La diplomazia pubblica russa nella guerra cognitiva: attori, narrazioni e strumenti digitali.
di Claudio Bertolotti.
Introduzione
Nel contesto della competizione geopolitica contemporanea, la guerra cognitiva si configura come una dimensione emergente della conflittualità ibrida, in cui l’informazione, la percezione e l’influenza culturale assumono un ruolo strategico. In questo ambito, la Federazione Russa ha sviluppato una complessa architettura di diplomazia pubblica orientata non solo alla promozione dell’immagine nazionale, ma alla produzione intenzionale di narrazioni che favoriscano i propri interessi strategici e delegittimino quelli dei competitor internazionali. Analizziamo qui i principali strumenti e attori della diplomazia pubblica russa, con particolare attenzione al ruolo svolto dal concetto di “Mondo Russo”, dagli istituti statali di proiezione culturale e dall’impiego della diplomazia digitale nel contesto pandemico. Particolare attenzione sarà dedicata al caso italiano, con riferimento all’operazione “Dalla Russia con amore”, emblematica per comprendere la sovrapposizione tra assistenza umanitaria e strumenti di guerra informativa.
1. Il “Mondo Russo” come dispositivo ideologico
Il
concetto di Russkij
Mir (Mondo Russo) rappresenta un pilastro fondamentale nella
strategia comunicativa e geopolitica della Federazione Russa. Questa ideologia
combina elementi di identità linguistica, memoria storica e solidarietà
diasporica per consolidare l’influenza di Mosca sulle comunità russofone nel
mondo. Non si tratta solo di un collante culturale, ma di un paradigma
geopolitico che giustifica l’intervento e la presenza russa nei Paesi ex
sovietici e oltre.
Origini e Sviluppo del Concetto di
Russkij Mir
Il termine Russkij Mir
ha radici storiche profonde, ma è stato rilanciato nel discorso politico russo
contemporaneo a partire dagli anni 2000. Nel 2007, il presidente Vladimir Putin
ha istituito la Fondazione Russkij Mir con l’obiettivo di promuovere la lingua
e la cultura russa all’estero. Questo concetto è stato ulteriormente sviluppato
per includere una visione del mondo in cui la Russia si presenta come
protettrice dei russofoni ovunque essi si trovino, giustificando così
interventi politici e militari in nome della difesa dei “compatrioti”.
Strumenti di Promozione del Russkij Mir
La promozione del Russkij Mir avviene attraverso
una serie di strumenti istituzionali e narrativi:
- Fondazione Russkij
Mir: organizzazione che finanzia progetti culturali e
educativi per diffondere la lingua e la cultura russa.
- Rossotrudničestvo: agenzia governativa che coordina la cooperazione umanitaria
internazionale e sostiene le comunità russofone all’estero.
- Chiesa Ortodossa
Russa: istituzione che svolge un ruolo chiave nel
rafforzare l’identità spirituale e culturale russa, spesso in sinergia con le
politiche statali.
- Media e Diplomazia
Pubblica: utilizzo di media statali e social media per
diffondere narrazioni favorevoli alla Russia e per influenzare l’opinione
pubblica internazionale.
Implicazioni Geopolitiche
Il Russkij Mir funge da
giustificazione ideologica per le politiche espansionistiche della Russia. È stato utilizzato per legittimare l’annessione della Crimea nel
2014 e il sostegno ai separatisti nelle regioni orientali dell’Ucraina. La narrativa del Russkij Mir sostiene che la Russia ha il diritto e il dovere di proteggere
i russofoni ovunque si trovino, anche attraverso l’intervento militare .
Critiche e Controversie
Il concetto di Russkij Mir
è stato oggetto di critiche sia interne che internazionali. Molti lo vedono
come una forma di neo-imperialismo che mina la sovranità degli Stati vicini.
Inoltre, l’uso della lingua e della cultura come strumenti di influenza
politica solleva preoccupazioni riguardo alla manipolazione dell’identità
culturale per fini geopolitici.
2. Gli attori istituzionali: Gorchakov Fund e Rossotrudnichestvo
Due istituzioni svolgono un ruolo cardinale nella diplomazia pubblica
russa: il “Gorchakov Fund for Public Diplomacy” e Rossotrudnichestvo.
Il Gorchakov Fund for Public Diplomacy
Istituito nel 2010 su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri russo,
il Gorchakov Fund ha l’obiettivo di promuovere la visione geopolitica del
Cremlino nel contesto internazionale. Finanzia progetti, conferenze e programmi
accademici mirati a consolidare l’influenza russa all’estero, in particolare
nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Il Fondo sostiene organizzazioni non profit
russe e straniere, nonché centri di ricerca orientati alla politica estera,
attraverso l’erogazione di sovvenzioni. Inoltre, implementa programmi
scientifici ed educativi per giovani esperti, figure pubbliche e giornalisti,
come il “Dialogue for the Future” e il “Diplomatic Seminar of
Young Specialists”
Rossotrudnichestvo
Fondata nel 2008, Rossotrudnichestvo è l’agenzia federale russa incaricata
di gestire le relazioni con la diaspora e sviluppare iniziative di cooperazione
umanitaria, educazione e promozione linguistica. Opera in oltre 80 Paesi
attraverso i Centri Russi di Scienza e Cultura, promuovendo la lingua e la
cultura russa, e organizzando programmi educativi e culturali. Tra le sue
attività principali vi sono il programma “New Generation”, che offre
viaggi di studio in Russia per giovani leader stranieri, e “Hello,
Russia!”, rivolto ai giovani compatrioti all’estero. Rossotrudnichestvo
svolge un ruolo attivo nella politica estera russa, consolidando le attività
dei sostenitori pro-Russia nella regione post-sovietica e diffondendo la
narrativa del Cremlino.
Entrambe le istituzioni sono strumenti chiave della strategia di soft power
russa, mirata a rafforzare l’influenza culturale e politica di Mosca a livello
globale.
3. Diplomazia digitale, disinformazione e il caso italiano
Uno degli elementi più innovativi della strategia russa è
l’adozione della diplomazia digitale, intesa come utilizzo sistematico delle
tecnologie informatiche per finalità di influenza politica e manipolazione
dell’informazione. Le piattaforme digitali, i social media e i portali
informativi alternativi vengono impiegati per veicolare narrazioni filo-russe,
alimentare il dubbio e polarizzare le opinioni pubbliche, sfruttando spesso il
meccanismo della disinformazione e delle fake news.
Durante la pandemia da Covid-19, la Russia ha intensificato tali operazioni, presentandosi come attore responsabile e solidale (si pensi agli aiuti medici inviati in Italia), mentre diffondeva contenuti che screditavano i sistemi sanitari e politici dei Paesi occidentali. Questo approccio ha trovato espressione nell’operazione “Dalla Russia con amore”, che ha visto il dispiegamento di personale militare russo in Lombardia nel 2020, ufficialmente per attività di sanificazione. Tuttavia, numerose fonti italiane ed europee hanno sollevato preoccupazioni in merito al potenziale utilizzo di tale missione come strumento di spionaggio e raccolta informativa su infrastrutture sensibili. Come ho avuto modo di approfondire in un mio precedente articolo, tale operazione rappresenta un esempio concreto di applicazione della guerra ibrida russa, in cui propaganda, disinformazione e attività di intelligence convergono nel contesto di una crisi umanitaria.
Conclusioni
La diplomazia pubblica russa si configura come uno
strumento strutturato e deliberatamente orientato alla proiezione di influenza,
parte integrante di una più ampia strategia di guerra cognitiva. Essa si fonda
su una combinazione di dispositivi simbolici (come il “Mondo Russo”),
istituzioni statali operative (come il Gorchakov Fund e Rossotrudnichestvo), e
tecnologie comunicative digitali sofisticate. Il caso dell’operazione “Dalla
Russia con amore” dimostra come, in contesti di emergenza, la cooperazione
umanitaria possa trasformarsi in un’occasione di penetrazione informativa e di
influenza strategica. Comprendere tali dinamiche è oggi essenziale per
proteggere la resilienza cognitiva delle democrazie e prevenire l’erosione
della fiducia pubblica nelle istituzioni.
Bibliografia
- Bertolotti, C. (2025). Dalla Russia con amore: le nuove
minacce per l’Italia e il ruolo della Russia tra cyberspazio, salute pubblica,
disinformazione e spionaggio. START
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- Pomerantsev,
P. (2019). This Is Not Propaganda: Adventures in the War Against Reality. Faber
& Faber.
L’antica arte dietro le insurrezioni moderne.
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
In un’epoca di
sorveglianza satellitare, intelligenza artificiale e sciami di droni, potrebbe
sembrare strano—addirittura anacronistico—cercare nei testi antichi indicazioni
strategiche per comprendere le guerre di oggi. Eppure, gli attori non statali
più agili e pericolosi non stanno necessariamente innovando. Più spesso, stanno
riscoprendo. Che sia per scelta consapevole o per intuizione, gruppi come i
Talebani, Hezbollah o i cartelli messicani si affidano a strategie che
sarebbero immediatamente riconoscibili a un generale al servizio di un
imperatore cinese, un console romano o un rajah indiano.
Basta guardare a come
questi gruppi usano l’inganno come arma. Il grande stratega cinese Sun Tzu,
oltre 2.500 anni fa, scriveva che “tutta la guerra si basa sull’inganno”—e le
sue parole restano valide sul campo di battaglia digitale tanto quanto lo erano
nelle foreste dell’antica Cina. L’ISIS ha dimostrato questo principio con una
precisione spaventosa, simulando ritirate per attirare gli avversari in
imboscate, gonfiando la propria forza attraverso video propagandistici ben
costruiti, e spostando costantemente i propri leader e le proprie basi per
evitare l’annientamento. In Afghanistan, i Talebani fornivano sistematicamente
false informazioni alle truppe NATO attraverso intermediari locali—salvo poi
sfruttare i varchi lasciati scoperti. Capivano, forse senza troppa filosofia,
che sembrare deboli quando si è forti (e viceversa) paralizza il nemico. Il
campo di battaglia diventa in questo modo psicologico e non solo fisico.
Questa preferenza per
l’evasione rispetto allo scontro frontale ha radici profonde. Il generale
romano Quinto Fabio Massimo, di fronte al genio militare di Annibale, evitò
battaglie dirette e scelse invece di indebolire il nemico con tattiche di
logoramento. Gli insurgents moderni operano allo stesso modo. Non hanno bisogno
di vincere le battaglie—devono solo evitare di perderle. In Iraq e Afghanistan,
le milizie usavano ordigni esplosivi improvvisati non per distruggere interi eserciti,
ma per logorarne il morale e guadagnare tempo. In Yemen, i ribelli Houthi
sfruttano la conoscenza del terreno montuoso per tendere imboscate e poi
scomparire. Nel sud del Libano, Hezbollah ha trasformato interi villaggi in
roccaforti, costruito reti di tunnel, e provocato l’intervento israeliano in
incursioni sanguinose. Non controllano il territorio: controllano il tempo.
Ma l’antica arte della
guerra non si fermava allo scontro diretto. Nell’Arthashastra, il
trattato indiano scritto da Kautilya nel IV secolo a.C., la guerra è descritta
come un gioco a più livelli: spionaggio, infiltrazione, sabotaggio economico.
Oggi, molti attori non statali applicano tattiche simili attraverso un mix di
attività militari, civili e politiche. Hezbollah, ad esempio, opera non solo
come gruppo armato, ma anche come partito politico e fornitore di servizi
sociali in Libano. Hamas fa lo stesso a Gaza. Questi gruppi hanno capito che il
potere non deriva solo dalle armi, ma anche dalla fiducia—o dalla
dipendenza—della popolazione. In Messico, i cartelli mantengono il controllo
offrendo lavoro, favori, persino assistenza sociale, in cambio di lealtà o
silenzio. La violenza, quando usata, è selettiva e spettacolare: più teatro che
guerra.
Questa strategia si
intreccia con un’altra verità senza tempo: il ruolo centrale della guerra
psicologica. Tucidide, nel raccontare la Guerra del Peloponneso, sosteneva che
le vere cause dei conflitti non fossero materiali, ma emotive—paura, onore,
interesse. Gli attori non statali lo capiscono bene. Una bomba in un mercato,
un attacco suicida in una città occidentale, non mirano a vincere militarmente
ma a provocare panico, polarizzazione, e risposte sproporzionate. Gli attacchi
dell’11 settembre, orchestrati da Al-Qaeda, erano pensati precisamente per
questo: provocare una reazione eccessiva. Gli Stati Uniti furono in questo modo
trascinati in due decenni di guerra e crisi interna. Per questi gruppi, la
vittoria non si misura in territori conquistati, ma nel caos generato.
C’è poi la questione
della forma—o meglio, della sua assenza. Il leggendario spadaccino giapponese
Miyamoto Musashi, nel Libro dei Cinque Anelli, descrive il guerriero
ideale come privo di forma fissa. La flessibilità è essa stessa una strategia.
I gruppi non statali moderni mostrano una sorprendente capacità di adattamento.
L’ISIS si è trasformato da insurrezione clandestina a pseudo-stato con entrate
petrolifere e una propria burocrazia—per poi tornare nell’ombra come rete di
cellule una volta perso il controllo territoriale. In Siria, milizie e gruppi
estremisti hanno cambiato nome, alleanze, composizione, adattandosi al mutare
delle circostanze. Questo mutamento costante li rende imprevedibili—e
soprattutto, difficili da sradicare.
Per molti esperti
occidentali di strategia, questo tipo di guerra è esasperante. Non segue le
regole. Non ci sono uniformi, né fronti chiari, né battaglie decisive. Ma è
proprio questo il punto. I movimenti insurrezionali più efficaci non cercano di
imitare gli eserciti moderni: abbracciano i principi più antichi della guerra.
Colpiscono nell’ombra, vincono il controllo della narrazione, usano il tempo
come arma, e spariscono quando necessario.
Queste strategie possono
essere antiche, ma non sono affatto obsolete. Anzi, la tecnologia contemporanea—i
social media, le comunicazioni criptate, i deepfake—le ha rese ancora più
potenti. Mentre gli eserciti tradizionali arrancano nell’adattarsi, gli attori
non statali godono del vantaggio di una visione ideologica chiara, controllo
narrativo e pazienza strategica.
In un’epoca di instabilità cronica, farebbe bene
smettere di considerare questi gruppi come semplici residui di stati falliti.
Sono, a tutti gli effetti, eredi di una lunga tradizione di pensiero strategico
raffinato. Il futuro della guerra irregolare è già qui—e somiglia
sorprendentemente al passato.
“Dalla Russia con amore”: le nuove minacce per l’Italia e il ruolo della Russia tra cyberspazio, salute pubblica, disinformazione e spionaggio.
di Claudio Bertolotti.
Articolo originale pubblicato su Osservatorio Strategico 1/2025 del Centro Alti Studi per la Difesa – Scuola Superiore Universitaria.
Abstract
L’articolo analizza le principali minacce alla sicurezza nazionale italiana attribuite alla Russia, con un focus su tre aree strategiche: cyber security, disinformazione e spionaggio. La Russia emerge come una delle principali sfide per l’Italia in ambito informatico, grazie alla sua capacità di condurre attacchi mirati volti a ottenere informazioni sensibili o a interferire con le infrastrutture critiche. Parallelamente, l’uso sistematico della disinformazione da parte di Mosca rappresenta uno strumento per influenzare l’opinione pubblica e le decisioni politiche in Italia, sfruttando social media e media tradizionali per diffondere contenuti falsi o manipolati. Il tema dello spionaggio si inserisce nel quadro di cooperazioni bilaterali come l’operazione “Dalla Russia con amore” del 2020, durante la quale sono emersi rischi legati alla raccolta di informazioni sensibili sotto il pretesto di assistenza sanitaria. Questo aspetto si collega a casi emblematici come l’arresto di Walter Biot, ufficiale della Marina militare italiana, accusato di spionaggio a favore della Russia. L’articolo sottolinea la necessità di strategie di contrasto multidimensionali per fronteggiare queste minacce, combinando tecnologie avanzate, cooperazione internazionale e rafforzamento della resilienza istituzionale.
Situazioni di emergenza, crisi e vulnerabilità: il terreno ideale per l’emergere di nuove minacce.
Le dinamiche delle relazioni
internazionali e le politiche globali incidono profondamente sulla competizione
tra attori statali e non statali, influenzando i settori politico, sociale ed
economico. L’assertività dimostrata da alcuni Paesi nell’arena internazionale
sta contribuendo, inoltre, a ridefinire gli equilibri di potere sia a livello
regionale che globale. Fenomeni come l’emergenza pandemica da Covid-19, il
conflitto tra Russia e Ucraina e la crisi energetica stanno già lasciando
un’impronta destinata a perdurare a lungo, sia per l’Italia che per molte altre
nazioni, con effetti significativi in ambito economico e sociale.
La pandemia da Covid-19 ha
messo a dura prova l’Italia, evidenziando vulnerabilità sistemiche e criticità
latenti. Essa ha generato una crisi sanitaria senza precedenti, con un
incremento esponenziale dei contagi e dei decessi, oltre a un sovraccarico del
sistema sanitario. A ciò si è aggiunta una crisi economica e sociale, caratterizzata
da un aumento della disoccupazione e da una contrazione dei consumi,
conseguenze dirette delle misure restrittive come i lockdown, che hanno portato alla chiusura di numerose attività
produttive.
Prima che gli impatti della
pandemia potessero essere completamente assorbiti, il 24 febbraio 2022 è
scoppiato il conflitto in Ucraina, avviato dall’invasione russa. Questa guerra
ha innescato una nuova crisi economica, aggravata dall’aumento dei costi delle
materie prime e dalla riduzione dei flussi commerciali. Parallelamente, ha
provocato una crisi politica internazionale, con l’introduzione di sanzioni
contro la Russia e complicazioni nell’approvvigionamento energetico per molti
Paesi europei.
La crisi energetica che ne è
derivata ha ulteriormente peggiorato il quadro economico, determinando un
ulteriore incremento dei prezzi delle risorse primarie e difficoltà di accesso
all’energia. Questi fattori hanno avuto un impatto diretto sull’economia
italiana, riducendo la competitività delle imprese nazionali. Questo contesto
evidenzia la complessità delle relazioni internazionali e la volatilità dei
rapporti tra alleati e rivali, sottolineando l’imprevedibilità di eventi capaci
di ostacolare l’accesso alle risorse energetiche, condizionandone disponibilità
e prezzi. Tali dinamiche hanno ripercussioni significative sui piani sociale,
politico ed economico, rendendo indispensabile una gestione attenta e
strategica di questi fenomeni globali (Bertolotti, 2023).
Minacce emergenti per la sicurezza dell’Italia e capacità della Russia (e sue linee d’azione).
La sicurezza e la difesa dell’Italia sono
messe a rischio da una serie di minacce emergenti, che si manifestano in vari
ambiti in relazione al contesto globale. Tra queste, il cybercrime rappresenta una delle sfide più rilevanti. Con la
crescente dipendenza dalle tecnologie digitali, le infrastrutture critiche e le
imprese italiane diventano bersagli sempre più vulnerabili ad attacchi
informatici. Tali attacchi, spesso condotti attraverso metodi sofisticati,
mirano a sottrarre informazioni sensibili o compromettere sistemi, causando
danni significativi. La Russia, in particolare, è considerata una delle
principali fonti di queste minacce, utilizzando il cyberspazio per attività di
spionaggio e interferenza sulle infrastrutture strategiche.
Un ulteriore rischio è rappresentato
dallo spionaggio industriale, che colpisce i
settori d’eccellenza del sistema produttivo italiano e il know-how nazionale.
In un contesto di competizione globale, settori come l’automotive,
l’aerospazio, la difesa e l’energia risultano particolarmente esposti a tali
pratiche. Le tecnologie avanzate e le innovazioni di punta diventano obiettivi
di attacchi mirati, con conseguenze strategiche per la competitività del Paese.
Anche il sistema
sanitario nazionale è vulnerabile. Gli attacchi informatici contro questo
settore possono compromettere la fornitura di servizi essenziali, mettere a
rischio i dati personali di pazienti e operatori, e generare perdite economiche
significative per le strutture sanitarie. Queste azioni possono avere un
impatto devastante sulla salute pubblica, aggravando ulteriormente situazioni
di emergenza.
La disinformazione
e propaganda costituiscono un’altra minaccia emergente, con la capacità
di manipolare l’opinione pubblica attraverso la diffusione di notizie false o
distorte. Social media e media tradizionali sono spesso usati per creare
confusione e incertezza, influenzando le decisioni politiche e ostacolando la
gestione di crisi. In un contesto già fragile, segnato dagli effetti della
pandemia e della crisi energetica, tali dinamiche possono amplificare le
divisioni sociali, minando la stabilità e la coesione nazionale.
La crisi
energetica, inoltre, si configura come una minaccia significativa. La
dipendenza dalle risorse esterne e l’aumento dei prezzi delle materie prime
hanno un impatto diretto sull’economia italiana e sulla competitività delle
imprese, rendendo più complessa la gestione delle emergenze e il processo
decisionale delle autorità (Bertolotti, 2023).
Il ruolo della Russia.
La Russia si posiziona come uno degli attori principali nello scenario delle minacce emergenti per l’Italia. Grazie a una vasta capacità nel campo degli attacchi informatici, Mosca utilizza tecnologie avanzate per condurre azioni di hacking, impiegare malware sofisticati e sfruttare tecniche di phishing e ingegneria sociale. Questi strumenti, spesso supportati da gruppi APT (Advanced Persistent Threat) collegati al governo russo, permettono di interferire con sistemi protetti e ottenere informazioni strategiche.
In ambito geopolitico, la Russia ha sviluppato un approccio integrato alla comunicazione strategica e alla diplomazia digitale. Come descritto dal presidente Vladimir Putin nel 2012, il soft power viene utilizzato per perseguire obiettivi di politica estera senza ricorrere direttamente a strumenti militari. Organizzazioni come il “Russian World” e il “Gorchakov Fund of Public Diplomacy”, insieme all’Agenzia Rossotrudnichestvo, sono attori chiave di questa strategia, operando attraverso la diffusione di informazioni mirate e narrative alternative sui social network.
Durante la pandemia da Covid-19, la
Russia ha intensificato il proprio impegno propagandistico attraverso l’invio
di aiuti umanitari a vari Paesi, tra cui l’Italia. Tali iniziative, veicolate
attraverso una comunicazione mirata sui social media, sono state utilizzate per
consolidare la propria influenza a livello internazionale. Questo approccio ha
permesso al Cremlino di guadagnare consenso in regioni strategiche come i
Balcani, il Medio Oriente e l’America Latina, oltre che all’interno dell’Unione
Europea.
La combinazione di disinformazione,
propaganda e capacità cyber rende la Russia un attore centrale nelle dinamiche
delle minacce emergenti, con impatti significativi sulla sicurezza e sulla
stabilità globale. Per l’Italia, affrontare queste sfide richiede strategie
coordinate e mirate, capaci di tutelare le infrastrutture critiche, proteggere
la coesione sociale e rafforzare la resilienza nazionale.
Invitare la spia in casa: l’Operazione “Dalla Russia con amore”. Un’analisi delle dinamiche e implicazioni.
Durante le fasi iniziali
della pandemia di Covid-19, il 7° Reggimento di difesa chimica, biologica,
radiologica e nucleare “Cremona” (CBRN) dell’Esercito Italiano fu coinvolto,
tra marzo e maggio 2020, in attività di sanificazione e decontaminazione.
Questo impegno includeva il supporto ai centri di accoglienza per persone
provenienti dall’estero e la sanificazione di oltre 180 strutture in Lombardia.
A queste operazioni partecipò un contingente russo inviato nell’ambito
dell’operazione “Dalla Russia con amore”, che portò alla formazione
di 9 task force miste italo-russe (Senato della Repubblica, Doc. CLXIV n. 31,
p. 85). L’intervento, inizialmente concentrato nella provincia di Bergamo,
evidenziò vulnerabilità legate alla raccolta di informazioni da parte di attori
esterni, con il rischio che l’aiuto offerto fosse usato come pretesto per
penetrare il perimetro di sicurezza nazionale.
La missione russa vide il coinvolgimento di 104 operatori, tra cui i due epidemiologi di spicco Natalia Y. Pshenichnaya e Aleksandr V. Semenov. La presenza russa, tuttavia, fu oggetto di limitazioni: il contributo iniziale previsto di 400 operatori fu ridotto a 100 per decisione dell’allora ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Inoltre, il generale Luciano Portolano, comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, respinse richieste di estendere le operazioni russe a siti strategici come basi militari e uffici governativi, tra cui la base di Ghedi (Brescia), utilizzata dalla NATO, limitandole ad ospedali e case di cura. Durante queste attività, i russi tentarono più volte di raccogliere campioni di virus e offrirono incentivi economici a ricercatori italiani per ottenere dati scientifici. Un esempio significativo fu l’offerta di 250mila euro a un dirigente dell’ospedale Spallanzani di Roma, che favorì il vaccino russo “Sputnik” a scapito del progetto italiano “Reithera” (Jacoboni, 2022).
Il Contesto e le Controversie.
L’accordo tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte fu raggiunto telefonicamente il 21 marzo 2020. Tuttavia, l’intervento russo, percepito come una forma di “assegno in bianco” da parte dell’Italia, fu attuato in modo non coordinato, senza consultare adeguatamente il governo italiano. Il contributo russo includeva esperti militari, specialisti in minacce biologiche e chimiche, e unità tecniche per lo studio di agenti patogeni, ma mancavano dispositivi per il rilevamento specifico del Covid-19.
Le aree selezionate dai russi
per la sanificazione sollevarono preoccupazioni: molti dei siti erano vicini a
infrastrutture sensibili come basi NATO contenenti arsenali nucleari. Questi
fattori portarono il governo italiano a interrompere prematuramente
l’operazione, considerandola un potenziale rischio per la sicurezza nazionale.
Ruolo degli epidemiologi russi
Un elemento di rilievo fu la
presenza non autorizzata dei due epidemiologi russi, Pshenichnaya e Semenov,
entrambi operativi presso la Rospotrebnadzor, l’ente russo responsabile della
gestione della pandemia. I due avevano precedentemente lavorato a Wuhan e
dichiararono che l’obiettivo della loro missione era acquisire esperienza sulle
modalità di gestione del Covid-19 adottate in altri Paesi. Tuttavia, due mesi
dopo la loro partenza dall’Italia, pubblicarono un report critico sulla
gestione italiana della pandemia (Santarelli, 2022), alimentando dubbi sul reale
scopo della loro presenza (Bertolotti, 2023).
Considerazioni finali
L’operazione “Dalla
Russia con amore” solleva interrogativi sulla gestione di aiuti
internazionali in contesti di emergenza e sui rischi connessi alla sicurezza
nazionale. Mentre l’intervento russo fu ufficialmente presentato come un
contributo umanitario, molteplici azioni suggeriscono che potesse servire anche
come strumento per raccogliere informazioni strategiche e consolidare
l’influenza geopolitica di Mosca. Queste dinamiche sottolineano l’importanza di
un coordinamento rigoroso e di un’attenta valutazione dei rischi legati alla
cooperazione internazionale in situazioni di crisi.
Analisi dell’operazione russa in Italia: una strategia di guerra ibrida
L’intervento militare russo in Italia durante la
pandemia di Covid-19 rappresenta un esempio pratico dell’applicazione della
cosiddetta “guerra ibrida,” utilizzata da Mosca per ottenere un
vantaggio strategico temporaneo nel contesto dell’emergenza sanitaria globale
(Santarelli, 2022). A differenza della Cina, che si limitò a fornire consulenza
tramite videoconferenze, l’Italia accolse e offrì ampia libertà di azione ai
militari russi. Questo permise loro di raccogliere preziose informazioni sulla
gestione e diffusione del virus, informazioni che furono sfruttate per una
campagna di propaganda sia interna che internazionale, inclusa la promozione
del vaccino russo “Sputnik V.”
L’operazione russa sembrava perseguire tre obiettivi
principali. Primo, l’acquisizione di informazioni strategiche attraverso
attività di spionaggio, con l’obiettivo di sviluppare una strategia di gestione
della pandemia basata sulle conoscenze acquisite in Italia. Secondo, la
propaganda interna ed esterna, finalizzata a esaltare i progressi della Russia
e a promuovere l’adozione del vaccino “Sputnik” da parte di altri
Paesi, inclusa l’Italia. Terzo, una campagna di “guerra informativa”
volta a screditare la gestione italiana della crisi sanitaria, attraverso il
contributo e le dichiarazioni di autorevoli epidemiologi russi.
Implicazioni per la Sicurezza Nazionale
L’operazione “Dalla Russia con amore”
evidenzia la necessità di valutare attentamente le implicazioni per la
sicurezza nazionale in situazioni di emergenza. Questo caso offre un esempio
concreto di come attori esterni possano sfruttare contesti critici per
infiltrare le loro reti di intelligence, raccogliere dati strategici o
penetrare sistemi di sicurezza nazionale. In nome di una presunta assistenza
umanitaria, tali operazioni possono minare la stabilità interna e rafforzare
l’influenza geopolitica di Paesi terzi.
L’esperienza italiana dimostra l’importanza di
mantenere un controllo rigoroso e di definire limiti chiari nelle
collaborazioni internazionali in situazioni emergenziali, al fine di prevenire
rischi per l’integrità e la sicurezza dello Stato (Bertolotti, 2023).
Bibliografia
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Trump e lo Alien Enemies Act del 1798: il rimpatrio dei membri di gang venezuelane come “guerra irregolare”.
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
Foto credit: GettyImages 1230347425
Lo Alien Enemies Act
del 1798 è una legge federale che concede al presidente degli Stati Uniti
l’autorità di detenere o deportare cittadini stranieri provenienti da nazioni
considerate ostili in tempi di guerra. Promulgata il 6 luglio 1798 come parte
degli Alien and Sedition Acts, il suo obiettivo principale è quello di
proteggere la sicurezza nazionale in un contesto di conflitto armato.
Alla fine del XVIII
secolo, le tensioni tra Stati Uniti e Francia aumentarono, alimentando timori
di spionaggio e sovversione interna. Per rispondere a queste preoccupazioni, il
Congresso, controllato dai Federalisti, approvò quattro leggi collettivamente
note come Alien and Sedition Acts. Queste includevano il Naturalization
Act, che aumentava il requisito di residenza per la cittadinanza statunitense
da cinque a quattordici anni; lo Alien Friends Act, che autorizzava il
presidente a deportare qualsiasi straniero ritenuto pericoloso per la sicurezza
nazionale; lo Alien Enemies Act, che permetteva al presidente di
detenere o deportare cittadini maschi di una nazione ostile, di età pari o
superiore ai quattordici anni, durante i periodi di guerra; e il Sedition
Act, che rendeva un crimine la pubblicazione di scritti “falsi,
scandalosi e maligni” contro il governo o i suoi funzionari. A differenza
degli altri tre atti, che furono abrogati o scaddero entro il 1802, lo Alien
Enemies Act rimane in vigore ancora oggi, sebbene in una forma modificata.
La sua stessa presenza continua nel diritto statunitense alimenta dibattiti su
libertà civili e l’equilibrio tra sicurezza nazionale e diritti individuali.
Nel corso della storia
degli Stati Uniti, lo Alien Enemies Act è stato invocato solo durante
conflitti significativi. Durante la Guerra del 1812, fu applicato ai cittadini
britannici residenti negli Stati Uniti. Nella Prima Guerra Mondiale, prese di
mira cittadini della Germania e dei suoi alleati. Nella Seconda Guerra
Mondiale, giustificò l’internamento di cittadini giapponesi, tedeschi e
italiani, nonché di cittadini americani di origine giapponese, segnando una
delle applicazioni più controverse della legge. In ogni caso, l’atto ha
facilitato la detenzione, il trasferimento o la deportazione di individui sulla
base della loro nazionalità in tempo di guerra.
Nel marzo 2025, il
presidente Donald Trump ha invocato lo Alien Enemies Act per accelerare
la deportazione di migranti venezuelani sospettati di affiliazione con gang
criminali, in particolare il gruppo Tren de Aragua. Questo ha segnato
un’inedita applicazione della legge in tempo di pace, poiché gli Stati Uniti
non sono ufficialmente in guerra con il Venezuela. Sebbene l’inizio delle
deportazioni non sia stato fermato, un giudice federale ha emesso un’ordinanza
restrittiva di quattordici giorni, aprendo un dibattito legale sull’ambito e
l’applicabilità della legge nel contesto contemporaneo.
L’invocazione del Alien
Enemies Act del 1798 per deportare membri di gang venezuelane suggerisce
che l’amministrazione Trump stia inquadrando l’attività criminale come una
forma di guerra irregolare. Questo si allinea con precedenti passi volti
a classificare alcuni cartelli della droga come organizzazioni terroristiche,
riflettendo un più ampio cambiamento nel modo in cui gli attori non statali
coinvolti nel crimine organizzato sono percepiti all’interno della politica di
sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Trattando le organizzazioni criminali
come attori di guerra irregolare piuttosto che come semplici imprese criminali,
l’amministrazione probabilmente cerca di espandere gli strumenti legali e
militari disponibili per combatterle.
La guerra irregolare
è generalmente intesa come un conflitto che coinvolge attori non statali che
utilizzano tattiche asimmetriche, tra cui insurrezione, guerriglia e
terrorismo, per sfidare l’autorità statale. I cartelli della droga e le gang
transnazionali, pur non essendo insurrezioni ideologiche nel senso
tradizionale, esercitano violenza, controllo territoriale e sfruttamento
economico che destabilizzano le regioni e minacciano la sicurezza nazionale
degli Stati Uniti. Equiparare l’attività delle gang alla guerra irregolare
potrebbe giustificare misure più forti, come interventi militari, operazioni di
intelligence e l’applicazione di poteri straordinari tipici del tempo di
guerra, comprese deportazioni accelerate e potenzialmente detenzioni a tempo
indeterminato.
Esistono diversi
potenziali vantaggi in questo approccio. In primo luogo, consente una risposta
più aggressiva e coordinata contro organizzazioni criminali che operano oltre i
confini e hanno legami con reti terroristiche. Se i cartelli e le gang
transnazionali vengono trattati come minacce paragonabili alle insurrezioni,
allora possono essere applicate strategie di controterrorismo e
controinsurrezione per smantellarli. Ciò potrebbe migliorare la sicurezza lungo
il confine tra Stati Uniti e Messico e nelle aree urbane colpite dalla violenza
delle gang, riducendo potenzialmente i crimini e le morti legate alla droga.
Potrebbe anche esercitare pressione sui governi stranieri, come quelli di
Messico e Venezuela, affinché prendano misure più forti contro i gruppi criminali
operanti nei loro territori.
Tuttavia, esistono anche
rischi significativi e potenziali conseguenze negative. Dal punto di vista
legale, l’ampia applicazione di poteri straordinari in un contesto di pace
potrebbe creare un precedente pericoloso, erodendo le libertà civili e le
garanzie del giusto processo. L’uso del Alien Enemies Act contro
individui non affiliati a uno stato nemico riconosciuto solleva preoccupazioni
sulla sua costituzionalità e sulla possibilità di discriminazione razziale o
etnica. Inoltre, l’espansione del concetto di guerra irregolare per includere
l’attività delle gang potrebbe portare alla militarizzazione delle forze
dell’ordine domestiche, aumentando l’uso della forza, le potenziali violazioni
dei diritti umani e le tensioni tra comunità e autorità governative.
A livello internazionale,
trattare cartelli e gang come organizzazioni terroristiche o combattenti nemici
potrebbe aumentare le tensioni con i governi stranieri. Se gli Stati Uniti
iniziassero a prendere di mira questi gruppi attraverso operazioni militari o
di intelligence, ciò potrebbe essere visto come una violazione della sovranità
nazionale, specialmente in America Latina. Paesi come il Messico hanno già
resistito agli sforzi statunitensi di designare i cartelli come organizzazioni
terroristiche, temendo che ciò possa giustificare azioni militari unilaterali
da parte degli Stati Uniti nei loro territori. Questo approccio potrebbe anche
provocare ritorsioni da parte delle organizzazioni criminali, aumentando la
violenza contro cittadini americani e forze dell’ordine.
In conclusione, mentre la classificazione
dell’attività delle gang come guerra irregolare può offrire vantaggi tattici
nella lotta contro il crimine organizzato, essa comporta profondi rischi
legali, etici e geopolitici che devono essere attentamente valutati. È
necessario trovare un equilibrio tra la sicurezza nazionale e il rispetto dello
stato di diritto, delle libertà civili e della cooperazione internazionale.
Inoltre, le conseguenze a lungo termine della ridefinizione delle
organizzazioni criminali come minacce militari potrebbero modellare la politica
degli Stati Uniti in modi difficili da controllare o invertire.
La telefonata Trump-Zelensky sulla pace in Ucraina: leggiamo tra le righe
di Claudio Bertolotti.
Dall’intervista a “Effetto Notte” – Radio24, ospite di Roberta Giordano (puntata del 19 marzo 2025).
La dichiarazione al termine della conversazione telefonica è stata concordata e allineata, una copia l’una dell’altra. Dalla convergenza sulla riconosciuta importanza degli incontri negoziali di Gedda alla decisione di accettare un cessate il fuoco incondizionato, il che equivale a cedere alla Russia. Quello di un’Ucraina provata dei territori conquistati da Mosca è lo scenario che prospettiamo da almeno due anni ma di cui si è preferito non parlare prediligendo una narrazione ideale e non realistica volta alla liberazione dell’Ucraina tout court. Purtroppo.
C’è una differenza sottile però nelle dichiarazioni di
Washington e Kiev: Zelensky
ha ribadito la necessità di rinforzare la difesa contraerea. Trump ha
concordato su questa necessità, evidenziando
però che farà il possibile per trovare in Europa la risposta a tale necessità.
Dunque passando la palla agli europei, o quantomeno richiamando l’UE a un ruolo
che, a parole, pretende ma che nella pratica ha giocato Washington fo dal
principio. Forse non in termini economici, ma certamente in termini di
forniture materiali di armi ed equipaggiamenti. Inoltre, Zelensky non l’ha
fatto, Trump si, è stata ventilata l’ipotesi di un passaggio di proprietà del
settore energetico ucraino a favore di aziende statunitensi. Interessante, poiché
questo potrebbe essere un limite all’eventuale aggressiva pretesa futura da
parte di Mosca.
Di fatto l’Ucraina ha incassato il colpo piegandosi alla
volontà statunitense, non potendo fare altrimenti e non essendoci una reale
alternativa.
Dunque l’opzione che si prospetta all’orizzonte è quella di un’Ucraina ridimensionata, territorialmente, in termini di risorse naturali, e privata di un eventuale possibilità di inclusione all’interno dell’Alleanza atlantica, ma non dell’Unione europea: un’opzione che, però, sarebbe molto vantaggiosa per la Russia che, nell’Europa, non intravede un baluardo invalicabile.
Il dilemma della difesa europea: perché PESCO e altre iniziative non riescono mai a dare risultati
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
L’Unione Europea ha sempre
aspirato a rafforzare la sua sicurezza collettiva e l’autonomia strategica.
Negli ultimi anni, iniziative come la Cooperazione Strutturata Permanente
(PESCO), il Fondo europeo per la difesa (EDF) e la Revisione annuale coordinata
sulla difesa (CARD) sono state lanciate per potenziare le capacità di difesa
europee. Tuttavia, queste iniziative, pur essendo simbolicamente significative,
non sono riuscite a dare all’Europa un framework per la sicurezza coerente ed
efficace. Con l’aumento delle tensioni geopolitiche, in particolare con una
Russia sempre più aggressiva e l’instabilità in corso in Medio Oriente e Nord
Africa, è giunto il momento per l’Europa di riconoscere i difetti fondamentali
nel suo attuale approccio alla difesa e considerare soluzioni più radicali.
Ad oggi, la Cooperazione
Strutturata Permanente (PESCO) continua a essere il quadro di riferimento dell’Unione
Europea per approfondire la collaborazione in ambito difensivo tra i suoi Stati
membri. Dalla sua creazione nel 2017, PESCO si è estesa includendo oggi 26
paesi che lavorano collettivamente su 68 progetti volti a migliorare le
capacità militari e l’interoperabilità. Nel novembre 2024, il Consiglio
dell’Unione Europea ha approvato le conclusioni della revisione strategica di
PESCO, riaffermando il suo ruolo centrale nel promuovere la cooperazione nell’ambito
della difesa. La revisione ha messo in luce la necessità di adattare PESCO al
mutato panorama geopolitico e ha evidenziato l’importanza di affrontare le
sfide esistenti per potenziarne l’efficacia.
Nonostante questi sforzi,
PESCO continua comunque ad avere limiti significativi. Molti progetti hanno
subito ritardi a causa di una pianificazione finanziaria e opertativa insufficiente,
portando a discussioni sul rilancio o l’abbandono di iniziative poco
performanti. Inoltre, gli interessi nazionali divergenti e le diverse
interpretazioni dell’autonomia strategica tra gli Stati membri hanno ostacolato
il raggiungimento di un livello accettabile di coesione. Ad esempio, la Polonia
ha espresso preoccupazioni sul fatto che PESCO potrebbe minare la NATO o
indebolire la cooperazione in materia di sicurezza con gli Stati Uniti,
entrambi vitali per la sicurezza del fianco orientale della NATO.
Per aumentare l’efficacia
di PESCO, l’UE ha lanciato diversi progetti aperti alla partecipazione di terzi
rispetto all’Unione. In particolare, Canada, Norvegia e Stati Uniti sono
coinvolti nel progetto “Mobilità Militare” dal dicembre 2021, con il
Regno Unito che si è unito nel novembre 2022. Il Canada è stato anche invitato
a partecipare, a partire da febbraio 2023, al progetto di creazione di una rete
di hub logistici in Europa e supporto alle operazioni. Questa inclusione mira a
sfruttare competenze e risorse esterne per rafforzare le iniziative PESCO.
Nell’agosto 2024, la Svizzera ha ottenuto l’approvazione per partecipare a due
progetti PESCO: “Mobilità Militare” e “Cyber Ranges
Federation”. Questa apertura è volta a potenziare le capacità di difesa
nazionale della Svizzera, pur rispettando i suoi obblighi di neutralità.
Guardando al futuro, la
revisione strategica in corso di PESCO, prevista per concludersi entro la fine
del 2025, offre un’opportunità per rimodellare il quadro per affrontare meglio
le sfide di sicurezza contemporanee. La revisione mira a rivitalizzare PESCO
affinando i suoi obiettivi, migliorando la gestione dei progetti e garantendo
che gli sforzi collaborativi portino a concreti avanzamenti militari. In
sintesi, sebbene PESCO abbia fatto progressi nel promuovere la cooperazione in
ambito difensivo all’interno dell’UE, continua a fare i conti con inefficienze
burocratiche, priorità nazionali divergenti e livelli variabili di impegno tra
gli Stati membri. La valutazione dei risultati della revisione strategica e dell’inclusione
di partecipanti terzi saranno cruciali per determinare l’efficacia futura di
PESCO nel rafforzare la postura difensiva dell’Europa.
Allo stesso modo, il
Fondo europeo per la difesa (EDF), istituito nel 2017, è uno strumento
fondamentale per rafforzare la ricerca e l’innovazione nel settore della difesa
dell’Unione Europea. Per il periodo 2021-2027, l’EDF ha ricevuto un budget di
circa 8 miliardi di euro, di cui 2,7 miliardi destinati alla ricerca difensiva
collaborativa e 5,3 miliardi destinati a progetti di sviluppo delle capacità.
Riconoscendo la necessità di potenziare le capacità di difesa, la Commissione
Europea ha proposto un sostanziale aumento dei fondi per la difesa. Nel marzo
2025, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha annunciato
piani per un fondo di difesa da 150 miliardi di euro, volto a incoraggiare gli
Stati membri a investire in capacità militari con il supporto di prestiti
sostenuti dall’UE. Questa iniziativa sottolinea l’impegno dell’UE nel
rafforzare la propria postura difensiva in risposta alle sfide geopolitiche in
evoluzione.
La Revisione Annuale
Coordinata sulla Difesa (CARD) è un altro meccanismo cruciale progettato per
armonizzare la pianificazione e gli investimenti della difesa tra gli Stati
membri dell’UE. CARD fornisce una panoramica completa del panorama della difesa
dell’UE, identificando opportunità di collaborazione e facilitando la
cooperazione. Tuttavia, il rapporto CARD del 2024 indica che, nonostante i
progressi nella spesa per la difesa e nella cooperazione, resta ampio spazio
per miglioramenti. Gli Stati membri sono incoraggiati a prendere azioni
decisive per mantenere gli investimenti e migliorare l’efficienza delle loro
forze armate.
In aggiunta all’EDF e al
CARD, numerose altre iniziative e agenzie difensive europee contribuiscono al
potenziamento delle capacità di difesa dell’Unione Europea. Istituita nel 2004,
l’Agenzia Europea per la Difesa (EDA) supporta gli Stati membri dell’UE nel
migliorare le loro capacità di difesa attraverso la cooperazione europea.
Agendo come facilitatore per progetti difensivi collaborativi, l’EDA funge da
centro per la cooperazione nella difesa europea, coprendo una vasta gamma di
attività legate alla difesa.
La Politica Comune di
Sicurezza e Difesa (CSDP) è il quadro dell’UE per la difesa e la gestione delle
crisi, formando una componente principale della Politica Estera e di Sicurezza
Comune (CFSP) dell’UE. La CSDP consente all’UE di intraprendere missioni
operative al di fuori dei suoi confini, utilizzando sia risorse civili che
militari per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti
e il rafforzamento della sicurezza internazionale. L’UE sta anche esplorando lo
sviluppo di una nuova rete satellitare per ridurre la dipendenza
dall’intelligence militare degli Stati Uniti. Questa iniziativa mira a
migliorare la capacità dell’UE di rilevare minacce e coordinare azioni
militari, fornendo aggiornamenti più frequenti e maggiore autonomia nella raccolta
di informazioni. Queste iniziative e agenzie contribuiscono collettivamente a
un quadro difensivo europeo più integrato e robusto, affrontando le sfide di
sicurezza sia attuali che emergenti.
A complicare le sfide
affrontate da queste iniziative c’è comunque la continua dipendenza dell’UE
dalla NATO come suo principale garante della sicurezza. Mentre i leader europei
parlano spesso di “autonomia strategica”, la realtà è che l’Europa
rimane dipendente dal potere militare americano. La guerra in Ucraina ha
sottolineato il ruolo insostituibile della NATO nella sicurezza europea, con
gli Stati Uniti che forniscono la maggior parte degli aiuti militari e del
coordinamento strategico. Questa dipendenza dalla NATO crea un paradosso:
mentre l’UE desidera una maggiore indipendenza difensiva, non è disposta o in
grado di sviluppare le capacità necessarie per rendere quell’indipendenza
significativa. I tentativi di stabilire un’identità difensiva europea
credibile, come l’Iniziativa di Intervento Europea (EI2) guidata dalla Francia,
hanno fatto pochi progressi a causa delle priorità concorrenti degli Stati
membri.
Per affrontare queste
carenze, l’Europa deve riconsiderare la sua strategia di difesa con soluzioni
audaci e pragmatiche. In primo luogo, è necessaria un’autentica volontà di
spesa per la difesa. L’UE dovrebbe stabilire obiettivi vincolanti di
investimento in difesa, simili all’aumento della richiesta di PIL della NATO.
ReArm Europe è un passo nella giusta direzione, ma un bilancio militare comune
europeo, finanziato attraverso meccanismi a livello UE, potrebbe aiutare a
superare la frammentazione nell’acquisto di armamenti e nello sviluppo delle
capacità.
In secondo luogo,
dobbiamo capire che la creazione di un esercito europeo pienamente integrato è
stata a lungo considerata politicamente irrealizzabile a causa delle
preoccupazioni sulla sovranità nazionale e della complessità nell’allineare
strutture militari diversificate. Tuttavia, gli sviluppi recenti indicano un
cambiamento verso capacità difensive europee più coese. Nel marzo 2022, l’UE ha
introdotto lo strumento dello Strategic Compass, delineando la creazione di una
Capacità di Dispiegamento Rapido (RDC) entro il 2025. Questa forza modulare
mira a mobilitare fino a 5.000 persone, incorporando i battaglioni modificati
dell’UE e forze aggiuntive degli Stati membri.
Il presidente francese
Emmanuel Macron è da sempre un sostenitore vocale del rafforzamento dei
meccanismi di difesa dell’UE. Nell’aprile 2024, ha proposto l’istituzione di
una Forza di Reazione Rapida Europea entro il 2025, sottolineando la necessità
di un'”Iniziativa di Difesa Europea” per sviluppare concetti
strategici e capacità, in particolare nella difesa aerea e nelle operazioni a
lungo raggio. Nonostante queste iniziative, permangono numerosi problemi.
Nazioni come la Germania affrontano difficoltà nel reclutare e preparare le
loro forze armate, soprattutto tra le giovani generazioni che potrebbero dare
priorità all’equilibrio tra vita lavorativa e impegni militari. Nazioni come
l’Italia non si fidano della Francia, riconoscendo che molto spesso le priorità
strategiche e gli interessi nazionali di Parigi divergono da quelli di Roma.
Infine, potenziare la
sicurezza dell’Europa richiede un approccio globale che integri i quadri
militari istituzionali e la preparazione civile. Sebbene l’idea di un diritto
di autodifesa a livello dell’UE simile al Secondo Emendamento degli Stati Uniti
sia culturalmente e giuridicamente complessa, l’Europa ha avviato iniziative
per rafforzare la resilienza e la preparazione civile.
In conclusione,
l’ambiente di sicurezza dell’Europa sta peggiorando, e le attuali iniziative di
difesa sono inadeguate per affrontare le sfide future. PESCO, l’EDF e il CARD
non sono riusciti a offrire un cammino credibile verso l’autonomia strategica.
Se l’Europa è seria nel difendersi, deve adottare soluzioni più ambiziose, tra
cui un aumento della spesa per la difesa, l’integrazione operativa e un quadro
giuridico che dia potere agli Stati e ai cittadini in materia di sicurezza. Senza
tali misure, la difesa europea rimarrà un mosaico frammentato e inefficace,
lasciando il continente vulnerabile in un mondo sempre più ostile.
Trump: pressioni sull’Iran per colpire la Cina.
di Claudio Bertolotti.
L’amministrazione Trump ha deciso di intensificare la propria politica di massima pressione nei confronti dell’Iran, colpendo direttamente il settore petrolifero e le relative infrastrutture logistiche. Le recenti azioni statunitensi mirano a ridurre significativamente le esportazioni iraniane di petrolio, specialmente verso la Cina, per limitare il finanziamento delle attività destabilizzanti del regime iraniano in Medio Oriente.
Il Dipartimento di Stato ha imposto nuove sanzioni contro tre società che hanno facilitato trasferimenti illeciti di petrolio iraniano mediante operazioni navali ship-to-ship (STS) svolte al largo dei porti nel Sud-est asiatico. Contemporaneamente, sono state individuate tre navi utilizzate per queste operazioni, dichiarandole beni soggetti a blocco. Queste misure puntano a bloccare il flusso finanziario che consente a Teheran di sostenere i suoi programmi nucleari e missilistici, oltre al sostegno ai gruppi terroristici regionali.
Parallelamente, il Dipartimento del Tesoro ha colpito direttamente il Ministro del Petrolio iraniano, Mohsen Paknejad, figura chiave nelle operazioni petrolifere iraniane, accusato di usare le risorse energetiche nazionali a favore delle attività illecite del regime. Sono state inoltre sanzionate diverse compagnie coinvolte nel trasporto e nella vendita del petrolio iraniano, soprattutto verso la Cina.
Le società colpite dalle sanzioni hanno operato con navi registrate in vari Paesi, nascondendo l’origine reale del petrolio trasportato, disattivando o manipolando i sistemi di identificazione automatica (AIS) per eludere i controlli internazionali. Tra queste società vi sono la PT. Bintang Samudra Utama (Bintang), la Shipload Maritime Pte. Ltd. e la PT. Gianira Adhinusa Senatama (Gianira), che hanno rispettivamente gestito le navi CELEBES, MALILI e MARINA VISION. Queste navi sono state coinvolte in un’importante operazione di trasferimento STS di petrolio iraniano il 25 dicembre 2024 nei pressi di Nipa, in Indonesia.
Gli analisti sottolineano che questa strategia riflette una consolidata tattica statunitense, volta non solo a bloccare le principali entrate economiche di Teheran ma anche a scoraggiare società e stati terzi dal collaborare direttamente o indirettamente con il regime iraniano. Questo genere di sanzioni genera un forte effetto dissuasivo, aumentando i costi e i rischi per gli operatori internazionali che cercano di aggirare le restrizioni imposte dagli USA.
Sul piano economico e strategico, questa ulteriore stretta punta dunque ad azzerare progressivamente le entrate petrolifere dell’Iran, indebolendo la capacità del regime di finanziare sia le proprie forze armate convenzionali sia le reti di milizie e gruppi affiliati, considerati da Washington come fattori principali di instabilità regionale.
È prevedibile che l’intensificazione delle sanzioni porti a un ulteriore aumento della tensione internazionale, ribadendo però la determinazione dell’amministrazione Trump a proseguire con la politica di massima pressione, con l’obiettivo finale di costringere l’Iran a rivedere le proprie strategie regionali e le proprie ambizioni nucleari e missilistiche.
L’evoluzione della guerra irregolare e una roadmap per il futuro.
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
Storicamente parlando, la
guerra irregolare (IW) è stata una costante dei conflitti, evolvendosi in
risposta a dinamiche politiche, tecnologiche e sociali in continuo cambiamento.
Nella dottrina militare degli Stati Uniti, essa è definita come “una lotta
violenta tra attori statali e non statali per la legittimità e l’influenza
sulle popolazioni di interesse” e, secondo la legge statunitense, come
“attività del Dipartimento della Difesa che non coinvolgono conflitti
armati ma supportano politiche e obiettivi militari prestabiliti degli Stati
Uniti, condotte da, con e attraverso forze regolari, forze irregolari, gruppi e
individui”. In senso più ampio, si tratta di una forma di guerra che mira
a minare il potere di un avversario attraverso tattiche asimmetriche. Oggi, la
guerra irregolare ha assunto molte forme, dalla guerriglia alle operazioni
cyber-enabled. Sebbene il dibattito moderno sulla IW sia fortemente influenzato
dalle esperienze occidentali, in particolare dagli Stati Uniti, è essenziale
esaminare una gamma più ampia di casi storici e contemporanei per comprenderne
l’evoluzione e affrontare le sfide della sicurezza futura.
Nel corso della storia,
la guerra irregolare è stata l’arma della parte più debole in un conflitto, che
si trattasse di insorti contro potenze coloniali, movimenti di resistenza
contro occupazioni o attori non statali che sfidavano l’autorità statale.
Esempi precoci includono le tattiche di guerriglia impiegate dagli spagnoli
contro le forze napoleoniche nella Guerra d’Indipendenza spagnola (1808-1814) e
le strategie asimmetriche utilizzate dai gruppi indigeni contro gli eserciti
coloniali europei.
Nel XX secolo, la guerra
irregolare è diventata una caratteristica dominante dei conflitti globali,
soprattutto nelle lotte di decolonizzazione. La resistenza vietnamita contro le
forze francesi e, successivamente, contro quelle americane ha dimostrato
l’efficacia di una combinazione di tattiche di guerriglia, guerra politica e
operazioni convenzionali. Analogamente, la strategia della guerra prolungata di
Mao Zedong in Cina ha enfatizzato l’importanza della mobilitazione della
popolazione e della fusione tra ideologia politica e azione militare per
logorare un avversario più forte nel tempo.
Durante la Guerra Fredda,
entrambe le superpotenze furono coinvolte in campagne di guerra irregolare
attraverso guerre per procura, sostegno alle insurrezioni e operazioni di
controinsurrezione. L’esperienza sovietica in Afghanistan (1979-1989) e i
conflitti degli Stati Uniti in Vietnam, Iraq e Afghanistan dimostrano le
difficoltà di combattere avversari irregolari con mezzi militari convenzionali.
Questi casi evidenziano l’importanza della comprensione delle dinamiche locali,
della legittimità politica e dei limiti del potere militare nei conflitti
irregolari.
Oggi, la guerra
irregolare si è espansa oltre le insurrezioni tradizionali e i movimenti di
guerriglia per includere la guerra cibernetica, la guerra dell’informazione e
le minacce ibride. Attori non statali come l’ISIS e minacce ibride da parte di
stati, come l’uso russo di forze proxy e delle campagne di disinformazione in
Ucraina, illustrano la natura in evoluzione della guerra irregolare. Il ruolo
della tecnologia, in particolare l’intelligenza artificiale, i droni e le
capacità informatiche, ha poi cambiato radicalmente il modo in cui la guerra
irregolare viene condotta.
Tuttavia, una carenza
critica negli studi attuali sulla guerra irregolare è il focus occidentale, che
spesso ignora le esperienze ricche e variegate di altre regioni. Ad esempio, le
strategie di guerra asimmetrica di Hezbollah contro Israele, l’uso di droni e
missili da parte degli Houthi in Yemen e l’insurrezione prolungata delle FARC
in Colombia offrono lezioni preziose sull’adattabilità e la resilienza delle
forze irregolari. Esaminare come le nazioni africane contrastano le
insurrezioni, come la lotta della Nigeria contro Boko Haram, o come l’India ha
affrontato le insurrezioni in Kashmir e nel Nord-Est, potrebbe offrire nuove
prospettive sulle strategie di controinsurrezione e stabilizzazione.
Per affrontare
efficacemente le sfide della guerra irregolare futura, è necessaria una
revisione del pensiero strategico. I responsabili politici e i militari
dovrebbero ampliare la base di conoscenza oltre le esperienze occidentali,
integrando le lezioni derivanti da conflitti globali diversificati. Le
esperienze di attori mediorientali, africani e asiatici, sia nell’insurrezione
che nella controinsurrezione, forniscono lezioni critiche di adattabilità e
resilienza. Allo stesso tempo, i progressi nell’intelligenza artificiale, nei
sistemi autonomi e nella guerra cibernetica modelleranno il futuro della guerra
irregolare. Molti attori ostili stanno infatti già integrando propaganda basata
sull’IA, deepfake e sabotaggi informatici nei loro arsenali, rendendo
essenziale lo sviluppo di contromisure e strategie proattive.
Come la storia ha
dimostrato, la guerra irregolare non riguarda solo la forza militare, ma anche
la vittoria nelle battaglie politiche e sociali. Le future strategie devono
integrare la guerra politica, le operazioni di informazione e gli strumenti
economici per contrastare efficacemente gli avversari. Con l’aumento delle
minacce ibride che fondono tattiche convenzionali, irregolari e cibernetiche,
le nazioni devono adottare un approccio alla sicurezza globale che coinvolga
collaborazione tra settori militare, civile e privato. Inoltre, è fondamentale
dare priorità alle partnership locali e alla comprensione culturale,
riconoscendo che le soluzioni ai conflitti irregolari sono spesso specifiche
del contesto. Programmi di addestramento, raccolta di intelligence e operazioni
militari dovrebbero incorporare una conoscenza profonda della cultura e della
storia locale.
Per sviluppare
efficacemente le strategie di guerra irregolare, dovrebbe essere implementata il
prima possibile una roadmap strutturata. Tale roadmap dovrebbe iniziare con una
fase dedicata alla ricerca e all’analisi da condursi nei prossimi anni,
concentrandosi su studi approfonditi delle esperienze non occidentali e
sull’integrazione delle loro lezioni nei programmi di formazione militare e
politica. Dovrebbero essere istituiti gruppi di lavoro internazionali composti
da esperti di diverse regioni, mentre modelli predittivi basati su IA e big
data potrebbero anticipare le tendenze della guerra irregolare e le potenziali
minacce, garantendo strategie adattabili e lungimiranti.
Dopo questa fase di
ricerca, i successivi due o tre anni dovrebbero essere dedicati alla revisione
delle politiche e delle dottrine militari. Questo comporterebbe l’aggiornamento
delle linee guida operative per integrare le lezioni della guerra ibrida e
informatica, il rafforzamento dei meccanismi di condivisione dell’intelligence
tra nazioni alleate e l’affinamento dei quadri legali ed etici per affrontare
le complessità della guerra irregolare, specialmente nel cyberspazio e nelle
operazioni di informazione. Man mano che gli avversari evolvono le loro tattiche,
i responsabili politici devono garantire che i quadri giuridici rimangano
solidi ma flessibili di fronte alle nuove sfide.
Successivamente, gli
sforzi dovrebbero concentrarsi sulla costruzione delle capacità e sulla
formazione. Dovrebbero essere istituiti programmi di addestramento
specializzati che si focalizzino su studi di casi non occidentali e sulle
tattiche di guerra ibrida, preparando il personale militare e dell’intelligence
a operare in ambienti diversi. Le innovazioni tecnologiche dovrebbero essere
integrate in questi programmi, mentre partenariati tra governi, mondo
accademico e settore privato dovrebbero favorire lo sviluppo di contromisure
innovative contro le campagne di disinformazione e la propaganda digitale.
In conclusione, la guerra irregolare è una forma di
conflitto persistente ed evolutiva che richiede un adattamento continuo.
L’approccio occidentale ha fornito importanti intuizioni, ma le strategie
future devono incorporare un’ampia gamma di esperienze globali per rimanere
efficaci. Solo abbracciando questi cambiamenti, le nazioni potranno contrastare
efficacemente le minacce irregolari del futuro.
L’Alleanza dei Five Eyes e l’erosione della fiducia sotto la politica di Trump.
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
L’Alleanza dei Five Eyes,
formata nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, è una delle reti
di condivisione di informazioni più potenti al mondo. Composta da Australia,
Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, i Five Eyes rappresentano un
raro esempio di cooperazione internazionale nel mondo oscuro dell’intelligence
e della sicurezza. I suoi membri condividono dati riservati, conducono
operazioni congiunte e valutano regolarmente le minacce globali. In questo
modo, si scambiano le informazioni critiche necessarie per proteggere gli
interessi nazionali, prevenire il terrorismo e rispondere alle sfide militari.
Per quasi otto decenni,
le nazioni dei Five Eyes hanno operato sulla base della fiducia reciproca.
Questa fiducia ha permesso loro di cooperare senza problemi, condividendo non
solo informazioni di intelligence, ma anche priorità strategiche. Tuttavia, gli
sviluppi recenti sotto la leadership di Donald Trump hanno sollevato
preoccupazioni che questa partnership potrebbe essere sull’orlo del collasso.
Dall’inizio del suo
attuale mandato, le politiche e la retorica di Trump hanno gettato una lunga
ombra sulle relazioni degli Stati Uniti con i suoi alleati più stretti. La sua
decisione di ritirare il supporto militare e di intelligence all’Ucraina, ad
esempio, ha segnato un cambiamento drammatico nella politica estera americana.
Questo ritiro, avvenuto in un periodo di crescente aggressività russa, ha
lasciato gli alleati degli Stati Uniti perplessi e ansiosi riguardo
l’affidabilità degli Stati Uniti come partner. Sebbene la decisione di Trump
fosse apparentemente motivata dal desiderio di concentrarsi sugli interessi
americani, ha ulteriormente indebolito la fiducia tra le nazioni dei Five Eyes.
Infatti, mentre gli Stati
Uniti si ritirano dai loro impegni, paesi come il Regno Unito e il Canada si
trovano a dover colmare il divario. Ci sono già piani per aumentare la spesa
per la difesa e intensificare gli aiuti all’Ucraina. Ma la domanda più grande
è: cosa significa per i Five Eyes quando uno dei suoi membri fondatori, gli Stati
Uniti, segnala che non condivide più lo stesso livello di impegno verso gli
obiettivi comuni dell’alleanza?
Le radici del problema
non risiedono solo nelle decisioni controverse di politica estera di Trump, ma
anche nella sua gestione avventata delle informazioni sensibili. Diversi
episodi, tra cui la fuga di materiale riservato a leader stranieri e la cattiva
gestione di documenti, hanno sollevato dubbi sull’affidabilità degli Stati
Uniti nella salvaguardia dell’intelligence. Se gli Stati Uniti non possono
proteggere i propri dati riservati, come si può fare affidamento su di loro per
gestire i segreti degli alleati dei Five Eyes?
Questa nuova postura ha
avuto un effetto a catena sull’alleanza. I paesi che un tempo erano desiderosi
di condividere informazioni con gli Stati Uniti si trovano ora a chiedersi se
valga la pena correre il rischio. Funzionari britannici e canadesi hanno
espresso preoccupazione che la loro intelligence possa essere mal gestita o
abusata, con gravi conseguenze per la sicurezza nazionale. E forse ancor più
preoccupante è il crescente senso che gli Stati Uniti non stiano più dando
priorità alla sicurezza a lungo termine dei loro alleati. I Five Eyes hanno
sempre operato sul principio del “rischio condiviso”; quando uno dei
partner è compromesso, tutti i partner ne sentono l’impatto.
La retorica di
“America First” di Trump ha anche contribuito a un cambiamento nelle
dinamiche di potere globali, mentre gli Stati Uniti si ritirano sempre più in
se stessi. Sotto la sua leadership, gli Stati Uniti non solo hanno ridotto il
loro supporto per alleanze tradizionali come la NATO, ma hanno anche mostrato
scarso rispetto per l’ordine internazionale più ampio. Le conseguenze di questo
approccio non sono solo teoriche: sono già evidenti. I leader europei, in
particolare nel Regno Unito, sono stati costretti a riconsiderare i loro
accordi di sicurezza. Alcuni stanno addirittura contemplando la possibilità di
formare alleanze alternative senza gli Stati Uniti, in risposta alla politica
estera imprevedibile di Trump.
Per paesi come il Regno
Unito, questa è una situazione particolarmente difficile. L’Alleanza dei Five
Eyes è stata la pietra angolare delle operazioni di intelligence britanniche
per decenni, offrendo un accesso senza pari alle capacità di intelligence degli
Stati Uniti. Ma alla luce del comportamento erratico di Trump, ora si sta
diffondendo la consapevolezza che la Gran Bretagna potrebbe dover diversificare
le proprie partnership di intelligence per tutelare i propri interessi di sicurezza.
Questo potrebbe portare a un riallineamento delle alleanze, con le potenze
europee che cercano legami più stretti con i membri della NATO al di fuori
degli Stati Uniti o addirittura esplorando la cooperazione con altri attori
globali.
Le ripercussioni delle
politiche di Trump sono evidenti anche nel suo approccio ai conflitti globali.
Il suo ritiro del supporto all’Ucraina, ad esempio, ha lasciato le nazioni
europee in una posizione scomoda. Con gli Stati Uniti che si ritirano dal campo
di battaglia, i membri della NATO come il Regno Unito e la Francia hanno dovuto
assumere un ruolo più attivo nel supportare la difesa dell’Ucraina contro
l’aggressione russa. Questo ha aumentato il senso di incertezza tra i partner
dei Five Eyes riguardo l’affidabilità degli Stati Uniti come alleato. Se gli
Stati Uniti sono disposti ad abbandonare i propri impegni verso uno dei suoi
alleati più stretti di fronte all’espansionismo russo, cosa accadrà quando
emergerà la prossima crisi globale?
C’è anche la pressante questione
delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, che ha ulteriormente complicato la
capacità dei Five Eyes di mantenere la coesione. L’approccio di Trump verso la
Cina—caratterizzato da una guerra commerciale e da tentativi di minare l’ascesa
tecnologica di Pechino—ha avvicinato gli Stati Uniti a un confronto con la
Cina. Ciò ha costretto le nazioni dei Five Eyes a schierarsi. Mentre
l’Australia e il Regno Unito hanno sostenuto la posizione degli Stati Uniti
sulla Cina, paesi come il Canada e la Nuova Zelanda hanno mostrato riluttanza
nell’adottare un approccio duro, in parte a causa dei loro legami economici con
la Cina. Questa spaccatura potrebbe minare il quadro di condivisione
dell’intelligence che è stato il marchio di fabbrica dei Five Eyes, soprattutto
mentre le dinamiche globali di potere cambiano.
Guardando al futuro, il
destino dell’Alleanza dei Five Eyes è incerto. L’aumento dell’imprevedibilità
della politica estera degli Stati Uniti sotto Trump—unito alle preoccupazioni
per la gestione impropria delle informazioni e l’isolazionismo diplomatico—ha
lasciato molti a chiedersi se l’alleanza possa continuare nella sua forma
attuale. Se gli Stati Uniti rimarranno riluttanti o incapaci di riaffermare i
propri impegni verso i suoi alleati, i Five Eyes potrebbero dover subire una
trasformazione significativa. L’alleanza potrebbe evolversi per fare più
affidamento sui suoi membri europei, con nuovi accordi forgiati al di fuori
dell’orbita degli Stati Uniti.
In conclusione, mentre l’Alleanza dei Five Eyes è
stata una forza potente nella sicurezza globale per decenni, lo stato attuale
della politica estera degli Stati Uniti sotto Donald Trump ha messo a rischio
questa partnership. Se la fiducia continua a erodersi, le fondamenta stesse
dell’alleanza potrebbero crollare, costringendo i suoi membri a tracciare un
nuovo corso. La domanda rimane: possono i Five Eyes rimanere uniti di fronte a
un ordine mondiale in cambiamento, o saranno costretti ad adattarsi a un futuro
senza gli Stati Uniti al centro?