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Difesa europea: le vulnerabilità dello Strategic Compass

di Luigi Chiapperini*

L’Europa sta sfornando un topolino (ancorchè più aggressivo) o un vero leone?

La novità di questi giorni è lo Strategic Compass, la Bussola strategica, documento che sta per essere approvato dai Capi di stato e di governo dell’Unione Europea

Il documento, nato prima delle operazioni della Russia contro l’Ucraina, ora naturalmente assume ancora più importanza a seguito di quella che l’Unione Europea considera una inappropriata aggressione nel cuore dell’Europa.

Una pentola a pressione alle porte del vecchio continente

Non è facile parlare di Europa, ancor più difficile risulta affrontare temi legati alla sua politica di difesa e sicurezza. Ci abbiamo messo un po’ per capire che con la caduta del muro di Berlino non erano caduti i freni inibitori di politiche aggressive sia economiche che militari di alcuni paesi. L’Europa è letteralmente circondata da aree di crisi: gli ex confini con la fu U.R.S.S., l’area caucasica, il Medio Oriente, l’Africa settentrionale e sub sahariana, gli stessi Balcani. Una pentola a pressione alle porte del vecchio continente che, se non gestita adeguatamente, potrebbe esplodere. Nei fatti, non può essere negato che sussistono conflitti in atto e potenziali, asimmetrici e simmetrici, che presuppongono la necessità di disporre di forze pronte in grado di fronteggiare minacce sia ibride che classiche, quelle con i carri armati per intenderci, queste ultime considerate erroneamente dai più ormai defunte. Invece è proprio ciò che sta avvenendo in Ucraina in queste settimane.

Un pregresso marginale: fare di più?

In passato l’Unione Europea si è affacciata in maniera discreta in alcuni teatri di crisi, mettendo in campo alcune missioni essenzialmente di monitoraggio e di addestramento delle forze di sicurezza locali. Infatti sono circa 5.000 gli uomini e donne che sotto cappello U.E. sono impegnati in missioni civili e militari per la CSDP (Common Security and Defence Policy).

Ma se l’Europa volesse fare di più, ha gli strumenti per continuare, se necessario, l’azione politica con altri mezzi? La risposta è sì, ma solo fino ad un certo punto e al netto della volontà di farlo che è parsa sinora latitante. Ed è questa la novità delle ultime settimane: qualcosa sembrerebbe muoversi con la “Bussola strategica”. Le dichiarazioni del Commissario Borrell sembrerebbero confermare molte delle capacità già esistenti in ambito europeo che sinora, come detto, non si sono volute sfruttare appieno.

Di cosa parla lo Strategic Compass: le 4 direzioni

Vengono indicate le quattro direzioni (o pilastri, da qui il nome bussola) da seguire nei prossimi 5-10 anni (act, invest, partner and secure) e cioè capacità di agire, investire di più e meglio in collaborazione con gli alleati, volontà di difendersi in modo autonomo.

“Act”: agire

Per essere in grado di agire rapidamente e con fermezza ogni volta che scoppia una crisi, se possibile con i partner o anche da sola quando necessario, l’Unione Europea dovrà:

– istituire la capacità di dispiegamento rapido fino a 5000 soldati in grado di affrontare diversi tipi di crisi;

– essere pronta a schierare 200 esperti di missione PSDC (politica di difesa e di sicurezza comune) schierabili entro 30 giorni, anche in ambienti complessi;

– condurre regolarmente esercitazioni in ambiente terrestre e in mare;

– migliorare la capacità di trasporto strategico e tattico militare;

– rafforzare le missioni e le operazioni civili e militari della PSDC promuovendo un processo decisionale rapido e più flessibile, agendo in modo più fermo e garantendo una maggiore solidarietà finanziaria;

– sfruttare appieno il cosiddetto “Strumento europeo per la pace” per sostenere i partner.

“Invest”: investire

Gli Stati membri si sono impegnati a migliorare sostanzialmente le loro spese per la difesa per soddisfare la nostra ambizione collettiva di ridurre le carenze critiche di capacità militari e civili e rafforzare la nostra base industriale e tecnologica di difesa europea. L’UE dovrà:

– condividere gli obiettivi nazionali sull’aumento e il miglioramento della spesa per la difesa per soddisfare le nostre esigenze di sicurezza;

– fornire ulteriori incentivi agli Stati membri affinché si impegnino nello sviluppo collaborativo delle capacità e investano congiuntamente in abilitatori strategici e capacità di prossima generazione per operare a terra, in mare, in aria, nel dominio cibernetico e nello spazio;

– promuovere l’innovazione tecnologica della difesa per colmare le lacune strategiche e ridurre le dipendenze tecnologiche e industriali.

“Partner”: collaborare

Al fine di affrontare le minacce e le sfide comuni, l’UE dovrà:

– rafforzare la cooperazione con i partner strategici quali la NATO, l’ONU e i partner regionali, tra cui l’OSCE, l’UA (Unione Africana) e l’ASEAN;

– sviluppare partenariati bilaterali con paesi che la pensano allo stesso modo e partner strategici, come Stati Uniti, Canada, Norvegia, Regno Unito, Giappone e altri;

– sviluppare partenariati su misura nei Balcani occidentali, nell’Oriente vicino e meridionale, in Africa, in Asia e in America latina, anche attraverso il rafforzamento del dialogo e della cooperazione, la promozione della partecipazione alle missioni e alle operazioni PSDC e il sostegno allo sviluppo di capacità.

“Secure”: sicurezza

Al fine di rafforzare la sua capacità di anticipare, scoraggiare e rispondere alle minacce e alle sfide attuali e in rapida ascesa e salvaguardare gli interessi dell’UE in materia di sicurezza, l’UE dovrà:

– potenziare le proprie capacità di analisi dell’intelligence;

– sviluppare Hybrid Toolbox e Response Team riunendo diversi strumenti per rilevare e rispondere a un’ampia gamma di minacce ibride;

– sviluppare ulteriormente il pacchetto di strumenti diplomatici informatici e istituire una politica di ciberdifesa dell’UE per essere meglio preparati e rispondere agli attacchi informatici;

– sviluppare un Toolbox per la manipolazione e l’interferenza delle informazioni straniere;

– sviluppare una strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa;

– rafforzare il ruolo dell’UE quale attore della sicurezza marittima.

Molta ambizione e tante criticità

Senza dubbio si tratta di un pacchetto di propositi molto ambiziosi e di cui l’Europa aveva bisogno ma che sono stati più o meno i cavalli di battaglia degli ultimi anni. Ora però vengono raggruppati in questo documento e riconosciuti, alla luce degli ultimi tragici eventi, come obiettivi irrinunciabili.

Quali sono i dubbi che nascono scorrendo l’elenco degli obiettivi?

Sembra che non vengano risolti i problemi incontrati in passato concernenti la reale volontà politica di impiegare queste capacità.

In realtà le strutture, i comandi, le forze e le risorse essenzialmente ci sono già.

L’UE ha Comandi e forze militari, con una preponderanza dei primi rispetto alle seconde le quali, pur idonee quantitativamente e qualitativamente, risultano per vari motivi difficilmente impiegabili.

Partendo dalle strutture deputate al comando e controllo, per le missioni militari quelle a livello strategico, tutte facenti capo al Political and Security Committee, sono i quattro Operational Headquarters (OHQ) resi disponibili da Francia, Germania, Grecia e Italia, il Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE) per via degli accordi «Berlin plus» e l’EU Operation Centre, in grado di essere attivato all’occorrenza per operazioni di limitata entità e di ridotti livelli di rischio, costituito presso lo Stato Maggiore dell’UE. Invece per quanto concerne le missioni civili, la struttura deputata al comando di livello strategico è il Civilian Planning and Conduct Capability (CPCC). Detta distinzione fa nascere già delle perplessità: ha senso tenere distinte le missioni “civili” da quelle “militari”? Se un’area è considerata di crisi, l’aspetto civile non può prescindere da quello militare.

Inoltre è d’uopo fare una considerazione riguardo alla possibile cooperazione tra UE e NATO a seguito degli accordi Berlin Plus. La NATO raccoglie 30 paesi, la UE 27, mentre sono 21 gli stati facenti parte di entrambe le organizzazioni. In questa situazione risulta quanto meno problematico raggiungere in entrambi i consessi l’unanimità per l’avvio di operazioni comuni. Inoltre, nella dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-NATO del 10 luglio 2018 sono elencati i settori oggetto dell’accordo, che riguardano essenzialmente mobilità militare, cybersecurity, minacce ibride, lotta al terrorismo, donne e sicurezza. Non proprio ciò che ci si aspetterebbe da una vera e propria cooperazione militare strutturata.

Ad onor del vero, tentativi di rafforzare la politica di difesa e sicurezza comuni ci sono stati: lo sforzo di dotarsi di forze militari dedicate e disponibili per gli scopi dell’UE, la cooperazione strutturata permanente della PESCO e i fondi europei per la difesa sono gli esempi più recenti.

L’Europa è una potenza militare: sulla carta

La domanda da porsi allora è come l’UE si pone nei confronti dei maggiori player mondiali. Se sommiamo gli equipaggiamenti militari delle singole nazioni europee e li confrontiamo con quelli di USA, Russia e Cina, possiamo senz’altro affermare che sulla carta l’Europa è una potenza militare. Ma «non sempre la somma fa il totale»: lo strumento militare delle singole nazioni europee letteralmente ristagna sul suolo europeo ma attualmente non appartiene all’Unione Europea come entità. Lo Strategic Compass dice genericamente di “promuovere un processo decisionale rapido e più flessibile, agendo in modo più fermo e garantendo una maggiore solidarietà finanziaria”.

Negli ultimi dieci anni anche il budget dedicato alla difesa è andato sempre più calando, e ciò è accaduto solo in seno all’UE, mentre sono aumentati quelli di tutti gli altri principali attori mondiali e regionali, compresi Cina, India, Giappone e Arabia Saudita. Giova inoltre ricordare che in Europa solo Regno Unito, Francia, Polonia, Romania e gli stati baltici si avvicinano al 2% del PIL dedicato alla difesa sulla base delle linee guida della NATO. Anche qui qualcosa sembra stia cambiando radicalmente, anche in Italia.

Inoltre, i sistemi in produzione per singola tipologia di equipaggiamento rendono l’Europa più debole di quanto a prima vista possa sembrare. Basti notare che, rispetto agli USA che ne hanno uno solo, in Europa ci sono quattro diversi tipi di carro armato, gli USA hanno tre tipi di missile antinave mentre l’Europa nove, il vecchio continente ha in linea 11 diverse tipologie di fregate mentre gli USA una sola. Ciò comporta per l’Europa comprensibili problemi di impiego operativo e di supporto logistico in caso di missioni unitarie. E il trend della proliferazione di sistemi d’arma nazionali continua: un esempio è lo sviluppo del sistema «Soldato futuro», volto ad equipaggiare il combattente dei prossimi decenni, che vede in Europa ben cinque progetti differenti.

BREXIT: un’assenza micidiale

Da ultimo, ma probabilmente è l’aspetto più importante, iniziamo a tener conto dell’effetto che sta avendo la BREXIT sul potenziale della difesa europea. Quelli che sono ormai diventati i cugini di secondo grado d’oltremanica fanno mancare, oltre al nucleare che in Europa diventa appannaggio della sola Francia, il 9% di veicoli per il combattimento della fanteria, il 50% di portaerei, il 28% di veicoli aerei pilotati a distanza ed il 30% di aerei da rifornimento.

Una delle novità dello Strategic Compass è l’istituzione della capacità di dispiegamento rapido di una unità con fino a 5000 soldati in grado di affrontare diversi tipi di crisi. Eppure dal 2005 sono già disponibili gli European Union Battle Group (EU BG), unità di livello reggimento (1.500-2.000 unità) più assetti aerei e navali, con compiti del tipo Petersberg introdotti dal Trattato di Amsterdam nel 1997 (operazioni di supporto alla pace: humanitarian, peacekeeping and peacemaking nature). Ogni anno per ogni semestre nazioni volenterose dovrebbero rendere disponibili due EU BG (quindi circa 3.000-4.000 militari in totale). L’Italia lo ha fatto per ben tre volte negli ultimi quattro anni, ma più volte in passato è accaduto che la tabella di turnazione sia rimasta desolatamente parzialmente vuota. Senza contare il fatto che due reggimenti costituiti da un insieme eterogeneo di bassissimo livello ordinativo, più qualche aereo e qualche nave, schierabili per non più di trenta fino ad un massimo di 120 giorni, sono poco credibili anche se impiegati in qualità di Initial Entry Force per l’avvio di una operazione militare. Ed infatti non sono mai stati impiegati… La speranza è che queste nuove Task Force, presumibilmente di livello Brigata, previste nella Bussola strategica, a parte quello che sembra essere un incremento della forza dagli attuali 3.000-4.000 a 5.000 soldati in totale, siano anche idonee ad intervenire in situazioni più critiche rispetto al passato quando, come detto, ci si limitava alle missioni tipo Petersberg. Sembra che sia proprio così. Rimane comunque la perplessità riguardo al numero: 5.000 militari sembrano ben poca cosa in caso di schieramento volto ad assolvere compiti di una certa complessità.

Quindi l’Europa della Difesa, potenziale gigante mondiale, potrebbe ancora vivere vulnerabilità che vanno ad aggiungersi all’incapacità sin qui dimostrata di agire politicamente all’unisono.

Lo Strategic Compass potrebbe essere la svolta di una situazione che vedeva l’Europa un gigante non tanto dai piedi di argilla quanto dalla testa di legno non in grado di addivenire a decisioni. Si pensava che fossero proprio questi gli scogli che si intendevano superare con la Bussola strategica: rendere effettiva la capacità dell’Europa di impiegare le forze in situazioni di crisi.

Quello che non è chiaro nel documento che sarà approvato dai capi di stato e di governo nei prossimi giorni è come saranno prese le decisioni nella politica estera e della difesa. La grande speranza è che si addivenga a decisioni a maggioranza qualificata il che potrebbe portare finalmente l’Europa ad assumere importanti decisioni in relazione ai più importanti dossier internazionali senza quegli impedimenti che si sono visti sinora. Detta nuova capacità decisionale non può prescindere poi dalla disponibilità reale di forze pronte e ben equipaggiate in aggiunta a quei 5.000 militari previsti nel documento.

Solo così con lo Strategic Compass l’Europa in qualità di vero attore mondiale potrà sfornare anziché un topolino (ancorché aggressivo) un vero leone capace di contribuire a tener testa a orsi e dragoni.

*Generale di Corpo d’Armata Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando ARRC – Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, Vice Capo del Reparto Pianificazione Generale e Direzione Strategica / Politica delle Alleanze presso lo Stato Maggiore Difesa, Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito, presidente dei lagunari dell’A.L.T.A. e collaboratore del Campus universitario CIELS di Padova.




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