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Libia: ritorno al Trattato “Berlusconi-Gheddafi” del 2008? Sarebbe un bene

Difficile, quasi impossibile riproporre il trattato del 2008, date le condizioni di sicurezza della Libia. Ma l’Italia ne trarrebbe indubbi vantaggi: dai crediti vantati dalle aziende italiane alla cooperazione per il contrasto ai flussi migratori illegali.

di Claudio Bertolotti 
per gentile concessione del sito www.claudiobertolotti.com

Il trattato di amicizia e cooperazione italo-libico del 2008 non è un semplice trattato di amicizia tra i due paesi ma è un vero e proprio accordo programmatico che guarda(va) a un rapporto speciale e privilegiato di partenariato tra i due paesi, in particolare nell’ambito dell’Unione Europea e in quello dell’Unione Africana, in un’ottica di cooperazione Europeo-libica in cui ad avvantaggiarsi sarebbero entrambe le parti.

In questo caso il vantaggio di un ristabilimento di quanto previsto dal trattato sarebbe vantaggioso per entrambi gli attori, Libia e Italia, ma sarebbe guardato con grande diffidenza dalla Francia che, con ogni probabilità farà il possibile affinché tale scenario possa difficilmente realizzarsi.

Ma il trattato del 2008, che è molto ben strutturato sul piano delle relazioni internazionali e sul ruolo di non ingerenza dei due paesi, si compone anche di una parte, la seconda, che è molto impegnativa per l’Italia, chiamata a svolgere un ruolo oneroso nella realizzazione di progetti infrastrutturali di base in Libia, da realizzarsi ad imprese italiane, per un importo di 5 miliardi di dollari in 20 anni, totalmente a carico dell’ENI attraverso un’imposta sul reddito della società. Un vincolo, imposto dalla Libia, per chiudere qualunque contenzioso riferito al “passato coloniale” dell’Italia. In questo caso potrebbe esserci un vantaggio relativo da parte dell’Italia per chiudere un’annosa questione che di per sé non avrebbe ragione d’essere non essendo il colonialismo all’epoca un fatto contrario al diritto internazionale. Ma tant’è, la rilettura dei fatti storici passa anche attraverso l’opportunità del momento.

Il vantaggio principale che ne avrebbe l’Italia, relativamente all’attività di cooperazione sul piano dello sviluppo imprenditoriale e del commercio, riguarda i crediti vantati da aziende italiane verso amministrazioni ed enti libici, calcolato in quasi 700milioni di euro, solo in conto capitale, a fronte di un credito complessivo stimato in circa 2miliardi di euro. Se l’accordo dovesse essere in qualche misura riattivato, allora le imprese italiane dovrebbero riuscire a recuperare qualcosa di quanto perso, sebbene sorgano forti dubbi sulla fattibilità di questa opzione. Anche in questo caso, un’interferenza francese avrebbe dirette ripercussioni sull’economia nazionale italiana, già fortemente provata.

Un altro grande vantaggio fondamentale che l’Italia, attraverso l’ENI, punta a ristabilire è l’accesso alle risorse energetiche ai livelli pre-2011, momento dell’abbattimento del regime di Gheddafi. Allora l’Italia importava dalla Libia il 25% del fabbisogno energetico nazionale, oggi meno dell’8%; un’opzione strategica, quella libica, a cui l’Italia non può rinunciare, tenendo altresì conto dei contratti in essere tra l’ENI e il governo libico (quale che sarà) teoricamente validi fino al 2047.

Infine, nel campo della difesa e della sicurezza nel trattato viene preso impegno a realizzare “un forte ed ampio” partenariato industriale e delle industrie militari, nonché la conduzione di manovre congiunte. Ma la questione che oggi pare essere quella più rilevante è quella relativa al contrasto all’immigrazione clandestina attraverso la Libia e il Mediterraneo e al terrorismo.

L’art. 19 del Trattato del 2008 ribadisce la disponibilità delle due parti al pattugliamento con equipaggi misti con motovedette messe a disposizione dall’Italia – cessione di motovedette che è già stata in parte effettuate e in parte è in corso. Un’altra opzione che l’Italia ha proposto e la Libia ha accettato è la realizzazione di un sistema di telerilevamento alle frontiere terrestri libiche, in affidamento a società italiane. Un sistema piuttosto oneroso per l’Italia in termini di risorse economiche (previsto per metà a carico dell’Italia e per l’altra metà dell’Unione Europea) ma non di personale, in quanto non prevede il dislocamento di forze di polizia italiane. Ma al tempo stesso una scelta di opportunità che al momento non vede possibilità di realizzazione a causa della sostanziale assenza di controllo territoriale sui confini da parte delle forze di sicurezza facenti capo al presidente al-Sarraj.

Va tenuto poi conto che la frontiera sud, quella con il Niger – dove l’impegno economico dell’Unione Europea si è rivelato tutt’altro che soddisfacente –, vede un’ampia presenza di forze militari francesi, sostanzialmente disinteressate ai flussi migratori attraverso il territorio nigerino e verso la Libia.

Il business criminale legato al traffico illegale di esseri umani rappresenta più del 40% del Pil libico; insieme al traffico illegale di idrocarburi, beni di contrabbando e archeologici

Un fattore fortemente determinante, ai fini della realizzabilità del trattato del 2008, è dato dal fatto che oggi, volenti o nolenti, il business criminale legato al traffico illegale di esseri umani rappresenta più del 40% del Pil libico; e insieme a questo anche il business del traffico illegale, di cui una buona parte destinato all’Italia, di idrocarburi, beni di contrabbando e archeologici. Difficile pensare di contrastare una così estesa economia parallela senza andare a toccare gli interessi, non solamente delle organizzazioni criminali, ma anche quelli delle famiglie e dei tanti cittadini libici (e non solo) che vivono grazie a questa.

Ora rimane un punto di fondo che rende tutto ciò non facilmente realizzabile: il fatto che la Libia sia sostanzialmente divisa in feudi e centri di potere, con due parti principali contrapposte, Tripoli e Tobruch, rispettivamente rappresentate dal presidente Fayez Al-Sarraj e dal generale Kalifa Haftar, e sostenute da attori che hanno una visione differente di quella che dovrebbe essere la Libia. Da una parte la maggior parte della comunità internazionale, con un ruolo importante dell’Italia a sostegno di al-Sarraj, forte del riconoscimento della Nazioni Unite ma sempre più marginale e ininfluente; dall’altra parte, con Haftar, l’Egitto, la Russia, e anche una Francia sempre più ambigua e monocratica nelle sue prese di posizioni in seno all’Unione Europea e al Mediterraneo.

Insomma, grandi scogli si frappongono fra le ambizioni italiane, l’interesse nazionale e la stabilità della Libiain primis le spinte centripete che vengono impresse dagli attori che giocano sotto banco una partita controproducente per l’Italia e per la stessa Europa.




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