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Vent’anni fa la guerra in Iraq. L’anniversario scomodo di una guerra dalle conseguenze irreversibili per l’ordine internazionale

di Claudio Bertolotti

dall’intervista di Alessia Virdis per ADNKRONOS

20 anni dall’invasione dell’Iraq: è un anniversario scomodo per l’Occidente e, se sì, perché?

La guerra in Iraq è una delle guerre più controverse e disastrose degli ultimi decenni; una guerra in cui gli effetti negativi hanno superato di gran lunga qualsiasi possibile risultato positivo.

Parte dell’opinione pubblica di allora ha oggi allontanato le emozioni e i sentimenti provati e vissuti vent’anni fa in occasione della guerra in Iraq che seguì, di poco, quella maggiormente coinvolgente in Afghanistan. Un’altra parte dell’attuale opinione pubblica, per ragioni generazionali, non ha vissuto quei momenti e colloca l’evento in un momento storico privato della sua componente emotiva. Detto questo, credo che la risposta sia: “sì, l’anniversario dell’invasione dell’Iraq del 20 marzo 2003 è scomodo per l’Occidente, e lo è per diverse ragioni”.

La prima di queste ragioni è la consapevolezza di una ricercata manipolazione dell’opinione pubblica volta a convincerla della necessità e della bontà dell’intervento militare: ricordiamo tutti l’imbarazzo del segretario di Stato Colin Powel davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite mostrare una provetta contenente borotalco, asserendo si trattasse di antrace per giustificare l’emergenza di un intervento militare Guerra basata su informazioni sbagliate. L’invio delle truppe statunitensi in Iraq si basava principalmente su informazioni errate o addirittura inventate sulle armi di distruzione di massa (WMD) possedute dal regime di Saddam Hussein. Quando si scoprì che queste informazioni erano false, molti accusarono l’amministrazione Bush di aver manipolato l’opinione pubblica per giustificare la guerra.

Un’altra ragione sono i costi della guerra. L’invasione dell’Iraq ha comportato un costo enorme in termini di vite umane e risorse finanziarie. Secondo alcune stime, la guerra ha causato la morte di oltre 100.000 civili iracheni e più di 4.400 militari americani, oltre a un costo stimato di 1,7 trilioni di dollari.

Una terza ragione è l’avvio di un periodo (ancora in corso) di instabilità regionale. L’invasione dell’Iraq ha destabilizzato l’intera regione del Medio Oriente, creando un vuoto di potere che ha permesso la nascita di gruppi estremisti come lo Stato islamico (ISIS) Creando al contempo tensioni tra i paesi dell’Occidente e quelli musulmani, alimentando il sentimento anti-occidentale in molte parti del mondo.

Una quarta ragione, infine, è data dai dubbi sulla legittimità dell’azione militare. La guerra in Iraq ha diviso l’opinione pubblica sia negli Stati Uniti che in Europa. L’assenza di un mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU e la mancanza di una minaccia imminente alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti hanno portato molti a chiedere il perché dell’avvio della guerra.

E ancora oggi, per fortuna, la guerra in Iraq continua a suscitare dibattiti sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo e sulla giustificazione delle azioni militari unilaterali.

Le conseguenze della guerra in Iraq continuano ad avere ripercussioni sul Medioriente?

La guerra in Iraq, iniziata vent’anni fa, è un punto di rottura sul piano delle relazioni internazionali e una svolta su quello degli equilibri geopolitici a livello regionale e globale. Un fatto storico che ha determinato l’impossibilità di ritorno all’ordine internazionale precedente, come quello della Guerra Fredda o del primo periodo post-Guerra Fredda.

Parliamo di cambiamenti irreversibili tanto da determinare ancora oggi i ritmi della politica regionale e le scelte in campo internazionale in cui giocano ora tre attori determinanti: Stati Uniti, Russia e Cina che determinano e sono condizionati dalla conflittualità competitiva tra  Arabia Saudita e Iran e dalle dinamiche di allineamento degli altri attori minori che , a cui altri attori sono obbligati ad adattarsi; e nelle sue istituzioni regionali, che mostrano tutti marcati cambiamenti e nuovi orientamenti. Al contempo non dobbiamo dimenticare il ruolo di influenza, non marginale, che la guerra in Iraq ha avuto sui fenomeni rivoluzionari e insurrezionali delle cosiddette Primavere arabe che si sarebbero sviluppati dopo pochi anni.

L’invasione dell’Iraq ha rappresentato un punto di rottura nell’ordine internazionale e ha portato a rapidi cambiamenti negli equilibri di potere regionali, che hanno costretto alla diversificazione delle alleanze e dei quadri istituzionali. Ciò è stato dimostrato dagli eventi più recenti, come la dipendenza dalla Cina e dalla Russia per le forniture di vaccini durante la pandemia di COVID-19 e l’emergere di nuove relazioni internazionali, come quella tra Iran e Russia e quella tra gli stati arabi e Israele riflessa negli accordi di Abramo del 2020. La guerra in Ucraina ha dimostrato come gli stati arabi filo-occidentali si siano astenuti dal criticare l’invasione russa, mentre altri stati si sono avvicinati a Mosca.

Qual è oggi la situazione dell’Iraq, sia a livello politico che di sicurezza?

L’Iraq è un paese in difficoltà, ma ci sono anche segnali di progresso. La situazione politica e di sicurezza rimane instabile, ma ci sono sforzi in corso per migliorare la situazione.

L’instabilità politica e di sicurezza evidenzia il permanere di numerosi problemi da affrontare e risolvere. Sul piano politico, il paese ha affrontato numerose crisi, compresa la recente crisi costituzionale del 2019-2020, caratterizzata da proteste popolari e dimissioni di funzionari governativi. Inoltre, la situazione è complicata dalla divisione tra le fazioni politiche e le tensioni etniche e religiose.

Dal punto di vista della sicurezza, l’Iraq si trova ancora sotto la minaccia del terrorismo e delle milizie armate. Sebbene lo Stato Islamico sia stato sconfitto in gran parte del paese, ancora perpetrano attacchi terroristici. Inoltre, le milizie armate filo-iraniane ancora presenti, rappresentano una minaccia per la stabilità del paese.

L’Iraq ha anche affrontato una serie di sfide economiche e sociali, inclusa la carenza di servizi essenziali, la disoccupazione e la corruzione. Tuttavia, il paese ha anche fatto progressi in alcuni settori, come l’energia, e sta cercando di attirare investimenti stranieri per stimolare la crescita economica.

In tale contesto non dobbiamo sottovalutare l’assertività di tre importanti attori: Russia, Cina e Iran, che cercando di aumentare la loro influenza in Iraq attraverso diverse azioni.

In primo luogo, la Russia sta cercando di espandere la sua presenza economica in Iraq, soprattutto nel settore energetico. Mosca ha stretto accordi con il governo iracheno per l’estrazione di petrolio e gas, e ha fornito assistenza militare sotto forma di armi e consiglieri militari.

Anche la Cina sta cercando di espandere la propria influenza economica e commerciale, offrendo investimenti e assistenza tecnica in diversi settori. Pechino ha inoltre stretto accordi energetici con l’Iraq, e ha recentemente firmato un accordo per costruire una linea ferroviaria ad alta velocità tra Baghdad e Basra.

L’Iran, invece, ha mantenuto una forte presenza politica, economica e militare, e ha sostenuto attivamente il governo iracheno nella lotta contro l’ISIS poi evoluto nel fenomeno “Stato islamico” dal 2014. Teheran ha inoltre stretto accordi commerciali e di sicurezza con il governo iracheno, e ha supportato diverse milizie sciite in Iraq.

In generale, i tre paesi cercano di aumentare la loro influenza nel paese attraverso investimenti, aiuti economici e militari, e accordi commerciali. Tuttavia, la presenza e l’influenza degli Stati Uniti in Iraq rimane forte, e gli sforzi di Russia, Cina e Iran potrebbero essere ostacolati da una crescente opposizione irachena alle ingerenze straniere.

Timeline della guerra in Iraq (CNN)

CNN (original article) — Here’s a look at the Iraq War which was known as Operation Iraqi Freedom until September 2010, when it was renamed Operation New Dawn. In December 2011, the last US troops in Iraq crossed the border into Kuwait, marking the end of the almost-nine year war.

October 16, 2002 – US President George W. Bush signs a congressional resolution authorizing him to go to war if Iraqi President Saddam Hussein refuses to give up weapons of mass destruction in compliance with United Nations Security Council resolutions.

November 8, 2002 – The UN Security Council adopts Resolution 1441, giving Iraq a final chance to comply with its “disarmament obligations” and outlining strict new weapons inspections with the goal of completing the disarmament process. The resolution threatens “serious consequences” as a result of Iraq’s “continued violations of its obligations.”

February 5, 2003 – US Secretary of State Colin Powell makes the case to the UN that Hussein poses an imminent threat.

February 14, 2003 – UN Chief Weapons Inspector Hans Blix reports to the UN Security Council that his team has found no weapons of mass destruction in Iraq.

March 17, 2003 – Bush issues an ultimatum to Hussein and his family – leave Iraq within 48 hours or face military action.

March 19, 2003 – Bush announces US and coalition forces have begun military action against Iraq.

March 20, 2003 – Hussein speaks on Iraqi TV, calling the coalition’s attacks “shameful crimes against Iraq and humanity.”

April 9, 2003 – Coalition forces take Baghdad. A large statue of Hussein is toppled in Firdos Square. The White House declares “the regime is gone.”

April 13, 2003 – Seven US prisoners of war are rescued by US troops.

May 1, 2003 – Speaking on the USS Abraham Lincoln, Bush declares “major combat operations” over, although some fighting continues.

May 22, 2003 – The UN Security Council approves a resolution acknowledging the US and Great Britain’s right to occupy Iraq.

July 22, 2003 – Hussein’s sons, Uday and Qusay, are killed by US forces.

December 13, 2003 – Hussein is captured in Tikrit.

June 28, 2004 – The handover of sovereignty to the interim Iraqi government takes place two days before the June 30 deadline previously announced by the US-led coalition.

June 30, 2004 – The coalition turns over legal control of Hussein and 11 other former top Iraqi officials to the interim Iraqi government. The United States retains physical custody of the men.

July 1, 2004 – Hussein makes his first appearance in court. He is charged with a variety of crimes, including the invasion of Kuwait and the gassing of the Kurds.

September 6, 2004 – The number of US troops killed in Iraq reaches 1,000.

November 2004 – US and Iraqi forces battle insurgents in Falluja. About 2,000 insurgents are killed. On November 14, Falluja is declared to be liberated.

October 25, 2005 – The number of US troops killed in Iraq reaches 2,000.

November 19, 2005 – At least 24 Iraqi civilians, including women and children, are killed in Haditha. Eight US Marines faced charges in the deaths, but only one was convicted of a crime, that of negligent dereliction of duty.

November 5, 2006 – The Iraqi High Tribunal reaches a verdict in the 1982 Dujail massacre case. Hussein is found guilty and sentenced to death by hanging, pending appeal.

December 30, 2006 – Hussein is hanged.

December 30, 2006 – The number of US troops killed in Iraq reaches 3,000.

January 10, 2007 – A troop surge begins, eventually increasing US troop levels to more than 150,000.

September 3, 2007 – Basra is turned over to local authorities after British troops withdraw from their last military base in Iraq to an airport outside the city.

March 22, 2008 – The number of US troops killed in Iraq reaches 4,000.

July 16, 2008 – The surge officially ends, and troop levels are reduced.

December 4, 2008 – The Iraqi Presidential Council approves a security agreement that paves the way for the United States to withdraw completely from Iraq by 2011.

January 1, 2009 – The US military hands over control of Baghdad’s Green Zone to Iraqi authorities.

February 27, 2009 – US President Barack Obama announces a date for the end of US combat operations in Iraq: August 31, 2010.

June 30, 2009 – US troops pull back from Iraqi cities and towns and Iraqi troops take over responsibility for security operations.

August 19, 2010 – The last US combat brigade leaves Iraq. A total of 52,000 US troops remain in the country.

September 1, 2010 – Operation Iraqi Freedom is renamed Operation New Dawn to reflect the reduced role US troops will play in securing the country.

May 22, 2011 – The last British military forces in Iraq, 81 Royal Navy sailors patrolling in the Persian Gulf, withdraw from the country. A total of 179 British troops died during the country’s eight-year mission in Iraq.

October 17, 2011 – A senior US military official tells CNN that the United States and Iraq have been unable to come to an agreement regarding legal immunity for US troops who would remain in Iraq after the end of the year, effectively ending discussion of maintaining an American force presence after the end of 2011.

October 21, 2011 – Obama announces that virtually all US troops will come home from Iraq by the end of the year. According to a US official, about 150 of the 39,000 troops currently in Iraq will remain to assist in arms sales. The rest will be out of Iraq by December 31.

December 15, 2011 – American troops lower the flag of command that flies over Baghdad, officially ending the US military mission in Iraq.

December 18, 2011 – The last US troops in Iraq cross the border into Kuwait.




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