LUGANO

Svizzera: due decenni di processi per terrorismo

di Ahmed Ajil, Università di Losanna (Svizzera) – Ricercatore, Criminologo

Una panoramica dei casi di cui si è occupato il Tribunale Penale Federale svizzero dall’11 settembre

Nonostante la Svizzera non abbia subito attacchi su vasta scala come quelli che hanno colpito altre nazioni europee nell’ultimo decennio, il fenomeno della violenza politico-ideologica di matrice jihadista è tuttavia presente. Nel dicembre del 2021, i servizi di intelligence della Confederazione contavano 41 individui cosiddetti “a rischio” ritenuti cioè “una minaccia prioritaria per la sicurezza interna ed esterna della Svizzera”. Nel contesto del “monitoraggio della jihad”, (dal 2012 ad oggi) hanno anche identificato 714 persone attive in rete che simpatizzano/simpatizzavano per organizzazioni terroriste jihadiste distribuendo materiale di propaganda o intrattenendosi con altri che difendono l’ideologia di questi gruppi. Dall’11 settembre 2001, 91 individui hanno lasciato la Svizzera per unirsi a un’organizzazione terrorista in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, Siria o Iraq. Alcuni sono tornati mentre altri, attualmente detenuti dalle forze curde in Siria, cercano attivamente di essere rimpatriati, cosa che il Consiglio Federale rifiuta di fare.

Fra i vari modi a disposizione per contrastare il fenomeno terrorista, il ricorso al diritto penale costituisce il più ovvio. Nel suo rapporto annuale del 2020, il Ministero Pubblico della Confederazione riportava 35 inchieste pendenti per terrorismo nel 2016, 34 nel 2017, 30 nel 2018, 31 nel 2019 e 26 nel 2020. In questo breve contributo, vorrei presentare alcune conclusioni da un progetto di ricerca sulla repressione del terrorismo da parte del Tribunale Penale Federale (TPF), condotta insieme al collega Kastriot Lubishtani e i cui risultati sono in parte stati pubblicati su Jusletter del 31 maggio 2021.

Il Tribunale Penale Federale (TPF), operativo dal 2004, è l’autorità giudiziaria incaricata di emettere le condanne per i reati legati al terrorismo. I pochi procedimenti penali aperti dalle autorità cantonali vengono presi in carico dal Ministero Pubblico della Confederazione (MPC) e portati a processo davanti al TPF, ad eccezione di quelli che coinvolgono minori. L’analisi delle tendenze in ambito di giudizio, ci permette di avere una visione approfondita dei casi più seri che superano tutti gli stadi del cosiddetto “imbuto penale”. A questo punto, è utile specificare che l’MPC può anche condannare autonomamente degli individui, fintanto che la sentenza non supera i sei mesi di privazione della libertà. L’MPC utilizza spesso questa opzione, ma poiché questi verdetti non sono di principio accessibili al pubblico, qui non ne teniamo conto.

Da un punto di vista giuridico, ci sono principalmente due disposizioni che vengono applicate in caso di reati di natura terroristica. Una è rappresentata dall’articolo 260ter del Codice Penale Svizzero, che criminalizza il sostegno e la partecipazione a organizzazioni criminali (una definizione che include i gruppi terroristici). L’altra, è la Legge Federale che vieta le organizzazioni Stato Islamico, al-Qa’ida e gruppi affini (in breve: legge IS/AQ), che è entrata in vigore il 1° gennaio del 2015.

Per la nostra ricerca abbiamo raccolto tutte le sentenze collegate a queste due disposizioni e in seguito selezionato unicamente quelle relative al terrorismo. L’unica forma di terrorismo con la quale il TPF si è confrontato a partire dal 2004, è quella di ispirazione jihadista. Dalla pubblicazione del nostro articolo nel maggio 2021, hanno avuto luogo due ulteriori udienze che si sono concluse con la condanna di tre individui in totale, di cui si dà conto in questo contributo.   

I numeri

Dal 2004 fino al novembre 2021, il TPF si è occupato di un totale di 17 procedimenti penali legati al terrorismo jihadista. La maggior parte di questi, ha avuto luogo dopo lo scoppio della guerra civile siriana e la conseguente espansione territoriale del gruppo Stato islamico che ha raggiunto il suo picco nel giugno del 2014. In effetti, nel periodo fra il 2004 e il 2014, sono stati condotti tre procedimenti con l’incriminazione formale di undici persone mentre altri 14 procedimenti e 21 persone sono state portate davanti al TPF fra il 2014 e il 2020. La lingua dei procedimenti è stata il tedesco in dodici dei casi trattati a Bellinzona (sede del TPF), mentre il francese è stato utilizzato in tre casi e l’italiano in due occasioni.

Questi procedimenti sono relativamente complessi, ciò che si riflette tanto nella durata dell’iter pre-processuale che nei costi. Fra l’avvio dei procedimenti penali contro un/a sospettato/a e la sua effettiva incriminazione sono trascorsi, in media, 882 giorni, vale a dire quasi due anni e mezzo. I costi diretti generati dall’inchiesta, dalla difesa e dalle udienze sono arrivati a ragginugere gli 800.000 CHF per un singolo caso.

Nel contesto dei 17 procedimenti, davanti al TPF sono apparsi 32 individui in totale. Ciò significa che in diversi casi – precisamente in sette – erano coinvolte più persone. Nello specifico, quattro procedimenti hanno coinvolto due persone, mentre i restanti tre procedimenti hanno coinvolto rispettivamente tre persone, quattro persone e infine sette persone. In ognuno dei restanti dieci procedimenti, è stata incriminata un’unica persona.  

La stragrande maggioranza dei casi di terrorismo approdati al TPF ha portato a condanne. In totale, sono stati condannati 30 individui mentre due persone sono state assolte da tutte le accuse. Fino al 20 novembre 2021, si registravano 21 sentenze definitive ed esecutive. Su 30 persone, sei alla fine non sono state condannate per reati legati al terrorismo. Di conseguenza, ad oggi, sono state emesse 24 condanne per reati legati al terrorismo, di cui quindici definitive e nove pendenti.     

Chi sono i terroristi svizzeri?

30 imputati erano uomini, mentre una donna è comparsa come co-imputata e una seconda come imputata principale. Dodici degli accusati erano cittadini svizzeri, sette dei quali con la doppia cittadinanza. Fra questi, una cittadino svizzero-turco si è visto revocare la cittadinanza, per decisione confermata dal Tribunale Amministrativo Federale nel 2021. Nove imputati avevano un permesso di soggiorno. Dieci erano richiedenti l’asilo; di questi, sette con una richiesta pendente e tre ammessi provvisoriamente. Una imputata non aveva mai vissuto in Svizzera ma si trovava nel paese al momento del suo arresto.

L’ampia maggioranza, più precisamente 26 persone, non avevano precedenti penali, fatto che solleva dei dubbi sulla pertinenza del cosiddetto “crime-terror nexus” per ciò che riguarda il contesto svizzero. Gli altri sei individui erano stati condannati per vari reati: tre per infrazioni al codice della strada, uno per infrazioni alla legge sulle armi, e un altro per violazione degli obblighi di mantenimento. Infine, un imputato era stato condannato in diverse occasioni per ingresso illegale, minacce e coercizione.

Al momento della sentenza, 19 imputati erano disoccupati e dipendevano dall’assistenza sociale; cinque imputati non avevano un reddito imponibile ed erano indebitati; tre imputati avevano un lavoro e un salario mensile. Infine, le condizioni economiche dei restanti cinque imputati sono sconosciute. Queste osservazioni dimostrano la validità dell’ipotesi della “biographical availability” secondo la quale una mancanza di “struttura” e occupazione potrebbe facilitare il coinvolgimento in attività ad alto rischio o illegali.

Su 30 condannati (21 sentenze   definitive e nove pendenti), in 25 casi sono state comminate delle pene detentive, oltre a ulteriori pene pecuniarie in quattro di questi casi. Nove delle pene detentive erano sospese ; altre sei erano sospese parzialmente. Ciò significa che sono state comminate dieci pene detentive senza la condizionale. In cinque casi, il TPF ha comminato unicamente pene pecuniarie, di cui due sospese. .

La sentenza più mite è stata una pena pecuniaria sospesa di 100 CHF al giorno per 25 giorni. La condanna più severa è stata una sentenza di custodia di 70 mesi, abbinata a un divieto di ingresso nel paese della durata di quindici anni.

Cosa sono le “attività terroristiche” nel contesto svizzero?

Riguardo la natura dei crimini, si può notare che dal 2001 su suolo svizzero non sono stati commessi -né quindi portati davanti al TPF- atti di violenza terroristica (le inchieste sugli attacchi di Morges e Lugano avvenuti nel 2020 sono ancora aperte).

Se ci focalizziamo sulle 24 condanne per reati legati al terrorismo (sei condanne erano infine non legate al terrorismo), si nota che gli atti perseguiti in relazione al terrorismo di matrice jihadista erano principalmente legati ad attività sulle piattaforme Internet. Due procedimenti che hanno coinvolto un totale di quattro persone concernevano la gestione di siti internet contenenti materiale di propaganda come immagini e video, oltre a commenti che glorificavano i leaders delle principali organizzazioni terroristiche come Osama Bin Laden. Tre persone sono state recentemente condannate in relazione alla produzione di un’intervista filmata con un ribelle jihadista nel conflitto siriano, Abdullah al-Muhaysini. Per sette delle persone condannate, le accuse erano limitate esclusivamente ad attività sui social media come Facebook, YouTube e app di messaggistica come WhatsApp e Telegram, che consistevano nella spedizione e/o condivisione di video, immagini e commenti, e in un caso, la traduzione di comunicazioni mediatiche di un gruppo jihadista.  

In alcuni casi, l’attività ha avuto luogo principalmente nell’ambito digitale, ma gli individui sono stati condannati in qualità di membri di una rete. Nel caso della condanna di tre uomini, il caso è stato aperto per sospetti riguardo un potenziale attacco, ma alla fine, sono stati solo condannati per le loro attività sui social network. In un caso, l’unico imputato è stato condannato per avere mantenuto contatti con persone all’estero, affiliate a organizzazioni terroristiche, ma anche per aver incoraggiato un’altra persona in Libano a portare avanti un attacco contro Hizbullah oppure l’esercito americano.

Gli atti più “fisici” sono consistiti in tentativi di recarsi in aree di conflitto o attività legate ai combattimenti all’estero. Quattro persone sono state incriminate per aver cercato di raggiungere il territorio siro-iracheno per unirsi allo Stato Islamico, uno per aver aderito a un gruppo armato in Siria e aver reclutato altri, e un altro per proselitismo in Svizzera e aver fornito sostegno logistico a foreign fighter in Turchia.

In conclusione, risulta che sui 24 individui condannati dal TPF per reati legati al terrorismo, 18 erano coinvolti esclusivamente o in prevalenza, in attività digitali, mentre 6 si sono mobilitati fisicamente per fornire sostegno a gruppi terroristici. È importante notare che nonostante questi ultimi fossero “fisicamente” più coinvolti di altri, le loro attività contemporanee sui social media e sulle app di messaggistica hanno avuto una rilevanza essenziale per la loro condanna.

La rete si allarga gradualmente

 Dal punto di vista giuridico, gli individui sono stati condannati principalmente per il loro supporto a organizzazioni criminali o gruppi affiliati allo Stato Islamico e al-Qa’ida. Solo tre persone sono state condannate per la partecipazione a un gruppo terroristico. Ciò può essere spiegato in due modi: da un lato, è difficile dimostrare l’appartenenza e la partecipazione a reti e gruppi vagamente organizzati come quelli che caratterizzano il fenomeno jihadista dopo l’11 settembre. D’altro lato, dall’analisi dei casi in questione emerge chiaramente che, paragonata alla definizione piuttosto ristretta di “appartenenza” , la nozione di “sostegno” è molto ampia e in pratica è arrivata a indicare una qualsiasi attività che si ritiene mettere in buona luce un’organizzazione terroristica. Per esempio, un individuo è stato in parte condannato per aver postato su Facebook un’immagine di un ospedale funzionante in un’area controllata dallo Stato islamico, per mostrare che le infrastrutture non erano state tutte danneggiate durante il regno del gruppo terroristico. In un altro caso, un individuo è stato condannato per aver mandato tre immagini di propaganda via Whatsapp a un’altra persona. Non sorprende quindi che la maggior parte dei casi abbia portato a condanne per la nozione piuttosto approssimativa del termine “sostegno”.   

L’evoluzione del dispositivo anti-terrorismo della Svizzera fa parte di una tendenza più generalizzata, che ha preso piede dopo gli attacchi dell’11 settembre, che mira ad anticipare l’applicabilità del quadro giuridico penale a un contesto pre-delittuoso (“pre-criminal“), allargando in questo modo la rete penale in cui ricadono le azioni ritenute attività legate al terrorismo.

Ciò è comprensibile da una prospettiva politica, ma presenta un certo numero di sfide da una prospettiva giuridica ed etica. Di fatto, la svolta preventiva delle leggi anti-terrorismo della Svizzera e il modo un cui vengono applicate porta le autorità ad indagare e condannare azioni sempre più slegate dagli atti violenti veri e propri che si vogliono prevenire. In una sfera pre-delittuosa (“pre-criminal“) sempre più ampia, è impossibile coprire la totalità gli atti perseguibili ed è più probabile che si manifesti una disparità di trattamento. Questi sono aspetti di cui tenere conto, quando si pensa a come rafforzare ed espandere in futuro gli sforzi anti-terrorismo in Svizzera.  




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