linea difensiva fortificata Sloviansk-Kramatorsk. Pertanto, con Bakhmut le forze russe potrebbero disporre di una valida base di partenza per approcciare questa linea difensiva da sud-est. Alla luce di ciò, si può comprendere dunque bene il perché, a loro volta, le unità ucraine stiano conducendo una tenacissima battaglia difensiva per scongiurare questa eventualità. In effetti, anche la caparbia difesa di Severodonetsk, la scorsa estate, pur essendosi conclusa alla fine con la ritirata dalla città, potrebbe aver inflitto agli attaccanti un attrito tale da rendere impossibile la prosecuzione di ulteriori operazioni verso ovest.

L’attesa dell’offensiva russa: la manovra dei 300.000 prima della “Rasputitsa”

Al di là di quella che è la sommaria descrizione degli ultimi sviluppi operativi del conflitto, dopo mesi di guerra alcuni importanti risvolti di carattere generale stanno emergendo e, soprattutto, stanno facendo scaturire interrogativi che sono al momento oggetto di discussione sulle fonti più autorevoli e qualificate nel campo degli studi strategico-militari. I mass media si sono concentrati nelle ultime settimane sulla “grande offensiva” russa, che starebbe per abbattersi sulle forze ucraine con i nuovi rinforzi giunti sul fronte grazie alla mobilitazione iniziata lo scorso settembre. Di certo, se l’apparato militare di Mosca riuscirà a trasformare in effettivo potenziale di combattimento i 300.000 uomini mobilitati (secondo alcune fonti sarebbero in realtà quasi 500.000), questo potrebbe avere un impatto decisivo a suo favore. A tale riguardo, probabilmente, è stato proprio l’arrivo delle prime aliquote di personale richiamato con questo provvedimento a consentire ai comandi russi di stabilizzare la difficile situazione venutasi a creare in autunno e poi riguadagnare l’iniziativa in tutti i settori del fronte. In caso contrario, sarà molto difficile, se non impossibile, per la Russia poter sperare di raggiungere i propri obiettivi nel conflitto, anche nel medio-lungo termine.

Secondo vari commentatori, non senza qualche ragione, questa grande offensiva di Mosca sarebbe già virtualmente iniziata, quantomeno nelle sue fasi preliminari, pur tenendo conto del fatto che tra non molto, almeno teoricamente, il sopraggiungere della stagione primaverile e della conseguente “Rasputitsa” farà riapparire il fango provocato dal disgelo, il quale tornerà nuovamente a ostacolare le operazioni, in particolare quelle delle forze mobili. Vi sono anche diverse ipotesi riguardo alle possibili direttrici d’attacco principali, il concetto di operazione, e gli obiettivi finali.

Tuttavia, non è detto che questi sforzi offensivi possano sfociare in una fase “manovrata” vera e propria. In verità, proprio questo è un aspetto che merita un particolare ragionamento e, in qualche modo, un certo sforzo di contestualizzazione. Occorre infatti notare che, soprattutto in occidente, ci si è abituati, in particolare dalla seconda guerra mondiale in poi, a vedere operazioni terrestri nelle quali la manovra – definita come il movimento di forze e concentramento del fuoco finalizzate ad acquisire una posizione di relativo vantaggio sull’avversario ai fini del conseguimento dell’obiettivo – ha molto spesso, se non quasi sempre, avuto un ruolo rilevante e decisivo. Dalla “primavera di vittorie” del 1940, con la quale la “blitzkrieg” condotta dalla Wehrmacht schiacciò la Francia e il corpo di spedizione britannico che aveva preso parte alla sua difesa, alle “corse” della Terza Armata americana del generale Patton in Europa Occidentale nel 1944, fino alle grandi offensive dell’Armata Rossa nelle fasi finali del conflitto, il secondo conflitto mondiale ha sancito come sia da attribuire la massima importanza alla guerra di manovra quale modalità decisiva per la vittoria. Anche nel secondo dopoguerra l’attenzione di militari e studiosi si è concentrata sugli altri significativi eventi bellici nei quali questa modalità di impiego delle forze terrestri si è rivelata determinante. Ciò è avvenuto in particolare riguardo le guerre che si sono svolte in Medio Oriente tra Israele e gli stati arabi (nel 1967 e nel 1973), dove proprio le fulminee operazioni offensive israeliane, condotte secondo i tipici dettami dell’approccio manovriero, furono decisive per l’esito finale di questi conflitti.

La guerra di manovra della Nato: dalla “difesa attiva” alla dottrina Air-Land Battle

In realtà, con particolare riferimento agli esempi citati, è sicuramente più corretto definire questa tipologia di operazioni come “aero-terrestri”, poiché è stato proprio il binomio forze corazzate-aviazione tattica la formula vincente, tanto nella Blitzkrieg tedesca delle fasi iniziali della seconda guerra mondiale, quanto nelle offensive condotte dalle forze armate di Israele nei vari conflitti che le videro contrapposte a quelle arabe. In particolare, all’indomani della guerra del Kippur del 1973, le “lezioni apprese” in campo dottrinale furono attentamente studiate in occidente, sulla base dell’esigenza della NATO di trovare una formula tattica per fronteggiare quelle che sarebbero state le forze del Patto di Varsavia, preponderanti dal punto di vista numerico, sul fronte centrale europeo. In questo caso, il problema si presentava pressoché identico a quello che gli israeliani dovettero risolvere durante il conflitto del 1973, in particolare sul fronte del Golan. A onor del vero, la dottrina tattica che scaturì da quella analisi, sancita dal Field Manual 100-5 del 1976 dell’esercito statunitense, prevedeva lo sviluppo di un sistematico e reiterato volume di fuoco da posizioni di combattimento preparate, con l’esecuzione di contrattacchi al solo fine di neutralizzare le eventuali penetrazioni avversarie nel dispositivo difensivo. Questo concetto operativo fu recepito dalla NATO con la cosiddetta “difesa attiva”, che effettivamente non poteva dirsi esattamente orientata sui canoni della guerra di manovra, quanto piuttosto sull’idea di imporre all’avversario (attaccante) un tasso di attrito tale da esaurirne il potenziale di combattimento e spezzarne così il “momentum”. Ma quasi subito la “difesa attiva” si attirò le critiche di chi la considerava troppo “statica” e sostanzialmente passiva, pertanto non idonea a ottenere una vittoria decisiva che gli immutabili principi dell’arte della guerra, frutto di millenni di esperienza bellica, hanno indicato come ottenibile solo con la salda acquisizione e il mantenimento dell’iniziativa e la conseguente condotta di operazioni offensive.

Non passò dunque molto tempo prima dell’affermarsi di un ulteriore e importante evoluzione dottrinale, quella che sancì l’affermazione della cosiddetta “Air-Land Battle”. Questa, con la sua enfasi posta sull’impiego di mezzi di erogazione del fuoco a lunga gittata – impieganti munizionamento guidato di precisione – e delle forze aerotattiche per colpire le retrovie e le unità in secondo scaglione dell’esercito sovietico (considerate il Centro di Gravità delle formazioni Sovietiche in attacco), poneva le premesse per indicare poi come imprescindibile la vigorosa ripresa dell’iniziativa e l’esecuzione di controffensive ad ampio raggio e in profondità con l’impiego delle forze mobili, sempre ampiamente supportate dal fuoco aereo. In buona sostanza, si trattò di un ritorno a pieno titolo della concezione occidentale delle operazioni terrestri sotto la forma della guerra di manovra. Questa è stata definita con precisione nel quadro del noto concetto di “approccio indiretto”, già teorizzato da illustri pensatori militari della prima metà del XX secolo, come il celebre ufficiale britannico B.H. Liddel Hart (passato alla storia come “il capitano che insegnò la guerra ai generali”), ma che a ben guardare affondava le sue lontanissime origini anche nell’opera di colui che fu probabilmente il primo vero teorico dell’arte bellica di cui abbiamo memoria: il cinese Sun Zu. L’approccio indiretto prescrive l’ottenimento della vittoria non (o meglio non principalmente) attraverso la distruzione fisica delle forze dell’avversario, bensì attraverso la sopraffazione della sua volontà e della sua tenuta morale per mezzo di astute e attente manovre volte a neutralizzarne, fino ad azzerarlo del tutto, la capacità e/o volontà di operare. Andando a recepire questi precetti senza tempo, oggi il corpus dottrinale occidentale e NATO definisce il potenziale di combattimento (“combat power”) di una forza militare come composto da tre componenti fondamentali: fisica, cognitiva e morale. Il cosiddetto approccio manovriero, che rappresenta uno dei cardini fondamentali della nostra concezione delle operazioni militari terrestri, preconizza la compromissione delle componenti cognitiva e morale (ossia quelle “immateriali” per definizione, rappresentate dai processi decisionali, dalle informazioni disponibili, dalla consapevolezza della situazione e dalla volontà di combattere) del potenziale di combattimento nemico attraverso operazioni offensive rapide e risolutive, e subito dopo, in modo “indiretto”, anche di quella fisica, che cadrebbe così come un frutto maturo nella mani  del vincitore.

Attualmente, nell’Alleanza Atlantica e in ambito nazionale, si è dunque giunti a ritenere la “manoeuver warfare“, e i suoi corollari quali il comando decentralizzato e il processo di apprendimento e adattamento, come la via migliore e la più efficace da perseguire: e questo per numerosi buoni motivi. Come dimostrato dalle esperienze belliche del passato, con la sua applicazione si può ragionevolmente sperare di vincere in modo rapido, e quindi “economico” in termini di materiali e, soprattutto, di vite umane. Non è un caso, infatti, se lo stesso Liddel Hart, memore ed egli stesso vittima del carnaio del primo conflitto mondiale (era rimasto ferito e debilitato permanentemente a seguito di un attacco condotto con l’uso di gas tossici), aveva elaborato le sue idee anche e soprattutto allo scopo di evitare il tragico ripetersi di una sanguinosa guerra di posizione come quella che aveva vissuto personalmente sul fronte occidentale nel 1914-18.

Gli insegnamenti della Storia militare per comprendere la “manovra” russa

Tuttavia, nella lunga e articolata storia dell’arte militare non è stato sempre così. Per lungo tempo vi è stata una differente scuola di pensiero strategico, riguardante invece la “guerra di usura” e il cosiddetto “approccio diretto”. Molti hanno visto nello stesso Clausewitz l’antesignano e uno dei massimi esponenti di questa posizione, esemplificata dal Vernichtungprinzip, contenuto nella fondamentale opera del celebre prussiano, il Vom Kriege, e in tale ottica questo termine è stato tradotto in “principio di annientamento”. A tal proposito, lo stesso Liddel Hart aveva mosso una critica al pensiero di Clausewitz definendolo come il “Mahdi della massa”.

La dicotomia (ma anche le relazioni) tra i concetti di “guerra di attrito” e “guerra di manovra”, e quelli rispettivamente correlati di “approccio diretto” e “approccio indiretto”, sono stati presi in esame e descritti compiutamente negli anni ‘80 dello scorso secolo proprio da Simpkin in “Race to the Swift”. In esso l’autore menziona anche un’interpretazione alternativa del Vernichtungprinzip clausewitziano, derivante dalla sua diversa traduzione in termini di “disarticolazione” o “disorganizzazione”, piuttosto che distruzione fisica del nemico, riconducendolo così ai canoni più aderenti alla teoria della manovra. Tra l’ultimo scorcio del XX e l’inizio del XXI secolo, effettivamente, questa è parsa conoscere la sua definitiva affermazione tra le sabbie del Medio Oriente, rispettivamente con le operazioni “Desert Storm”, del 1991, e “Iraqi Freedom” del 2003. Nel primo caso, le forze statunitensi hanno applicato con successo i dettami della Air Land Battle, risolvendo il conflitto con una fulminea e risolutiva offensiva terrestre passata alla storia come “la guerra delle 100 ore”. Nel secondo, un altrettanto rapida vittoria è stata ottenuta seguendo un concetto derivante da un ulteriore evoluzione in chiave contemporanea dell’approccio indiretto: quella denominata “Shock and Awe” (“colpisci e terrorizza”) e “Rapid Dominance”, in questo caso declinata a partire dai livelli strategico e operativo.

Nondimeno, secondo alcuni qualificati osservatori un anno di operazioni nel conflitto ucraino stanno mettendo, almeno in parte, in discussione la valenza e soprattutto l’effettiva applicabilità dell’approccio manovriero negli ambienti operativi contemporanei. Tra questi, il professor Anthony King, titolare della cattedra di studi militari dell’università di Warwick, in Inghilterra, ha sollevato il dibattito, a più riprese, e soprattutto in un articolo dal titolo “Is Manoeuvre Alive?” apparso sull’autorevole sito inglese “The Wavell Room”. Le obiezioni sollevate da King hanno avuto una replica da parte del maggiore dell’esercito britannico Steve Maguire, il quale in un altro articolo, pubblicato sullo stesso sito, “Yes Manoeuvre is Alive. Ukraine Prove it”, ha citato come esempio per supportare la sua tesi – secondo la quale le operazioni basate sulla manovra mantengono la loro piena validità – la vittoriosa controffensiva ucraina di Kharkiv. Questa è stata effettivamente condotta con rapide penetrazioni in profondità di forze mobili, compresi distaccamenti motorizzati leggeri (“Kraken Units”), i quali rinunciando scientemente alla protezione fornita da veicoli corazzati pesanti hanno operato sfruttando la grande mobilità assicurata da quelli ruotati leggeri. A tal proposito però, ora si può aggiungere come la fase manovrata della controffensiva ucraina di Kharkiv abbia avuto una durata limitata a non più di un mese, e dopo la riconquista di Lyman, avvenuta il 1° ottobre, il ripiegamento delle forze di Mosca ha assunto la forma di un frenaggio che progressivamente – forse in ossequio alla dottrina tattica difensiva russa, che privilegia la cosiddetta “manovra difensiva” rispetto alla difesa statica, privilegiando ogniqualvolta possibile lo “scambio” dello spazio al fine di guadagnare tempo e preservare le forze – ha finito per assorbire e smorzare l’impeto di quelle ucraine, fino al definitivo irrigidimento sulla linea Svatove-Kremmina.

I due fattori che condizioneranno gli sviluppi operativi: densità delle forze e natura del terreno

Alla luce di tutto ciò, i possibili sviluppi delle operazioni nel conflitto ucraino possono essere ipotizzati tenendo conto di questi importanti aspetti generali. Appaiono ormai chiari i diversi aspetti limitanti che producono un attrito significativo nei confronti di qualsiasi operazione offensiva manovrata. Innanzitutto, la “densità” delle forze contrapposte, che al momento non consentono a entrambi i contendenti il raggiungimento di un’adeguata superiorità sull’avversario, come invece pare essere avvenuto per gli ucraini a Kharkiv. Al momento, le forze di ambedue le parti in lotta stanno gravitando soprattutto nel quadrante orientale del Donbas, dove i due gruppi operativi russi che vi sono schierati, quello di “Voronezh” e quello di “Rostov”, allineano rispettivamente l’equivalente di 54 e 67 battaglioni, o gruppi tattici di livello battaglione, anche se appare sempre più chiaro l’abbandono da parte dei russi di questa articolazione tattica a favore di un ritorno alla tradizionale struttura reggimento/divisione. A essi, lungo i circa 250 km di fronte che vanno dal settore a sud-est di Kharkiv a quello subito a ovest di Donetsk, si contrappongono circa 30 brigate ucraine, inquadrate nei comandi operativi nord, est e sud, tra le quali figurano la maggior parte di quelle pesanti (meccanizzate e corazzate) disponibili.

Tenendo conto che nell’organico di queste ultime figurano mediamente quattro battaglioni di manovra, cui si aggiungono altri reparti di supporto al combattimento di artiglieria (per quanto riguarda questa fondamentale componente in misura quasi doppia rispetto agli standard occidentali), genio, controaerei e delle trasmissioni, ne consegue che, quantomeno dal punto di vista delle unità di manovra, al momento le forze russe non dispongono della superiorità necessaria per realizzare una vera “rottura” del fronte. Inoltre, le numerose unità ucraine (ivi comprese quelle della Viiska Terytorialnoi oborony (VTO) la difesa territoriale, e della Natsionalna hvardiia Ukrainy, la Guardia Nazionale, che coadiuvano con una certa efficacia le operazioni di quelle regolari) presidiano tutti i settori del lungo fronte con dispositivi difensivi fortemente organizzati e fortificati, negando così lo spazio di manovra necessario per la condotta di una qualsiasi operazione ad ampio raggio basata sulla penetrazione e sulla mobilità.

Anche l’effettiva superiorità delle artiglierie russe, pur imponendo quello che deve essere molto probabilmente un attrito non trascurabile ai difensori, viene in parte mitigato dalla protezione fornita dalle postazioni difensive e fortificazioni campali di cui possono usufruire questi ultimi. Nello stesso modo, la stessa “densità” delle unità ucraine per la difesa controaerei, in special modo quelle maggiormente mobili – e per questo relativamente meno vulnerabili alle missioni di Suppression Enemy Air Defences (SEAD) avversarie – rende ugualmente, al momento, troppo rischiosa anche la “manovra nella terza dimensione”, impedendo qualsiasi tentativo di “aggiramento verticale” condotto da forze aviotrasportate o aeromobili, e questo almeno fino a quando le prime potranno rimanere sufficientemente operative dal punto di vista del munizionamento (in primo luogo missilistico) e del mantenimento in efficienza dei sistemi d’arma.

Il secondo fattore che sembra stia rendendo estremamente difficoltoso, se non impossibile, l’esecuzione di operazioni manovrate in Ucraina è quello relativo al terreno, e in modo particolare l’importante presenza di numerosi e relativamente estesi centri abitati, soprattutto nella regione del Donbas. In effetti, proprio la sempre maggiore urbanizzazione di aree sempre più vaste del pianeta è uno dei principali temi sulla base dei quali il professor King ha basato la sua “provocazione” dialettica sulla presunta “morte” dell’approccio manovriero. Il conflitto ucraino sembrerebbe avvalorare questa tendenza, con tutta una serie di importanti battaglie, da quella di Mariupol, a quelle di Severodonetsk, Lysichansk e Bakhmut, che si sono svolte o sono in corso nei centri abitati. L’elevato ostacolo rappresentato da questo tipo di terreno rende particolarmente difficile lo sviluppo di rapide manovre offensive, un elemento che a ben guardare era stato già osservato nel precedente confronto del 2014-15. In quel caso, i prolungati scontri svoltisi per il possesso di aree urbane o infrastrutture quali l’aeroporto di Donetsk (dove i paracadutisti ucraini resistettero ostinatamente per non meno di sette mesi ai reiterati attacchi dei separatisti) o della cittadina di Debaltsevo, hanno spinto alcuni attenti osservatori, come il maggiore dell’esercito statunitense Amos C. Fox, nel suo studio specificamente dedicato alla battaglia di Debaltsevo dal titolo “Battle of Debal’tseve: the Conventional Line of Effort in Russia’s Hybrid War in Ukraine”, a parlare esplicitamente di un ritorno alla “guerra di assedio”.

La prima lezione appresa: campo di battaglia trasparente e importanza del livello tattico

Nel conflitto oggi in corso, dopo la prima fase altamente dinamica del febbraio-marzo 2022 caratterizzata dalle prime, effettivamente rapide, penetrazioni e puntate offensive delle forze russe, anche queste sono poi giunte al loro “punto culmine” anche e soprattutto per la presenza di tutta una serie di centri urbani che venivano sistematicamente aggirati, ma nei quali i difensori ucraini continuavano, seppur isolati, a resistere. Il terzo fattore che agisce contro la manovra in Ucraina è quella che è stata già riconosciuta come una delle prime fondamentali “lezioni apprese” di questo conflitto, ossia quella relativa al cosiddetto “campo di battaglia trasparente”. In essa viene riconosciuto come la massiccia e pervasiva presenza di tutta una vasta panoplia di assetti di Intelligence, Surveillance e Reconnaissance (ISR) – dai satelliti di sorveglianza agli UAV da ricognizione distribuiti fino ai minimi livelli ordinativi – rende estremamente difficile la realizzazione della sorpresa a tutti i livelli: strategico, operativo e tattico. Questo perché qualsiasi importante concentrazione di forze, in modo particolare terrestri, in un determinato settore, viene prontamente rilevata e analizzata, consentendo al difensore (in modo particolare quando si tratta degli ucraini) di reagire con prontezza, ad esempio con il fuoco o con il rischieramento di riserve e rinforzi. Essendo proprio la sorpresa non solo uno dei riconosciuti e fondamentali principi dell’arte militare, ma anche uno dei principali “moltiplicatori di potenza” di qualsiasi operazione offensiva, è chiaro come la sua assenza determini un’estrema difficoltà nella condotta con ragionevole successo di queste ultime. 

In tale quadro, a mantenere la situazione in equilibrio vi è anche l’impossibilità da parte russa di far valere la superiorità numerica e qualitativa delle proprie forze aeree, a causa delle numerose unità controaerei mobili ucraine, esattamente come già riferito a proposito della non fattibilità di operazioni avioportate o aeromobili . In esito a ciò, tra le sue peculiari caratteristiche questo pare essere il primo conflitto da diversi decenni a questa parte in cui il potere aereo non ha costituito, fino ad ora, un fattore davvero rilevante, almeno per quanto riguarda le piattaforme pilotate (un discorso a parte va fatto certamente per gli UAV e i sistemi missilistici per l’attacco a lungo raggio).

A tutti gli effetti, questa apparente superiorità dei mezzi e delle capacità della difesa sull’attacco ricorda quanto era avvenuto nel secolo scorso durante le prime fasi del primo conflitto mondiale, a dispetto dei primi chiari segnali in questo senso emersi in alcuni importanti eventi bellici precedenti, quali la guerra anglo-boera, quella russo-giapponese, e i conflitti balcanici, aspetti cruciali che non furono raccolti dai vertici dei principali eserciti dell’epoca. D’altronde, non sono mancati da più parti i tentativi di tracciare un parallelo storico in questo senso, con diversi commentatori che hanno voluto assimilare la battaglia di Bakhmut, ad esempio, a una “nuova Verdun”. Questa precisa tendenza era stata peraltro già chiaramente illustrata ancora prima dell’invasione russa dell’Ucraina da alcuni perspicaci commentatori, quali il professor Thomas Hammes, ricercatore dell’Institute for National Strategic Studies americano, il quale in un articolo dal titolo: “the tactical defense becomes dominant again” – sotto molti aspetti davvero profetico rispetto a quanto si sta verificando oggi – aveva già illustrato con dovizia di particolari tutti questi elementi.

Due futuri possibili schemi di manovra russa

In questo momento, le offensive russe in atto nel Donbas sembrano prefigurare due schemi di manovra in atto sotto la forma di altrettanti “doppi avvolgimenti”.

Il primo è in corso sulla cintura di villaggi a nord e sud di Bakhmut, volto a tagliare le principali vie d’accesso alla città e costringere così i caparbi difensori della città ad abbandonarla, pena il completo accerchiamento. Il secondo, partendo dall’area di Yakovlivka, a nord-est della stessa Bakhmut, vede le forze del 2° corpo d’armata (rappresentato dalle forze della repubblica separatista di Luhansk, ora ufficialmente integrate in quelle della federazione russa) spingere verso nord, in direzione di Siversk, con almeno quattro brigate fucilieri motorizzati in concomitanza di una seconda direttrice, che dall’area di Kreminna, con forze della 144a divisione e 30a brigata fucilieri motorizzati, spinge verso sud-ovest al fine di minacciare il tergo delle otto brigate ucraine che difendono la linea a ovest di Lysychansk.

Tuttavia, si tratta di attacchi con una progressione lenta, che pare metodica e sempre sostenuta da un nutrito fuoco di artiglieria. In particolare, le ultime analisi indicherebbero un adattamento dei procedimenti tattici russi; tra questi, citando un esempio tra i più rilevanti, vi sarebbe la creazione di un nuovo tipo di formazione, denominata “Shturmovoy otryad” (distaccamento d’assalto), di livello compagnia rinforzata, costituita integrando fanteria (dotata di lanciarazzi impieganti munizioni con testata termobarica, efficaci nell’impiego contro edifici), carri, una sezione di artiglieria/mortai semoventi, e un’aliquota logistica. Sarebbe questa, dunque, una delle soluzioni che gli attaccanti, in questa fase, stanno adottando per fronteggiare la situazione che emerge dal campo di battaglia.

La prevalenza dell’attrito sulla manovra

In ultima analisi, le operazioni terrestri in Ucraina, e più in generale l’intero andamento del conflitto, avrebbero ormai assunto il carattere di una lotta basata sull’attrito, molto più che sulla manovra. Una vera “Materialschlacht”, ossia una “battaglia di materiali”, come questa veniva definita dalla classica terminologia militare tedesca, dove la forza del numero e dell’acciaio hanno un ruolo preminente. Effettivamente, i riflessi sul livello strategico sono ormai accertati, con tutta una serie di analisi che parlano sempre più distintamente di ritorno alla dimensione industriale della guerra. Questo era già stato evidenziato in alcuni articoli pubblicati lo scorso anno, uno dei più noti dei quali apparso nel giugno 2022 sul sito del Royal United Service Institute dal titolo “The return of industrial warfare”. A tal proposito, le preoccupazioni manifestate da più parti sulla capacità da parte dei paesi NATO (e altri del mondo occidentale) di continuare a sostenere le forze armate di Kiev, soprattutto per quanto riguarda il munizionamento d’artiglieria, sono molto indicative. Nello stesso modo, sono diverse e articolate le valutazioni sulla reale efficacia delle sanzioni economiche sull’industria bellica russa, già mobilitata al massimo per sostenere lo sforzo bellico. Se questa tendenza andrà a confermarsi, è molto improbabile che la tanto pubblicizzata “grande offensiva” russa possa sfociare in una fase dinamica e manovrata, ammesso e non concesso che, preso atto della situazione contingente, questo possa essere il reale intento dei comandi russi. Essa potrebbe invece assumere i lineamenti di una pressione costante, su ampio fronte, secondo i dettami di un approccio basato su attacchi sistematici e massiccio ricorso al fuoco di artiglieria, e in esito a ciò progredire lentamente, ma inesorabilmente, con sfondamenti limitati, seguiti da successivi consolidamenti, così come è stato durante la battaglia del Donbas di maggio-luglio 2022. La stessa cosa, specularmente, potrebbe accadere nel caso di un nuovo passaggio dell’iniziativa dalla parte ucraina, con l’avvio di nuove controffensive per la riconquista dei territori occupati. Su questo versante, in ogni caso, dopo l’annosa vicenda della fornitura dei carri Leopard 2, è opportuno sottolineare come l’arrivo di questi mezzi – a meno che non avvenga in numeri davvero importanti che comunque non sembrano molto probabili – non potrà avere un impatto decisivo sull’andamento e soprattutto l’esito delle operazioni.

Questo, comunque, potrebbe drasticamente cambiare nel caso di un cedimento drastico e rilevante di uno dei due contendenti in uno o più settori sufficientemente ampi del fronte, cosa che al momento non sta avvenendo, ma che è pur sempre possibile. Se la “guerra di manovra” potrà prendersi una sua clamorosa rivincita (come è accaduto a Kharkiv lo scorso settembre), o se cederà definitivamente il passo a una lunga, logorante e metodica “guerra di usura”, verrà sancito solamente dalla consueta, inappellabile e dirimente sentenza di quel giudice definitivo che è il campo di battaglia.


Bakhmut: perché i russi la vogliono a tutti i costi?

di Claudio Bertolotti

Dalle interviste a Radio Capital del 28 febbraio – 1 marzo 2023

La conquista di Bakhmut ha due obiettivi: uno primario, sul piano strategico e comunicativo, l’altro secondario, sul piano operativo e logistico.

Bakhmut ha un valore militarmente limitato ma strategicamente, è importante sia tenerla sia occuparla. Rientra tra gli obiettivi simbolici di Mosca, perché una vittoria darebbe un’ulteriore spinta alla sua narrazione, più degli effetti sul piano militare. I russi otterrebbero poi un vantaggio operativo in termini di capacità di manovra e la conquista consentirebbe loro di consolidare la linea del fronte. Se la conquista di Soledar, piccola cittadina del Donetsk, è stata presentata da Mosca come conferma di importanti progressi militari (pur a fronte di perdite elevatissime), la cattura di Bakhmut segnerebbe una vittoria che la propaganda amplificherebbe in maniera strumentale.

Una vittoria che garantirebbe un sostegno popolare maggiore di quanto non lo sia ora, che già non è basso poichè la propaganda sta lavorando molto bene. Ma una conquista della città rappresenterebbe un caposaldo forte a cui aggrapparsi. Da lì, potrebbe essere presentato uno scenario di uscita dignitosa, quasi gloriosa, in virtù di una vittoria.

Dal punto di vista operativo e logistico l’obiettivo militare della Russia è quello di creare le condizioni per ulteriori progressi, almeno fino ai confini della regione di Donetsk. Bakhmut si trova su un’autostrada strategicamente importante ed è vicina ad alcuni importanti collegamenti ferroviari, e prenderla potrebbe garantire alle forze russe importanti basi di partenza per la conquista delle più grandi città vicine a Donetsk come Slovyansk e Kramatorsk.

Per l’Ucraina, la battaglia è diventata una lotta simbolica e politicamente significativa, prova della volontà del paese di fare enormi sacrifici per difendere il suo territorio e rappresenta, inoltre, un’opportunità di consumare le truppe russe, mandate al massacro contro le posizioni ucraine, e per concentrare il massimo sforzo alleggerendo gli altri settori del fronte. Nonché è una conferma dell’incapacità di Putin di raggiungere i suoi obiettivi di vittoria. Un vantaggio rilevante è dato dalla concentrazione dei rifornimenti e del fuoco di artiglieria che, rivolto principalmente all’obiettivo Bakhmut, ha imposto una riduzione del 75% dei bombardamenti di artiglieria nei restanti settori del fronte. Ma in questo gioco di logoramento va ricordato che la Russia parte sempre avvantaggiata, potendo disporre di numeri ben più rilevanti in termini di uomini e materiali.

Guardando in prospettiva, e in particolare dal punto di vista russo, l’incapacità delle forze armate ucraine di tenere Bakhmut di fatto sancisce l’impossibilità per Kiev di condurre operazioni contro-offensive nel breve-medio periodo. E questo per la limitata capacità militare dovuta a numeri di uomini ed armi decisamente inferiori a quelli messi in campo dalla Russia.

Va infine rilevato che Bakhmut, da un punto di vista dottrinale, entrerà nei manuali di storia militare come esempio di sovrapposizione tra applicazione delle tecnologie avanzate della guerra moderna nei centri urbani, associata alla guerra comunicativa, con le brutalità delle guerre di logoramento novecentesche. Un aspetto che sarà uno stimolo nella revisione delle dottrine militari che per forza di cose la guerra russo-ucraina è riuscita a imporre.


Nuovi aiuti militari dell’Italia all’Ucraina: quali armi, costi e premesse politiche?

di Redazione

Dall’intervista di C. Bertolotti a Tagadà, La7 (puntata del 22 febbraio 2023)

Carri armati, artigliera pesante, mezzi per la difesa aerea e non solo. Da Europa e Stati Uniti la promessa di potenziare gli aiuti militari all’Ucraina. Anche l’Italia farà la sua parte; in che termini, quali i numeri, i costi e le premesse politiche?

L’Italia, in generale, quali armi sta mandando in Ucraina?

Stiamo mandando molto del poco che abbiamo. E questo a causa delle risorse limitate destinate alla difesa negli ultimi decenni, e in particolare dal 2012. In termini operativi il contributo principale è in funzione di uno strumento militare ucraino con una forte componente di “arma base”, ossia la fanteria. Dunque equipaggiamenti e armi individuali e di reparto, sistemi controcarro, veicoli da trasporto truppa, e così via. A cui si è progressivamente aggiunto il contributo della componente di “supporto al combattimento” dell’artiglieria e, in ultimo, di difesa aerea.

Mentre gli Stati Uniti hanno inviato in maniera massiccia, razionale e coerente, i propri aiuti a Kiev, i paesi europei lo hanno fatto in maniera meno strutturata, cominciando con aiuti prima poco rilevanti per procedere a tappe forzate verso un contributo via via più di rilievo. Ci sono poi varie sensibilità: i paesi del fianco est, appartenenti all’ex blocco sovietico, hanno spinto fin da subito per l’invio di armamenti pesanti, come i carri armati. L’Italia ha cominciato con i sistemi d’arma di reparto, dalle mitragliatrici ai sistemi contro-carro, per poi inviare i veicoli da trasporto truppe, prevalentemente di vecchia generazione, come gli M113. Per poi inviare sistemi di artiglieria pesante campale e semovente di vecchia e nuova generazione, nei limiti delle riserve disponibili.

Il contributo complessivo è rilevante, sia in termini politici che militari. Adeguato a fermare l’avanzata russa, e dunque mantenendo uno stato di guerra di attrito, ma non sufficienti per fornire all’Ucraina gli strumenti per una vittoria decisiva.

Sono noti questi elenchi? Periodicamente si polemizza sulla mancanza di trasparenza sul tema. Funziona diversamente negli altri paesi?

Ogni paese ha la propria policy. La differenza di approccio in termini di pubblicità delle decisioni prese è culturale. La politica in Italia si rivolge con estrema cautela al cittadino-elettore, preferendo omettere alcune informazioni per ragioni di opportunità di elettorale e anche perché, da parte dell’opinione pubblica italiana, vi è uno scarso interesse nella politica estera. Negli Stati Uniti il governo si rivolge al cittadino-contribuente, al quale deve rendere conto di come spende i suoi soldi. Questo è il motivo per cui conosciamo l’elenco dettagliato delle armi fornite da Washington ma non dall’Italia, i cui governi, di qualunque colore, appongono la classifica di sicurezza agli aiuti dati. Una scelta politica, certamente non dettata dalle esigenze di carattere operativo. Anche la Francia, va detto, ha reso noti i numeri degli equipaggiamenti d’artiglieria, il contributo più significativo dato da Parigi. E così la Germania, che ha pubblicato ufficialmente la lista di equipaggiamenti forniti.

Sono cambiate le armi che abbiamo inviato? Sono diventate gradualmente più “offensive”?

Non direi che siano “più offensive”, direi piuttosto gradualmente più rispondenti alle necessità imposte dalle dinamiche sul campo di battaglia e all’approccio statunitense al conflitto. Quanto più aumenta il contributo statunitense, tanto più rilevanti sono le richieste (e le pressioni) ai Paesi dell’Unione europea. La risposta è dunque in termini di efficacia; un’efficacia che dipende dalla qualità, più che dalla quantità di armi fornite.

In una fase iniziale, quando c’era ancora il M5s nella maggioranza a sostegno del governo Draghi, si è a lungo parlato di armi “difensive” e “offensive”. Aveva senso questa distinzione? È superata?

La distinzione tra armi offensive e difensive ha un valore politico, non operativo. Le armi servono per combattere, sia una guerra offensiva che difensiva. Nel caso ucraino potremmo affermare a ragion veduta che tutte le armi sono “difensive” poiché utilizzate per contrastare l’avanzata di un esercito invasore. Perché questo è il punto: il sostegno è dato all’Ucraina che si difende da un’invasione territoriale avviata dalla Russia. Dunque lascerei da parte questa distinzione, preferendo la formula del “sostegno militare all’Ucraina”.

Quanto ci costa mandare queste armi?

Possiamo fare alcune speculazioni, ma non abbiamo dati certi, almeno per quanto riguarda l’Italia. Potremmo valutare il contributo italiano in una cifra approssimativa di 800milioni di euro, di cui più di 400milioni di aiuti militari. Tanto o poco?

Va fatto un distinguo tra quanto dato dagli Stati Uniti e quanto invece fornito dai Paesi dell’Unione europea presi singolarmente. Washington ha stanziato al momento oltre 45 miliardi di dollari in aiuti militari, compresi equipaggiamenti di pregio come i sistemi missilistici a medio raggio, sistemi radar, sistemi di difesa contraerea, oltre a migliaia di veicoli di differente tipologia. Poi hanno promesso l’invio di carri armati pesanti, gli Abrams. I singoli paesi europei hanno invece dato un contributo eterogeneo, in alcuni settori poco più che formale, ma nel complesso è un aiuto concreto e utile. Si può valutare in circa 30 miliardi di euro l’aiuto europeo dato a Kiev, dunque in linea con quello statunitense.

Quant’è significativo il nostro apporto rispetto a quello degli altri paesi europei?

Va detto che, a fronte delle sempre più limitate risorse destinate alla Difesa nel corso degli ultimi 20 anni, il contributo è stato certamente rilevante considerata la penuria di armi ed equipaggiamenti. Il nostro sforzo e contributo è così, sì importante, ma non decisivo. Certo, è coerente con quello della maggior parte degli alleati, ad esclusione dei principali sostenitori – Stati Uniti e Regno Unito – ma inferiore a quello della Germania che, da sola avrebbe fornito aiuti complessivi (dunque umanitari, finanziari e militari) di oltre 5 miliardi di euro, contro gli 800milioni dell’Italia.


Offensiva russa in Ucraina? I limiti dell’Occidente che la Russia sfrutterà

di Claudio Bertolotti


Le battaglie stanno prosciugando le scorte di armi da entrambe le parti.

Jens Stoltenberg, Segretario generale della Nato

Le battaglie stanno prosciugando le scorte di armi da entrambe le parti. Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha avvertito all’inizio di questa settimana che l’Ucraina sta consumando le munizioni molto più velocemente di quanto i suoi alleati possano fornirle.

L’amara constatazione del Segretario generale dell’Alleanza atlantica, a conclusione della riunione dei ministri della Difesa della Nato avvenuta il 14-15 febbraio, suggerisce un quadro non favorevole a Kiev in relazione agli sviluppi della guerra russo-ucraina iniziata quasi un anno fa.

L’analisi del quadro complessivo non può tener conto di quattro fattori, da cui discendono le future prospettive e le possibili opzioni.

Il primo elemento chiave consiste nel fatto che la Russia ha la volontà politica (imposta dalla necessità della sua leadership) di proseguire la guerra fino a quando non avrà raggiunto i propri obiettivi strategici minimi, ed ha la capacità militare di proseguire una guerra di media intensità per un tempo ancora indefinito, indipendentemente dalle perdite sul campo di battaglia. L’esperienza decennale della guerra in Cecenia ne è una conferma.

Il secondo fattore è dato dalla volontà politica ucraina di proseguire sulla linea della resistenza armata, ma la sua limitata capacità militare dipende in toto dall’aiuto esterno, in primis, da parte degli Stati Uniti e, a seguire, dai Paesi e dalle organizzazioni del blocco occidentale (Unione Europea e Nato): a fronte dell’attuale ritmo di rifornimento militare, se Kiev continuerà a perseguire la linea della resistenza a oltranza come sta facendo da tempo (in particolare nell’area orientale di Bakhmut) non potrà in alcun modo condurre azioni controffensive.

Terzo fattore: la NATO. L’Alleanza fornisce un sostegno limitato, proporzionale alle sue capacità e disponibilità dei singoli Paesi aderenti, e non ha intenzione di essere trascinata in un conflitto allargato che sarebbe devastante e senza via d’uscita, se non attraverso il confronto diretto con la Russia e l’escalation di violenza che ne conseguirebbe. Un prezzo che l’Alleanza non è disposta a pagare. Dunque, si rilevano limiti politici di volontà associati a una capacità di sostegno che metterebbe in crisi il sistema industriale dei membri dell’Alleanza, la maggior parte dei quali sono anche membri di un’Unione europea politicamente debole e divisa.

Infine, il quarto fattore: gli Stati Uniti. Washington ha una limitata volontà politica e una significativa, ma condizionata, capacità di sostegno militare nel breve-medio periodo ma nessuna intenzione di sostenere una guerra sul lungo periodo rischiando un impegno simile a quello sostenuto nella guerra in Afghanistan.

Questi quattro fattori mettono in evidenza la principale criticità dell’intero meccanismo di sostegno all’Ucraina: la divergenza tra limitata volontà/capacità occidentale, propensa a un accordo negoziale in cui Kiev dovrebbe rinunciare a parte della propria sovranità territoriale, e la determinata volontà e significativa capacità russa di sostenere una guerra a media intensità sul lungo periodo per annettere (non importa in quanto tempo) l’intero territorio ucraino.

Il quadro che si è definito continua a essere a vantaggio di una Russia che, per quanto indebolita sul piano delle Relazioni internazionali, fiaccata militarmente ed economicamente impoverita, non farà alcun passo indietro, né militarmente né politicamente, così come non lo fece nel 2014/2015. E’ un deja vu: lasciare spazio di manovra negoziale a Mosca significa ripetere gli errori della prima guerra di Ucraina, che aprì le porte alla seconda fase, iniziata il 24 febbraio 2022.


Ucraina: dopo i carri armati anche i missili a lungo raggio?

di Claudio Bertolotti

Gli Stati Uniti potrebbero fornire all’Ucraina sistemi missilistici e munizioni a lungo raggio come parte di un nuovo pacchetto di assistenza militare da 2 miliardi di dollari.

Il pacchetto è in fase di finalizzazione mentre l’Ucraina si prepara per una potenziale nuova offensiva russa nelle prossime settimane e cerca, non solo di mantenere il territorio riconquistato, ma di cogliere nuovi vantaggi sul campo di battaglia.

Se questa decisione fosse confermata, potremmo trovarci di fronte a nuova fase della guerra. Dopo l’apertura statunitense all’invio di carri armati MBT (a cui hanno aderito anche alcuni Paesi europei) ora si paventa l’ipotesi di missili a lungo raggio. Si discuterà di quantità (e forse potrebbero far sorridere i limitati numeri iniziali promessi), ma non è una questione di numeri (che cresceranno nel tempo) bensì di decisione di fornire determinate tipologie di equipaggiamento che si erano inizialmente escluse. Progressivamente si sta politicamente accettando, e lo si sta facendo accettare ai contribuenti ed elettori, un maggiore coinvolgimento nel conflitto in corso. E’ un passo significativo che, se confermato, potrebbe portare a un sostegno convenzionale potenzialmente senza limiti, con l’obiettivo di indebolire una Russia sempre più invischiata in una guerra di logoramento e attrito la cui leadership cercherà, per ragioni di sopravvivenza politica, di concludere con un’offensiva “risolutiva” nel breve periodo (settimane, mesi).

Vediamo più nel dettaglio.

Il Pentagono e gli alleati occidentali a partire dalla scorsa estate hanno avviato le forniture all’Ucraina di munizionamento con una gittata di circa 65 chilometri per il sistema missilistico di artiglieria ad alta mobilità M142 HIMARS. Armi che si sono imposte come componente chiave delle limitate controffensive ucraine che hanno portato alla riconquista di porzioni di territorio occupate dalla Russia in conseguenza dell’invasione del 24 febbraio.

Il senatore Jack Reed, presidente del Comitato dei servizi armati del Senato statunitense, ha sostenuto la necessità di invio di missili a lungo raggio in Ucraina, un’arma con la capacità di colpire obiettivi all’interno dello stesso territorio russo. Ma la questione si sposta dal piano della minaccia potenziale dell’Ucraina nei confronti della Russia, al piano dell’effettiva capacità di attaccare obiettivi russi in Ucraina a una distanza più sicura, oltre la portata di alcune armi usate dai russi. Con ciò garantendo maggiore protezione alle proprie unità e, al contempo, maggiore efficacia nella condotta di azioni difensive e delle possibili ma limitate azioni controffensive.

La richiesta più urgente di Kiev è però quella di maggiori quantitativi di sistemi di difesa aerea Patriot. E sia il Pentagono, sia la Germania si sono impegnati a inviare tale sistema per proteggere i siti sensibili dai missili balistici e dagli attacchi aerei russi.

Il senatore Reed, ha evidenziato che le forze ucraine hanno bisogno del sistema missilistico tattico dell’esercito per distruggere i posti di comando russi e i depositi di rifornimento che sono stati arretrati in risposta proprio agli attacchi riusciti dei missili a corto raggio forniti dagli Stati Uniti. In un’intervista con USA TODAY, Reed ha detto che i missili a lungo raggio potrebbero essere forniti solo se l’Ucraina accettasse di non utilizzarli contro obiettivi in territorio russo, poiché ciò potrebbe portare a un’escalation della guerra, con il rischio remoto di indurre il presidente Vladimir Putin a colpire obiettivi della NATO, sebbene, nel merito di una possibile azione russa contro i paesi della NATO, questa sia valutata come altamente improbabile.


Ucraina: carri armati e comunicazione. Il commento di C. Bertolotti a Rainews 24 (27.01.2023)

“Le forze russe hanno continuato gli attacchi di terra intorno a Bakhmut, alla periferia occidentale della città di Donetsk, e nella zona di Vuhledar. Attacchi che secondo lo Stato maggiore della Difesa ucraino sarebbero stati respinti dall’esercito di Kiev. Intensi i bombardamenti lungo la linea del fronte e nel retrofronte ucraino da parte dell’artiglieria russa.

Secondo l’Institute for the Study of War (ISW), “le forze ucraine hanno rilanciato le operazioni di controffensiva vicino a Kreminna.” I ritardi nella fornitura all’Ucraina di sistemi d’arma occidentali a lungo raggio, sistemi avanzati di difesa aerea e carri armati hanno limitato la capacità dell’Ucraina di sfruttare le opportunità per la condotta di operazioni controffensive più ampie sfruttando i limiti e le difficoltà nella condotta delle operazioni militari della Russia.

Guardando a un orizzonte temporale di breve termine, è logico ritenere che le forze russe si stiano preparando per uno sforzo offensivo nella primavera o, al più tardi, all’inizio dell’estate di quest’anno, così da porre termine a un conflitto durato molto più delle previsioni iniziali e per dare un risultato soddisfacente in previsione delle elezioni presidenziali del 2024.

A fronte degli sviluppi sul campo di battaglia, anche sul “fronte” della comunicazione si intensifica l’attivismo delle due parti in guerra. Da un lato il Presidente ucraino
Volodymyr Zelensky e la sua partecipazione a eventi “pop” e ad ampia diffusione come il Festival di Sanremo: tra contestazioni e sostegno riesce a far parlare della guerra in Ucraina, centrando così l’obiettivo di arrivare alle opinioni pubbliche dei Paesi che sostengono Kiev nella difesa dall’invasione illegale della Russia. Dall’altro lato, il Presidente russo Vladimir Putin, che minaccia ampie e gravi rappresaglie in risposta all’invio di mezzi corazzati in supporto all’Ucraina da parte dei Paesi europei e degli Stati Uniti: un messaggio “forte” rivolto prevalentemente all’opinione pubblica interna. Entrambe le azioni hanno in comune una strategia comunicativa e propagandistica aggressiva ed efficace: un chiaro e consolidato strumento della guerra.


Cyber warfare nel conflitto russo-ucraino: strategie cyber, lessons learned e implicazioni per il futuro

di Matteo Testa

Articolo originale pubblicato su IARI – Istituto Analisi Relazioni Internazionali

Il conflitto russo-ucraino è stato definito in parte come la prima guerra del futuro, a causa della centralità della dimensione digitale e del nuovo cyber warfare. Come si è applicato al contesto bellico questa nuovo dominio e quali sono le maggiori implicazioni per il futuro dell’internet e dei conflitti armati?

Il 24 febbraio 2022 la Russia ha ufficialmente dato il via all’invasione su larga scala del territorio sovrano ucraino, con lo scopo di liberare (secondo la narrativa di Mosca) le regioni del Donbass, la cui popolazione si sentirebbe di appartenere più alla Russia che all’Ucraina, in una sorta di lotta, si direbbe in altri casi, per l’autodeterminazione dei popoli. La guerra è stata dunque cominciata con pretesti visti e rivisti nel corso della storia, con mezzi e strategie militari tipiche del più classico warfare e, almeno nella mente dei russi, con delle tempistiche di completamento decisamente brevi; se l’ultimo punto si è rivelato drasticamente errato, ai primi due si è aggiunto un elemento che permette di classificare il conflitto russo ucraino come il primo esempio di guerra del futuro.

La dimensione cyber dello scontro armato, infatti, rappresenta un fattore di significativa novità e soprattutto di enorme centralità nelle dinamiche della guerra: oltre a essere il primo caso dove gli attacchi cibernetici sono molto sofisticati e diretti alle infrastrutture sensibili di entrambe le parti in causa, il moderno cyber warfare aggiunge un nuovo dominio a quelli classici della terra, dell’aria e del mare, spostando in maniera decisiva l’asse delle forze in gioco. Le battaglie non si combatteranno più unicamente sul terreno, anzi, gli attacchi decisivi per determinare l’esito di un conflitto armato potrebbero avvenire senza sparare più un singolo proiettile.

Questo è quanto avvenuto, chiaramente solo in parte, nel caso russo ucraino. Proprio il giorno prima dell’inizio delle ostilità da parte di Mosca, infatti, il Cremlino ha attaccato la rete digitale infrastrutturale ucraina con un malware che è stato indicato da Microsoft, in uno studio redatto dalla stessa compagnia pochi giorni dopo l’inizio del conflitto, con il nome di FOXBLADE; senza entrare nelle specifiche del malware (anche perché Microsoft non le ha rilasciate per ragioni di sicurezza), FOXBLADE rappresenta una cyberweapon in grado di far partire attacchi DDoS dal proprio computer senza che l’utilizzatore ne sia a conoscenza. La sigla DDos sta per Distributed Denial of Service, si tratta di un’arma di sicurezza informatica che mira a interrompere le attività aziendali o a estorcere denaro alle organizzazioni prese di mira e che agisce utilizzando enormi volumi di traffico digitale sovraccaricando così i server o le connessioni di rete, rendendoli inutilizzabili. La dimensione dei cyber attacchi ha dunque giocato un ruolo primario fin dall’inizio del conflitto armato ed ha continuato a ricoprire una funzione centrale anche nelle fasi successive. Come riportato da Stas Prybytko, il responsabile dello sviluppo della banda larga mobile nel Ministero della trasformazione digitale ucraino, il modus operandi dei russi una volta conquistati ed occupati nuovi territori prevedeva una priorità su tutte: tagliare e sconnettere le reti digitali della regione occupata, così che le persone residenti in quell’area non potessero sapere cosa succedeva nelle zone circostanti e non potessero descrivere la reale situazione nei territori occupati.

Dall’altra parte, l’Ucraina del Presidente Zelensky ha cercato di rispondere alle minacce e agli attacchi digitali russi cercando, in primo luogo, di estromettere la Russia dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), entità che rappresenta sostanzialmente la governance internazionale di internet. Questa richiesta è arrivata praticamente all’inizio della guerra, il 28 febbraio, a testimonianza di come anche gli ucraini avessero bene in mente il ruolo fondamentale del dominio digitale fin dalle primissime fasi dello scontro. La richiesta ucraina è stata tuttavia respinta al mittente dal Presidente dell’ICANN Goran Murphy, con la motivazione che tale organizzazione non detiene l’autorità di esprimere sanzioni in materia e che il compito di ICANN è semplicemente sorvegliare che il funzionamento dell’internet rimanga esterno alle dinamiche politiche; accogliere l’istanza ucraina, secondo la visione di Murphy, avrebbe dunque significato andare contro i principi base dell’ICANN stessa.

Fra le due parti in conflitto Mosca è sicuramente quella che dispone delle maggiori capacità di sferrare cyber attacchi significativi. Questo è dovuto sicuramente alla grande rete di hacker russi ma anche alla tendenza del Cremlino di manipolare le informazioni, sia a livello domestico sia quelle dirette al mondo esterno, che ha fornito ai russi una notevole expertise in questo campo. Il già citato studio svolto da Microsoft, dal nome “Defending Ukraine: Early Lesson from the Cyber War”, evidenzia come la Russia abbia utilizzato una sofisticata strategia cyber che si compone di tre sforzi principali, distinti ma utilizzati anche simultaneamente. Si tratta nello specifico di attacchi informatici di tipo distruttivo rivolti all’interno dell’Ucraina, di operazioni di penetrazione e spionaggio all’esterno dell’Ucraina e infine di azioni di cyber-influenza che prendono di mira le persone di tutto il globo. Alcuni esempi lampanti di tale strategia sono state sicuramente le campagne di disinformazione e di manipolazione della narrativa sul conflitto operata da Mosca fin dall’inizio della guerra; ma anche attacchi concreti alle infrastrutture vitali ucraine, come quello del 28 febbraio, definito da alcuni analisti come il più severo dall’inizio della guerra. Questo cyber attacco ha colpito Ukrtelecom, la compagnia di telecomunicazioni nazionale ucraina, ed ha portato a delle significative interruzioni di internet nel paese per circa 15 ore che hanno colpito principalmente gli utenti privati e le aziende.

Kiev, dal canto suo, ha potuto contare praticamente dall’inizio degli scontri su uno strumento che si è rivelato essenziale finora per la resistenza dell’esercito ucraino, ovvero il sistema Starlink, offerto gratuitamente dal magnate Elon Musk su richiesta del Primo Ministro ucraino Mykhaylo Fedorov. Il ruolo giocato da Starlink testimonia una volta di più la centralità dei sistemi tecnologici-cibernetici applicati ai moderni contesti bellici: senza il supporto di Starlink, infatti, l’Ucraina molto probabilmente sarebbe già caduta sotto i colpi dei carri armati russi. Starlink è un complesso sistema che fornisce Internet alle regioni con scarse infrastrutture di telecomunicazioni, come in mare aperto, in aree remote lontane dalle città o in regioni in cui l’accesso a Internet è limitato dai governi e che funziona grazie a una vera e propria costellazione di satelliti (circa 3000) che SpaceX, la società aerospaziale privata di Elon Musk, ha rilasciato nella parte bassa dell’orbita terrestre. L’utilizzo di Starlink in Ucraina, dunque, ha avuto importanti applicazioni sia in ambito civile, in quanto ha permesso che le reti di comunicazioni venissero ripristinate in tempi record, ma soprattutto in ambito militare: grazie all’enorme numero di terminali Starlink dispiegati sul territorio ucraino, ad esempio, l’esercito ha potuto utilizzare droni da ricognizione collegati ai terminali Starlink per inviare informazioni di puntamento all’artiglieria, è riuscito ad individuare l’esatta posizione di mezzi pesanti russi ed è stato in grado di mantenere le comunicazioni aperte anche con propri soldati che si trovavano in prima linea durante uno scontro con i russi. Analizzate le principali caratteristiche e strategie cyber utilizzate nei primi 8 mesi di guerra, è possibile trarre qualche indicazioni per il futuro dei conflitti armati e del ruolo della dimensione digitale applicato alle guerre. In primis si può affermare come la strada intrapresa con l’inizio del conflitto russo-ucraino è destinata a diventare la tendenza preponderante per le guerre che verranno: il classico warfare rimarrà sicuramente al centro delle strategie e delle considerazioni militari, ma sarà accompagnato sempre di più dalle cyber weapon e dagli attacchi cibernetici, che potrebbero diventare l’arma decisiva nelle sorti di un conflitto armato. Sarà necessario inoltre rafforzare i sistemi di intelligence, con l’obiettivo di creare dei team di professionisti che sappiano valutare le reali capacità cyber di un determinato attore: nel caso russo, ad esempio, la maggior parte degli analisti politici aveva sovrastimato le capacità militari russe ed è possibile che lo stesso sia successo con le capacità cibernetiche attribuite a Mosca, che non è riuscita nel lungo periodo a causare danni significativi alle reti ucraine. Infine, stiamo assistendo a un significativo cambiamento strutturale di quelle che sono le front lines di uno scontro armato: non più solamente soldati con fucili impegnati al fronte, ma orde di hacker e informatici devono rappresentare ormai una priorità per i governi quando si discute di sicurezza nazionale. Investire in questa nuova tipologia di “addestramento” digitale può prefigurarsi dunque come la strategia madre per arrivare preparati alle guerre del futuro, che sono molto più prossime e vicine di quanto si creda.


Ucraina: la mobilitazione dei russi. Come leggere il discorso di Putin? (TeleTicino)

Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a TeleTicino (edizione del 21.09.2022, ore 18.25)

L’intervento del Direttore Claudio Bertolotti in apertura del TG TeleTicino News

Come dobbiamo leggere il discorso di Putin? 

La presa di posizione di Putin è coerente con quella di un leader sotto pressione che cerca di mantenere un equilibrio tra le istanze dei falchi intransigenti, il voler compiacere i militari, dare l’impressione di non perdere la guerra e la necessità di rafforzare il consenso interno che tende sempre più a essere precario e ad indebolirsi con il progredire della guerra in Ucraina.  Il presidente russo ha parlato della necessità di difendere i confini della Madrepatria presentando la guerra di aggressione in una guerra per la difesa della Russia, di fatto attribuendone la responsabilità agli ucraini e ai loro alleati occidentali, in primo luogo agli Stati Uniti e alla Nato. Di fatto Putin ha adottato un cambio di tono più che di retorica ribadendo il concetto di “difesa del popolo e della sovranità territoriale”, che è il tema ricorrente nella narrativa russa, e lo ha fatto nel tentativo di rafforzare una posizione politica che si è notevolmente indebolita.

Con i referendum di Putin cresce la minaccia di una guerra nucleare?

Quella di Putin è una scelta strategicamente cinica, quasi diabolica perché Le autoproclamate repubbliche autonome del Donbass, Lugansk e Donetsk, e le province di Kherson e Zaporizhzhia quando saranno annesse alla Russia, di fatto saranno territorio nazionale russo e dunque, qualunque azione militare contro di essi sarebbe considerata un’aggressione diretta a Mosca: una circostanza che, secondo la dottrina militare russa prevede l’impiego dell’arsenale nucleari per difendere “l’esistenza dello Stato, la sovranità e l’integrità territoriale del Paese”. Dunque ci troviamo di fronte a un’opzione molto pericolosa

Il discorso di stamattina mostra un Putin in difficoltà?

Putin è in oggettiva difficoltà, la Russia sta pagando un prezzo altissimo sia sul fronte ucraino, in termini di risorse umane e materiali, sia sul fronte interno dove si sta facendo ogni sforzo per contenere gli effetti deleteri di un’economia di guerra e di una finanza che sono di fatto fortemente limitate e che stanno avendo un impatto rilevante sulla quotidianità dei russi. Ora, a fronte di questa scelta di forza dobbiamo però prendere atto del fatto che – dal punto di vista della leadership russa – forse non c’erano molte altre alternative. Un passo indietro significherebbe ammettere la sconfitta e questo determinerebbe la fine politica di Putin. Da qui la necessità di aumentare la pressione, seguendo i consigli dei falchi del Cremlino, e tentare la carta della mobilitazione generale per la difesa dei confini che, tra qualche giorno, si estenderanno ai territori ucraini attualmente tenuti dalle forze russe.

C’è la famosa immagine del topo nell’angolo, non è rischioso avere Putin con le spalle al muro?

Un Putin con le spalle al muro è certamente lo scenario peggiore che potrebbe prospettarsi le cui conseguenze andrebbero ben oltre i confini ucraini. Putin in questo momento è in una posizione estremamente precaria e qualunque azione di forza che possa consentirgli di uscire dal pantano ucraino verrà perseguita. L’annessione via referendum e la minaccia nucleare sono un’opzione che Putin ha perseguito a causa della mancanza di tutte le opzioni a lui favorevoli: l’assenza di una vittoria lampo su Kiev, il mancato collasso delle forze armate ucraine, la divisione dell’occidente a supporto dell’ucraina. Putin non ha ottenuto nulla di tutto ciò, e dunque si prepara ad attuare l’unica opzione perseguibile, in alternativa alla sua non del tutto impossibile uscita di scena.

Settimana scorsa c’è stato il vertice di Samarcanda. E anche qui la Russia non sembra aver trovato appoggi incondizionati da parte di Cina e India.

L’india e la Cina sono state elegantemente perentorie nella presa di posizione nei confronti della guerra di Putin in Ucraina: Pechino ha negato la possibilità di aiuti militari alla Russia in Ucraina, tanto che si è parlato di richieste di Mosca alla Corea del Nord (per razzi e proiettili) e all’Iran (per i droni); e Nuova Dehli, storicamente molto vicina alla Russia, non ha lasciato adito a dubbi nell’affermare che questo non è il momento della guerra e la pace deve essere l’obiettivo primario. Dunque Putin, che guardava a Samarcanda come a un’occasione per cercare di rafforzare la propria posizione ha invece incassato un risultato molto più negativo di quanto non si aspettasse. È forse l’inizio di un isolamento che sino a poche settimane fa vedeva solo l’Occidente chiudere lo scambio commerciale e la collaborazione con Mosca ma che ora comincia a interessare anche quegli storici alleati e amici che dalla guerra sono toccati in termini economici, commerciali e finanziari.