Il suprematismo bianco e la sua diffusione
LIVE streaming con Andrea Molle – approfondimento storico-sociologico su ideologie e attività che si rifanno ai concetti del suprematismo bianco, dell’accelerazionismo e del survivalismo
LIVE streaming con Andrea Molle – approfondimento storico-sociologico su ideologie e attività che si rifanno ai concetti del suprematismo bianco, dell’accelerazionismo e del survivalismo
La parabola del conduttore radiofonico Alex Jones, fondatore del sito Infowars.
La video-analisi con Andrea Molle
di Andrea Molle
Chi critica l’accostamento tra la crisi nei rapporti tra Russia e Occidente, culminata nel conflitto in Ucraina, con la Guerra Fredda sostiene che la situazione attuale non abbia la forma di un conflitto tra due blocchi ideologici distinti e contrapposti. Si tratta di una conclusione affrettata e a mio avviso molto superficiale, che ignora la realtà e gli effetti di decenni di penetrazione nella società e nel sistema politico-militare russo di un apparato ideologico e pseudo-religioso chiamato Neo-Euroasianesmo. Il rischio principale nel non comprendere la dimensione ideologica della crisi è quello di guardare all’invasione dell’Ucraina come una mera guerra territoriale ed essere impreparati per gli scenari futuri che non potranno che vedere un aumento della tensione dei rapporti tra Occidente e Russia.
Nella sua versione originale, l’Euroasianesimo fu un movimento culturale e politico fondato sull’idea che la civiltà russa non fosse né europea né asiatica, ma piuttosto una civiltà euroasiatica a sé stante. Sviluppatosi negli anni ’20 del 1900, l’Euroasianesimo sostenne la rivoluzione bolscevica, ma non il suo obiettivo di realizzare nel paese il comunismo, vedendo l’Unione Sovietica unicamente come una tappa nel processo di ricostruzione dell’identità nazionale e imperiale russa che riflettesse il carattere unico della sua situazione geopolitica.
In seguito allo scioglimento dell’URSS, l’Euroasianesimo entrò in una fase pragmatica, abbracciando l’idea di costituire delle organizzazioni internazionali sul modello di quelle già esistenti in Europa e Nord-America e la cui funzione era di aumentare i rapporti tra Russia e Oriente, con particolare attenzione alla Cina. Tra queste vale la pena di menzionare l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e l’Unione Euroasiatica.
Unitamente a questa sua versione pragmatica, l’Euroasianesimo manteneva però una visione mistica. Il suo maggior esponente è il fondatore del Neo-Euroasianesimo, Aleksandr Gelyevich Dugin. Il filosofo politico, nato intellettualmente nel solco della corrente mistica e noepagana dell’Ortodossia cristiana moscovita, è ben conosciuto anche in Italia grazie ai suoi collegamenti con la cosiddetta “Lobby Nera” costituita da gruppi identitari e tradizionalisti di estema destra. La versione dughiniana dell’Euroasianesimo, detta anche Quarta Teoria Politica, è una forma di ideologia neo-fascista il cui progetto politico consiste nel ricostruire un Impero Eurasiatico totalitario, dominato dalla Russia, che si contrapponga agli Stati Uniti e dai suoi alleati atlantisti. Secondo Dugin, nella visione escatologica del movimento che abbonda di riferimenti biblici l’inevitabile conflitto tra i due blocchi finirebbe per dare vita a una nuova “età dell’oro dell’illiberalismo politico e culturale globale”, promuovendo un’era di pace universale e di riaffermazione dei principi religiosi, tradizionali, di convivenza tra gli uomini.
Non può dunque passare inosservato il fatto che Dugin consideri l’attuale conflitto ucraino come l’inizio della fase bellica del “confronto contro il globalismo come fenomeno planetario integrale”. Un conflitto che il filosofo ritiene essere sia geopolitico che ideologico e che vede essere una vittoria in tutti i paesi del mondo, inclusi Europa e Stati Uniti, di tutte le forze da lui definite come alternative, sia di destra che di sinistra, creando le condizioni per una nuova multipolarità. Infatti, nella visione Neo-Euroasiatica, come fu nella visione ideologica comunista, la Russia viene concepita come una civiltà destinata a salvare il mondo dal neoliberismo, riportando l’Occidente a riabbracciare le proprie radici tradizionali greco-romane, cristiane, bizantine, oggi incarnate dalla Russia in quanto erede sia dell’Impero Romano che del Sacro Romano Impero. Mosca incarnerebbe così l’eredità imperiare di Roma e conseguentemente il suo destino di grande unificatrice e civilizzatrice.
Ma quanto è diffusa e influente questa visione nel contesto del governo russo? Nel 1997 Dugin pubblicò un volume dal titolo “I fondamenti della geopolitica: il futuro geopolitico della Russia” che esercitò fin da subito un’influenza significativa sulle élite militari e di politica estera del paese diventanto ben presto uno dei libri di testo nelle accademie militari e di polizia del paese, anche grazie al supporto del Generale Nikolai Klokotov. Grazie all’assenza di riferimenti esoterici e mistici, presenti in molte delle sue opere precedenti, Dugin riuscì anche a far breccia nella società civile, e il libro fu anche adottato in diversi curriculum scolastici arrivando a contribuire a costruire l’attuale ceto dirigente russo e la percezione popolare del paese. Quanto a Putin, sappiamo che Dugin ha esercitato sia un’influenza diretta sul presidente russo, tramite il partito Eurasia fondato nel 2002, che una indiretta, tramite molti dei suoi consiglieri personali che seguono i precetti della Quarta Teoria Politica e la Chiesa Ortodossa Moscovita che ne ha abbracciato la visione teocratica.
La recente invasione dell’Ucraina potrebbe dunque essere coerente con una strategia basata sull’ideologia Neo-Euroasiatica patrocinata da Dugin per indebolire l’ordine liberale internazionale. Se così fosse, questa sarebbe dunque solo una fase in una guerra più ampia e destinata a protrarsi nel tempo irrigidendosi su linee ideologiche e pseudo-religiose.
Disponibile dal 24 febbraio, in italiano e inglese, su osservatorioreact.it e su startinsight.eu (link diretto): presentazione, in collaborazione con Formiche.net, giovedì 24 febbraio 2022 sul canale web di Formiche.
È disponibile dal 24 febbraio in formato digitale e cartaceo #ReaCT2022 – La Rivista, il 3° Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa, che offre al lettore uno studio sulla sua evoluzione, le sue tendenze ed effetti, attraverso un approccio quantitativo, qualitativo e comparativo. Curato dall’Osservatorio ReaCT, il documento è composto da 15 contributi d’analisi su jihadismo e altre forme di estremismo violento che caratterizzano il panorama attuale e che durante la pandemia hanno acquisito ulteriore forza e visibilità, proponendo nel contempo casi studio, prospettive e riflessioni volte a portare un contributo concreto e a intavolare un dialogo continuativo con tutte quelle realtà -accademiche e istituzionali- che si occupano della questione e delle sue problematiche pratiche. #ReaCT2022 vuole essere uno strumento utile messo a disposizione di operatori per la sicurezza, sociali ed istituzionali, di giornalisti, studenti e del più ampio pubblico.
I numeri del terrorismo jihadista. Come ogni anno, il Rapporto si apre con la fotografia aggiornata del terrorismo di matrice jihadista in Europa, grazie alle informazioni raccolte nel database di START InSight, curato da Claudio Bertolotti, direttore esecutivo di ReaCT. Se la violenza di matrice jihadista può essere considerata marginale in termini assoluti, rispetto cioè al totale delle azioni portate avanti da gruppi e militanti di varie ideologie, essa continua ad essere rilevante sia per le conseguenze, che per il numero di vittime. La minaccia rimane dunque significativa ed è rappresentata oggi in particolar modo dagli attacchi da parte di individui che agiscono in modo autonomo, indipendente, spesso senza un legame diretto con l’organizzazione terroristica ma mobilitati da narrative jihadiste globali.
Nel 2021 gli eventi jihadisti sono stati 18, in lieve flessione rispetto ai 25 attacchi dell’anno precedente ma con un aumento di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti: dal 48% del totale di azioni emulative nel 2020 al 56% nel 2021 (erano il 21% nel 2019). Il 2021 ha inoltre confermato la predominanza delle azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate e fallimentari che hanno progressivamente sostituito le azioni strutturate e coordinate caratterizzanti il “campo di battaglia” urbano europeo negli anni 2015-2017. Il terrorismo si conferma inoltre un fenomeno prevalentemente maschile: su 207 attentatori (dal 2014), il 97% sono uomini mentre l’età media è di 26 anni. Di rilievo negli ultimi anni è stato anche il ruolo di recidivi, attentatori già noti alle forze dell’ordine o con precedenti detentivi. Infine, va ricordato che anche quando fallimentare, un attacco terroristico ottiene un risultato favorevole che consiste nell’imporre costi economici e sociali alla collettività e nel condizionarne i comportamenti nel tempo. La limitazione della libertà dei cittadini è un risultato misurabile, che il terrorismo ottiene attraverso le proprie azioni: questo è il “blocco funzionale”, ottenuto nell’82% dei casi: un risultato che conferma il vantaggioso rapporto costo-beneficio a favore del terrorismo.
Estremismi violenti, radicalizzazione e casi studio. I contenuti del Rapporto. I contenuti complessivi del Rapporto 2022 spaziano dalla presentazione dei numeri e profili dei terroristi jihadisti in Europa, alla discussione sul Nuovo Terrorismo Insurrezionale (NIT), che trae ulteriore vigore e motivazione anche dal ritorno dei Talebani in Afghanistan; dall’esame del contesto sub-sahariano, dove operano organizzazioni jihadiste caratterizzate da una retorica globalista ma che restano profondamente connesse a dinamiche locali, all’impegno europeo nella prevenzione del radicalismo violento nei Balcani Occidentali; dai processi per terrorismo di cui si è occupato il Tribunale Penale Federale in Svizzera dal 2001 ad oggi, alle dinamiche delle comunità jihadiste online; dai nuovi orizzonti della radicalizzazione, che si sono allargati ulteriormente durante la pandemia e richiedono che si presti maggiore attenzione alle dinamiche di gruppo e ai problemi sociali collegati alla violenza; ai focus sull’estrema destra, l’anti-semitismo di ritorno, il cospirazionismo, il movimento NoVax; fino ai casi studio sul reinserimento sociale dei minori radicalizzati e la deradicalizzazione nel contesto neo-nazista, che mettono in evidenza anche l’approccio e il lavoro portato avanti dalle autorità italiane. Infine, il documento include considerazioni riguardo l’aggiornamento dei Terrorism Risk Assessment Instruments (TRA-I), che sono sviluppati con lo scopo di poter meglio valutare la minaccia rappresentata dai processi di radicalizzazione e dalle attività ad essi affini; riflessioni sugli scenari delle guerre future; la recensione del volume “Understanding radicalisation, terrorism and de-radicalisation. Historical, socio-political and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy”.
ReaCT nasce su iniziativa di una ‘squadra’ composta da esperti e professionisti della società svizzera di ricerca e produzione editoriale START InSight di Lugano, del Centro di ricerca ITSTIME dell’Università Cattolica di Milano, del Centro di Ricerca CEMAS dell’Università La Sapienza e della SIOI sempre a Roma. A ReaCT hanno anche aderito come partner Europa Atlantica e il Gruppo Italiano Studio Terrorismo (GRIST).
L’Osservatorio ReaCT è composto da una Direzione, un Comitato Scientifico di indirizzo ed editoriale, un Comitato Parlamentare e un Gruppo di lavoro permanente.
Tutte le informazioni sul sito www.osservatorioreact.it – info@startinsight.eu
In qualità di Direttore Esecutivo dell’Osservatorio ReaCT, ho l’onore di presentare #ReaCT2022, il 3° Rapporto sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo in Europa (www.osservatorioreact.it: vai al report #ReaCT2022 n. 3, Anno 3).
Il terrorismo si adatta, si evolve e viene condizionato da eventi che hanno la capacità di stimolare la condotta di azioni violente nel nome di un’ideologia che ne giustifica metodi, obiettivi e finalità. I trend del 2021 hanno evidenziato aspetti coerenti con le dinamiche degli ultimi anni e anticipato un possibile scenario per il 2022, che continuerà ad essere influenzato da due sviluppi che in modo diverso andranno ad allargare il panorama della minaccia. Da un lato, la pandemia di COVID-19, le cui conseguenze sociali saranno in grado di accrescere forme radicali eterogenee ed esaltare la violenza associata a movimenti complottisti e aderenti a ideologie estremiste; d’altro lato, la vittoria dei talebani in Afghanistan, il cui grande risultato si è imposto quale leit motiv della narrativa jihadista a livello globale.
I dati presentati in questa analisi provengono dal database di START InSight, che traccia i trend annuali per ciò che riguarda il terrorismo jihadista in Europa. In generale, l’Occidente guarda oggi con preoccupazione all’esaltazione jihadista, dall’Africa all’Afghanistan. Lo Stato Islamico non è più in grado di dirigere terroristi verso l’Europa poiché la perdita di territorio, risorse finanziarie e reclute ha ridotto notevolmente le sue capacità operative. La minaccia comunque rimane significativa ed è dovuta alla disponibilità e alle azioni di lone actors e self-starters senza un legame diretto con l’organizzazione ma mobilitati da narrative jihadiste globali. I rischi connessi agli attacchi emulativi sono alti: il 56% degli eventi nel 2021 rientra in questa categoria, secondo il database di START InSight. Il trend è in aumento. Negli ultimi tre anni, da un punto di vista quantitativo, la frequenza degli attacchi terroristici è rimasta lineare. Secondo Europol, 43% sono attribuiti a movimenti della sinistra radicale, il 24% a gruppi separatisti ed etno-nazionalisti, il 7% a gruppi di estrema destra, il 26% sono azioni di matrice jihadista. Se la violenza jihadista è marginale in termini assoluti, tuttavia continua ad essere la più rilevante per le conseguenze e il numero di vittime. Il database di START InSight ha registrato 18 eventi jihadisti in Europa nel 2021.
Nonostante la Svizzera non abbia subito attacchi su vasta scala come quelli che hanno colpito altre nazioni europee nell’ultimo decennio, il fenomeno della violenza politico-ideologica di matrice jihadista è tuttavia presente. Dal 2004 al novembre 2021, il Tribunale Penale Federale si è occupato di un totale di 17 procedimenti penali legati al terrorismo jihadista. Ahmed Ajil rileva che la maggior parte di questi ha avuto luogo dopo lo scoppio della guerra civile siriana e la conseguente espansione territoriale del gruppo Stato Islamiconel giugno del 2014. L’attività ha avuto luogo principalmente nell’ambito digitale, mentre gli atti “concreti” sono consistiti in tentativi di recarsi in aree di conflitto o attività legate ai combattimenti all’estero.
Come rilevano Enrico Casini e Luciano Pollichieni, dagli anni duemila sono emerse in Africa numerose organizzazioni jihadiste caratterizzate da una retorica globalista ma che restano profondamente connesse a dinamiche locali, sia di carattere politico, etnico o di natura criminale, con il coinvolgimento in traffici illeciti di diverso tipo (dal contrabbando alla tratta di esseri umani alla pirateria). In virtù della contiguità con il Mediterraneo, le vicende socio-politiche e l’instabilità generata dai gruppi jihadisti in Africa, hanno un effetto immediato sulla sicurezza di tutta la regione, come dimostrato dalle diverse crisi migratorie degli ultimi anni.
Le comunità virtuali che avevano preso avvio sotto forma di estensioni dirette di un’organizzazione specifica come il gruppo terrorista Stato islamico, suggerisce Michael Krona, si intrecciano progressivamente con degli orientamenti ideologici più ampi, piuttosto che trasmettere esclusivamente la propaganda ufficiale dell’organizzazione terroristica. Chiara Sulmoni sottolinea come l’ecosistema dell’estremismo violento sia oggi caratterizzato da forte competizione ma anche da maggiore esposizione a strategie e narrative di gruppi diversi. I profili di radicalizzati e terroristi sembrano spesso rivelare una propensione alla violenza piuttosto che una solida convinzione ideologica. L’autrice ritiene utile prestare attenzione agli aspetti sociologici e psicologici insiti nei processi di radicalizzazione, con l’obiettivo di migliorare la prevenzione.
A riguardo del fenomeno osservato nei Balcani occidentali, rileva Matteo Bressan che la prevenzione della radicalizzazione che conduce all’estremismo violento e al terrorismo è una priorità fondamentale per gli Stati membri dell’Unione europea. In questo senso, la Commissione, da un lato, sosterrà la regione nella prevenzione e nella lotta a tutte le forme di radicalizzazione; dall’altro lato, la Commissione mobiliterà le competenze dei professionisti nell’ambito della rete di sensibilizzazione in materia di radicalizzazione (RAN) per sostenere il lavoro di prevenzione e facilitare gli scambi tra professionisti.
La propaganda jihadista e in genere le ideologie estremiste hanno come target anche i minori di 18 anni, che possono essere coinvolti in vario modo come vittime inconsapevoli delle scelte degli adulti (in genere, i genitori) o come destinatari diretti di un’ideologia che sfrutta il loro bisogno di appartenenza. Nel suo case study Alessandra Lanzetti spiega che la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione (DCPP) della Polizia di Stato ha maturato una forte esperienza in questo campo, sperimentando un protocollo di intervento sui child returnee, improntato a criteri di tempestività e multi-disciplinarietà.
Il fenomeno NoVax rappresenta la punta di lancia del complottismo militante che sta rapidamente sostituendo il radicalismo religioso come prima causa di preoccupazione per la sicurezza nazionale. Nel suo contributo, Andrea Molle ne analizza alcuni elementi di base mettendone in luce il rischio di radicalizzazione di massa. Mattia Caniglia spiega come una delle tendenze più preoccupanti del 2021 sia stato l’aumento dell’attrazione esercitata dall’estremismo violento di destra sulle generazioni più giovani. Tale sviluppo è probabilmente legato al fatto che la propaganda estremista di destra viene diffusa principalmente online e che le piattaforme di gioco sono sempre più utilizzate per diffondere narrative estremiste e terroristiche. Le evidenze emerse dalle indagini e dalle attività di ricerca degli ultimi anni suggeriscono come, in alcuni casi, gruppi estremisti di destra abbiano la tendenza a emulare gruppi estremisti di matrice islamista per quanto attiene a tecniche di reclutamento, modi operandi e strategie di propaganda. Inoltre, attacchi terroristici di alto profilo, siano questi di matrice islamista o di estrema destra, sembrano aver acquisito la potenzialità di aumentare il rischio di processi di radicalizzazione reciproca, attivando una “dinamica a ciclo continuo”.
Una somiglianza che, come evidenzia Luca Guglielminetti, porta ad adottare analoghi strumenti di recupero e sostegno all’abbandono della violenza. In tale quadro si inserisce un persistente e diffuso sentimento antisemita; Sarah Ibrahimi Zijno pone in evidenza la estrema e facile diffusione di punti di vista sostanzialmente antisemiti nelle destre alternative americana ed europea, in particolare nella parte ex comunista del continente, e il sostanziale avvicinamento di certa stampa orientata a sinistra verso il medesimo algoritmo complottista già della destra alternativa, con il silenzioso progressivo abbandono della distinzione – già di per se fragile e discutibile – tra antisionismo e antisemitismo.
Negli utimi anni, con l’avanzare in Europa e negli Stati Uniti di forme di estremismo più o meno organizzato di estrema destra e di suprematismo bianco, rileva Barbara Lucini, i Terrorism Risk Assessment Instruments (TRA-I) sono oggetto di una nuova riflessione rispetto alla loro capacità adattativa, di resilienza e di valutazione efficace dei molteplici e variegati percorsi di radicalizzazione ai quali si sta assistendo.
Per finire, uno sguardo alle «guerre future»: nella sua analisi, Marco Lombardi condivide le sue riflessioni su alcuni aspetti emergenti del warfare, dell’intelligence e del ruolo del terrorismo. Lo scenario della guerra futura sembra sottolineare il mantenimento, anzi il rafforzamento delle modalità operative del terrorismo di questi ultimi anni, che ha trovato il suo successo proprio per la capacità di penetrazione comunicativa e per l’utilizzo innovativo (cioè sorprendente) delle tecnologie. Sembra quasi che il terrorismo del primo ventennio del nuovo secolo abbia sperimentato le nuove opportunità del warfare, che poi si sono consolidate in pratiche diffuse tra tutti gli attori in conflitto. In conclusione, Andrea Carteny e Elena Tosti Di Stefano hanno recensito per noi “Understanding radicalisation, terrorism and de-radicalisation. Historical, socio-political and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy”, a cura di M. Brunelli.
Grazie a tutti gli Autori che, con il loro encomiabile lavoro, hanno contribuito ancora una volta alla realizzazione di #ReaCT2022. Un ringraziamento speciale va all’Editore Chiara Sulmoni, Presidente di START InSight, che ha consentito la pubblicazione e la distribuzione internazionale del nostro rapporto annuale.
Scarica il volume completo: #ReaCT2022 n. 3, Anno 3.
Claudio Bertolotti (ITA), Introduzione del Direttore: I terrorismi tra pandemia, disagio sociale ed esaltazione jihadista
Claudio Bertolotti (ITA), Terrorismo jihadista in Europa: minaccia lineare in evoluzione e partecipazione individuale
Ahmed Ajil (ITA), Due decenni di processi per terrorismo. Una panoramica dei casi di cui si è occupato il Tribunale Penale Federale svizzero dall’11 settembre 2001
Claudio Bertolotti (ITA), Dall’Afghanistan, alla Siria, al Sahel: il virus di un “Nuovo Terrorismo Insurrezionale” (NIT). È rivoluzionario, sovversivo, utopistico e guarda a Occidente
Enrico Casini, Luciano Pollichieni (ITA), Califfi, traffici e malcontento: convergenze e prospettive del terrorismo jihadista in Africa Subsahariana
Michael Krona (ITA), Le comunità jihadiste online costruiscono i loro brand ed espandono l’universo terrorista creando nuove entità
Chiara Sulmoni (ITA), I nuovi orizzonti della radicalizzazione
Alessandra Lanzetti (ITA), Caso studio – I minori radicalizzati: il modello italiano, tra tutela della sicurezza e reinserimento sociale
Matteo Bressan (ITA), Il contributo europeo alla prevenzione del radicalismo violento nei Balcani Occidentali
Barbara Lucini (ITA), I TRA-I e i processi di radicalizzazione: considerazioni attuali e prospettive future
Mattia Caniglia (ITA), L’estremismo violento di destra nel 2021: una minaccia crescente per l’Europa?
Sarah Ibrahimi Zijno (ITA), Nuovi antisemitismi: principali fattori e tendenze dopo la pandemia
Luca Guglielminetti (ITA), Caso studio – Estremismo neonazista e de-radicalizzazione: il primo caso studio in Italia
Andrea Molle (ITA), Il complottismo dalla cultura pop alla militanza violenta: il pericolo NoVax
Marco Lombardi (ITA), Guerre future: la nuova centralità dell’intelligence e la ridefinizione dello spazio cibernetico
Andrea Carteny, Elena Tosti Di Stefano (ITA), Recensione – Understanding radicalisation, terrorism and de-radicalisation. Historical, socio-political and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy. M. Brunelli (a cura di).
Ogni settimana il team di START InSight commenta fatti d’attualità e temi all’ordine del giorno, segnala ricerche e letture, dialoga con ospiti esterni.
I temi di questa puntata
Aggiornamenti sulla lotta all’estremismo online (a cura di Chiara Sulmoni)
Fenomeno NO-VAX: esistono frange a rischio sovversione? (a cura di Andrea Molle)
Crisi politica e istituzionale in Tunisia (a cura di Claudio Bertolotti)
Afghanistan: i talebani ospiti del governo cinese (a cura di Claudio Bertolotti)
La Grande Strategia e il futuro della competizione USA-Cina, presentazione dello studio di Niccolò Petrelli edito da START InSight con Europa Atlantica
Tunisia: colpo di stato fatto o prevenuto? (di Claudio Bertolotti)
Il congelamento delle attività parlamentari, la sospensione del governo e il licenziamento del primo ministro imposti dal Presidente Kais Saied il 25 luglio hanno aperto le porte ad una crisi politica e istituzionale che, a sua volta, affonda le radici in una profonda crisi economica, sanitaria e sociale che il governo sostenuto dal principale gruppo politico di maggioranza, il partito islamista Ennhada, non solo non ha saputo risolvere ma ha accentuato a causa di incapacità, accuse di corruzione e mancata promessa di un riassetto strutturale della macchina statale. Insomma, il governo tunisino si è dimostrato incapace e il malcontento generale nei confronti delle istituzioni è cresciuto portando il paese, e i suoi cittadini, al limite.
Saied ha così sospeso il parlamento concentrando a se più ampi poteri, così come previsto dall’art. 80 della costituzione tunisina, e lo ha fatto approfittando del crescente malcontento e sfiducia nei confronti delle forze politiche al potere – in primis Ennahda, ormai percepito da una parte della popolazione come un partito personale, conservatore e non riformatore oltre che pericolosamente legato ai “Fratelli musulmani” il cui progetto politico preoccupa molto i paesi dell’area mediterranea e che pericolosamente l’Europa ancora non coglie come minaccia sociale. Ennhada, prima intenzionata a reagire in maniera energica, ha poi optato per accettare lo stato delle cose in attesa delle prossime mosse politiche del presidente che, per prima cosa, dovrà procedere alla nomina del prossimo primo ministro.
In questa situazione sarebbe opportuno un intervento diretto dell’Unione Europea in termini di supporto alla Tunisia, al fine di prevenire qualunque deriva, certamente di natura politica, ma principalmente sociale.
Incontro Cina-talebani: quale sorpresa? (di Claudio Bertolotti)
L’incontro della delegazione talebana guidata dal mullah Baradar non è una sorpresa ma rientra in un consolidato percorso diplomatico che ha interessato informalmente la Cina e i talebani fin dall’inizio dell’occupazione statunitense. Nel maggio 2015 ha avuto luogo il primo incontro ufficiale tra le due parti e da allora le occasioni di dialogo si sono fatte sempre più numerose.
E questo perché, da un lato i talebani guardano agli attori regionali come partner e per un riconoscimento internazionale.
E dall’altro lato, i cinesi osservano l’Afghanistan con grande interesse per una serie di motivi e i talebani possono far sì che gli interessi cinesi siano tutelati oppure no. Quali sono i motivi per i quali i cinesi sono disposti a dialogare con i talebani?
Il primo è la ricerca cinese di un’area di influenza da sottrarre agli Stati Uniti e che, in un’ottica di competizione con l’India, consenta a pechino di avere una continuità territoriale che dal Pakistan all’Afghanistan consenta di creare un ponte commerciale diretto con l’Iran e la Russia.
Il secondo è un più ampio margine di manovra nella tutela degli interessi legati alla nuova via della seta che ha una diramazione in Pakistan e garantisce uno sbocco marittimo a sud: e un Afghanistan sicuro è una garanzia per gli investimenti cinesi.
Il terzo motivo è di sicurezza interna della Cina, legata alla politica repressiva della comunità musulmana uigura. Il rischio è che i talebani possano ospitare e incentivare i gruppi jihadisti uiguri ed è per questo che la Cina ha chiesto di agire con determinazione e in qualunque modo per eliminare i gruppi di uiguri presenti in Afghanistan, in particolare il gruppo ETIM.
Infine, il quarto è un motivo strategico di natura economica: la Cina detiene la maggior parte dei diritti estrattivi dal sottosuolo afghano e l’Afghanistan è una miniera a cielo aperto di minerali preziosi e minerali rari, strategicamente importanti per l’economia cinese che avrebbe accesso diretto a una ricchezza dal valore potenziale di 3 triliardi di dollari. Ma l’Afghanistan deve essere stabilizzato per consentire l’accesso cinese all’area, e qui entrano in gioco i talebani.
I talebani hanno garantito ai cinesi che l’Afghanistan non sarà utilizzato da gruppi per colpire altri stati. Ma sono gli stessi talebani che pochi mesi fa hanno garantito agli Stati Uniti che avrebbero cessato le violenze
per dialogare con il governo afghano. Non dobbiamo farci illusioni, ne essere sorpresi per l’interesse che i cinesi hanno per l’Afghanistan.
Il 15 luglio 2021 ha preso avvio il nuovo programma in LIVE streaming di START InSight. Ogni settimana commentiamo fatti d’attualità e temi all’ordine del giorno, segnaliamo letture e film, dialoghiamo con i nostri ospiti. Le dirette saranno in lingua italiana e inglese.
Nella prima puntata ci siamo occupati dell’Afghanistan, sul quale terremo accesi i riflettori in maniera permanente fino all’anniversario degli attentati dell’11 settembre, che hanno segnato in modo determinante la storia di questo paese negli ultimi venti anni, con l’avvio della lunga missione militare internazionale che volge adesso al termine. Avremo occasione di guardare da molte angolature diverse a questo paese che si trova davanti a una svolta importante, difficile e delicata.
Il nostro direttore Claudio Bertolotti, autore di Afghanistan Contemporaneo – Dentro la guerra più lunga (Ed. START InSight) ha fatto il punto di una situazione che si evolve rapidamente all’indomani della smobilitazione degli eserciti della coalizione internazionale, soffermandosi sul rischio di un ritorno alla guerra civile.
Il nostro Senior Research Fellow Andrea Molle dalla California ci ha aggiornato sull’evoluzione del movimento cospirazionista QAnon, che continua a preoccupare le agenzie di sicurezza americane, e sulla discussione attorno alla nuova strategia anti-terrorismo dell’amministrazione Biden.
Alle ore 14 del 28 aprile 2021 la Commissione Affari costituzionali, nell’ambito dell’esame congiunto della proposta di legge recante “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista”, e della proposta di legge recante “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni di estremismo violento o terroristico e di radicalizzazione di matrice jihadista”, ha svolto, in videoconferenza, l’audizione di Claudio Bertolotti, Direttore di START InSight e delll’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT).
Presidente, Signore/i Onorevoli buon pomeriggio e grazie per questo invito
Seguo da tempo il dibattito su una legge per la prevenzione e il contrasto del terrorismo ideologico, e posso dire di aver ben analizzato e sostenuto la necessità dei testi di legge oggi in discussione:
Sulla base della mia esperienza, confermo, come già fatto in altre sedi, l’opportunità di proseguire nella direzione intrapresa dal Parlamento in tema di prevenzione e contrasto ritenendo quelle fatte, proposte coerenti con quello che è l’attuale quadro relativo al fenomeno della radicalizzazione, della manifestazione violenta di matrice jihadista e del terrorismo di matrice ideologica in senso più ampio.
E lo faccio focalizzando il mio contributo di pensiero sui numeri del terrorismo europeo:
Dei quasi 500 attacchi terroristici, compresi quelli falliti e sventati, registrati nell’Unione Europea il 63% sono attribuiti a gruppi separatisti ed etno-nazionalisti, il 16% a movimenti della sinistra radicale (in aumento, in particolare in Italia, paese più colpito), il 2,8% a gruppi di estrema destra (in diminuzione nel 2019; in aumento nel 2020), il 18% sono azioni di matrice jihadista. Sebbene gli atti riconducibili al jihadismo siano una parte marginale, sono però causa di tutte le morti per terrorismo nel 2019 e di 16 uccisioni nel 2020.
L’onda lunga del terrorismo in Europa, emerso con il fenomeno “Stato islamico” a partire dal 2014, ha fatto registrare 147 azioni in nome del jihad dal 2014 ad oggi: 189 i terroristi che vi hanno preso parte (59 morti in azione), 407 le vittime decedute e 2.421 i feriti (database START InSight).
Nel 2020 gli eventi sono stati 25, contro i 19 dell’anno precedente e con un raddoppio di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri precedenti attacchi nei giorni precedenti: sono il 48% del totale le azioni emulative nel 2020 (erano il 21% l’anno precedente). E ciò evidenzia il rischio di “reazioni a catena” che possono conseguire dalla condotta di singole azioni terroristiche.
Due gli aspetti rilevanti emersi dall’analisi dell’ultimo quadriennio:
1. Cresce il numero di terroristi recidivi – soggetti già condannati per terrorismo che compiono azioni violente a fine pena detentiva e, in alcuni casi, in carcere: dal 3% del totale dei terroristi nel 2018, al 7% (2) nel 2019, al 27% (6) nel 2020. Ciò conferma la pericolosità sociale di soggetti che, a fronte di una condanna detentiva, non abbandonano l’intento violento ma lo posticipano; un’evidenza che suggerisce l’aumento della probabilità di azioni terroristiche nei prossimi anni, in concomitanza con la fine della pena dei molti terroristi attualmente detenuti.
2. A fronte di una partecipazione al terrorismo di soggetti nati e cresciuti in Europa (prime e seconde generazioni e comunque immigrati regolari) del periodo 2014-2018, è stato verificato l’aumento del numero di immigrati irregolari tra i terroristi con ciò suggerendo un rischio potenziale di collegamento tra il terrorismo e l’aumento dei migranti irregolari. Nel 2020 il 20% dei terroristi sono immigrati irregolari. In Francia è aumentato il ruolo degli irregolari nella condotta di azioni terroristiche: se fino al 2017 nessuno degli attacchi era stato condotto da immigrati irregolari, nel 2020 il 40% dei terroristi è un irregolare.
Infine, una considerazione sulla minaccia emergente del terrorismo associato a gruppi di estrema destra e cospirazionisti:
La violenza ideologica associata alla destra radicale è un fenomeno che sta fermentando da tempo e che negli ultimi anni si è manifestato in maniera concreta, come dimostrano i fatti di Capitol Hill negli Stati Uniti e gli eventi secondari associati al movimento QANon che si sono imposti in molti paesi europei, compresa l’Italia. Ad oggi gli attacchi terroristici associati all’estrema destra rappresentano meno del 3% del totale ma con un aumento progressivo registrato negli ultimi due anni.
QAnon desta serie preoccupazioni tra gli analisti per la velocità con la quale si diffonde. Inoltre, come evidenziato dal Prof. Andrea Molle nelle sue analisi sul fenomeno, esso ha già mostrato negli Stati Uniti il potenziale per azioni di stampo terroristico. Si consiglia pertanto un monitoraggio dei social media associati a tale movimento in Italia e di stabilire una rete di collaborazioni con istituzioni pubbliche e private che già si occupano di questo fenomeno in Europa come negli Stati Uniti.
Insieme agli analisti dell’Osservatorio che dirigo, rimango a vostra disposizione.
fonte sito web della Camera dei Deputati – Parlamento Italiano
Analisi diffusa in anteprima da ASIS Italy Chapter
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Il cospirazionismo militante rappresenta sempre più un rischio per la sicurezza. Il motivo principale consiste nella facilità di diffusione nei sistemi politici, unitamente alla tendenza a provocare turbative dell’ordine pubblico e al sempre più evidente consolidamento dei legami con il mondo dei movimenti terroristici dell’estrema destra grazie alla sua struttura organizzativa cell-style.
In America la penetrazione del cospirazionismo militante nella società è ormai data per scontata dagli analisti come elemento sempre più dominante anche dell’agenda politica, grazie anche alla capacità di molti gruppi di fare proseliti tra le forze dell’ordine, i militari e infine direttamente nella classe politica, mentre in Europa è un fenomeno più recente che per adesso non mostra lo stesso grado di penetrazione istituzionale ma che in soli tre anni ha già dimostrato un notevole potenziale di radicalizzazione. Storicamente questo fenomeno, che si distingue dal semplice atto di credere in alcune teorie cospirazioniste, deve gran parte della sua trazione alla nascita del movimento americano della alt-right, preceduto da fenomeni mediatici come InfoWars, lanciato nel 1999 da Alex Jones, e si colloca approssimativamente nel 2009, a partire cioè dalla nascita del Tea Party a seguito dell’ultima Grande Recessione (2007/08). Tuttavia, è con le elezioni presidenziali del 2016 che il cospirazionismo militante, grazie al movimento QAnon e figure di riferimento come Steve Bannon, inizia ad assumere un ruolo di primo piano nella vita sociale e politica mondiale arrivando a un punto che oggi desta serie preoccupazioni a causa delle azioni di molti suoi membri. Il pericolo rappresentato dal cospirazionismo militante si colloca prevalentemente su tre livelli.
Prima di tutto la sua penetrazione politica. Diversi movimenti extraparlamentari e think tank, quelli che da sempre orientano il voto della galassia identitaria e militante verso l’estrema destra, da tempo riprendono e amplificano i messaggi del cospirazionismo militante e in alcuni casi ne sono diretti promotori. Accade dunque che per raccogliere consenso i partiti ufficiali rilancino, anche inavvertitamente, quegli stessi temi, soprattutto sui social media. Quasi sempre ciò avviene in quanto la semplicistica retorica cospirazionista ha un grande successo mediatico e un immediato ritorno di consenso. Tuttavia, nel farlo, i partiti si espongono al rischio di associarsi ad un movimento e una cultura politica estremamente pericolosi e, soprattutto, al rischio di essere infiltrati dai suoi esponenti con conseguente aumento della possibilità che in futuro il policy making venga basato su premesse non fattuali, ma anche un aumento del pericolo di connivenza con potenze ostili che sfruttano il cospirazionismo militante come strumento di politica estera (come ad esempio nel caso del memetic warfare).
In secondo luogo, l’aumento di disordini pubblici. In Nord America, l’aumento di azioni violente associabili al cospirazionismo militante ha portato diverse agenzie Statunitensi e Canadesi ad inserire diversi gruppi nelle liste che raccolgono le organizzazioni criminali e/o terroristiche. Tuttavia, la mancanza di un’organizzazione definita e strutturata, con mandanti identificabili, rende estremamente difficile controllare i militanti cospirazionisti. In molti casi si tratta infatti di individui che aderiscono semplicemente ai contenuti del cospirazionismo e ne sfruttano l’ideologia, ma operano in modo autonomo o tramite loose ties con organizzazioni strutturate. In questo caso il rischio consiste nell’incremento di aggressioni o reati classificabili come hate crimes. In altri, il fenomeno si presenta in modo più strutturato, come nel caso dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio scorso o del prevedibile aumento di disordini durante manifestazioni pubbliche.
Infine, il terrorismo. Diversi analisti considerano come molto elevato il rischio di una radicalizzazione di massa, soprattutto tra le fasce giovani e meno istruite della popolazione, causata dal cospirazionismo militante. Ciò è dovuto al carattere interattivo, molto appagante, dei suoi contenuti cospiratori e ai continui riferimenti alla letteratura di genere fanta-politico che rendono l’esperienza di fruizione di contenuti estremamente avvincente. Per diffondersi, il cospirazionismo sfrutta meccanismi di coinvolgimento tipici dei videogiochi ARG (alternate reality game) creando una comunità simile alle esperienze LARP (live action role-playing game) che permette ai partecipanti di sviluppare la propria militanza attiva. Il suo fascino è di tipo pseudo-religioso in cui il messaggio è strutturato come una teologia in cui predomina la componente escatologica, che si riassume ad esempio nella guerra cosmica contro il deep state. Il controllo esercitato da diversi gruppi cospirazionisti sui loro membri, l’incapsulamento sociale, è così pervasivo da far perdere loro la distinzione tra la realtà e la fantasia. Il fallimento della profezia relativa alla rielezione di Donald Trump alla presidenza americana ha attivato meccanismi di razionalizzazione che fanno inoltre presagire una prossima escalation violenta. L’analisi dei social networks e dei repost evidenzia come il cospirazionismo militante si stia integrando nel mondo del suprematismo bianco e dell’estremismo di destra nel quale alcuni suoi membri hanno una funzione di vero e proprio front. Ovviamente, non è lecito sostenere che tutti i militanti cospirazionisti siano coinvolti con gruppi più o meno violenti di estrema destra, come gli Oath Keepers, i Boogaloo Bois, i Proud Boys e, anche, con organizzazioni terroristiche neonaziste come la Atomwaffen Division. Si tratta di una minoranza, ma per molti è un’evoluzione naturale soprattutto se in cerca di un’esperienza più militante. Inoltre, sono gli stessi movimenti estremisti a usare i networks cospirazionisti per portare nuovi membri alla loro causa pescandoli, ad esempio, tra i fan delusi di QAnon o tra gli espulsi da gruppi sciolti dalle autorità. Questi individui sembrano costituire un bacino di reclutamento ideale dell’estrema destra che potrebbe, con poco sforzo e in breve tempo, incrementare esponenzialmente i propri ranghi con individui facilmente indottrinabili. In questo caso il rischio sembra essere rappresentato da possibili attacchi ad infrastrutture e altri obiettivi sensibili, notoriamente esposti all’azione di singoli individui radicalizzati (lone wolves) che magari operano al loro interno. Non va inoltre dimenticato che spesso questi individui posseggono capacità tecniche e, in alcuni casi, hanno prestato servizio nelle forze armate. Un primo esempio lo si è avuto già pochi giorni fa nello Stato della Florida, dove un’attacco hacker alla rete idrica della città Oldsmar, con l’obiettivo di avvelenarne le acque potabili, è stato fortunatamente sventato.
In conclusione, l’azione deve essere indirizzata prima di tutto a comprendere questo nuovo fenomeno e, in seconda battuta, a contrastare le condizioni in cui si sviluppa. Relativamente al problema politico, è necessario sensibilizzare le direzioni dei partiti sulla necessità di ridurre l’ambiguità del proprio messaggio e impedire ad elementi cospirazionisti di conseguire posizioni di potere all’interno delle loro strutture organizzative. Relativamente ai disordini e alle attività criminali è necessario intervenire sia monitorando i gruppi cospirazionisti militanti, formali e informali, sciogliendoli laddove necessario, che prevedendo percorsi legali consoni volti a disincentivare l’attività criminale. Infine, relativamente al terrorismo, è necessario affrontare il problema del cospirazionismo militante imparando dall’esperienza del radicalismo islamista sia sotto il profilo operativo, degli interventi di contrasto che, soprattutto, nelle attività di prevenzione e de-radicalizzazione.
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di Flavia Giacobbe, Direttore di Formiche e Airpress
Pandemia, crisi, vaccini e rilancio. I grandi riflettori della politica e dell’opinione pubblica si concentrano ormai da mesi sull’emergenza Covid-19. Eppure, latenti ma concrete, continuano a premere sull’Europa (e non solo) altre minacce: il terrorismo, il radicalismo jihadista e varie forme di estremismo. A inizio gennaio, l’assalto al Campidoglio americano ha scosso il mondo. Un attacco al cuore della democrazia a stelle e strisce che ritenevamo impensabile, perpetuato grazie a movimenti come l’ormai nota organizzazione cospirazionista QAnon. Dimostra quanto la minaccia sia reale e quanta attenzione meriti, anche oggi che altri temi e altre urgenze hanno scalato le classifiche dell’attenzione pubblica. Il tema principale è come trattare questi rischi, mettendo in campo misure efficaci di prevenzione che consentano di anticipare i processi di radicalizzazione prima che si manifestino. Prima cioè che si trasformino in violenza tangibile, come quella alla quale abbiamo assistito a Capitol Hill.
Ma il terrorismo che continua a spaventare di più è quello jihadista, una sfida che vede l’Europa in prima linea sia per la vicinanza a zone di guerra, sia per la presenza di numerosi foreign fighters rientrati dalle zone di scontro. Tra i dati del rapporto ReaCT 2021, ce ne è uno che colpisce particolarmente: il 20% dei terroristi che ha agito lo scorso anno è riconducibile a immigrati irregolari. Ciò manifesta come la prevenzione sia inevitabilmente legata a doppio filo con le politiche migratorie, con il coordinamento tra partner europei e con il dialogo con i Paesi di origine e transito. Dimostra altresì che, quando si parla di terrorismo, è imprescindibile avere chiaro il quadro geopolitico, in continua evoluzione, che circonda il nostro Paese e l’Europa. Le ceneri dello Stato islamico in Siria e Iraq hanno lasciato molti interrogativi sul campo, primo su tutti lo spostamento o il rimpatrio di combattenti, fenomeno a cui non può non corrispondere un coordinamento internazionale. La via dei Balcani resta all’attenzione delle autorità, in particolare il Kosovo, da cui provenivano la maggior parte dei combattenti confluiti in Siria e nel quale, l’Italia ha un ruolo di primo piano, anche grazie alla guida della missione Nato Kfor.
Entro i confini nazionali, la minaccia è stata ben illustrata nelle ultime relazioni annuali della nostra Intelligence. Oltre a mettere in guardia la politica circa i rischi jihadisti che possono minare la sicurezza della Repubblica, hanno evidenziato di recente anche i rigurgiti di estrema destra. Un trend da attenzionare, contrario ai dati europei che invece mostrano una prevalenza del fenomeno legato all’estrema sinistra. Nel complesso, un impulso importante alla de-radicalizzazione può venire dal nostro Parlamento. Nella scorsa legislatura, dopo un iter molto travagliato, la proposta di legge Manciulli-Dambruoso è passata soltanto alla Camera. Ciò ha sicuramente fatto perdere un’occasione al Paese di avere, nel momento di maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica, uno strumento normativo idoneo a contrastare e prevenire il fenomeno del terrorismo. Nella nuova legislatura, si è rimesso in cantiere il testo, e l’auspicio non può che essere per un iter condiviso tra le varie forze politiche, nel comune intento di dotare il Paese di strumenti più efficaci e lungimiranti per combattere cause e diffusione di una minaccia tutt’altro che scomparsa. Il dialogo tra politica, esperti e servizi di sicurezza resta naturalmente la chiave per ottenere buoni risultati. A tal fine, il rapporto ReaCT 2021 si dimostra un utile strumento di lavoro, una bussola con cui orientarsi per comprendere il fenomeno, le sue radici ed evoluzioni.
Per questo, Airpress e Formiche hanno scelto di coeditare la seconda edizione del rapporto, così da contribuire, nel loro piccolo, a mantenere vivo l’interesse dei decision makers su un tema che incide sensibilmente sulla sicurezza di ciascuno di noi.