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Le rivolte a Los Angeles e il nuovo fronte della guerra irregolare

di Andrea Molle, dagli Stati Uniti

La guerra irregolare (Irregular Warfare, IW) è comunemente intesa come un conflitto in cui la posta in gioco non è necessariamente il controllo del territorio o la superiorità militare convenzionale, bensì la legittimità, l’influenza e il controllo delle popolazioni. Tradizionalmente associata a insurrezioni, tattiche di guerriglia e attori non statali, la guerra irregolare si è evoluta in forme sempre più complesse e ibride, specialmente all’interno delle società democratiche. Se osservata attraverso questa lente contemporanea, le tensioni che si stanno sviluppando a Los Angeles tra gli “Angelinos”, le autorità locali e il governo federale possono essere interpretate come una forma domestica di guerra irregolare.

Al centro del conflitto vi è una lotta fondamentale per la legittimità e la sovranità. Los Angeles, come altre “giurisdizioni santuario”, ha attivamente sfidato l’applicazione delle leggi federali sull’immigrazione, ha rifiutato di cooperare con alcune direttive del Dipartimento per la Sicurezza Interna (DHS) e si è opposta a iniziative di controllo del crimine percepite come ingiuste o discriminatorie. Queste azioni non riflettono semplicemente divergenze politiche, ma una lotta ideologica più profonda su chi ha il diritto di governare e in che modo. Affermando norme di governance locali in contrasto con i mandati federali, Los Angeles mette in discussione la supremazia del governo federale sul proprio territorio—un comportamento strategico che richiama quello degli attori irregolari intenzionati a delegittimare l’autorità centrale.

Fondamentale è l’impiego di metodi asimmetrici. Invece di una resistenza armata, le autorità di Los Angeles utilizzano strumenti di guerra legale (“lawfare”), resistenza burocratica e comunicazione pubblica. Causa strategiche, inadempienze municipali, discrezionalità nell’azione penale e ordinanze a protezione dei residenti “undocumented” rappresentano strumenti di resistenza analoghi a quelli con cui le forze irregolari utilizzano il terreno, il tempo e modalità non convenzionali per eludere forze superiori. Questa insorgenza burocratica non mira a rovesciare lo Stato, ma a ridefinire i confini dell’autorità federale dall’interno.

Tuttavia, il conflitto non è rimasto confinato al piano legale o retorico. Negli ultimi giorni ha assunto una dimensione cinetica, con scontri fisici tra agenti federali, manifestanti, organizzazioni comunitarie e persino le forze dell’ordine municipali durante retate e operazioni di polizia. Questi confronti—che talvolta degenerano in rivolte, arresti di massa o dispersioni violente—richiamano le realtà tattiche della guerra irregolare, in cui il controllo dello spazio urbano diventa un indicatore di legittimità. Il dispiegamento di unità federali militarizzate nei quartieri cittadini, spesso senza il consenso o la collaborazione delle autorità locali, intensifica la percezione di “occupazione”, provocando resistenza spontanea o organizzata da parte dei civili. Questa escalation nel confronto fisico offusca il confine tra applicazione della legge e coercizione politica—una dinamica tipica dei conflitti ibridi in cui lo Stato stesso appare frammentato e contestato.

Ugualmente centrale è la guerra narrativa. Le autorità federali dipingono Los Angeles come una città “senza legge”, ostaggio del crimine e del disordine, mentre le autorità locali si presentano come difensori della dignità umana, dei diritti civili e della giustizia morale. Queste narrazioni opposte non sono un elemento accessorio, ma rappresentano il cuore del conflitto, poiché entrambe le parti cercano di conquistare il sostegno dell’opinione pubblica. Nella guerra irregolare, la vittoria si misura spesso non sul campo di battaglia, ma nella capacità di conquistare le menti e i cuori della popolazione. Sotto questo profilo, il caso di Los Angeles rientra pienamente nelle dimensioni psicologiche e informative della guerra irregolare.

Inoltre, questo confronto coinvolge una rete complessa di attori non tradizionali. Organizzazioni della società civile, reti di attivisti, gruppi di assistenza legale e persino comunità religiose hanno assunto funzioni quasi politiche e protettive, occupando ruoli normalmente riservati alle istituzioni statali. I loro sforzi coordinati per ostacolare l’applicazione delle norme federali e offrire forme alternative di governance e giustizia sono tratti distintivi del conflitto irregolare, dove la legittimità è contesa non solo con la forza, ma anche attraverso istituzioni concorrenti.

In conclusione, pur in assenza di eserciti convenzionali o milizie, Los Angeles rappresenta un campo di battaglia contemporaneo della guerra irregolare—uno in cui la legge, l’identità, la narrativa e, in certi casi, la forza fisica, sono le armi principali. Con l’evolversi della natura del conflitto nelle democrazie liberali, diventa sempre più evidente che la guerra irregolare non è più confinata a insurrezioni lontane o Stati falliti. Essa si sta svolgendo nei paesaggi politici contesi di città come Los Angeles, dove la posta in gioco non è solo una politica pubblica, ma la definizione stessa di sovranità, legittimità e giustizia nel XXI secolo.


La diplomazia pubblica russa nella guerra cognitiva: attori, narrazioni e strumenti digitali.

di Claudio Bertolotti.

Introduzione

Nel contesto della competizione geopolitica contemporanea, la guerra cognitiva si configura come una dimensione emergente della conflittualità ibrida, in cui l’informazione, la percezione e l’influenza culturale assumono un ruolo strategico. In questo ambito, la Federazione Russa ha sviluppato una complessa architettura di diplomazia pubblica orientata non solo alla promozione dell’immagine nazionale, ma alla produzione intenzionale di narrazioni che favoriscano i propri interessi strategici e delegittimino quelli dei competitor internazionali. Analizziamo qui i principali strumenti e attori della diplomazia pubblica russa, con particolare attenzione al ruolo svolto dal concetto di “Mondo Russo”, dagli istituti statali di proiezione culturale e dall’impiego della diplomazia digitale nel contesto pandemico. Particolare attenzione sarà dedicata al caso italiano, con riferimento all’operazione “Dalla Russia con amore”, emblematica per comprendere la sovrapposizione tra assistenza umanitaria e strumenti di guerra informativa.

1. Il “Mondo Russo” come dispositivo ideologico

Il concetto di Russkij Mir (Mondo Russo) rappresenta un pilastro fondamentale nella strategia comunicativa e geopolitica della Federazione Russa. Questa ideologia combina elementi di identità linguistica, memoria storica e solidarietà diasporica per consolidare l’influenza di Mosca sulle comunità russofone nel mondo. Non si tratta solo di un collante culturale, ma di un paradigma geopolitico che giustifica l’intervento e la presenza russa nei Paesi ex sovietici e oltre. 

Origini e Sviluppo del Concetto di Russkij Mir

Il termine Russkij Mir ha radici storiche profonde, ma è stato rilanciato nel discorso politico russo contemporaneo a partire dagli anni 2000. Nel 2007, il presidente Vladimir Putin ha istituito la Fondazione Russkij Mir con l’obiettivo di promuovere la lingua e la cultura russa all’estero. Questo concetto è stato ulteriormente sviluppato per includere una visione del mondo in cui la Russia si presenta come protettrice dei russofoni ovunque essi si trovino, giustificando così interventi politici e militari in nome della difesa dei “compatrioti”. 

Strumenti di Promozione del Russkij Mir

La promozione del Russkij Mir avviene attraverso una serie di strumenti istituzionali e narrativi:

  • Fondazione Russkij Mir: organizzazione che finanzia progetti culturali e educativi per diffondere la lingua e la cultura russa.
  • Rossotrudničestvo: agenzia governativa che coordina la cooperazione umanitaria internazionale e sostiene le comunità russofone all’estero.
  • Chiesa Ortodossa Russa: istituzione che svolge un ruolo chiave nel rafforzare l’identità spirituale e culturale russa, spesso in sinergia con le politiche statali.
  • Media e Diplomazia Pubblica: utilizzo di media statali e social media per diffondere narrazioni favorevoli alla Russia e per influenzare l’opinione pubblica internazionale.

Implicazioni Geopolitiche

Il Russkij Mir funge da giustificazione ideologica per le politiche espansionistiche della Russia. È stato utilizzato per legittimare l’annessione della Crimea nel 2014 e il sostegno ai separatisti nelle regioni orientali dell’Ucraina. La narrativa del Russkij Mir sostiene che la Russia ha il diritto e il dovere di proteggere i russofoni ovunque si trovino, anche attraverso l’intervento militare .

Critiche e Controversie

Il concetto di Russkij Mir è stato oggetto di critiche sia interne che internazionali. Molti lo vedono come una forma di neo-imperialismo che mina la sovranità degli Stati vicini. Inoltre, l’uso della lingua e della cultura come strumenti di influenza politica solleva preoccupazioni riguardo alla manipolazione dell’identità culturale per fini geopolitici.

2. Gli attori istituzionali: Gorchakov Fund e Rossotrudnichestvo

Due istituzioni svolgono un ruolo cardinale nella diplomazia pubblica russa: il “Gorchakov Fund for Public Diplomacy” e Rossotrudnichestvo.

Il Gorchakov Fund for Public Diplomacy

Istituito nel 2010 su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri russo, il Gorchakov Fund ha l’obiettivo di promuovere la visione geopolitica del Cremlino nel contesto internazionale. Finanzia progetti, conferenze e programmi accademici mirati a consolidare l’influenza russa all’estero, in particolare nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Il Fondo sostiene organizzazioni non profit russe e straniere, nonché centri di ricerca orientati alla politica estera, attraverso l’erogazione di sovvenzioni. Inoltre, implementa programmi scientifici ed educativi per giovani esperti, figure pubbliche e giornalisti, come il “Dialogue for the Future” e il “Diplomatic Seminar of Young Specialists”

Rossotrudnichestvo

Fondata nel 2008, Rossotrudnichestvo è l’agenzia federale russa incaricata di gestire le relazioni con la diaspora e sviluppare iniziative di cooperazione umanitaria, educazione e promozione linguistica. Opera in oltre 80 Paesi attraverso i Centri Russi di Scienza e Cultura, promuovendo la lingua e la cultura russa, e organizzando programmi educativi e culturali. Tra le sue attività principali vi sono il programma “New Generation”, che offre viaggi di studio in Russia per giovani leader stranieri, e “Hello, Russia!”, rivolto ai giovani compatrioti all’estero. Rossotrudnichestvo svolge un ruolo attivo nella politica estera russa, consolidando le attività dei sostenitori pro-Russia nella regione post-sovietica e diffondendo la narrativa del Cremlino.

Entrambe le istituzioni sono strumenti chiave della strategia di soft power russa, mirata a rafforzare l’influenza culturale e politica di Mosca a livello globale.

3. Diplomazia digitale, disinformazione e il caso italiano

Uno degli elementi più innovativi della strategia russa è l’adozione della diplomazia digitale, intesa come utilizzo sistematico delle tecnologie informatiche per finalità di influenza politica e manipolazione dell’informazione. Le piattaforme digitali, i social media e i portali informativi alternativi vengono impiegati per veicolare narrazioni filo-russe, alimentare il dubbio e polarizzare le opinioni pubbliche, sfruttando spesso il meccanismo della disinformazione e delle fake news.

Durante la pandemia da Covid-19, la Russia ha intensificato tali operazioni, presentandosi come attore responsabile e solidale (si pensi agli aiuti medici inviati in Italia), mentre diffondeva contenuti che screditavano i sistemi sanitari e politici dei Paesi occidentali. Questo approccio ha trovato espressione nell’operazione “Dalla Russia con amore”, che ha visto il dispiegamento di personale militare russo in Lombardia nel 2020, ufficialmente per attività di sanificazione. Tuttavia, numerose fonti italiane ed europee hanno sollevato preoccupazioni in merito al potenziale utilizzo di tale missione come strumento di spionaggio e raccolta informativa su infrastrutture sensibili. Come ho avuto modo di approfondire in un mio precedente articolo, tale operazione rappresenta un esempio concreto di applicazione della guerra ibrida russa, in cui propaganda, disinformazione e attività di intelligence convergono nel contesto di una crisi umanitaria.

Conclusioni

La diplomazia pubblica russa si configura come uno strumento strutturato e deliberatamente orientato alla proiezione di influenza, parte integrante di una più ampia strategia di guerra cognitiva. Essa si fonda su una combinazione di dispositivi simbolici (come il “Mondo Russo”), istituzioni statali operative (come il Gorchakov Fund e Rossotrudnichestvo), e tecnologie comunicative digitali sofisticate. Il caso dell’operazione “Dalla Russia con amore” dimostra come, in contesti di emergenza, la cooperazione umanitaria possa trasformarsi in un’occasione di penetrazione informativa e di influenza strategica. Comprendere tali dinamiche è oggi essenziale per proteggere la resilienza cognitiva delle democrazie e prevenire l’erosione della fiducia pubblica nelle istituzioni.

Bibliografia

  • Bertolotti, C. (2025). Dalla Russia con amore: le nuove minacce per l’Italia e il ruolo della Russia tra cyberspazio, salute pubblica, disinformazione e spionaggio. START InSight.
  • EUvsDisinfo. (2020). Coronavirus: Disinformation Can Kill. European External Action Service.
  • Kuznetsova, I., & Mikhelidze, N. (2020). Russian Public Diplomacy: Instruments and Narratives. Istituto Affari Internazionali.
  • Laruelle, M. (2015). Russian World: Russia’s Soft Power and Geopolitical Imagination. Center on Global Interests.
  • Pomerantsev, P. (2019). This Is Not Propaganda: Adventures in the War Against Reality. Faber & Faber.

Zizians, l’ascesa della setta vegana: dalla filosofia alla violenza.

di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.

L’arresto di Jack LaSota, una donna transgender nota online come “Ziz”, ha portato alla ribalta la setta vegana violenta conosciuta come gli Zizians. Quella che fino a poche settimane fa era solo una minuscola sottocultura, sconosciuta ai non addetti ai lavori, è oggi sempre più sotto i riflettori, mentre le autorità inquirenti scoprono dettagli inquietanti sull’ideologia del gruppo e il suo coinvolgimento in diversi crimini violenti. Con LaSota al comando, gli Zizians sembrano essersi evoluti da un movimento filosofico di nicchia a una rete organizzata e radicalizzata, disposta a compiere azioni estreme per promuovere la propria ideologia.

Gli attacchi degli Zizians sono un esempio preoccupante di come l’estremismo ideologico, alimentato dalla radicalizzazione online, possa sfociare in violenza nel mondo reale

Questa organizzazione settaria sembrerebbe implicata in una serie di incidenti violenti in tutti gli Stati Uniti, tra cui spiccano gli scontri con le forze dell’ordine, le proteste aggressive e gli attacchi mirati. I rapporti delle forze di polizia di diversi stati suggeriscono che i suoi membri aderiscano a una visione del mondo rigida, quasi apocalittica, che combina elementi di veganismo radicale, anarchismo, pensiero transumanista e una profonda sfiducia nelle istituzioni statali. Le attività del gruppo, dal proselitismo online agli atti di aggressione nel mondo reale, hanno sollevato interrogativi urgenti sulle sue origini, i metodi di reclutamento e le implicazioni più ampie della sua crescente influenza tra i più giovani. Mentre le indagini continuano, le autorità e gli analisti si stanno confrontando con il potenziale del gruppo per ulteriori violenze e con le sfide di riuscire a smantellare un movimento decentralizzato che agisce quasi indisturbato su internet. Gli attacchi degli Zizians sono un esempio preoccupante di come l’estremismo ideologico, alimentato dalla radicalizzazione online, possa sfociare in violenza nel mondo reale, ponendo una minaccia unica e in continua evoluzione per la sicurezza pubblica.

Storicamente, questo gruppo ha le sue radici nell’area della Baia di San Francisco, dove nel 2016 Jack LaSota iniziò a pubblicare un blog sotto lo pseudonimo di “Ziz”. Inizialmente, gli scritti di LaSota attrassero un pubblico di nicchia, in particolare all’interno dei circoli online interessati alla filosofia, all’intelligenza artificiale e alle teorie sociali radicali. Tuttavia, nel tempo, le sue idee si sono evolute in un’ideologia più complessa e controversa che ha iniziato ad attrarre seguaci, formando infine le basi di quello che ora è conosciuto come il movimento Zizians. Nei suoi scritti, LaSota ha esplorato teorie non convenzionali sulla coscienza umana, proponendo che gli emisferi del cervello potessero possedere valori distinti e addirittura identità di genere separate, spesso in conflitto interno. LaSota ha descritto questa come una lotta fondamentale all’interno degli individui, una lotta che potrebbe essere “risolta” attraverso la trasformazione personale e l’impegno ideologico. Questa prospettiva risuonò con alcune comunità online interessate agli studi sulla coscienza, ma contribuì anche a una visione del mondo più rigida e dogmatica tra i suoi seguaci. Oltre alla speculazione metafisica, il discorso di LaSota si espanse nei domini politici ed etici, incorporando elementi di veganismo radicale, anarchismo e una forte opposizione alle comunità razionaliste mainstream, in particolare quelle preoccupate per l’intelligenza artificiale e il rischio esistenziale. LaSota fu fin dall’inizio molto critica di questi gruppi per quella che percepiva come codardia morale e la riluttanza a intraprendere azioni dirette. Questa opposizione divenne una caratteristica definente dell’ideologia Zizians, formando l’atteggiamento antagonista del gruppo contro il movimento razionalista e le sue istituzioni.

Il mix eclettico di credenze che emerse diede ai seguaci degli Zizians un’identità ideologica distinta. Col tempo, quello che era iniziato come una ricerca intellettuale online si trasformò in un movimento più estremo, orientato all’azione militante, che avrebbe assunto una caratterizzazione sempre più radicale. La transizione del gruppo dalla filosofia di nicchia all’azione violenta divenne evidente nel 2019, segnando un punto di svolta nella sua evoluzione. Quell’anno, LaSota e alcuni associati furono arrestati durante una protesta fuori da un centro congressi in California del Nord che ospitava un evento razionalista. Quello che iniziò come una disputa ideologica sull’etica dell’intelligenza artificiale si trasformò rapidamente in azione violenta. La manifestazione fu caratterizzata da tattiche aggressive, inclusi confronti fisici, danni a proprietà e tentativi di interrompere forzatamente l’evento. Questo incidente segnalò un cambiamento preoccupante da una critica intellettuale a una militanza, preparando il terreno per azioni ancora più estreme negli anni successivi.

Nel 2020, gli Zizians iniziarono ad attrarre individui che non solo erano ideologicamente allineati, ma anche disposti a compiere azioni violente. In un caso significativo, un individuo affiliato alla setta fu arrestato a Portland, Oregon, dopo aver incendiato una struttura di ricerca collegata allo sviluppo dell’IA. L’attacco, che le autorità classificarono come incendio doloso, fu presentato dal colpevole come un “colpo preventivo” contro i sistemi di intelligenza artificiale che ritenevano rappresentassero una minaccia esistenziale per l’umanità.

Nel 2021, una campagna coordinata di molestie prese di mira figure chiave delle comunità razionaliste e di altruismo efficace. Alcuni elementi di spicco di questo movimento ricevettero minacce di morte e, in almeno un caso, la casa di un blogger razionalista fu vandalizzata con graffiti che recavano gli slogan della setta. Sebbene non ci fossero violenze fisiche dirette, la campagna dimostrò la crescente volontà del gruppo di ricorrere a tattiche di intimidazione.

L’escalation proseguì nel 2022, quando un gruppo di Zizians mise in atto un’intrusione in un laboratorio biotecnologico a San Diego, presumibilmente per “liberare” gli animali utilizzati nei test. Le riprese di sicurezza mostrarono individui mascherati che indossavano equipaggiamento tattico, sottolineando ulteriormente la crescente militarizzazione del gruppo. Sebbene non si fossero registrati feriti, l’intrusione causò ingenti danni a proprietà e diversi membri furono arrestati.

Nel 2023, la violenza prese una piega più mortale. Un membro della setta fu implicato nel tentato omicidio di uno scienziato informatico a Boston, un ricercatore noto per sostenere i protocolli di sicurezza nell’IA. Il sospetto, che aveva pubblicato diversi manifesti online allineati con le teorie di LaSota, fu arrestato prima che l’attacco potesse essere portato a termine. Tuttavia, l’incidente rafforzò i timori che gli Zizians stessero passando oltre i crimini contro la proprietà e le molestie, dirigendosi verso violenze fisiche mirate.

Questi incidenti preparavano il terreno per la sanguinosa campagna di attivismo iniziata nel gennaio del 2025. L’agente della Border Patrol statunitense David Maland fu ucciso durante un controllo stradale in Vermont. Gli assalitori, Zizians, furono trovati con equipaggiamento tattico e armi, a sottolineare le capacità operative del gruppo e la serietà della minaccia che ora rappresentavano. Un altro atto violento scioccante avvenne nello stesso mese a Vallejo, California, dove il proprietario di un immobile, Curtis Lind, fu brutalmente accoltellato. Le indagini rivelarono collegamenti tra i sospetti e la rete Zizians, evidenziando l’espansione geografica del gruppo e il crescente disprezzo per la vita umana nel perseguire i propri obiettivi ideologici.

Il modello di escalation, dalla radicalizzazione online alla violenza mirata, dimostra la trasformazione della setta in un movimento estremista pericoloso. Ciò che era iniziato come un discorso filosofico oscuro è ora diventato una minaccia organizzata, con conseguenze reali che le autorità faticano a contenere.

Gli Zizians, un fenomeno emerso negli Stati Uniti, hanno mostrato una notevole influenza che si estende ben oltre i confini americani. Sebbene le loro radici risiedano ancora negli Stati Uniti, le loro attività e la loro rete hanno trovato punti di appoggio in vari paesi europei, suscitando preoccupazione riguardo alla portata globale del gruppo e al suo impatto. Individui come il cittadino tedesco Felix Bauckholt, implicato in attività violente legate al mondo Zizians, dimostrano la capacità del gruppo di infiltrarsi e operare oltre i confini nazionali. Il coinvolgimento di Bauckholt segna una tendenza più ampia verso l’appello o l’organizzazione internazionale del gruppo, suggerendo una rete transnazionale che facilita la coordinazione e la violenza ideologica. Oltre alla Germania, altre nazioni europee stanno affrontando azioni ispirate all’ideologia Zizians. Nel Regno Unito, ad esempio, le autorità hanno registrato diversi episodi di radicalizzazione legati all’ideologia del gruppo, indicando che la loro influenza stia estendendosi verso le frange politiche. La Francia, con la sua ricca storia di movimenti radicali, ha anche visto individui provenienti da altri movimenti politici allinearsi con gli ideali Zizians, suscitando crescente preoccupazione riguardo al potenziale di attacchi estremisti organizzati. Inoltre, paesi come l’Italia e la Spagna, con le loro posizioni geografiche strategiche, sono diventati punti critici per il reclutamento e il supporto logistico delle attività Zizians. I confini porosi di questi paesi e i climi politici diversificati li rendono vulnerabili ai movimenti ideologici esterni. Le connessioni transnazionali del gruppo potrebbero includere anche reti finanziarie, campagne di propaganda online e supporto logistico che permettono loro di pianificare e attuare azioni in tutta Europa.

Questa crescente dimensione internazionale dell’influenza Ziziana solleva molte preoccupazioni. Le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence in tutta Europa stanno lavorando sempre più in coordinamento per monitorare le attività del gruppo, condividere informazioni e prevenire ulteriori escalation. L’ascesa di questa rete estremista transnazionale sottolinea la necessità di una maggiore cooperazione tra le nazioni per contrastare la minaccia dei movimenti radicali globalizzati. La capacità degli Zizians di ispirare o coordinare direttamente azioni oltre gli Stati Uniti evidenzia la natura in evoluzione dell’estremismo moderno e la crescente complessità nel combattere tali minacce transnazionali.

Questa setta rappresenta un esempio lampante di come la radicalizzazione online possa favorire l’ascesa di movimenti estremisti nell’era digitale. Centrale nelle loro operazioni era la presenza digitale di figure chiave come LaSota, le cui piattaforme online sono diventate un punto di incontro per individui con ideologie simili, attratti dalla violenza del gruppo. Queste piattaforme permettevano a LaSota e ad altri di diffondere propaganda, materiali ideologicamente carichi e retorica violenta, creando una sorta di camera dell’eco in cui l’estremismo poteva prosperare senza i limiti geografici tradizionali.


MDHM nell’era digitale: il doppio volto dell’Intelligenza Artificiale tra minaccia e soluzione per la democrazia.

di Claudio Bertolotti.

Abstract

La diffusione di informazioni false, fuorvianti o manipolate – riassunta nell’acronimo MDHM (misinformation, disinformation, malinformation e hate speech) – rappresenta una delle sfide più critiche dell’era digitale, con conseguenze profonde sulla coesione sociale, la stabilità politica e la sicurezza globale. Questo studio analizza le caratteristiche distintive di ciascun fenomeno e il loro impatto interconnesso, evidenziando come alimentino l’erosione della fiducia nelle istituzioni, la polarizzazione sociale e l’instabilità politica.

L’intelligenza artificiale emerge come una risorsa cruciale per contrastare il MDHM, offrendo strumenti avanzati per il rilevamento di contenuti manipolati e il monitoraggio delle reti di disinformazione. Tuttavia, la stessa tecnologia alimenta nuove minacce, come la creazione di deepfake e la generazione di contenuti automatizzati che amplificano la portata e la sofisticazione della disinformazione. Questo paradosso evidenzia la necessità di un uso etico e strategico delle tecnologie emergenti.

Il lavoro propone un approccio multidimensionale per affrontare il MDHM, articolato su tre direttrici principali: l’educazione critica, con programmi scolastici e campagne pubbliche per rafforzare l’alfabetizzazione mediatica; la regolamentazione delle piattaforme digitali, mirata a bilanciare la rimozione dei contenuti dannosi con la tutela della libertà di espressione; la collaborazione globale, per garantire una risposta coordinata a una minaccia transnazionale.

In conclusione, l’articolo sottolinea l’importanza di un impegno concertato tra governi, aziende tecnologiche e società civile per mitigare gli effetti destabilizzanti del MDHM e preservare la democrazia, la sicurezza e la fiducia nelle informazioni.

Definizioni e Distinzioni

La diffusione di informazioni false, fuorvianti o manipolate costituisce una delle sfide più complesse e pericolose dell’era digitale, con ripercussioni significative sull’equilibrio sociale, politico e culturale. I fenomeni noti come misinformation,disinformation, malinformatione hate speech, sintetizzati nell’acronimo MDHM, rappresentano manifestazioni distinte ma strettamente interconnesse di questa problematica. Una comprensione approfondita delle loro specificità è imprescindibile per sviluppare strategie efficaci volte a contenere e contrastare le minacce che tali fenomeni pongono alla coesione sociale e alla stabilità delle istituzioni.

Misinformation: Informazioni false diffuse senza l’intenzione di causare danno. Ad esempio, la condivisione involontaria di notizie non verificate sui social media.

Disinformation: Informazioni deliberatamente create per ingannare, danneggiare o manipolare individui, gruppi sociali, organizzazioni o nazioni. Un esempio è la diffusione intenzionale di notizie false per influenzare l’opinione pubblica o destabilizzare istituzioni.

Malinformation: informazioni basate su fatti reali, ma utilizzate fuori contesto per fuorviare, causare danno o manipolare. Ad esempio, la divulgazione di dati personali con l’intento di danneggiare la reputazione di qualcuno.

Hate Speech: espressioni che incitano all’odio contro individui o gruppi basati su caratteristiche come razza, religione, etnia, genere o orientamento sessuale. Questo tipo di discorso può fomentare violenza e discriminazione.

Impatto sulla Società

La diffusione di misinformation, disinformation, malinformation e hate speech rappresenta una sfida cruciale per la stabilità delle società moderne. Questi fenomeni, potenziati dalla rapidità e dalla portata globale dei media digitali, hanno conseguenze significative che si manifestano in vari ambiti sociali, politici e culturali. Tra i principali effetti troviamo l’erosione della fiducia nelle istituzioni, la polarizzazione sociale e l’acuirsi delle minacce alla sicurezza.

 

Erosione della Fiducia

L’informazione falsa o manipolata rappresenta un attacco diretto alla credibilità delle istituzioni pubbliche, dei media e persino della comunità scientifica. Quando le persone vengono sommerse da un flusso costante di notizie contraddittorie o palesemente mendaci, il risultato inevitabile è una crisi di fiducia generalizzata. Nessuna fonte viene risparmiata dal dubbio, nemmeno i giornalisti più autorevoli o gli organismi governativi più trasparenti. Questo processo mina le fondamenta della società e alimenta un clima di incertezza che, a lungo andare, può trasformarsi in alienazione.

Un esempio emblematico si osserva nel contesto del processo democratico, dove la disinformazione colpisce con particolare intensità. Le campagne di manipolazione delle informazioni, mirate a diffondere falsità sulle procedure di voto o sui candidati, hanno un effetto devastante sull’integrità elettorale. Ciò non solo alimenta il sospetto e la sfiducia nelle istituzioni democratiche, ma crea anche un senso di disillusione tra i cittadini, allontanandoli ulteriormente dalla partecipazione attiva.

Le conseguenze diventano ancora più evidenti nella gestione delle crisi globali. Durante la pandemia da COVID-19, l’ondata di teorie del complotto e la diffusione di cure non verificate hanno rappresentato un ostacolo significativo per gli sforzi della salute pubblica. La disinformazione ha alimentato paure infondate e diffidenza verso i vaccini, rallentando la risposta globale alla crisi e aumentando la diffusione del virus.

Ma questa erosione della fiducia non si ferma al singolo individuo. Le sue ripercussioni si estendono a tutta la società, frammentandola. I legami sociali, già indeboliti da divisioni preesistenti, diventano ancora più vulnerabili alla manipolazione. E così, si crea un terreno fertile per ulteriori conflitti e instabilità, in cui le istituzioni si trovano sempre più isolate, mentre cresce il rischio di una società incapace di reagire a sfide collettive.

 

Polarizzazione Sociale

Le campagne di disinformazione trovano terreno fertile nelle divisioni già esistenti all’interno della società, sfruttandole con l’obiettivo di amplificarle e renderle insormontabili. Questi fenomeni, alimentati da strategie mirate e potenziati dalle piattaforme digitali, intensificano il conflitto sociale e compromettono la possibilità di dialogo, lasciando spazio a una polarizzazione sempre più marcata.

L’amplificazione delle divisioni è forse il risultato più visibile della disinformazione. La manipolazione delle informazioni viene utilizzata per radicalizzare le opinioni politiche, culturali o religiose, costruendo una narrazione di contrapposizione tra un “noi” e un “loro”. Nei contesti di tensioni etniche, per esempio, la malinformation, diffusa con l’intento di distorcere eventi storici o di strumentalizzare questioni politiche attuali, accentua le differenze percepite tra gruppi sociali. Questi contrasti, spesso già esistenti, vengono esasperati fino a cristallizzarsi in conflitti identitari difficili da sanare.

A ciò si aggiunge l’effetto delle cosiddette “bolle informative”, create dagli algoritmi delle piattaforme digitali. Questi sistemi, progettati per massimizzare l’engagement degli utenti, propongono contenuti che rafforzano le loro opinioni preesistenti, limitandone l’esposizione a prospettive alternative. Questo fenomeno, noto come “filtro bolla”, non solo solidifica pregiudizi, ma isola gli individui all’interno di una realtà mediatica che si nutre di conferme continue, impedendo la comprensione di punti di vista differenti.

La polarizzazione, alimentata dal MDHM, non si ferma però al piano ideologico. In molti casi, la radicalizzazione delle opinioni si traduce in azioni concrete: proteste, scontri tra gruppi e, nei casi più estremi, conflitti armati. Guerre civili e crisi sociali sono spesso il culmine di una spirale di divisione che parte dalle narrative divisive diffuse attraverso disinformazione e hate speech.

In definitiva, la polarizzazione generata dal MDHM non danneggia solo il dialogo sociale, ma mina anche le fondamenta della coesione collettiva. In un tale contesto, risulta impossibile trovare soluzioni condivise a problemi comuni. Ciò che rimane è un clima di conflittualità permanente, dove il “noi contro loro” sostituisce qualsiasi tentativo di collaborazione, rendendo la società più fragile e vulnerabile.

Minaccia alla Sicurezza

Nei contesti di conflitto, il MDHM si rivela un’arma potente e pericolosa, capace di destabilizzare società e istituzioni con implicazioni devastanti per la sicurezza collettiva e individuale. La disinformazione, insieme al discorso d’odio, alimenta un ciclo di violenza e instabilità politica, minacciando la pace e compromettendo i diritti umani. Gli esempi concreti di come queste dinamiche si manifestano non solo illustrano la gravità del problema, ma evidenziano anche l’urgenza di risposte efficaci.

La propaganda e la destabilizzazione costituiscono uno degli utilizzi più insidiosi della disinformazione. Stati e gruppi non statali sfruttano queste pratiche come strumenti di guerra ibrida, mirati a indebolire il morale delle popolazioni avversarie e a fomentare divisioni interne. In scenari geopolitici recenti, la diffusione di informazioni false ha generato confusione e panico, rallentando la capacità di risposta delle istituzioni. Questa strategia, pianificata e sistematica, non si limita a disorientare l’opinione pubblica ma colpisce direttamente il cuore della coesione sociale.

Il discorso d’odio, amplificato dalle piattaforme digitali, è spesso un precursore di violenze di massa. Ne è tragico esempio il genocidio dei Rohingya in Myanmar, preceduto da una campagna di odio online che ha progressivamente deumanizzato questa minoranza etnica, preparandone il terreno per persecuzioni e massacri. Questi episodi dimostrano come lo hate speech, una volta radicato, possa tradursi in azioni violente e sistematiche, con conseguenze irreparabili per le comunità coinvolte.

Anche sul piano individuale, gli effetti del MDHM sono profondamente distruttivi. Fenomeni come il doxxing – la divulgazione pubblica di informazioni personali con intenti malevoli – mettono a rischio diretto la sicurezza fisica e psicologica delle vittime. Questo tipo di attacco non solo espone le persone a minacce e aggressioni, ma amplifica un senso di vulnerabilità che si estende ben oltre il singolo episodio, minando la fiducia nel sistema stesso.

L’impatto cumulativo di queste dinamiche mina la stabilità sociale nel suo complesso, creando fratture profonde che richiedono risposte immediate e coordinate. Affrontare il MDHM non è solo una questione di difesa contro la disinformazione, ma un passo essenziale per preservare la pace, proteggere i diritti umani e garantire la sicurezza globale in un’epoca sempre più interconnessa e vulnerabile.

 

Strategie di Mitigazione

La lotta contro il fenomeno MDHM richiede una risposta articolata e coordinata, capace di affrontare le diverse sfaccettature del problema. Dato l’impatto complesso e devastante che questi fenomeni hanno sulla società, le strategie di mitigazione devono essere sviluppate con un approccio multidimensionale, combinando educazione, collaborazione tra i diversi attori e un quadro normativo adeguato.

Educazione e Consapevolezza

La prima e più efficace linea di difesa contro il fenomeno MDHM risiede nell’educazione e nella promozione di una diffusa alfabetizzazione mediatica. In un contesto globale in cui le informazioni circolano con una rapidità senza precedenti e spesso senza un adeguato controllo, la capacità dei cittadini di identificare e analizzare criticamente i contenuti che consumano diventa una competenza indispensabile. Solo attraverso una maggiore consapevolezza sarà possibile arginare gli effetti negativi della disinformazione e costruire una società più resiliente.

Il pensiero critico rappresenta la base di questa strategia. I cittadini devono essere messi nelle condizioni di distinguere le informazioni affidabili dai contenuti falsi o manipolati. Questo processo richiede l’adozione di strumenti educativi che insegnino come verificare le fonti, identificare segnali di manipolazione e analizzare il contesto delle notizie. È un impegno che va oltre la semplice formazione: si tratta di creare una cultura della verifica e del dubbio costruttivo, elementi essenziali per contrastare la manipolazione informativa.

Un ruolo cruciale in questa battaglia è giocato dalla formazione scolastica. Le scuole devono diventare il luogo privilegiato per l’insegnamento dell’alfabetizzazione mediatica, preparando le nuove generazioni a navigare consapevolmente nel complesso panorama digitale. L’integrazione di questi insegnamenti nei programmi educativi non può più essere considerata un’opzione, ma una necessità. Attraverso laboratori pratici, analisi di casi reali e simulazioni, i giovani possono sviluppare le competenze necessarie per riconoscere contenuti manipolati e comprendere le implicazioni della diffusione di informazioni false.

Tuttavia, l’educazione non deve limitarsi ai giovani. Anche gli adulti, spesso più esposti e vulnerabili alla disinformazione, devono essere coinvolti attraverso campagne di sensibilizzazione pubblica. Queste iniziative, veicolate sia attraverso i media tradizionali che digitali, devono illustrare le tecniche più comuni utilizzate per diffondere contenuti falsi, sottolineando le conseguenze negative di tali fenomeni per la società. Un cittadino informato, consapevole dei rischi e capace di riconoscerli, diventa un elemento di forza nella lotta contro la disinformazione.

Investire nell’educazione e nella sensibilizzazione non è solo una misura preventiva, ma un pilastro fondamentale per contrastare il MDHM. Una popolazione dotata di strumenti critici è meno suscettibile alle manipolazioni, contribuendo così a rafforzare la coesione sociale e la stabilità delle istituzioni democratiche. Questo percorso, pur richiedendo un impegno costante e coordinato, rappresenta una delle risposte più efficaci a una delle minacce più insidiose del nostro tempo.

Collaborazione Intersettoriale

La complessità del fenomeno MDHM è tale che nessun singolo attore può affrontarlo efficacemente da solo. È una sfida globale che richiede una risposta collettiva e coordinata, in cui governi, organizzazioni non governative, aziende tecnologiche e società civile collaborano per sviluppare strategie condivise. Solo attraverso un impegno sinergico è possibile arginare gli effetti destabilizzanti di questa minaccia.

Le istituzioni governative devono assumere un ruolo guida. I governi sono chiamati a creare regolamentazioni efficaci e ambienti sicuri per lo scambio di informazioni, garantendo che queste misure bilancino due aspetti fondamentali: la lotta contro i contenuti dannosi e la protezione della libertà di espressione. Un eccesso di controllo rischierebbe infatti di scivolare nella censura, minando i principi democratici che si intendono tutelare. L’approccio deve essere trasparente, mirato e in grado di adattarsi all’evoluzione delle tecnologie e delle dinamiche di disinformazione.

Le aziende tecnologiche, in particolare i social media, giocano un ruolo centrale in questa sfida. Hanno una responsabilità significativa nel contrastare la diffusione del MDHM, essendo i principali veicoli attraverso cui queste dinamiche si propagano. Devono investire nello sviluppo di algoritmi avanzati, capaci di identificare e rimuovere i contenuti dannosi in modo tempestivo ed efficace. Tuttavia, l’efficacia degli interventi non può venire a scapito della libertà degli utenti di esprimersi. La trasparenza nei criteri di moderazione, nella gestione dei dati e nei meccanismi di segnalazione è fondamentale per mantenere la fiducia degli utenti e prevenire abusi.

Accanto a questi attori, le organizzazioni non governative (ONG) e la società civile svolgono un ruolo di intermediazione. Le ONG possono fungere da ponte tra istituzioni e cittadini, offrendo informazioni verificate e affidabili, monitorando i fenomeni di disinformazione e promuovendo iniziative di sensibilizzazione. Queste organizzazioni hanno anche la capacità di operare a livello locale, comprendendo meglio le dinamiche specifiche di determinate comunità e adattando le strategie di contrasto alle loro esigenze.

Infine, è imprescindibile favorire partnership pubbliche e private. La collaborazione tra settori pubblico e privato è essenziale per condividere risorse, conoscenze e strumenti tecnologici utili a combattere il MDHM. In particolare, le aziende possono offrire soluzioni innovative, mentre i governi possono fornire il quadro normativo e il supporto necessario per implementarle. Questa sinergia permette di affrontare la disinformazione con un approccio più ampio e integrato, combinando competenze tecniche, capacità di monitoraggio e intervento.

La risposta al MDHM non può dunque essere frammentata né limitata a un singolo settore. Solo attraverso una collaborazione trasversale e globale sarà possibile mitigare le conseguenze di questi fenomeni, proteggendo le istituzioni, i cittadini e la società nel suo insieme.

Ruolo delle Tecnologie Avanzate e Artificial Intelligence (AI) nel Contesto del MDHM

Le tecnologie emergenti, in particolare l’intelligenza artificiale (IA), svolgono un ruolo cruciale nel contesto di misinformation, disinformation, malinformation e hate speech. L’AI rappresenta un’arma a doppio taglio: da un lato, offre strumenti potenti per individuare e contrastare la diffusione di contenuti dannosi; dall’altro, alimenta nuove minacce, rendendo più sofisticati e difficili da rilevare gli strumenti di disinformazione.

Rilevamento Automatico

L’intelligenza artificiale ha rivoluzionato il modo in cui affrontiamo il fenomeno della disinformazione, introducendo sistemi avanzati di rilevamento capaci di identificare rapidamente contenuti falsi o dannosi. In un panorama digitale in cui il volume di dati generato quotidianamente è immenso, il monitoraggio umano non è più sufficiente. Gli strumenti basati sull’AI si rivelano quindi essenziali per gestire questa complessità, offrendo risposte tempestive e precise.

Tra le innovazioni più rilevanti troviamo gli algoritmi di machine learning, che rappresentano il cuore dei sistemi di rilevamento automatico. Questi algoritmi, attraverso tecniche di apprendimento automatico, analizzano enormi quantità di dati alla ricerca di schemi che possano indicare la presenza di contenuti manipolati o falsi. Addestrati su dataset contenenti esempi di disinformazione già identificati, questi sistemi sono in grado di riconoscere caratteristiche comuni, come l’uso di titoli sensazionalistici, un linguaggio emotivamente carico o la presenza di immagini alterate. L’efficacia di tali strumenti risiede nella loro capacità di adattarsi a nuovi modelli di manipolazione, migliorando costantemente le proprie performance.

Un altro ambito cruciale è quello della verifica delle fonti. Strumenti basati su AI possono confrontare le informazioni che circolano online con fonti affidabili, identificando discrepanze e facilitando il lavoro dei fact-checker. In questo modo, la tecnologia accelera i tempi di verifica, permettendo di contrastare in maniera più efficiente la diffusione di contenuti falsi prima che raggiungano un pubblico vasto.

L’AI è anche fondamentale per contrastare una delle minacce più sofisticate: i deepfake, di cui più oltre tratteremo. Grazie a tecniche avanzate, è possibile analizzare video e immagini manipolati, individuando anomalie nei movimenti facciali, nella sincronizzazione delle labbra o nella qualità complessiva del contenuto visivo. Aziende come Adobe e Microsoft stanno sviluppando strumenti dedicati alla verifica dell’autenticità dei contenuti visivi, offrendo una risposta concreta a una tecnologia che può facilmente essere sfruttata per scopi malevoli.

Il monitoraggio del linguaggio d’odio è un altro fronte in cui l’AI dimostra il suo valore. Attraverso algoritmi di elaborazione del linguaggio naturale (NLP), è possibile analizzare i testi in tempo reale per identificare espressioni di hate speech. Questi sistemi non solo categorizzano i contenuti, ma assegnano priorità agli interventi, garantendo una risposta rapida ed efficace ai casi più gravi. In un contesto in cui il discorso d’odio può rapidamente degenerare in violenza reale, la capacità di intervenire tempestivamente è cruciale.

Infine, l’intelligenza artificiale è in grado di rilevare e analizzare reti di disinformazione. Attraverso l’analisi delle interazioni social, l’AI può individuare schemi che suggeriscono campagne coordinate, come la diffusione simultanea di messaggi simili da account collegati. Questa funzione è particolarmente utile per smascherare operazioni orchestrate, sia a livello politico che sociale, che mirano a destabilizzare la fiducia pubblica o a manipolare l’opinione delle persone.

In definitiva, l’intelligenza artificiale rappresenta uno strumento indispensabile per affrontare il fenomeno della disinformazione e dell’hate speech. Tuttavia, come ogni tecnologia, richiede un uso etico e responsabile. Solo attraverso un’implementazione trasparente e mirata sarà possibile sfruttare appieno il potenziale dell’AI per proteggere l’integrità delle informazioni e la coesione sociale.

Generazione di Contenuti

L’intelligenza artificiale, se da un lato rappresenta una risorsa preziosa per contrastare la disinformazione, dall’altro contribuisce a rendere il fenomeno MDHM ancora più pericoloso, fornendo strumenti per la creazione di contenuti falsi e manipolati con livelli di sofisticazione senza precedenti. È proprio questa ambivalenza che rende l’IA una tecnologia tanto potente quanto insidiosa.

Un esempio emblematico è rappresentato dai citati deepfake, prodotti grazie a tecnologie basate su reti generative avversarie (GAN). Questi strumenti permettono di creare video e immagini estremamente realistici, in cui persone possono essere mostrate mentre affermano o compiono azioni mai avvenute. I deepfake compromettono gravemente la fiducia nelle informazioni visive, un tempo considerate una prova tangibile della realtà. Ma non si fermano qui: la loro diffusione può essere utilizzata per campagne di diffamazione, per manipolare l’opinione pubblica o per destabilizzare contesti politici già fragili. La capacità di creare realtà alternative visive rappresenta una minaccia diretta alla credibilità delle fonti visive e alla coesione sociale.

Parallelamente, i testi generati automaticamente da modelli di linguaggio avanzati, come GPT, hanno aperto nuove frontiere nella disinformazione. Questi sistemi sono in grado di produrre articoli, commenti e post sui social media che appaiono del tutto autentici, rendendo estremamente difficile distinguere i contenuti generati da una macchina da quelli scritti da una persona reale. Non a caso, tali strumenti vengono già sfruttati per alimentare botnet, reti automatizzate che diffondono narrazioni polarizzanti o completamente false, spesso con l’obiettivo di manipolare opinioni e alimentare conflitti sociali.

Un ulteriore aspetto cruciale è rappresentato dalla scalabilità della disinformazione. L’automazione garantita dall’AI consente la creazione e la diffusione di contenuti falsi su larga scala, amplificandone in modo esponenziale l’impatto. Ad esempio, un singolo attore malevolo, sfruttando questi strumenti, può generare migliaia di varianti di un messaggio falso, complicando ulteriormente il compito dei sistemi di rilevamento. In pochi istanti, contenuti manipolati possono essere diffusi a livello globale, raggiungendo milioni di persone prima che si possa intervenire.

Infine, l’AI offre strumenti per la mimetizzazione dei contenuti, che rendono i messaggi manipolati ancora più difficili da individuare. Algoritmi avanzati consentono di apportare modifiche minime ma strategiche a testi o immagini, eludendo così i sistemi di monitoraggio tradizionali. Questa capacità di adattamento rappresenta una sfida continua per gli sviluppatori di strumenti di contrasto, che devono aggiornarsi costantemente per stare al passo con le nuove tecniche di manipolazione.

In definitiva, l’intelligenza artificiale, nella sua capacità di generare contenuti altamente sofisticati, rappresenta un’arma a doppio taglio nel panorama del MDHM. Se non regolamentata e utilizzata in modo etico, rischia di accelerare la diffusione della disinformazione, minando ulteriormente la fiducia pubblica nelle informazioni e destabilizzando la società. È indispensabile affrontare questa minaccia con consapevolezza e strumenti adeguati, combinando innovazione tecnologica e principi etici per limitare gli effetti di questa pericolosa evoluzione.

Sfide e Opportunità

L’impiego dell’intelligenza artificiale nella lotta contro il fenomeno del MDHM rappresenta una delle frontiere più promettenti ma anche più complesse dell’era digitale. Sebbene l’IA offra opportunità straordinarie per contrastare la diffusione di informazioni dannose, essa pone anche sfide significative, evidenziando la necessità di un approccio etico e strategico.

Le Opportunità Offerte dall’IA

Tra i vantaggi più rilevanti, spicca la capacità dell’AI di analizzare dati in tempo reale. Grazie a questa caratteristica, è possibile anticipare le campagne di disinformazione, identificandone i segnali prima che si diffondano su larga scala. Questo permette di ridurre l’impatto di tali fenomeni, intervenendo tempestivamente per arginare i danni.

Un altro aspetto fondamentale è l’impiego di strumenti avanzati per certificare l’autenticità dei contenuti. Tecnologie sviluppate da organizzazioni leader nel settore consentono di verificare l’origine e l’integrità dei dati digitali, restituendo fiducia agli utenti. In un contesto in cui la manipolazione visiva e testuale è sempre più sofisticata, queste soluzioni rappresentano un baluardo essenziale contro il caos informativo.

L’AI contribuisce inoltre a snellire le attività di fact-checking. L’automazione delle verifiche consente di ridurre il carico di lavoro umano, velocizzando la risposta alla diffusione di contenuti falsi. Questo non solo migliora l’efficienza, ma permette anche di concentrare le risorse umane su casi particolarmente complessi o delicati.

Le Sfide dell’AI nella Lotta al MDHM

Tuttavia, le stesse tecnologie che offrono queste opportunità possono essere sfruttate per scopi malevoli. Gli strumenti utilizzati per combattere la disinformazione possono essere manipolati per aumentare la sofisticazione degli attacchi, creando contenuti ancora più difficili da rilevare. È un paradosso che sottolinea l’importanza di un controllo rigoroso e di un uso responsabile di queste tecnologie.

La difficoltà nel distinguere tra contenuti autentici e manipolati rappresenta un’altra sfida cruciale. Man mano che le tecniche di disinformazione evolvono, anche gli algoritmi devono essere costantemente aggiornati per mantenere la loro efficacia. Questo richiede non solo investimenti tecnologici, ma anche una collaborazione continua tra esperti di diversi settori.

Infine, è impossibile ignorare i bias insiti nei modelli di AI, che possono portare a errori significativi. Algoritmi mal progettati o addestrati su dataset non rappresentativi rischiano di rimuovere contenuti legittimi o, al contrario, di non individuare alcune forme di disinformazione. Questi errori non solo compromettono l’efficacia delle operazioni, ma possono minare la fiducia nel sistema stesso.

Conclusione

L’intelligenza artificiale è una risorsa strategica nella lotta contro misinformation, disinformation, malinformation e hate speech, ma rappresenta anche una sfida complessa. La sua ambivalenza come strumento di difesa e al contempo di attacco richiede un uso consapevole e responsabile. Mentre da un lato offre soluzioni innovative per rilevare e contrastare contenuti manipolati, dall’altro consente la creazione di disinformazione sempre più sofisticata, amplificando il rischio per la stabilità sociale e istituzionale.

Il MDHM non è un fenomeno isolato o temporaneo, ma una minaccia sistemica che mina le fondamenta della coesione sociale e della sicurezza globale. La sua proliferazione alimenta un circolo vizioso in cui l’erosione della fiducia, la polarizzazione sociale e le minacce alla sicurezza si rafforzano reciprocamente. Quando la disinformazione contamina il flusso informativo, la fiducia nelle istituzioni, nei media e persino nella scienza si sgretola. Questo fenomeno non solo genera alienazione e incertezza, ma riduce la capacità dei cittadini di partecipare attivamente alla vita democratica.

La polarizzazione sociale, amplificata dalla manipolazione delle informazioni, è un effetto diretto di questa dinamica. Narrativi divisivi e contenuti polarizzanti, spinti da algoritmi che privilegiano l’engagement a scapito dell’accuratezza, frammentano il tessuto sociale e rendono impossibile il dialogo. In un clima di contrapposizione “noi contro loro”, le divisioni politiche, culturali ed etniche si trasformano in barriere insormontabili.

A livello di sicurezza, il MDHM rappresenta una minaccia globale. Le campagne di disinformazione orchestrate da stati o gruppi non statali destabilizzano intere regioni, fomentano violenze e alimentano conflitti armati. L’uso del hate speech come strumento di deumanizzazione ha dimostrato il suo potenziale distruttivo in numerosi contesti, contribuendo a un clima di vulnerabilità collettiva e individuale.

Affrontare questa sfida richiede un approccio integrato che combini educazione, regolamentazione e cooperazione globale.

Promuovere l’educazione critica: l’alfabetizzazione mediatica deve essere una priorità. Educare i cittadini a riconoscere e contrastare la disinformazione è il primo passo per costruire una società resiliente. Programmi educativi e campagne di sensibilizzazione devono dotare le persone degli strumenti necessari per navigare nel complesso panorama informativo.

Rafforzare la regolamentazione delle piattaforme digitali: le aziende tecnologiche non possono più essere semplici spettatori. È indispensabile che adottino standard chiari e trasparenti per la gestione dei contenuti dannosi, garantendo al contempo il rispetto della libertà di espressione. Una supervisione indipendente può assicurare l’equilibrio tra sicurezza e diritti fondamentali.

Incentivare la collaborazione globale: la natura transnazionale del MDHM richiede una risposta coordinata. Governi, aziende private e organizzazioni internazionali devono lavorare insieme per condividere risorse, sviluppare tecnologie innovative e contrastare le campagne di disinformazione su scala globale.

Solo attraverso un’azione concertata sarà possibile mitigare gli effetti devastanti del MDHM e costruire una società più resiliente e informata. Il futuro della democrazia, della coesione sociale e della sicurezza dipende dalla capacità collettiva di affrontare questa minaccia con determinazione, lungimiranza e responsabilità.


#ReaCT2023, n. 4: Pubblicato il rapporto annuale sui radicalismi e i terrorismi in Europa

Come Direttore dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo in Europa (ReaCT), sono lieto di presentare il 4° rapporto annuale sul terrorismo e il radicalismo in Europa, #ReaCT2023 (vai all’indice e scarica il volume), che intende fornire un’analisi quanto più completa dell’evoluzione della minaccia del terrorismo nel nostro continente.

Il rapporto rappresenta la combinazione unica di rivista scientifica e volume collettivo, con contributi di vari autori, ricercatori e collaboratori che hanno dedicato il loro tempo, la loro esperienza e le loro conoscenze. Vorrei esprimere la mia gratitudine a tutti loro per il prezioso contributo e i loro sforzi instancabili. Voglio, altresì, ringraziare il Ministero della Difesa italiano per aver confermato la stima e la fiducia nell’Osservatorio che dirigo concedendo il patrocinio all’evento di presentazione del rapporto, e il prestigioso Centro Alti Studi per la Difesa per la disponibilità dimostrata. Gratitudine che si estende al Ministero dell’Interno italiano che, attraverso il contributo della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, ha permesso di completare il nostro sforzo per la comprensione e la definizione della contemporanea minaccia rappresentata dai radicalismi ideologici e dai terrorismi violenti.

Quali risultati ci consegna la ricerca dell’Osservatorio?

Negli ultimi tre anni, dal punto di vista quantitativo, la frequenza degli attacchi terroristici è rimasta lineare. L’Europa è classificata come la terza regione maggiormente colpita dai terrorismi, seguendo la Russia e l’Eurasia, e l’America centrale e i Caraibi. I Paesi dell’Unione europea, il Regno Unito e la Svizzera sono stati afflitti nel 2022 da 50 attacchi terroristici di varia natura, una significativa flessione rispetto ai 73 del 2021. Sul piano qualitativo, guardando in particolare al mai sopito dell’islamismo violento, il rapporto evidenzia la natura in continua evoluzione del jihadismo, che ha subito molteplici trasformazioni fin dalle sue origini in Afghanistan negli anni ’80, diffondendosi e radicalizzandosi. Al Qa’ida è stata l’incarnazione del movimento globalizzato e radicalizzato fino a quando il gruppo terroristico Stato islamico è emerso nel 2014, proponendo un approccio ancora più estremo. La sconfitta dello Stato islamico in Iraq e Siria nel 2017-18 ha segnato la prima sconfitta tangibile del movimento jihadista. I movimenti jihadisti nazionali, per lo più nutriti dai soggetti globali, sono ora di nuovo di moda, e la regione del Sahel il centro del jihadismo riemergente. Da Sud a Est, il rapporto evidenzia il pericolo del terrorismo jihadista nella regione balcanica, che rimane una minaccia per la sicurezza italiana ed europea. L’Italia ha attuato e confermato varie iniziative per contrastare questa minaccia, in particolare confermando il proprio impegno a livello di missioni internazionali di mantenimento della pace.

Il rapporto approfondisce poi il tema della minaccia dell’estremismo di destra, della disinformazione, delle teorie del complotto, del suprematismo bianco e del crescente fenomeno dell’anarco-insurrezionalismo.

Alla luce del mondo in continua evoluzione e del conflitto che ora ha raggiunto l’Europa, è essenziale adattare i nostri paradigmi interpretativi della minaccia e mettere in discussione la definizione di terrorismo, l’approccio al contrasto al processo di radicalizzazione e la ricollocazione del terrorismo stesso nel nuovo scenario di conflitto.

Inoltre, in un quadro sempre più complesso e dinamico, la gestione delle crisi nel XXI secolo presenta sfide uniche a causa del contesto interconnesso e interdipendente, rendendo difficile la previsione. Il rapporto #ReaCT2023 ha dato ampio spazio anche a questo aspetto.

Infine, abbiamo voluto porre l’attenzione sulla recente pubblicazione del progetto di ricerca spagnolo sul contrasto al terrorismo internazionale all’interno delle fonti criminali multilivello e sull’analisi critica delle questioni di diritto penitenziario, giurisprudenza e pratica applicata alle sentenze per gli autori di atti terroristici. Il progetto di ricerca qui illustrato offre proposte costruttive per combinare le sfide poste da questo fenomeno criminale con la garanzia dei diritti umani fondamentali ed esplora il potenziale della giustizia riparativa.

In conclusione, il contributo di quest’anno è una testimonianza della forza e della dedizione della nostra comunità di studiosi e operatori nella lotta in corso contro i radicalismi e i terrorismi. Auspico che le idee contenute in questo rapporto contribuiscano a una migliore comprensione dell’evoluzione della minaccia dei terrorismi in Europa e servano come appello all’azione per tutti i soggetti interessati a lavorare insieme per prevenire e contrastare l’estremismo violento.



Grazie a tutti gli Autori che, con il loro encomiabile lavoro, hanno contribuito ancora una volta alla realizzazione di #ReaCT2023. Un ringraziamento speciale per il sostegno va anche alla Chapman University con sede ad Orange, California, all’Università della Svizzera Italiana – USI a Lugano e alla Piattaforma cantonale di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento (Repubblica e Cantone Ticino). Infine, come sempre, a START InSight, che ha consentito la pubblicazione e la distribuzione internazionale del nostro rapporto annuale.

Claudio Bertolotti, Direttore Esecutivo dell’Osservatorio ReaCT

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Il suprematismo bianco e la sua diffusione

LIVE streaming con Andrea Molle – approfondimento storico-sociologico su ideologie e attività che si rifanno ai concetti del suprematismo bianco, dell’accelerazionismo e del survivalismo


Alex Jones e il mondo del cospirazionismo. Focus a cura di Andrea Molle

La parabola del conduttore radiofonico Alex Jones, fondatore del sito Infowars.

La video-analisi con Andrea Molle


Dugin e la “Quarta Teoria Politica”: l’ideologia illiberale russa che spopola in Occidente e giustifica l’invasione dell’Ucraina

di Andrea Molle

Chi critica l’accostamento tra la crisi nei rapporti tra Russia e Occidente, culminata nel conflitto in Ucraina, con la Guerra Fredda sostiene che la situazione attuale non abbia la forma di un conflitto tra due blocchi ideologici distinti e contrapposti. Si tratta di una conclusione affrettata e a mio avviso molto superficiale, che ignora la realtà e gli effetti di decenni di penetrazione nella società e nel sistema politico-militare russo di un apparato ideologico e pseudo-religioso chiamato Neo-Euroasianesmo. Il rischio principale nel non comprendere la dimensione ideologica della crisi è quello di guardare all’invasione dell’Ucraina come una mera guerra territoriale ed essere impreparati per gli scenari futuri che non potranno che vedere un aumento della tensione dei rapporti tra Occidente e Russia.

Nella sua versione originale, l’Euroasianesimo fu un movimento culturale e politico fondato sull’idea che la civiltà russa non fosse né europea né asiatica, ma piuttosto una civiltà euroasiatica a sé stante. Sviluppatosi negli anni ’20 del 1900, l’Euroasianesimo sostenne la rivoluzione bolscevica, ma non il suo obiettivo di realizzare nel paese il comunismo, vedendo l’Unione Sovietica unicamente come una tappa nel processo di ricostruzione dell’identità nazionale e imperiale russa che riflettesse il carattere unico della sua situazione geopolitica.

In seguito allo scioglimento dell’URSS, l’Euroasianesimo entrò in una fase pragmatica, abbracciando l’idea di costituire delle organizzazioni internazionali sul modello di quelle già esistenti in Europa e Nord-America e la cui funzione era di aumentare i rapporti tra Russia e Oriente, con particolare attenzione alla Cina. Tra queste vale la pena di menzionare l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e l’Unione Euroasiatica.

Unitamente a questa sua versione pragmatica, l’Euroasianesimo manteneva però una visione mistica. Il suo maggior esponente è il fondatore del Neo-Euroasianesimo, Aleksandr Gelyevich Dugin. Il filosofo politico, nato intellettualmente nel solco della corrente mistica e noepagana dell’Ortodossia cristiana moscovita, è ben conosciuto anche in Italia grazie ai suoi collegamenti con la cosiddetta “Lobby Nera” costituita da gruppi identitari e tradizionalisti di estema destra. La versione dughiniana dell’Euroasianesimo, detta anche Quarta Teoria Politica, è una forma di ideologia neo-fascista il cui progetto politico consiste nel ricostruire un Impero Eurasiatico totalitario, dominato dalla Russia, che si contrapponga agli Stati Uniti e dai suoi alleati atlantisti. Secondo Dugin, nella visione escatologica del movimento che abbonda di riferimenti biblici l’inevitabile conflitto tra i due blocchi finirebbe per dare vita a una nuova “età dell’oro dell’illiberalismo politico e culturale globale”, promuovendo un’era di pace universale e di riaffermazione dei principi religiosi, tradizionali, di convivenza tra gli uomini.

Non può dunque passare inosservato il fatto che Dugin consideri l’attuale conflitto ucraino come l’inizio della fase bellica del “confronto contro il globalismo come fenomeno planetario integrale”. Un conflitto che il filosofo ritiene essere sia geopolitico che ideologico e che vede essere una vittoria in tutti i paesi del mondo, inclusi Europa e Stati Uniti, di tutte le forze da lui definite come alternative, sia di destra che di sinistra, creando le condizioni per una nuova multipolarità. Infatti, nella visione Neo-Euroasiatica, come fu nella visione ideologica comunista, la Russia viene concepita come una civiltà destinata a salvare il mondo dal neoliberismo, riportando l’Occidente a riabbracciare le proprie radici tradizionali greco-romane, cristiane, bizantine, oggi incarnate dalla Russia in quanto erede sia dell’Impero Romano che del Sacro Romano Impero. Mosca incarnerebbe così l’eredità imperiare di Roma e conseguentemente il suo destino di grande unificatrice e civilizzatrice.

Ma quanto è diffusa e influente questa visione nel contesto del governo russo? Nel 1997 Dugin pubblicò un volume dal titolo “I fondamenti della geopolitica: il futuro geopolitico della Russia” che esercitò fin da subito un’influenza significativa sulle élite militari e di politica estera del paese diventanto ben presto uno dei libri di testo nelle accademie militari e di polizia del paese, anche grazie al supporto del Generale Nikolai Klokotov. Grazie all’assenza di riferimenti esoterici e mistici, presenti in molte delle sue opere precedenti, Dugin riuscì anche a far breccia nella società civile, e il libro fu anche adottato in diversi curriculum scolastici arrivando a contribuire a costruire l’attuale ceto dirigente russo e la percezione popolare del paese. Quanto a Putin, sappiamo che Dugin ha esercitato sia un’influenza diretta sul presidente russo, tramite il partito Eurasia fondato nel 2002, che una indiretta, tramite molti dei suoi consiglieri personali che seguono i precetti della Quarta Teoria Politica e la Chiesa Ortodossa Moscovita che ne ha abbracciato la visione teocratica.

La recente invasione dell’Ucraina potrebbe dunque essere coerente con una strategia basata sull’ideologia Neo-Euroasiatica patrocinata da Dugin per indebolire l’ordine liberale internazionale. Se così fosse, questa sarebbe dunque solo una fase in una guerra più ampia e destinata a protrarsi nel tempo irrigidendosi su linee ideologiche e pseudo-religiose.


#ReaCT2022: il 3° Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa. Online il 24 febbraio

Disponibile dal 24 febbraio, in italiano e inglese, su osservatorioreact.it e su startinsight.eu (link diretto): presentazione, in collaborazione con Formiche.net, giovedì 24 febbraio 2022 sul canale web di Formiche.

È disponibile dal 24 febbraio in formato digitale e cartaceo #ReaCT2022 – La Rivista, il 3° Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa, che offre al lettore uno studio sulla sua evoluzione, le sue tendenze ed effetti, attraverso un approccio quantitativo, qualitativo e comparativo. Curato dall’Osservatorio ReaCT, il documento è composto da 15 contributi d’analisi su jihadismo e altre forme di estremismo violento che caratterizzano il panorama attuale e che durante la pandemia hanno acquisito ulteriore forza e visibilità, proponendo nel contempo casi studio, prospettive e riflessioni volte a portare un contributo concreto e a intavolare un dialogo continuativo con tutte quelle realtà -accademiche e istituzionali- che si occupano della questione e delle sue problematiche pratiche. #ReaCT2022 vuole essere uno strumento utile messo a disposizione di operatori per la sicurezza, sociali ed istituzionali, di giornalisti, studenti e del più ampio pubblico.

I numeri del terrorismo jihadista. Come ogni anno, il Rapporto si apre con la fotografia aggiornata del terrorismo di matrice jihadista in Europa, grazie alle informazioni raccolte nel database di START InSight, curato da Claudio Bertolotti, direttore esecutivo di ReaCT. Se la violenza di matrice jihadista può essere considerata marginale in termini assoluti, rispetto cioè al totale delle azioni portate avanti da gruppi e militanti di varie ideologie, essa continua ad essere rilevante sia per le conseguenze, che per il numero di vittime. La minaccia rimane dunque significativa ed è rappresentata oggi in particolar modo dagli attacchi da parte di individui che agiscono in modo autonomo, indipendente, spesso senza un legame diretto con l’organizzazione terroristica ma mobilitati da narrative jihadiste globali.

Nel 2021 gli eventi jihadisti sono stati 18, in lieve flessione rispetto ai 25 attacchi dell’anno precedente ma con un aumento di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti: dal 48% del totale di azioni emulative nel 2020 al 56% nel 2021 (erano il 21% nel 2019). Il 2021 ha inoltre confermato la predominanza delle azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate e fallimentari che hanno progressivamente sostituito le azioni strutturate e coordinate caratterizzanti il “campo di battaglia” urbano europeo negli anni 2015-2017. Il terrorismo si conferma inoltre un fenomeno prevalentemente maschile: su 207 attentatori (dal 2014), il 97% sono uomini mentre l’età media è di 26 anni. Di rilievo negli ultimi anni è stato anche il ruolo di recidivi, attentatori già noti alle forze dell’ordine o con precedenti detentivi. Infine, va ricordato che anche quando fallimentare, un attacco terroristico ottiene un risultato favorevole che consiste nell’imporre costi economici e sociali alla collettività e nel condizionarne i comportamenti nel tempo. La limitazione della libertà dei cittadini è un risultato misurabile, che il terrorismo ottiene attraverso le proprie azioni: questo è il “blocco funzionale”, ottenuto nell’82% dei casi: un risultato che conferma il vantaggioso rapporto costo-beneficio a favore del terrorismo.

Estremismi violenti, radicalizzazione e casi studio. I contenuti del Rapporto. I contenuti complessivi del Rapporto 2022 spaziano dalla presentazione dei numeri e profili dei terroristi jihadisti in Europa, alla discussione sul Nuovo Terrorismo Insurrezionale (NIT), che trae ulteriore vigore e motivazione anche dal ritorno dei Talebani in Afghanistan; dall’esame del contesto sub-sahariano, dove operano organizzazioni jihadiste caratterizzate da una retorica globalista ma che restano profondamente connesse a dinamiche locali, all’impegno europeo nella prevenzione del radicalismo violento nei Balcani Occidentali; dai processi per terrorismo di cui si è occupato il Tribunale Penale Federale in Svizzera dal 2001 ad oggi, alle dinamiche delle comunità jihadiste online; dai nuovi orizzonti della radicalizzazione, che si sono allargati ulteriormente durante la pandemia e richiedono che si presti maggiore  attenzione alle dinamiche di gruppo e ai problemi sociali collegati alla violenza; ai focus sull’estrema destra, l’anti-semitismo di ritorno, il cospirazionismo, il movimento NoVax; fino ai casi studio sul reinserimento sociale dei minori radicalizzati e la deradicalizzazione nel contesto neo-nazista, che mettono in evidenza anche l’approccio e il  lavoro portato avanti dalle autorità italiane. Infine, il documento include considerazioni riguardo l’aggiornamento dei Terrorism Risk Assessment Instruments (TRA-I), che sono sviluppati con lo scopo di poter meglio valutare la minaccia rappresentata dai processi di radicalizzazione e dalle attività ad essi affini; riflessioni sugli scenari delle guerre future; la recensione del volume “Understanding radicalisation, terrorism and de-radicalisation. Historical, socio-political and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy”.

ReaCT nasce su iniziativa di una ‘squadra’ composta da esperti e professionisti della società svizzera di ricerca e produzione editoriale START InSight di Lugano, del Centro di ricerca ITSTIME dell’Università Cattolica di Milano, del Centro di Ricerca CEMAS dell’Università La Sapienza e della SIOI sempre a Roma. A ReaCT hanno anche aderito come partner Europa Atlantica e il Gruppo Italiano Studio Terrorismo (GRIST).

L’Osservatorio ReaCT è composto da una Direzione, un Comitato Scientifico di indirizzo ed editoriale, un Comitato Parlamentare e un Gruppo di lavoro permanente.

Tutte le informazioni sul sito www.osservatorioreact.it info@startinsight.eu


#ReaCT2022: pubblicato il 3° rapporto sul radicalismo e il terrorismo

I terrorismi tra pandemia, disagio sociale ed esaltazione jihadista

In qualità di Direttore Esecutivo dell’Osservatorio ReaCT, ho l’onore di presentare #ReaCT2022, il 3° Rapporto sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo in Europa (www.osservatorioreact.it: vai al report #ReaCT2022 n. 3, Anno 3).

Il Covid-19 e i talebani alimentano nuove minacce di terrorismo

Il terrorismo si adatta, si evolve e viene condizionato da eventi che hanno la capacità di stimolare la condotta di azioni violente nel nome di un’ideologia che ne giustifica metodi, obiettivi e finalità. I trend del 2021 hanno evidenziato aspetti coerenti con le dinamiche degli ultimi anni e anticipato un possibile scenario per il 2022, che continuerà ad essere influenzato da due sviluppi che in modo diverso andranno ad allargare il panorama della minaccia. Da un lato, la pandemia di COVID-19, le cui conseguenze sociali saranno in grado di accrescere forme radicali eterogenee ed esaltare la violenza associata a movimenti complottisti e aderenti a ideologie estremiste; d’altro lato, la vittoria dei talebani in Afghanistan, il cui grande risultato si è imposto quale leit motiv della narrativa jihadista a livello globale.

Lo scenario del terrorismo che sfida l’Europa nel 2022

I dati presentati in questa analisi provengono dal database di START InSight, che traccia i trend annuali per ciò che riguarda il terrorismo jihadista in Europa. In generale, l’Occidente guarda oggi con preoccupazione all’esaltazione jihadista, dall’Africa all’Afghanistan. Lo Stato Islamico non è più in grado di dirigere terroristi verso l’Europa poiché la perdita di territorio, risorse finanziarie e reclute ha ridotto notevolmente le sue capacità operative. La minaccia comunque rimane significativa ed è dovuta alla disponibilità e alle azioni di lone actors e self-starters senza un legame diretto con l’organizzazione ma mobilitati da narrative jihadiste globali. I rischi connessi agli attacchi emulativi sono alti: il 56% degli eventi nel 2021 rientra in questa categoria, secondo il database di START InSight. Il trend è in aumento. Negli ultimi tre anni, da un punto di vista quantitativo, la frequenza degli attacchi terroristici è rimasta lineare. Secondo Europol, 43% sono attribuiti a movimenti della sinistra radicale, il 24% a gruppi separatisti ed etno-nazionalisti, il 7% a gruppi di estrema destra, il 26% sono azioni di matrice jihadista. Se la violenza jihadista è marginale in termini assoluti, tuttavia continua ad essere la più rilevante per le conseguenze e il numero di vittime. Il database di START InSight ha registrato 18 eventi jihadisti in Europa nel 2021. 

Due decenni di processi per terrorismo: il caso svizzero

Nonostante la Svizzera non abbia subito attacchi su vasta scala come quelli che hanno colpito altre nazioni europee nell’ultimo decennio, il fenomeno della violenza politico-ideologica di matrice jihadista è tuttavia presente. Dal 2004 al novembre 2021, il Tribunale Penale Federale si è occupato di un totale di 17 procedimenti penali legati al terrorismo jihadista. Ahmed Ajil rileva che la maggior parte di questi ha avuto luogo dopo lo scoppio della guerra civile siriana e la conseguente espansione territoriale del gruppo Stato Islamiconel giugno del 2014. L’attività ha avuto luogo principalmente nell’ambito digitale, mentre gli atti “concreti” sono consistiti in tentativi di recarsi in aree di conflitto o attività legate ai combattimenti all’estero.

Il rischio africano

Come rilevano Enrico Casini e Luciano Pollichieni, dagli anni duemila sono emerse in Africa numerose organizzazioni jihadiste caratterizzate da una retorica globalista ma che restano profondamente connesse a dinamiche locali, sia di carattere politico, etnico o di natura criminale, con il coinvolgimento in traffici illeciti di diverso tipo (dal contrabbando alla tratta di esseri umani alla pirateria). In virtù della contiguità con il Mediterraneo, le vicende socio-politiche e l’instabilità generata dai gruppi jihadisti in Africa, hanno un effetto immediato sulla sicurezza di tutta la regione, come dimostrato dalle diverse crisi migratorie degli ultimi anni.

Verso nuovi orizzonti della radicalizzazione jihadista e della sua prevenzione

Le comunità virtuali che avevano preso avvio sotto forma di estensioni dirette di un’organizzazione specifica come il gruppo terrorista Stato islamico, suggerisce Michael Krona, si intrecciano progressivamente con degli orientamenti ideologici più ampi, piuttosto che trasmettere esclusivamente la propaganda ufficiale dell’organizzazione terroristica. Chiara Sulmoni sottolinea come l’ecosistema dell’estremismo violento sia oggi caratterizzato da forte competizione ma anche da maggiore esposizione a strategie e narrative di gruppi diversi. I profili di radicalizzati e terroristi sembrano spesso rivelare una propensione alla violenza piuttosto che una solida convinzione ideologica. L’autrice ritiene utile prestare attenzione agli aspetti sociologici e psicologici insiti nei processi di radicalizzazione, con l’obiettivo di migliorare la prevenzione.  

A riguardo del fenomeno osservato nei Balcani occidentali, rileva Matteo Bressan che la prevenzione della radicalizzazione che conduce all’estremismo violento e al terrorismo è una priorità fondamentale per gli Stati membri dell’Unione europea. In questo senso, la Commissione, da un lato, sosterrà la regione nella prevenzione e nella lotta a tutte le forme di radicalizzazione; dall’altro lato, la Commissione mobiliterà le competenze dei professionisti nell’ambito della rete di sensibilizzazione in materia di radicalizzazione (RAN) per sostenere il lavoro di prevenzione e facilitare gli scambi tra professionisti.

I minori radicalizzati: l’approccio italiano

La propaganda jihadista e in genere le ideologie estremiste hanno come target anche i minori di 18 anni, che possono essere coinvolti in vario modo come vittime inconsapevoli delle scelte degli adulti (in genere, i genitori) o come destinatari diretti di un’ideologia che sfrutta il loro bisogno di appartenenza. Nel suo case study Alessandra Lanzetti spiega che la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione (DCPP) della Polizia di Stato ha maturato una forte esperienza in questo campo, sperimentando un protocollo di intervento sui child returnee, improntato a criteri di tempestività e multi-disciplinarietà.

Nuovi radicalismi e altri terrorismi alimentati dall’effetto pandemico. Estrema destra, sinistra radicale, antisemitismo: dal complottismo alla violenza

Il fenomeno NoVax rappresenta la punta di lancia del complottismo militante che sta rapidamente sostituendo il radicalismo religioso come prima causa di preoccupazione per la sicurezza nazionale. Nel suo contributo, Andrea Molle ne analizza alcuni elementi di base mettendone in luce il rischio di radicalizzazione di massa. Mattia Caniglia spiega come una delle tendenze più preoccupanti del 2021 sia stato l’aumento dell’attrazione esercitata dall’estremismo violento di destra sulle generazioni più giovani. Tale sviluppo è probabilmente legato al fatto che la propaganda estremista di destra viene diffusa principalmente online e che le piattaforme di gioco sono sempre più utilizzate per diffondere narrative estremiste e terroristiche. Le evidenze emerse dalle indagini e dalle attività di ricerca degli ultimi anni suggeriscono come, in alcuni casi, gruppi estremisti di destra abbiano la tendenza a emulare gruppi estremisti di matrice islamista per quanto attiene a tecniche di reclutamento, modi operandi e strategie di propaganda. Inoltre, attacchi terroristici di alto profilo, siano questi di matrice islamista o di estrema destra, sembrano aver acquisito la potenzialità di aumentare il rischio di processi di radicalizzazione reciproca, attivando una “dinamica a ciclo continuo”.

Una somiglianza che, come evidenzia Luca Guglielminetti, porta ad adottare analoghi strumenti di recupero e sostegno all’abbandono della violenza. In tale quadro si inserisce un persistente e diffuso sentimento antisemita; Sarah Ibrahimi Zijno pone in evidenza la estrema e facile diffusione di punti di vista sostanzialmente antisemiti nelle destre alternative americana ed europea, in particolare nella parte ex comunista del continente, e il sostanziale avvicinamento di certa stampa orientata a sinistra verso il medesimo algoritmo complottista già della destra alternativa, con il silenzioso progressivo abbandono della distinzione – già di per se fragile e discutibile – tra antisionismo e antisemitismo.

Negli utimi anni, con l’avanzare in Europa e negli Stati Uniti di forme di estremismo più o meno organizzato di estrema destra e di suprematismo bianco, rileva Barbara Lucini, i Terrorism Risk Assessment Instruments (TRA-I) sono oggetto di una nuova riflessione rispetto alla loro capacità adattativa, di resilienza e di valutazione efficace dei molteplici e variegati percorsi di radicalizzazione ai quali si sta assistendo.

Per finire, uno sguardo alle «guerre future»: nella sua analisi, Marco Lombardi condivide le sue riflessioni su alcuni aspetti emergenti del warfare, dell’intelligence e del ruolo del terrorismo. Lo scenario della guerra futura sembra sottolineare il mantenimento, anzi il rafforzamento delle modalità operative del terrorismo di questi ultimi anni, che ha trovato il suo successo proprio per la capacità di penetrazione comunicativa e per l’utilizzo innovativo (cioè sorprendente) delle tecnologie. Sembra quasi che il terrorismo del primo ventennio del nuovo secolo abbia sperimentato le nuove opportunità del warfare, che poi si sono consolidate in pratiche diffuse tra tutti gli attori in conflitto. In conclusione, Andrea Carteny e Elena Tosti Di Stefano hanno recensito per noi “Understanding radicalisation, terrorism and de-radicalisation. Historical, socio-political and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy”, a cura di M. Brunelli.

Grazie a tutti gli Autori che, con il loro encomiabile lavoro, hanno contribuito ancora una volta alla realizzazione di #ReaCT2022. Un ringraziamento speciale va all’Editore Chiara Sulmoni, Presidente di START InSight, che ha consentito la pubblicazione e la distribuzione internazionale del nostro rapporto annuale.

Scarica il volume completo: #ReaCT2022 n. 3, Anno 3.

Indice

Claudio Bertolotti (ITA), Introduzione del Direttore: I terrorismi tra pandemia, disagio sociale ed esaltazione jihadista

Claudio Bertolotti (ITA), Terrorismo jihadista in Europa: minaccia lineare in evoluzione e partecipazione individuale

Ahmed Ajil (ITA), Due decenni di processi per terrorismo. Una panoramica dei casi di cui si è occupato il Tribunale Penale Federale svizzero dall’11 settembre 2001

Claudio Bertolotti (ITA), Dall’Afghanistan, alla Siria, al Sahel: il virus di un “Nuovo Terrorismo Insurrezionale” (NIT). È rivoluzionario, sovversivo, utopistico e guarda a Occidente

Enrico Casini, Luciano Pollichieni (ITA), Califfi, traffici e malcontento: convergenze e prospettive del terrorismo jihadista in Africa Subsahariana

Michael Krona (ITA), Le comunità jihadiste online costruiscono i loro brand ed espandono l’universo terrorista creando nuove entità

Chiara Sulmoni (ITA), I nuovi orizzonti della radicalizzazione

Alessandra Lanzetti (ITA), Caso studio – I minori radicalizzati: il modello italiano, tra tutela della sicurezza e reinserimento sociale

Matteo Bressan (ITA), Il contributo europeo alla prevenzione del radicalismo violento nei Balcani Occidentali

Barbara Lucini (ITA), I TRA-I e i processi di radicalizzazione: considerazioni attuali e prospettive future

Mattia Caniglia (ITA), L’estremismo violento di destra nel 2021: una minaccia crescente per l’Europa?

Sarah Ibrahimi Zijno (ITA), Nuovi antisemitismi: principali fattori e tendenze dopo la pandemia

Luca Guglielminetti (ITA), Caso studio – Estremismo neonazista e de-radicalizzazione: il primo caso studio in Italia

Andrea Molle (ITA), Il complottismo dalla cultura pop alla militanza violenta: il pericolo NoVax

Marco Lombardi (ITA), Guerre future: la nuova centralità dell’intelligence e la ridefinizione dello spazio cibernetico

Andrea Carteny, Elena Tosti Di Stefano (ITA), Recensione – Understanding radicalisation, terrorism and de-radicalisation. Historical, socio-political and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy. M. Brunelli (a cura di).