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Presentazione del Rapporto #ReaCT2023 a Lugano il 6 ottobre

Ad oltre venti anni dagli attentati dell’11 settembre 2001 che hanno aperto un lungo capitolo di lotta al terrorismo sotto varie forme, la minaccia non solo non è svanita, ma è oggi più diffusa, frammentata e complessa da affrontare.

In Occidente, lo scenario dell’estremismo violento è oggi caratterizzato da una varietà di ideologie, orientamenti, profili e motivazioni, spesso sovrapposte o indefinite, che rendono più difficile indicarne la portata, prevedere il rischio e tracciare l’evoluzione del fenomeno.

Le iniziative di contrasto e prevenzione implicano una collaborazione multidisciplinare fra attori diversi e un dialogo costante tra ricercatori, operatori sul campo, forze dell’ordine, legislatori e società civile. Di fronte alla capacità di adattamento del terrorismo e al ‘new normal’ della radicalizzazione che definisce l’epoca attuale, è importante aggiornare le conoscenze, gli approcci e gli strumenti a nostra disposizione.

Invito alla presentazione del
4° Rapporto sul Terrorismo e il Radicalismo in Europa
#ReaCT2023

Venerdì 6 ottobre 2023, ore 17.30    
Lugano, Università della Svizzera italiana
Auditorium, Palazzo Centrale

per annunciarsi scrivere a: info@startinsight.eu
SCARICA #REACT2023 QUI

PROGRAMMA
Introduce i lavori Jean-Patrick Villeneuve, Direttore dell’Istituto di Comunicazione e Politiche pubbliche, Università della Svizzera Italiana
Saluti istituzionali dell’On. Norman Gobbi, Dipartimento delle Istituzioni,
Cantone Ticino (videomessaggio)

Ore 17.45 INTERVENTI
“Terrorismi ed estremismi in continua evoluzione: il Rapporto #ReaCT2023”

Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio ReaCT, ricercatore
Chiara Sulmoni, Presidente di START InSight, giornalista, analista
Marco Lombardi, Prof. e direttore del centro di ricerca ITSTIME, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

Ore 18.15 TAVOLA ROTONDA
“Il contrasto e la prevenzione del terrorismo e dell’estremismo violento. Prospettive svizzere e italiane”  

On. Rocco Cattaneo, Consigliere nazionale, Commissione della politica di sicurezza
Martin von Muralt, Delegato della Rete integrata svizzera per la sicurezza
(intervento in francese)     
Diego Parente, Direttore centrale della Polizia di Prevenzione, Polizia di Stato
(in collegamento da Roma)
Michela Trisconi, Capo-progetto, Piattaforma cantonale di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento

evento in collaborazione con

USI – Università della Svizzera italiana
e
Piattaforma di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento, Cantone Ticino


La guerra in Ucraina arriva fino in Africa. Il commento di M. Cochi a RaiNews24

Mosca ha costruito nel tempo una rete di relazioni economiche e politiche con molti paesi del continente africano che non prendono posizione contro l’aggressione russa

Il servizio originale di RaiNews24 del 20 agosto 2022

https://youtu.be/NMKFP4BsmkQ

Se l’Occidente si è apertamente schierato contro l’invasione russa, nel continente africano Mosca continua a raccogliere consensi, rafforza i legami economici e politici e costruisce una strategia di pressione anche verso l’Europa. Ne abbiamo ripercorso le tappe e le ragioni con Marco Cochi, giornalista esperto di Africa. Insieme ad Andrea Segré, docente di Politiche Agrarie Internazionali all’Università di Bologna abbiamo spiegato come il cibo – i cereali, in questo caso – possa essere utilizzato come un’arma geopolitica e cercato di capire se le istituzioni sovranazionali hanno il potere di invertire la rotta. Leila Belhadj Mohamed, che si occupa di geopolitica per Life Gate, ha analizzato il ruolo della Turchia e l’importanza, per questi temi, di Paesi come il Mali e il Sudan. Conduce Veronica Fernandes


La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi


▶ Ascolta l’intervista di Marco Cochi: “La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi”. (“Africa oggi”, in collaborazione con Nigrizia).

di Marco Cochi

Dall’inizio dell’anno, i gruppi jihadisti attivi in Burkina Faso hanno distrutto o sabotato 32 impianti idrici nel nord. Tredici organizzazioni nazionali e internazionali, che forniscono assistenza umanitaria nel paese, hanno rilevato che gli attentati ai pozzi d’acqua e alle autocisterne hanno un grave impatto su 290mila persone. I ripetuti attacchi ai servizi idrici non costituiscono una conseguenza del conflitto, ma sono ormai un’arma di guerra che segna una nuova e spregevole svolta nelle violenze. La maggior parte delle distruzioni è avvenuta a Djibo, la città che ospita il maggior numero di sfollati in tutto il Paese, dove adesso la popolazione civile ha singolarmente accesso a meno di tre litri di acqua al giorno per coprire tutti i propri bisogni, dal bere all’igiene e alla cucina. Una disponibilità irrisoria rispetto agli almeno 50 litri a persona consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per garantire condizioni di vita accettabili.



Ascolta l’intervista di Marco Cochi: “La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi”. (“Africa oggi”, in collaborazione con Nigrizia).

Two decades of terrorism trials in Switzerland #ReaCT2022

“Two decades of terrorism trials in Switzerland” – a discussion with Ahmed Ajil, criminologist and researcher at the University of Lausanne. This is episode 6 of a series that our Swiss-Italian think tank dedicates to the Annual Report on Terrorism and Radicalisation in Europe #ReaCT2022. In 20 minutes, #ReaCT2022 authors introduce their analyses and elaborate on the most relevant aspects


Estremismo di destra e deradicalizzazione – #ReaCT2022

Il Rapporto annuale dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo #ReaCT2022 è disponibile online in due lingue (italiano e inglese). Ogni settimana presentiamo i diversi contributi in un incontro LIVE con gli autori, della durata di 20 minuti. In questa puntata, gli ospiti sono Mattia Caniglia, docente affiliato all’Università di Glasgow e Luca Guglielminetti, membro del pool di esperti della rete RAN, Radicalisation Awareness Network. Si è parlato della crescita dell’estremismo di destra e di de-radicalizzazione nel contesto neo-nazista, sulla base di un caso italiano.


Radicalizzazione e terrorismo in Europa – tutti gli incontri con gli autori del Rapporto annuale #ReaCT2022

Il Rapporto è curato dall’Osservatorio ReaCT sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo e traccia l’evoluzione di questi fenomeni in Europa. A scadenza annuale, è in grado di segnalare tempestivamente le nuove tendenze e di approfondire tematiche e contesti correlati.

La terza edizione è disponibile online dal 24 febbraio 2022 in due lingue, italiano e inglese; include 15 contributi fra cui 2 casi studio sulla de-radicalizzazione.

Scarica qui il Rapporto #ReaCT2022

Ogni settimana dal 17 marzo fino al 28 aprile START InSight incontra gli autori dei diversi articoli per discutere i vari argomenti trattati nel Rapporto nel corso di dirette streaming di 20 minuti. Su questa pagina, in costante aggiornamento, potete trovare tutte le puntate della serie.

17 marzo 2022 – Il primo incontro con gli autori di #ReaCT2022. In questa puntata si è parlato del libro “Understanding radicalisation, terrorism and de-radicalisation.
Historical, socio-political and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy
” (a cura di M. Brunelli) con Andrea Carteny, direttore del CEMAS (Centro di Ricerca e Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa sub-sahariana, Università La Sapienza, Roma) e Elena Tosti Di Stefano, ricercatrice all’Università la Sapienza e al CEMAS; mentre Chiara Sulmoni, analista, giornalista e presidente di START InSight, ha spiegato quali sono i nuovi orizzonti della radicalizzazione.

24 marzo 2022 – In questa puntata si è discusso dell’evoluzione del terrorismo jihadista in Europa con Claudio Bertolotti, analista strategico e direttore dell’Osservatorio ReaCT; e della gestione dei minori radicalizzati in Italia (caso studio) con Alessandra Lanzetti, Vice-Questore aggiunto della Polizia di Stato.

31 marzo 2022 – In questa puntata si è affrontato il tema del terrorismo jihadista in Africa Sub-Sahariana con Luciano Pollichieni, ricercatore e Fellow del think tank statunitense Critica (Washington).

7 aprile 2022 – In questa puntata si discute di complottismo e militanza NoVax con Andrea Molle, docente di Relazioni Internazionali alla Chapman University (California) e membro del team di START InSight; e di aggiornamento degli strumenti di analisi del rischio con riferimento ai processi di radicalizzazione insieme a Barbara Lucini, ricercatrice all’Università Cattolica di Milano e per ITSTIME.

14 aprile 2022 – In questa puntata, si è parlato della crescita dell’estremismo di destra con Mattia Caniglia, docente affiliato all’Università di Glasgow; mentre Luca Guglielminetti, membro del pool di esperti della rete europea RAN (Radicalisation Awareness Network) ha raccontato un caso italiano di de-radicalizzazione nel contesto neo-nazista.

21 aprile 2022 – In questo episodio con Ahmed Ajil, criminologo e ricercatore all’Università di Losanna, la discussione si è focalizzata sul contesto svizzero e su due decenni di processi per terrorismo – una panoramica dei casi di cui si è occupato il Tribunale Penale Federale dall’11 settembre 2001.

28 aprile 2022 – In questa puntata si discute di guerre future e terrorismo con Marco Lombardi, Prof. di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore del Centro di ricerca ITSTIME, e con Claudio Bertolotti, analista strategico e direttore dell’Osservatorio ReaCT sul radicalismo e contrasto al terrorismo.


Cospirazionismi, militanza NoVax e strumenti di valutazione del rischio #ReaCT2022


Il Rapporto annuale dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT) è disponibile online in due lingue (italiano e inglese). Ogni settimana presentiamo i diversi contributi in un incontro LIVE con gli autori, della durata di 20 minuti. In questa puntata, gli ospiti sono Andrea Molle, docente di Relazioni Internazionali alla Chapman University (California) e membro del team di START InSight e Barbara Lucini, ricercatrice all’Università Cattolica di Milano e per ITSTIME.


Terrorismo jihadista in Africa Sub Sahariana – Rapporto #ReaCT2022

Il Rapporto annuale dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT) è disponibile online in due lingue (italiano e inglese). Ogni settimana presentiamo i diversi contributi in un incontro con gli autori. In questa puntata, discutiamo di terrorismo jihadista in Africa Sub-Sahariana con il ricercatore Luciano Pollichieni.


Terrorismo in Europa: minaccia lineare in evoluzione e partecipazione individuale

di Claudio Bertolotti

Dall’Africa all’Afghanistan: l’Europa guarda preoccupata all’esaltazione jihadista

Lo Stato islamico non ha più la forza di inviare terroristi sul suolo europeo perché si è vista azzerare la propria effettiva capacità operativa in conseguenza della perdita di territorio, di una rilevante consistenza finanziaria e di reclute. Tuttavia, la minaccia rimane significativa anche attraverso la presenza e l’azione di attori isolati, spesso improvvisati e spinti dall’emulazione e senza un legame diretto con l’organizzazione.

Mentre il gruppo dello Stato Islamico continua a imporsi su un piano ideologico come la principale minaccia jihadista, è però improbabile che sia in grado di riproporre il travolgente richiamo che ebbe il “califfato” nel periodo 2014-2017, poiché ha perso il vantaggio della novità, e di conseguenza l’appeal, che ne rappresentava il punto di forza, in particolare nei confronti dei più giovani. Inoltre, sia dal punto di vista legislativo che da quello operativo, l’Europa ha saputo ridurre in maniera rilevante le proprie vulnerabilità, sebbene vi siano maggiori risultati più in termini di contrasto al terrorismo che di prevenzione. Permangono, nel complesso segnali di incertezza legate agli effetti emulativi e alla “chiamata alla guerra” connessa a eventi sul piano internazionale in grado di indurre singoli soggetti ad agire in nome del jihad: l’evento più importante nel 2021, che ha dato e continuerà a dare un impulso agli effetti del jihad transnazionale è la vittoria dei talebani in Afghanistan che, da un lato tende ad alimentare la variegata propaganda jihadista attraverso il messaggio della “vittoria come risultato della lotta continua” e, dall’altro lato, da vita a una forma di competizione dei “jihad” tra gruppi impegnati in forme di lotta e resistenza esclusivamente locali e chi, come lo Stato islamico, recepisce e propone il jihad esclusivamente come strumento di lotta a oltranza a livello globale.

In tale quadro complessivo e in continua evoluzione, dobbiamo prestare attenzione alla crescente forza estremista in alcune parti dell’Africa, in particolare le aree dell’Africa sub-sahariana, il Sahel, il Corno d’Africa e, ancora, il Ruanda e il Mozambico, al fine di contrastare l’emergere in questo continente di nuovi “califfati” o “willayat” che potrebbero minacciare direttamente l’Europa.

Nella prolifica propaganda jihadista, lo Stato Islamico si vanta della propria diffusione nel continente africano e pone in evidenza come l’obiettivo di contrastare la presenza e la diffusione del cristianesimo porterà il gruppo a espandersi in altre aree del continente. Se altrove, come nel Maghreb, nel Mashreq e in Afghanistan l’attività dello Stato islamico è incentrata sulla lotta settaria intra-musulmana, in Africa la sua presenza si impone come parte di un conflitto tra musulmani e cristiani, rafforzata da una propaganda che insiste sulla necessità di fermare la conversione dei musulmani al cristianesimo attuata attraverso i “missionari” e “il pretesto” degli aiuti umanitari. In tale quadro si inseriscono le violenze, i rapimenti e le uccisioni di religiosi missionari, attacchi contro le Ong e le missioni internazionali, dal Burkina Faso al Congo e, ancora, gli attacchi agli abitanti dei villaggi cristiani in particolare in occasione delle festività di Natale e Capodanno.

Scendono i numeri, ma permane la minaccia del terrorismo

Guardando all’ultimo triennio, da un punto di vista quantitativo l’incidenza degli attacchi terroristici si presenta lineare. Dal 2017 al 2020 sono stati registrati nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera 457 attacchi, compresi quelli falliti e sventati: erano 895 nel 2014-2017.

Nel 2020 sono stati 119 di cui 62 nel Regno Unito e 2 in Svizzera. Secondo Europol (TeSat 2020), il 43% sono attribuiti a movimenti della sinistra radicale (passati da 26 a 25), il 24% a gruppi separatisti ed etno-nazionalisti, il 7% a gruppi di estrema destra (aumento percentuale ma diminuzione in termini assoluti rispetto al 2019), il 26% sono azioni di matrice jihadista. Sebbene la violenza jihadista sia una parte marginale del totale delle azioni associate a ideologie violente, essa si conferma per essere la più rilevante in termini di risultati e vittime provocate il cui totale, passando dalle 16 del 2020 alle 13 del 2021, conferma la maggior pericolosità del terrorismo jihadista in termini di effetti diretti.

Sulla scia dei grandi eventi terroristici in Europa nel nome del gruppo Stato islamico, sono stati registrate 165 azioni in nome del jihad dal 2014 al 2021, delle quali 34 esplicitamente rivendicate dallo Stato islamico: 219 i terroristi che vi hanno preso parte (63 morti in azione), 434 le vittime decedute e 2.473 i feriti (database START InSight).

Nel 2021 gli eventi sono stati 18, in lieve flessione rispetto ai 25 attacchi dell’anno precedente ma con un aumento di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti: dal 48% del totale di azioni emulative nel 2020 al 56% nel 2021 (erano il 21% nel 2019). Il 2021 ha inoltre confermato la predominanza delle azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate e fallimentari che hanno progressivamente sostituito le azioni strutturate e coordinate caratterizzanti il “campo di battaglia” urbano europeo negli anni 2015-2017.

L’anagrafica dei terroristi “europei”

L’adesione all’azione terroristica continua a confermarsi come scelta esclusivamente maschile: su 207 attentatori il 97% sono maschi (7 le donne); contrariamente al 2020, quando 3 donne presero parte ad attacchi terroristici, il 2021 non ha registrato la partecipazione diretta di attentatrici.

I 207 terroristi (uomini e donne) hanno un’età mediana di 26 anni: un dato che varia nel corso del tempo (dai 24 nel 2016, ai 30 nel 2019). I dati anagrafici di 169 soggetti di cui si hanno informazioni complete hanno consentito di definire un quadro molto interessante da cui si evince che il 10% è di età inferiore ai 19 anni, il 36% ha un’età compresa tra i 19 e i 26, il 39% tra i 27 e i 35 e, infine, il 15% è di età superiore ai 35 anni.

L’88% degli attacchi, di cui abbiamo informazioni complete, sono stati portati a termine da “immigrati” di seconda e terza generazione e immigrati di prima generazione, sia regolari che irregolari.

Dei 154 su 207 terroristi analizzati attraverso il database START InSight, il 45% sono immigrati regolari; 24% sono discendenti di immigrati (seconda o terza generazione); gli immigrati irregolari sono il 19%: un dato, quest’ultimo, in crescita che passa al 25% nel 2020 e raddoppia, 50%, nel 2021. Significativa anche la presenza di un 8% di cittadini di origine europea convertiti all’Islam. Complessivamente il 77% dei terroristi sono regolarmente residenti in Europa, mentre il ruolo degli immigrati irregolari si impone con un rapporto di circa 1 ogni 6 terroristi. Nel 4% degli episodi è stata riscontrata la presenza di bambini/minori (7) tra gli attaccanti.

La mappa etno-nazionale del terrorismo in Europa

Il fenomeno della radicalizzazione jihadista in Europa affligge maggiormente alcuni gruppi nazionali/etnici. Vi è un rapporto di proporzionalità tra i principali gruppi di immigrati e i terroristi, come dimostrerebbe la nazionalità dei terroristi, o delle famiglie di origine, che è in linea con la dimensione delle comunità straniere in Europa. Prevale l’origine maghrebina: i gruppi etno-nazionali principalmente afflitti dall’adesione jihadista sono quelli marocchino (in Francia, Belgio, Spagna e Italia) e algerino (in Francia).

Stabili i recidivi e i soggetti già noti all’intelligence

Di rilievo il ruolo giocato dai recidivi – soggetti già condannati per terrorismo che compiono azioni violente a fine pena detentiva e, in alcuni casi, in carcere: dal 3% del totale dei terroristi nel 2018 (1 caso), al 7% (2) nel 2019, al 27% (6) nel 2020, al singolo caso del 2021. Ciò confermerebbe la pericolosità sociale di soggetti che, a fronte di una condanna detentiva, tendono a posticipare la condotta di azioni terroristiche; un’evidenza che suggerisce l’aumento della probabilità di atti terroristici nei prossimi anni, in concomitanza con la fine della pena della maggior parte dei terroristi attualmente detenuti.

Parallelamente ai soggetti recidivi, START InSight ha rilevato una tendenza significativa sulle azioni compiute da terroristi già noti alle forze dell’ordine o ai servizi di intelligence europei: 44% e 54% del totale rispettivamente nel 2021 e 2020, contro il 10% nel 2019 e il 17% nel 2018.

I soggetti con precedenti detentivi (anche per reati non associati al terrorismo) nel 2021 hanno confermato una certa stabilità nella partecipazione ad azioni terroristiche da parte di individui con un pregresso carcerario con un dato del 23% nel 2021, in lieve calo rispetto all’anno precedente (33% nel 2020) ma in linea con quello del 2019 (23% nel 2019, 28% nel 2018 e 12% nel 2017); un’evidenza che continua a confermare  l’ipotesi che vede nelle carceri luoghi di potenziale radicalizzazione e adesione al terrorismo.

Si riduce la capacità offensiva del terrorismo?

Una fotografia realistica del terrorismo necessita di un’analisi dei tre livelli su cui il terrorismo stesso si sviluppa e opera: strategico, operativo e tattico. La strategia, intesa come l’impiego dei combattimenti allo scopo della guerra; la tattica è l’impiego delle truppe ai fini della battaglia; il livello operativo si colloca tra le due. Una sintesi che, nella sua semplicità, coglie il punto: l’impiego degli uomini.

Il successo a livello strategico è marginale

Il 16% delle azioni ha ottenuto un successo a livello strategico, ossia ha avuto conseguenze strutturali: blocco del traffico aereo/ferroviario nazionale e/o internazionale, mobilitazione delle forze armate, interventi legislativi di ampia portata. Un dato molto elevato considerando il limitato sforzo organizzativo e finanziario da parte dei gruppi, o dei singoli attaccanti. L’andamento nel corso degli anni è stato discontinuo, ma ha messo in evidenza una progressiva riduzione di capacità ed efficacia: 75% di successo strategico nel 2014, 42% nel 2015, 17% nel 2016, 28% nel 2017, 4% nel 2018, 5% nel 2019, 12% nel 2020 e 6% nel 2021. Nel computo dei risultati strategici, gli attacchi hanno ottenuto l’attenzione dei media internazionali nell’79% dei casi, il 95% a livello nazionale, mentre le azioni organizzate e strutturate dei commando e dei team-raid hanno ottenuto la totale attenzione mediatica. Un evidente, quanto ricercato, successo mediatico che può aver influito sensibilmente sulla campagna di reclutamento di aspiranti martiri o combattenti del jihad, la cui entità numerica rimane elevata in corrispondenza della maggiore intensità di azioni terroristiche (2016-2017). Ma se è vero che l’amplificazione massmediatica ha effetti positivi sull’azione di reclutamento, è anche vero che tale attenzione tende a ridursi col tempo a causa di due ragioni principali: la prima è la prevalenza di azioni a bassa intensità in rapporto a quelle ad alta – in diminuzione – e quelle a bassa e media intensità – in sensibile aumento dal 2017 al 2021. La seconda è l’assuefazione di un’opinione pubblica emotivamente sempre meno toccata dalla violenza del terrorismo, in particolare dagli eventi a “bassa” e “media intensità”.

Il livello tattico preoccupa, ma non è la priorità del terrorismo

Partendo dal presupposto che il fine delle azioni sia di provocare la morte del nemico (nel 35% dei casi gli obiettivi sono le forze di sicurezza), tale obiettivo viene raggiunto nel periodo 2004-2021 in media nel 50% dei casi. È però opportuno tenere in considerazione che l’ampio periodo di tempo tende a influire in maniera significativa sul margine di errore; l’evoluzione dell’ultimo periodo preso in esame, 2014-2021, mostrerebbe infatti una tendenza al peggioramento negli effetti ricercati dai terroristi con una prevalenza di attacchi a bassa intensità e un aumento di azioni dall’esito fallimentare, almeno fino al 2019. I risultati degli ultimi sei anni, in particolare, mostrerebbero come il successo a livello tattico sia stato ottenuto, nel 2016, nel 31% dei casi a fronte di un 6% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2017 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 40% e di fallimento del 20%. Un andamento complessivo che, passando dal 33% di successo a livello tattico e un raddoppio degli attacchi fallimentari (42%) nel 2018 e consegnandoci un dato ulteriormente al ribasso del 25% di successo nel 2019, può essere letto come il duplice effetto della progressiva diminuzione della capacità operativa dei terroristi e dell’accresciuta reattività delle forze di sicurezza europee. Ma se l’analisi suggerisce una capacità tecnica che si è effettivamente ridotta, è altresì vero che l’improvvisazione e l’imprevedibilità del nuovo terrorismo individuale ed emulativo ha fatto registrare un nuovo aumento delle azioni di successo, passate dal 32% nel 2020 e al 44% nel 2021.

Il vero successo è a livello operativo: il “blocco funzionale

Anche quando fallimentare, un attacco terroristico ottiene un risultato altamente favorevole che consiste nell’impegnare in maniera straordinaria le forze armate e di polizia, distraendole dalle normali attività di routine o impedendo di intervenire a favore della collettività, nell’interrompere o sovraccaricare il servizio sanitario, nel limitare, rallentare, deviare o fermare la mobilità collettiva urbana, aerea e navale, nel limitare il regolare svolgimento delle attività quotidiane, commerciali, professionali, a danno delle comunità colpite e, inoltre, riducendo in maniera efficace il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo o, ancora, la capacità di resilienza; infine, più in generale, nell’infliggere danni, diretti e indiretti, indipendentemente dalla capacità di provocare vittime. Coerentemente, la limitazione della libertà dei cittadini è un risultato misurabile che il terrorismo ottiene attraverso le proprie azioni.

In altri termini, il successo del terrorismo, anche quando non provoca vittime, consiste nell’imporre costi economici e sociali alla collettività e nel condizionarne i comportamenti nel tempo in relazione a misure di sicurezza o limitazioni imposte dall’autorità politica e di pubblica sicurezza ai fini della salvaguardia della collettività. Questo è il “blocco funzionale”.

Nonostante una sempre più ridotta capacità operativa del terrorismo, il “blocco funzionale” continua ad essere il più importante dei risultati ottenuti dai terroristi, indipendentemente dal successo tattico (uccisione di almeno un obiettivo).

A fronte di un successo tattico registrato nel 34% degli attacchi avvenuti dal 2004 a oggi, il terrorismo ha dimostrato di essere efficace ottenendo il “blocco funzionale” in media nell’82% dei casi, per attestarsi all’92% percento nel 2020 e all’89% nel 2021: un risultato, impressionante considerando le limitate risorse messe in campo dai terroristi, che conferma il vantaggioso rapporto costo-beneficio a favore del terrorismo.


#ReaCT2022 Incontri con gli autori – puntata 2 (Alessandra Lanzetti / Claudio Bertolotti)

LIVE streaming di giovedì 24 marzo in cui si è discusso dell’evoluzione del terrorismo jihadista in Europa e della gestione dei minori radicalizzati in Italia (caso studio). Contributi contenuti nel Rapporto #ReaCT2022. Con Claudio Bertolotti, direttore dell’Osservatorio ReaCT e il Vice-Questore aggiunto Alessandra Lanzetti (Polizia di Stato).