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#ReaCT2021 – Il contrasto alla radicalizzazione e al terrorismo internazionale attraverso il diritto penale

di Francesco Rossi, MacroCrimes, Start InSight, EU Law Live

Contrastare il terrorismo è un obiettivo prioritario per molti governi. Dopo ogni attentato, le politiche convergono sull’introduzione di nuovi reati, sull’aumento delle pene, sulla previsione di regole processuali derogatorie, sul potenziamento delle misure amministrative di prevenzione. Ciò consente alle autorità di pubblica sicurezza di intervenire ben prima che un individuo radicalizzato passi all’azione. Tuttavia, per sua stessa natura, il diritto penale antiterrorismo non incide sulle cause della radicalizzazione e del terrorismo. Punire la sola radicalizzazione stigmatizza un fenomeno interiore. Quest’ultimo è sì aberrante e astrattamente prodromico a ulteriori sviluppi, ma nei suoi stadi iniziali non può essere assimilato ad altro che ad una forma di ideologia priva di riscontri materiali concretamente pericolosi.

Il ricorso a un diritto penale onnicomprensivo e sproporzionato può anzi produrre effetti collaterali criminogeni. Inoltre, le modalità di esecuzione della pena carceraria prevalenti sono inadeguate ad arginare il problema, ormai annoso, della radicalizzazione in carcere. In questo contesto, la radicalizzazione deve essere affrontata come un processo reversibile.

Anche la gestione degli aspiranti returnees si arresta alla superficie del problema. Gli Stati europei si dimostrano restii a rimpatriare le “famiglie dello Stato Islamico” (donne e bambini compresi) per timore nei confronti della sicurezza e della stabilità politica dell’esecutivo. Una tra le possibili alternative al rimpatrio, lo svolgimento di processi penali nei confronti dei membri dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, pare rappresentare una tentazione per molti. La possibilità più complessa ma al tempo stesso etica e razionale di concentrare gli sforzi sul reinserimento in società dei returnees non è stata finora presa in seria considerazione.

Oggi, larga parte del carico preventivo è addossato sulla sorveglianza e sulla giustizia criminale. Il diritto penale antiterrorismo in Europa è di stampo tendenzialmente carcero-centrico anche rispetto a fatti che non offendono beni o interessi giuridici. Terroristi, individui radicalizzati e in corso di radicalizzazione vengono neutralizzati e sorvegliati il più a lungo possibile attraverso una sequela di misure e sanzioni detentive, nonché di misure di sicurezza successive all’espiazione della pena. Invece, il quadro relativo alla prevenzione extra-penale o comunque non puramente coercitiva della radicalizzazione in Europa è ancora frammentato e controverso. Il ritardo legislativo dell’Italia su questo fronte è emblematico. In ogni caso, non è stata ancora raggiunta una sufficiente uniformità di vedute sui limiti etici e sugli obiettivi concreti che i vari programmi devono porsi. Allo stesso modo, il tendenziale scarto tra gli apporti accademici e le reali esigenze degli operatori professionali sul campo non è ancora stato colmato del tutto.

Al riguardo, andranno considerati con attenzione i programmi di giustizia riparativa implementati in carcere (ad esempio, in Italia e in Spagna) con il consenso e la partecipazione attiva degli autori e delle vittime di reati terroristici. Come suggerisce l’approccio adottato dalla ricerca interdisciplinare “Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto” (a cura di G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzucato, Milano, 2015), tali programmi possono contribuire a personalizzare il più possibile la risposta della giustizia penale al vissuto delle parti in causa. In ultima istanza, i programmi di tipo riconciliativo sono volti a prevenire la ricaduta nella radicalizzazione e/o la recidiva in reati terroristici, nonché a favorire il reinserimento in società. Tuttavia, la strada in questa direzione è ancora lunga.

[1] G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzucato (eds.), Milan, 2015.

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