L’ITALIA CHE SERVE A TRUMP
In un’Europa frammentata, l’Italia di Giorgia Meloni diventa l’alleato decisivo per la visione trumpiana dell’Occidente

di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti
giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato (US)
In un contesto globale segnato da instabilità e dalla ridefinizione degli equilibri internazionali, l’Italia emerge come potenziale perno in una nuova configurazione dell’Occidente. La presidenza Trump, tornata al centro della scena internazionale, rilancia una visione basata sulla centralità degli Stati sovrani, sul pragmatismo economico e su un’alleanza atlantica non più mediata dalle istituzioni multilaterali, ma fondata su rapporti diretti tra governi affini.
In questa prospettiva, l’Italia sembra rispondere con coerenza e tempestività. L’approccio di Meloni — che combina atlantismo con rivendicazione di autonomia nazionale — si inserisce in un disegno più ampio che guarda a una riorganizzazione dei rapporti tra Europa e Stati Uniti.
La vera domanda, ora, è: quale sarà lo sviluppo di questo momento storico?
La risposta sembra intrecciarsi con un nuovo asse internazionale: un’Italia più autonoma ma pienamente inserita in un Occidente in trasformazione, dove il rapporto con gli Stati Uniti — e in particolare con il mondo che ruota attorno a Donald Trump — potrebbe risultare decisivo per ridefinire non solo il ruolo dell’Italia, ma anche quello dell’Europa.
Donald Trump e la nuova strategia verso l’Europa: sovranità contro burocrazia
Già durante il suo primo mandato presidenziale (2017–2021), Donald Trump aveva manifestato una visione critica nei confronti dell’architettura europea. La sua politica estera rompeva con l’approccio tradizionale americano di sostegno incondizionato alle istituzioni multilaterali, ponendo al centro il principio della sovranità nazionale come fondamento della cooperazione internazionale.
Nel discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2018, Trump dichiarò senza mezzi termini: “Rifiutiamo l’ideologia del globalismo e abbracciamo la dottrina del patriottismo.” Questa visione si tradusse in una serie di azioni concrete: la pressione sugli alleati NATO affinché aumentassero la loro spesa per la difesa (ennesima sollecitazione americana); l’opposizione a trattati multilaterali considerati penalizzanti per gli Stati Uniti; il sostegno implicito a quei governi europei che rivendicavano maggiore autonomia decisionale rispetto a Bruxelles, come la Polonia, l’Ungheria e, più recentemente, l’Italia.
Sul piano strategico, Trump ha sempre visto con diffidenza l’Unione Europea perché troppo burocratizzata, percependola non come alleato complementare, ma come potenziale concorrente economico. Come affermò nel 2020 in un’intervista a Fox News: “L’Unione Europea è stata creata per approfittare degli Stati Uniti. Io lo so. E anche loro lo sanno.”
La sua proposta di un “Patto tra Nazioni libere“, più che una coalizione istituzionale rigida, mirava a costruire una rete di Stati sovrani legati da interessi comuni e dalla difesa delle rispettive identità nazionali. Questo approccio richiama una tradizione storica americana. Già nel 1947, il presidente Harry S. Truman, in un messaggio speciale al Congresso, sottolineava: “Considerata dal punto di vista della nostra economia, la ripresa europea è essenziale.” Trump ha richiamato questo stesso principio, in forme aggiornate, nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2017: “Il successo delle Nazioni Unite dipende dalla forza indipendente dei suoi membri.”
Per Trump, dunque, un’Europa forte — ma composta da Stati sovrani, non da un’unica entità burocratica — è un elemento strategico per garantire stabilità globale e reciproca prosperità economica. La sua critica all’Unione Europea non si concentra sull’idea di cooperazione tra Paesi, bensì sulla trasformazione della UE in una struttura sovranazionale percepita come distante dai popoli e penalizzante per gli interessi nazionali.
Il suo ritorno alla Casa Bianca 2025 ha visto la messa in atto del “progetto Trump” ossia la ridefinizione delle relazioni transatlantiche occupando così un posto centrale nell’agenda geopolitica, per aprire nuovi spazi di manovra per quei Paesi europei — come l’Italia — che intendano riaffermare il primato degli interessi nazionali.
Da questa prospettiva, l’interesse verso leader come Giorgia Meloni si inserisce in un disegno più ampio: favorire la costruzione di un’Europa basata sulla collaborazione tra nazioni libere e forti, capaci di relazionarsi direttamente con gli Stati Uniti in un quadro di parità e di rispetto reciproco. Non è solo una convergenza ideologica, ma una strategia pragmatica, volta a bilanciare la competizione globale con nuove alleanze dinamiche e resilienti.
l rapporto privilegiato tra Italia e Stati Uniti: una lunga alleanza, non senza ombre
Fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il legame tra Italia e Stati Uniti si è consolidato come uno dei pilastri fondamentali dell’ordine atlantico. Con la firma del Trattato del Nord Atlantico nel 1949 e l’ingresso dell’Italia nella NATO, Roma divenne un alleato strategico imprescindibile per Washington, non solo per la posizione geografica nel Mediterraneo, ma anche come baluardo democratico in Europa durante la Guerra Fredda. Nel corso dei decenni, tuttavia, questo rapporto non è stato privo di tensioni e di dinamiche complesse. In più occasioni, gli Stati Uniti hanno esercitato una forma di influenza diretta e indiretta sulla politica interna italiana, soprattutto nei momenti più delicati della vita istituzionale. Il primo caso fu quello dell’ambasciatrice Claire Booth Luce, (moglie del fondatore di Time) che durante il suo mandato (1953–1956), esercitò un’influenza significativa sulla politica italiana promuovendo attivamente politiche anticomuniste, sovrintendendo a programmi di aiuti segreti destinati a rafforzare i governi centristi e a contenere l’espansione del Partito Comunista, in linea con la strategia americana di difesa dell’Europa occidentale.

Giorgia Meloni e il principio di non ingerenza: riaffermare la sovranità nell’alleanza
In questo contesto storico si inserisce l’approccio di Giorgia Meloni, che, pur riaffermando con forza l’alleanza atlantica, ha introdotto una differenza sostanziale: il rifiuto di ogni forma di ingerenza esterna nella politica interna italiana. Una linea di condotta chiara, ribadita recentemente: “Confermiamo la nostra posizione di non ingerenza negli affari politici degli altri Stati” e “Non sono mai una sostenitrice di quelli che commentano la politica altrui. L’ho subìto.” (Governo.it)
Attraverso questa postura, l’Italia si propone come un alleato affidabile, ma capace di difendere con fermezza la propria autonomia decisionale, in linea con una concezione moderna dell’amicizia tra nazioni libere e sovrane.
L’Italia come motore per una nuova Europa
Oggi più che mai, l’Unione Europea si trova davanti a un bivio storico. Le crisi internazionali, la crescente distanza tra istituzioni comunitarie e cittadini, le sfide economiche e migratorie hanno reso evidente che il modello attuale — fortemente centralizzato e burocratico — fatica a rispondere alle esigenze reali degli Stati membri. Sempre più voci si levano a favore di una revisione profonda delle dinamiche comunitarie, per evitare che il progetto europeo si trasformi in una costruzione astratta, incapace di rappresentare le identità nazionali e le aspirazioni popolari. . Ma se l’Italia saprà proporsi come laboratorio di questo nuovo equilibrio europeo, potrebbe aprirsi una nuova strada a una stagione politica capace di ridare senso e legittimità al progetto europeo stesso, evitando che l’Unione si riduca a un mero esercizio burocratico privo di anima. La sfida è ambiziosa
Un’alleanza strategica tra Italia e Stati Uniti: vantaggi e sfide nel rapporto tra Giorgia Meloni e Donald Trump
Il recente incontro tra la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha evidenziato una forte sintonia su temi chiave come la sicurezza, l’immigrazione e la difesa dei valori occidentali. Meloni ha sottolineato l’importanza di rafforzare la cooperazione transatlantica, dichiarando: “Quando parlo dell’Occidente, non parlo di uno spazio geografico: parlo di una civiltà. Voglio rendere questa civiltà più forte” e Meloni ri-frasando Trump ha dichiarato: “Il mio obiettivo è rendere l’Occidente di nuovo grande.”
Questa affermazione sottolinea, senza citarli, le tante sfide che non solo l’Italia ma tutta l’Europa sta affrontando: dall’immigrazione africana e asiatica, all’influenza della sharia nei diversi ordinamenti nazionali, l’incapacità di tramandare le tradizioni a nuove generazioni autoctone e molte, molte altre prove.
Tuttavia, questa alleanza, Italia-USA, presenta non poche ostacoli: dalle politiche protezionistiche di Trump, con l’introduzione di nuovi dazi sui prodotti europei, l’approccio transazionale di Trump dove è data precedenza al bilateralismo snobbando Bruxelles; tutto ciò, potrebbe mettere a dura prova la capacità dell’Italia di mantenere un equilibrio tra la sua relazione statunitense e i suoi obblighi europei.
Parallelamente, tutta l’Europa si trova esposta agli effetti delle tensioni globali: la guerra in Ucraina, i conflitti in Medio Oriente, il crescente protezionismo commerciale e i cambiamenti climatici contribuiscono a generare instabilità economica, aumento dei costi energetici e pressioni migratorie, aggravando ulteriormente il quadro macroeconomico.
Conclusione: un’Italia autonoma in un Occidente in trasformazione
In un’epoca di instabilità globale e di crisi dei modelli politici tradizionali, l’Italia ha l’opportunità storica di proporsi come forza propulsiva per una nuova Europa, fondata sulla cooperazione tra nazioni libere e sovrane.
Come disse Lord Acton, “Freedom is the right to do as you please. Liberty is the right to do as you ought.” (freedom, intesa come assenza di costrizioni, e liberty, ovvero la libertà esercitata nel rispetto di un ordine giusto).
La sfida oggi è proprio questa: difendere la libertà di scelta nelle relazioni internazionali, ma farlo con la responsabilità di costruire ponti, tutelare la propria identità e rafforzare i valori condivisi dell’Occidente. Il successo di questa visione dipenderà dalla capacità, da parte di tutti, di accantonare in sede europea le vecchie diatribe, per affermare un ordine multipolare più equo, ma saldo nei principi occidentali. Forse, in questo contesto, l’Italia potrà davvero proporsi come interlocutore credibile tra le due sponde dell’Atlantico, contribuendo alla costruzione di un nuovo equilibrio internazionale?
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