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Guerra russo-ucraina: da Kiev al Donbas. Seconda parte: la battaglia del Donbas.

di Fabio Riggi, Analista indipendente

Key Takeaways:

  • Il doppio avvolgimento subito dalle forze ucraine;
  • Il fronte navale: l’affondamento del “Moskva” come effetto morale;
  • Mariupol: dalla resistenza a oltranza alla caduta;
  • La “presa di contatto” russa, male interpretata come disorganizzazione, è il supporto della manovra con il fuoco;
  • Donbas: progressi russi, ma lenti;
  • Nonostante i rallentamenti, i russi mantengono il vantaggio tattico e l’iniziativa;
  • Una parziale pausa operativa nel Donbas

Keywords: Himars, Kiev,Russia, Ukraine

Il doppio avvolgimento subito dalle forze ucraine e la presa di Izium

A partire dai primi giorni di aprile, i lineamenti della battaglia del Donbas hanno iniziato a prendere chiaramente forma. Sin dalle prime fasi del conflitto, su questo scacchiere la manovra offensiva a livello operativo che si è sviluppata da parte delle forze russe è stata quella di un doppio avvolgimento delle forze ucraine poste a difesa della linea di contatto, che corre lungo il margine orientale delle due repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk, ed è quella scaturita dal conflitto del 2014-15. I due bracci di questa “tenaglia”, di ampio respiro, sembravano essere costituiti da quello sud-ovest, costituito dalle forze provenienti dalla Crimea e dirette sulle città di Zaporozhie e Dnipro (due fondamentali punti di attraversamento sul Dnepr) e da quello nord-est, lungo la direttrice d’attacco seguita dalle unità russe che stavano investendo Kharkiv. In questo modo, se la manovra a così largo raggio fosse riuscita, tutta l’ampia aliquota di forze dell’esercito ucraino schierate nel Donbas, tra le migliori disponibili nell’esercito di Kiev, sarebbe stata tagliata fuori dai fondamentali punti di attraversamento del Dnepr, in direzione ovest, e circondate. Tuttavia, la forte resistenza incontrata, soprattutto lungo la direttrice di Zaporozhie e, presumibilmente, la necessità di impegnare forze consistenti nel protratto assedio di Mariupol (fino a un totale stimato di 12 BTG – Batal’onnaya Takticheskaya Gruppa, Gruppi tattici a livello battaglione), ha di fatto frenato, fino ad annullarla, la “tenaglia meridionale” dell’iniziale avvolgimento. Quella settentrionale è invece rimasta attiva, seppur anch’essa molto rallentata, e in questo settore, comunque, il 1° aprile, a seguito di reiterati e violenti attacchi, le unità attaccanti riuscivano a conquistare la posizione chiave rappresentata dalla città di Izium, località ben nota già nella storia delle campagne condotte in quei luoghi durante la seconda guerra mondiale.

Il fronte navale: l’affondamento del “Moskva” come effetto morale

Intanto, sul versante navale, il 13 aprile gli ucraini infliggevano un duro colpo, soprattutto dal punto di vista morale e psicologico, agli avversari, riuscendo ad affondare, con l’utilizzo di missili antinave “Neptune” (secondo quanto comunicato da fonti ufficiali di Kiev) l’incrociatore lanciamissili Moskva, nave ammiraglia della flotta del Mar Nero. In realtà, con un conflitto che si sta svolgendo in prevalenza sui fronti terrestri – vista la scarsissima consistenza della marina ucraina, neutralizzata dagli attacchi iniziali russi entro le prime ore di ostilità – questo seppur significativo episodio non si è mostrato certo passibile di modificarne sostanzialmente l’esito. Tuttavia, la perdita di un’unità che, oltre a un potente armamento missilistico anti-nave – 12 contenitori/lanciatori per missili P-500 “Bazalt” (SS-N-12 “Sandbox” in codice NATO) – disponeva anche di un capace sistema per la difesa aerea di zona – S-300F (SA-N-6 “Grumble” in codice NATO, versione navale del noto S-300 terrestre) – ha rappresentato senz’altro per le forze navali di Mosca una perdita molto grave, anche e soprattutto in termini di copertura anti-aerea sulle acque prospicienti il teatro di operazioni. Peraltro, anche in questo caso, è facile ipotizzare il decisivo supporto, in termini di ricerca e acquisizione di un obiettivo così pagante, fornito agli ucraini da assetti della NATO e di USA e UK.

Mariupol: dalla resistenza a oltranza alla caduta

Intanto, nei primi giorni di aprile le forze terrestri di Mosca continuavano ad effettuare una serie di attacchi su piccola scala lungo la linea di contatto, molto probabilmente volti a saggiarne la consistenza delle difese – le quali, dopo essere state preparate per otto anni, sono ancora molto robuste, organizzate e articolate in profondità su tre linee successive, in alcuni tratti anche con opere permanenti in cemento – e a riconoscerne le posizioni. Intanto, tra il 16 e il 17 aprile la guarnigione assediata di Mariupol, rappresentata dal reggimento “Azov” e dalla 36a brigata di fanteria di Marina, veniva costretta a ripiegare nella grande acciaieria “Azovstal”, perdendo così il controllo del centro abitato della città. Il 18 aprile, il presidente ucraino Zelensky ha annunciato che la nuova offensiva russa nel Donbas era iniziata, indicatore che il ridispiegamento delle forze russe precedentemente impegnate nel nord-est del paese era stato completato (in particolare, diverse unità pesanti della 1a armata carri della guardia rischierate nel settore di Izium). Nel contempo, però, l’esercito ucraino iniziava proprio in quei giorni la sua prima controffensiva di un certo respiro. Ciò avveniva nel settore di Kharkiv, a sud-est della città, dove la 92 brigata meccanizzata ucraina, rivelatasi tra le più efficienti e combattive, sferrava un robusto contrattacco in direzione est, iniziando a guadagnare rapidamente terreno, e riconquistando sin dalle prime fasi l’insediamento di Chuhuiv. Entro la fine del mese di aprile, in quel quadrante diversi villaggi sono stati riconquistati e le truppe di Kiev hanno continuato a spingere le unità avversarie verso la frontiera, mentre sull’altro lato di Kharkiv, a nord della città, anche la 72a brigata meccanizzata ucraina sferrava un attacco in direzione nord e nord-est, anche in questo caso verso il confine originario con la federazione russa, riuscendo ad avanzare con una certa rapidità. L’obiettivo di questa controffensiva dell’esercito di Kiev era duplice: innanzitutto allontanare le truppe avversarie da Kharkiv, in modo tale da porla al di fuori della portata delle artiglierie, dopodiché, con l’azione della  92a brigata a sud-est, tagliare, o quantomeno minacciare, le linee di comunicazione delle forze russe impegnate nella “tenaglia” settentrionale che premeva sul Donbas, nell’area di Izium, collegamenti rappresentati dalla rotabile che, da nord a sud,  partendo da Belgorod, in territorio russo, passa per Vovchansk, Velykyi Burluk e il vitale snodo di Kupiansk.

La “presa di contatto” russa, male interpretata come disorganizzazione, è il supporto della manovra con il fuoco

Sempre nel mese di aprile, nonostante la crescente pressione della controffensiva ucraina su Kharkiv, le operazioni delle forze russe nel Donbas iniziavano ad assumere carattere di maggiore intensità e sistematicità. A partire dai giorni 20-21 aprile, oltre a una serie di attacchi a sud Izium, le unità russe e dei separatisti si impegnavano in una serie di azioni, su ampio fronte, lungo la linea di contatto tra Orikhiv, Hulyapole, Marinka e Avdiivka, con le ultime due località situate in prossimità di Donetsk. Inoltre, all’estremità orientale del fronte, nel quadrante di Izium – dove gli attaccanti avevano ora concentrato una massa di 25 BTG tra questo settore e Popasna, all’estremità meridionale del saliente venutosi a creare – altre azioni offensive su piccola scala venivano effettuate portando, tra il 19 e il 21 aprile, alla conquista di Kremmina. Tuttavia, il carattere apparentemente frammentario di questi attacchi, tutti valutati come “falliti” dalle analisi occidentali, e il fatto che fossero condotti da forze di modesta entità, hanno spinto molti commentatori ha trarre la conclusione che fossero l’indicatore, ancora una volta, di una scarsa capacità da parte della catena di comando russa di impostare operazioni offensive di ampia portata. In realtà, osservazioni più attente, e lo sviluppo successivo delle operazioni, ci indicano che molto probabilmente si trattava di azioni di “localizzazione” e “presa di contatto” delle principali posizioni difensive ucraine, al fine di poterle battere con maggiore efficacia con il fuoco di artiglieria. Questa ricostruzione, peraltro, è coerente al ben noto assioma tattico, riguardante la dottrina d’impiego delle forze terrestri russe, secondo il quale, contrariamente alla maggior parte degli eserciti che “supportano la manovra con il fuoco”, esse invece “supportano il fuoco con la manovra”. Si tratta di un gioco di parole solo apparente, che spiega bene invece la tradizionale importanza che la “scuola russa” attribuisce all’artiglieria, un elemento di carattere addirittura storico, in quanto risalente ai tempi dello Zar Pietro il Grande, personaggio che può essere ritenuto il vero padre fondatore delle moderne istituzioni militari russe.

Ed è proprio con il sistematico martellamento delle posizioni avversarie con la propria artiglieria, integrata da continue missioni di appoggio tattico ravvicinato dell’aviazione e delle unità di elicotteri da combattimento, che a partire dalla seconda metà di aprile le forze russo-separatiste hanno iniziato a esercitare una crescente pressione, inizialmente lungo tutta la linea di contatto della regione del Donbas. Nell’ultima settimana di quel mese, alcuni limitati successi nel settore di Izium, con la conquista della località di Lozove e la realizzazione di una testa di ponte oltre il fiume Krasna, a ovest di Severodonetsk, unitamente all’andamento delle restanti operazioni, facevano apparire più chiaramente il nuovo disegno di manovra degli attaccanti. L’iniziale ampia manovra di doppio avvolgimento si stava ora sviluppando in un raggio più ristretto, con la direttrice settentrionale che partiva da Izium, verso sud, e quella meridionale che invece spingeva da Donetsk, con l’obiettivo di chiudere in una sacca le forze ucraine che difendevano le aree di Sloviansk, Kramatorsk, Severodonetsk, Rubizhne, Lysychansk e Popasna, stimate, nelle varie fasi, dalle 7 alle 11 brigate, tra quelle regolari e di difesa territoriale. In particolare, proprio la “cerniera”, rappresentata dal settore Sloviansk-Kramatorsk, rappresenta a tutt’oggi un obiettivo di valore operativo che potrebbe spalancare, qualora conseguito, alle forze russo-separatiste attaccanti la strada verso la riva sinistra del Dnepr e i fondamentali punti di attraversamento di Zaporozhie e Dnipro. Nel contempo, altri attacchi lungo la porzione sud-occidentale della linea di contatto del Donbas, tra Zaporozhie e Velyka Novosilka, erano probabilmente condotti dai russi per agganciare le maggiori forze avversarie possibili, impedendogli di essere rispiegate nei settori più a est.

Donbas: progressi russi, ma lenti

Nondimeno, giunti ai primi giorni di maggio, quando l’offensiva russa nel Donbas era a due settimane dal suo inizio effettivo, è apparso chiaro che i progressi compiuti dalle unità attaccanti erano estremamente lenti. A tal proposito, diverse analisi compiute sul decorso delle operazioni hanno evidenziato due principali fattori condizionanti, o per meglio dire limitanti, dello slancio offensivo dei reparti russo-separatisti. Oltre alla consueta tenacia e abilità mostrate dagli ucraini, il primo di questi è stato, ancora una volta, quello relativo al rapporto di forze in atto. In quel momento, su tutto il teatro operativo, risultavano operanti un totale stimato di 93 BTG russo-separatisti, contro un totale stimato di 81 unità di manovra a livello battaglione ucraine (derivanti dal calcolo di 27 brigate identificate, ma probabilmente approssimate per difetto, in quanto risulterebbe che le brigate meccanizzate ucraine dovrebbero avere in organico 4-5 battaglioni di manovra). Nello scacchiere del Donbas, dopo che anche gli ucraini, dopo l’abbandono da parte russa delle regioni settentrionali, vi hanno rischierato prontamente quello che è stato stimato come un totale di 7 brigate aggiuntive (in primo luogo della difesa territoriale), la proporzione è rimasta la medesima: a fronte di 68 BTG russi-filorussi se ne contrapponevano 48 ucraini, un rapporto di forze che si aggira sul 1,5:1, e che è ben lontano da quello ritenuto sufficiente dalla dottrina tattica russa per l’esecuzione di un attacco con ragionevole probabilità di successo, la quale indica un rapporto di forze di 4:1 per questo scopo. Inoltre, un elemento aggiuntivo estremamente importante è relativo al fatto che le unità ucraine erano (e sono tutt’ora) schierate su posizioni fortemente organizzate a difesa, notevole fattore incrementale del già intrinseco vantaggio tattico di chi esegue operazioni difensive nei confronti dell’attaccante. Il secondo elemento che ha contribuito a rendere lenti e difficoltosi gli attacchi russi sul fronte del Donbas è quello da riferirsi alla natura del terreno. Come già esposto in una precedente valutazione, l’alto tasso di urbanizzazione dell’area ha consentito agli ucraini di incentrare le proprie azioni difensive su una molteplicità di centri abitati, non ultimi quelli di dimensioni non trascurabili di Severodonetsk e Lysychansk, rendendo così una regione solo apparentemente pianeggiante e “a elevato indice di scorrimento” tutt’altro che favorevole alle operazioni offensive di forze pesanti. Inoltre, ai numerosi insediamenti urbani del Donbas si aggiungono, in special modo nei settori di Izium e Severodonetsk, fitte aree boscose e una nutrita idrografia, con zone acquitrinose e corsi d’acqua anche di significativa importanza, come il fiume Siversky Donets, che ha rappresentato invariabilmente, in diverse fasi, come si vedrà, un ostacolo di notevole valore impeditivo.

Nonostante i rallentamenti, i russi mantengono il vantaggio tattico e l’iniziativa

Nonostante le summenzionate difficoltà e svantaggi di ordine tattico e ambientale, nel mese di maggio le operazioni offensive russe nel Donbas sono proseguite, mostrando la volontà, e la capacità, di mantenere un elemento che è in modo unanime riconosciuto come uno dei prìncipi cardine dell’arte militare: quello dell’iniziativa. Inizialmente, gli sforzi principali russi si sono concentrati sulla porzione nord della “tenaglia”, con reiterati tentativi di realizzare delle teste di ponte sulla riva meridionale del fiume Siversky Donets, da aggiungere a quella già realizzata a sud di Izium, dove però l’ulteriore progressione delle loro forze verso sud era stata arrestata nel corso del mese di aprile. In particolare, proprio lungo l’asse settentrionale nei primi giorni di maggio gli attacchi russi attraverso il Siversky Donets sono stati condotti più a est, nelle aree subito a ovest di Severodonetsk. Il 2 maggio un primo tentativo è stato effettuato a ovest di Rubizhne, ma è fallito a causa della pronta reazione ucraina con artiglieria e contrattacchi delle riserve tattiche nel settore. Il 4 maggio una seconda azione russa di forzamento è stata eseguita più a ovest, nei pressi di Yampil, ma anche in questo caso un contrattacco ucraino ha respinto le unità russe sulla riva opposta. Il 9 maggio, un ulteriore sforzo per passare il fiume è stato lanciato dai russi in corrispondenza di Bilohorivka, più o meno al centro del settore interessato da queste azioni, ma ancora una volta il risultato è stato un costoso insuccesso, a seguito del quale i due BTG impegnati avrebbero riportato perdite tali da risultarne quasi annientati. Tutti questi eventi hanno ben presto indicato una ulteriore modifica al “raggio” della manovra di avvolgimento perseguita dai comandi russi nel Donbas: ora questa si stava svolgendo, con una portata ancora più ridotta, ancora più ad est, per la riduzione ed eliminazione del saliente di Severodonetsk, e il controllo di quest’ultima e del poco distante insediamento di Lysychansk. Proprio in questo settore, mentre i tentativi di forzamento del Siversky Donets, sul lato nord del saliente, venivano frustrati dalle forze ucraine, il 5-6 maggio le forze russo-separatiste attaccanti ottenevano il successo che si rivelerà essere il più importante del ciclo operativo, conquistando la cittadina di Popasna (già lungamente contesa e teatro di aspri combattimenti nelle settimane precedenti) e realizzando un vero e proprio sfondamento di quel tratto di fronte, posto a sud-ovest di Severodonetsk. A partire da quel momento, la battaglia per il possesso di quest’ultima città ha iniziato a prendere una piega favorevole per gli attaccanti. Dall’8 al 24 maggio, concentrando gli sforzi nel settore di Popasna, le unità russo-separatiste, sempre appoggiate da un massiccio fuoco di artiglieria, sono riuscite a espandere il settore di sfondamento, ottenendo il risultato di minacciare – fino, nelle fasi finali dell’operazione, a tagliare del tutto – la strada T 1302 (da alcuni romanzescamente battezzata “la strada della vita”), una vitale arteria di comunicazione che correndo da Artemivsk in direzione nord-est assicurava l’alimentazione tattica e logistica delle unità ucraine poste a difesa del saliente di Severodonetsk, collegandole al resto del Donbas, e mettendo sotto pressione (soprattutto con l’artiglieria) una seconda rotabile utilizzata a questo scopo, la T0513. A tutto questo si aggiungeva, sul lato nord del saliente, con la conquista di un’altra posizione chiave, quella di Lyman, che ha avvicinato i reparti russi al lato nord-est di Sloviansk.   

A seguito della perdita di Popasna, e della penetrazione realizzata dagli avversari, che è andata a cadere sul tergo dell’organizzazione difensiva ucraina a Severodonetsk, quest’ultima ha iniziato a entrare lentamente, ma inesorabilmente, in crisi. Pur potendo contare sul vantaggio di chi difende un saliente, ossia la “manovra per linee interne”, le forze ucraine si sono ritrovate a dover impiegare consistenti rinforzi per contenere l’avanzata da Popasna, trovandosi così iper-estese e vulnerabili all’azione di quella che poi è stata una vera e propria “masse de décision”, che ha iniziato a premere direttamente su Severodonetsk. Il termine francese utilizzato è di origine napoleonica, ricordando come il grande condottiero corso aveva proprio nella “manouvre sur le derriéres” uno dei suoi più ricorrenti ed efficaci schemi di manovra, che culminavano proprio con il colpo sferrato da una forza d’attacco che colpiva l’avversario impegnato, e soprattutto “sbilanciato”, nel fronteggiare l’avvolgimento di cui era stato fatto oggetto nella prima fase dell’operazione. Pur adottando la dovuta prudenza nel tracciare un simile parallelo, questo sviluppo è proprio quello che si è visto materializzarsi poi nel mese di giugno nella battaglia di Severodonetsk. Sempre più pressate dalle “ganasce” degli attaccanti, rappresentate dalle direttrici d’attacco da nord, da sud, e poi direttamente anche sull’abitato di Severodonetsk, e sempre più a rischio di rimanere tagliate fuori definitivamente dal resto delle forze amiche, alla fine, dopo una strenua difesa, le unità ucraine sono state costrette a ritirarsi, e il 24 giugno i russo-separatisti hanno completato la conquista della città, seguita, solo pochi giorni dopo, il 3 luglio, da quella di Lysychansk. Attualmente non è chiaro in che circostanze sia avvenuto il ripiegamento dei reparti di Kiev dal “calderone” di Severodonetsk, ma alcuni rapporti indicano che le perdite sarebbero risultate elevate, con alcune unità – tra le quali la 24a brigata meccanizzata, la quale operava a difesa di Popasna e che ha rischiato di essere completamente circondata – che ne sarebbero uscite gravemente logorate, e in alcuni casi non più in grado di combattere.

La controffensiva ucraina a Kharkiv ha continuato a guadagnare terreno

Mentre tutto ciò accadeva nel Donbas e nella battaglia di Severodonetsk, la controffensiva ucraina a Kharkiv – condotta a sud e sud-est della città in primo luogo dalla ormai famosa 92a brigata meccanizzata, e a nord dalla 72a brigata meccanizzata (seppur entrambe coadiuvate da numerosi battaglioni della difesa territoriale e reparti di volontari mobilitati) – tra la fine di aprile e la prima metà di maggio ha continuato a guadagnare terreno, riconquistando diversi insediamenti, e, soprattutto a nord, avvicinandosi alla frontiera con la Federazione Russa. Tuttavia, con il passare dei giorni, la resistenza delle forze russe nel settore, stimate in circa 7 BTG, ha iniziato a irrigidirsi, e soprattutto ha potuto contare sul consueto massiccio supporto del fuoco di artiglieria. Ciò ha portato al progressivo rallentamento e allo smorzarsi dello slancio delle forze ucraine, le quali alla fine, nel quadrante sud-est sono rimaste lontane dall’obiettivo di interdire, o quantomeno minacciare, le linee di comunicazione russe da Belgorod a Kupiansk fino a Izium e nel resto del Donbas. Inoltre, anche l’altro obiettivo tattico dell’operazione, quello di costringere i russi a distogliere forze dalle operazioni nel Donbas, non è stato evidentemente conseguito, e anche il terzo, quello minimo di allontanare gli schieramenti di artiglieria russi da Kharkiv, al fine di porre la città fuori dalla loro portata, pare lungi dall’essere raggiunto, nel momento in cui questa risulta ancora a tutt’oggi sottoposta alla loro azione, seppur con le sorgenti di fuoco a più lunga gittata.

Intanto, il 20 maggio, cessava ogni ulteriore resistenza ucraina nell’assediata Mariupol, la cui definitiva caduta ha sancito il raggiungimento di uno degli obiettivi fissati dai vertici del Cremlino per l’“operazione militare speciale”, ossia il collegamento terrestre tra le aree occupate del Donbas e la Crimea, l’acquisizione di un importante porto, e con esso il controllo di tutta la sponda meridionale del Mar d’Azov. Sempre sul fronte sud, oltre alla controffensiva su Kharkiv, lo stato maggiore ucraino ha cercato di strappare l’iniziativa all’avversario anche con un’operazione analoga sulla testa di ponte di Kherson. Questa, iniziata il 23 maggio, ha avuto un avvio promettente, con le unità di Kiev che sono riuscite a stabilire una testa di ponte sulla riva sud del fiume Inhulets, nell’area di Davydiv Brid, e ha visto impegnate da parte ucraina forze considerevoli, rappresentate dalla 14a, 60a, e 63a brigata meccanizzata, dalla 80a brigata d’assalto aereo, e dalla 108a brigata di difesa territoriale. Tuttavia, anche in questo caso, dovendosi confrontare con forze russe che da tempo si erano attestate a difesa con un dispositivo articolato in profondità organizzato su più linee difensive, e sottoposte alle onnipresenti azioni di fuoco di sbarramento e repressione dell’artiglieria russa, nel corso del mese di giugno le unità ucraine impegnate in questa controffensiva sono state arrestate a diversi chilometri dall’area di Kherson, giungendo alla fine a una situazione di sostanziale stallo. Inoltre, al momento, oltre al cruciale obiettivo rappresentato da Kherson e dalla relativa testa di ponte russa sulla riva destra del Dnepr, anche questa controffensiva ucraina nel settore più meridionale del fronte non è riuscita nell’intento di attrarre forze russe importanti dall’area del Donbas, non riuscendo così a rovesciare il bilancio dell’iniziativa a proprio favore.

Una parziale pausa operativa nel Donbas

In questo momento, a seguito dell’esito favorevole della battaglia di Severodonetsk – e nonostante quelli che sono stati riportati come duri colpi subiti per opera delle azioni di fuoco di interdizione in profondità dell’artiglieria ucraina, che ha celermente impiegato i lanciarazzi multipli M-142 HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System) appena ricevuti dagli Stati Uniti – le forze russe nel Donbas risultano impegnate in una parziale pausa operativa e di riorganizzazione, ma nello stesso tempo un’aliquota di esse è impiegata nella prosecuzione dello sforzo offensivo verso ovest, e starebbe già operando nei confronti della nuova linea difensiva ucraina tra Siversk e Bakhmut. Qualora fossero in grado di superarla, potrebbero giungere agli approcci occidentali della “cerniera” del Donbas, rappresentata dall’area Sloviansk-Kramatorsk, e ipotecare così la possibilità di proseguire verso il conseguimento di obiettivi di livello operativo, sempre rappresentati dalla sponda orientale del basso Dnepr e dei suoi fondamentali punti di attraversamento di Zaporozhie e Dnipro. Infine, sempre riguardo al fondamentale aspetto dei rapporti di forza, tra la fine di giungo e i primi giorni di luglio questi sarebbero cambiati, indicando un marcato logoramento delle forze ucraine, che sarebbero scese a un totale di 60 battaglioni di manovra, di fronte a un totale di BTG dei russo-separatisti che invece avrebbero incrementato il totale fino a 108 unità.

Da ultimo, sul versante delle operazioni nello scacchiere marittimo del Mar Nero, c’è da registrare l’evacuazione, eseguita il 30 giugno da parte dei russi dell’isola dei serpenti, precedentemente occupata nelle prime fasi dell’invasione. Nonostante i notevoli sforzi per rinforzare questa posizione, posta nel Mar Nero nord-occidentale, a circa 18 miglia nautiche dalla costa ucraina, e non lontano da quella della Romania (si trova anche a meno di 100 miglia nautiche dal porto di Costanza), i continui attacchi condotti dagli ucraini con UAS (droni) e aerei, e parrebbe anche artiglieria a lunga gittata, su questo isolotto dalle ridottissime dimensioni (è caratterizzato da una larghezza massima di meno di 700 metri) ha reso impossibile per le forze di Mosca continuare a mantenervi una guarnigione. In effetti, nelle settimane precedenti la pressione sull’isola aveva assunto i caratteri di un vero e proprio martellamento, e l’afflusso di forze e assetti (in primo luogo sistemi controaerei) su di essa era diventata proibitiva, anche e soprattutto per la minaccia rappresentata dai sistemi missilistici antinave ucraini in installazione costiera (sembrerebbe anche di tipo RGM-84 Harpoon di fornitura occidentale) che hanno agito con una significativa funzione che la moderna terminologia militare definisce, nell’ambito delle operazioni navali, di “Sea Denial”. A tutti gli effetti, e seppure nel contesto di una netta superiorità delle forze navali russe nel teatro marittimo del conflitto, la perdita dell’Isola dei Serpenti rappresenta di certo un nuovo scacco, che fa il paio con la perdita dell’incrociatore Moskva, e che ne limita in modo marcato le capacità di controllo delle aree costiere, in particolar modo nel Mar Nero nord-occidentale e nella regione di Odessa.

(Segue da: “Guerra russo-ucraina: da Kiev al Donbas. Prima parte: la battaglia di Kiev”)




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