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Negoziati con i Talebani. Analisi e interviste

Introduzione

di Chiara Sulmoni

Prende velocità in questi giorni il tentativo di trovare un accordo fra talebani e Stati Uniti per un cessate il fuoco in  Afghanistan. Fra rilanci e smentite, si preparano bozze di intesa. La freschissima nomina di Abdul Ghani Baradar, co-fondatore storico dei talebani, a capo dell’ufficio -chiamiamolo provocatoriamente ‘diplomatico’- del movimento a Doha, sembra indicare che la vecchia guardia sia impaziente di rivendicare per sé il potere politico. È bene tuttavia ricordare che l’insurrezione è una costellazione variegata con diverse sigle non necessariamente allineate. I talebani -che essenzialmente conducono una guerra di resistenza con obiettivi interni e non una jihad globale come lo Stato Islamico- sarebbero pronti su richiesta statunitense ad impedire che il paese diventi una palestra per terroristi internazionali che possano coordinare attacchi nel resto del mondo. Ciò significa che si preannuncia un confronto cruento per il monopolio del territorio, visto che il Califfato in salsa afghana (Islamic State Khorasan Province), installato da tempo in alcune aree dell’Afghanistan, ha già dato prova di efferatezza e di notevole capacità offensiva. A favore dei talebani gioca il fatto che si tratti in gran parte di combattenti stranieri e quindi ‘rifiutati’ dall’ecosistema afghano. Altra incognita è la tempistica del ritiro delle truppe internazionali, punto centrale dei negoziati.

Ai negoziati di Doha il grande assente è il governo afghano, che i talebani giudicano illegittimo, con cui non vogliono parlare e che l’Occidente, ansioso di trovare una rapida soluzione al conflitto più lungo nella storia della NATO e degli Stati Uniti (18 anni), ha lasciato a bordo campo. Previsioni e bilanci sono prematuri, i negoziati si preannunciano ancora lunghi. Una prima verifica delle intenzioni talebane si avrà nella primavera, quando verosimilmente come di consueto, il gruppo annuncerà la propria strategia annuale. Il tutto, in attesa delle elezioni presidenziali previste per il mese di luglio, e sulle quali sembrano allungarsi non poche ombre.

Le interviste a Claudio Bertolotti – Rassegna stampa

Il ritiro dall’Afghanistan (e il quadro di chi e cosa si muove sul territorio fra insurrezione, sigle jihadiste, eserciti e interessi regionali)
(Radio Capo d’Istria, 31 gennaio, dal 5’40”)

“Il Paese è tutt’altro che pacificato: è una polveriera pronta ad esplodere più di quanto non lo fosse nella metà degli anni ’90 o nel 2001”
(Report Difesa, 31 gennaio, intervista a cura di Luca Tatarelli)

“Ritiro? L’ufficializzazione di una sconfitta di cui avevamo certezza già nel 2012” 
(Il Fatto quotidiano, 29 gennaio, intervista a cura di Gianni Rosini)

I negoziati di pace e il disimpegno militare dall’Afghanistan 
(Radio3Mondo, 29 gennaio, intervista a cura di Roberto Zichitella)

Prove d’intesa fra talebani e USA  
(RadioGiornale RSI, 29 gennaio, intervista a cura di Chiara Savi)

Intervista sul processo negoziale fra Stati Uniti e talebani e considerazioni in merito al ritiro dei contingenti internazionali (Italia inclusa)
(EffettoNotte, Radio24, 28 gennaio a cura di Roberta Giordano, dal 35’06”)

Claudio Bertolotti racconta l’Afghanistan a tutto tondo
(Report Difesa, 28 gennaio, a cura di Giusy Criscuolo)

Negoziati di pace. Le incognite del ritiro imposte dai talebani 
(Radio Popolare, 27 gennaio, intervista a cura di Emanuele Valenti, dal 4’35”)

Fondamentalismo e integrazione, se ne è parlato a Montecitorio. Il video completo con gli interventi e l’intervista con un ‘affondo’ specifico sul jihad in Afghanistan 
(START InSight, 19 gennaio 2019)

 




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