Aumentano i casi di terrorismo in Svizzera e i minorenni implicati
Nel 2023 sono aumentati del 50% i procedimenti per terrorismo aperti dal Ministero Pubblico della Confederazione. A preoccupare le autorità, anche l’abbassamento dell’età di chi è coinvolto.
L’intervento di Chiara Sulmoni, presidente di START InSight al TG della Radiotelevisione Svizzera
Il 2023 a livello europeo ha segnato un aumento della mobilitazione di matrice jihadista. La Svizzera è parte di questo contesto. L’attacco di Zurigo del 2 marzo, quando un 15enne ha accoltellato un ebreo ortodosso in un quartiere del centro, ha avuto un’eco internazionale e frequentemente si riscontrano ramificazioni nelle inchieste europee, che portano alla Svizzera.
Si consolida inoltre la tendenza che vede minorenni e teenager implicati in pianificazione di attentati. La Polizia anti-terrorismo inglese già nel 2021 segnalava un aumento dei casi di minorenni implicati nelle indagini, anche minori di 15 anni. Minorenni sono entrati in azione in Francia, in passato. Gli analisti invitano a non sottovalutare il ruolo dei minorenni, oggi iperconnessi anche a livello transnazionale e autonomi sia per ciò che concerne la pianificazione di attacchi, la produzione e distribuzione di propaganda e il reclutamento.
Le scuole possono e devono fare prevenzione prima che si instauri in processo di radicalizzazione, lavorando dal profilo educativo sul pensiero critico, i valori della diversità e dell’integrazione, ma i docenti devono anche conoscere i contesti delle galassie estremiste, sapere individuare eventuali segnali di disagio e di rischio e a chi rivolgersi e segnalare, poiché non è la scuola a dover risolvere queste problematiche.
Ucraina. G7 a Kiev: l’unità dell’Occidente, ma serve sostegno concreto e duraturo.
Il commento di C. Bertolotti a Radioticino, intervista di Laura Zucchetti del 24 febbraio 2024
Azione israeliana in Libano e rischio di escalation regionale: il punto del Direttore.
Dall’intervista di Stefano Leszczynski a Claudio Bertolotti, per Radio Vaticana, trasmissione Il Mondo alla Radiodel 3 gennaio 2024 (VAI AL PODCAST)
L’azione israeliana in Libano e il rischio di escalation.
Gli attentati a Beirut e in Iran infiammano la crisi medio orientale. La guerra di Israele tra battaglie nella Striscia di Gaza e omicidi mirati.
Federica Saini Fasanotti – storica militare e studiosa dell’ISPI
Eric Salerno – giornalista esperto di questioni medio orientali e relazioni internazionali
Claudio Bertolotti – direttore di Start Insight e ricercatore ISPI
Il 2 gennaio 2024, un attacco nel sud di Beirut, Libano, in cui è avvenuta l’uccisione del numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, è stato attribuito a Israele e ha preso di mira una roccaforte del gruppo sciita e filo-iraniano Hezbollah. L’attacco ha causato anche vittime collaterali, suscitando la condanna di Hezbollah e la promessa che l'”assassinio” di al Arouri a Beirut non resterà impunito. Le forze armate israeliane hanno diffuso video dell’attacco, sottolineando il loro coinvolgimento nell’incidente. L’evento ha sollevato preoccupazioni riguardo a una possibile escalation tra Libano e Israele.
Dottor Bertolotti, c’è il rischio che le operazioni mirate israeliane come quella in Libano inneschino davvero un conflitto regionale?
Dal punto di vista razionale – secondo Bertolotti – nessuno degli attori coinvolti vuole un allargamento del conflitto a livello regionale. Non lo vuole Israele e non lo vuole l’Iran che, invece, punta a una serie di micro-conflitti e coinvolgimento dei piccoli attori regionali, dagli Houthi nello Yemen ad Hezbollah in Libano per distrarre lo sforzo militare di Israele, indebolendolo. Ma al di la della volontà razionale ci sono le scelte emotive, che spesso condizionano le dinamiche delle relazioni internazionali che possono portare ad effetti incontrollabili. E il rischio di un’escalation orizzontale a livello regionale, in questo senso, è un rischio possibile.
Dott. Bertolotti, la prudenza del governo libanese, che ha chiesto a Hezbollah di non reagire a Israele in maniera autonoma, che cosa suggerisce?
Il governo di Beirut è il primo a voler scongiurare un allargamento del conflitto, perchè ciò significherebbe il collasso dello stato libanese e l’avvio di una nuova guerra civile che sarebbe micidiale per la sopravvivenza dello stesso stato libanese. Questa la ragione per cui il governo libanese svolge un ruolo di intermediario con Hezbollah che noN è, come non è mai stato, sotto controllo governativo, ponendosi come milizia, esercito autonomo legato ai gruppi di potere sciiti a loro volta legati con l’Iran, che di Hezbollah ne sta facendo un uso opportunistico in funzione anti-israeliana, senza però farsi direttamente coinvolgere.
Direttore, la posizione di Ankara (membro della NATO) in questa crisi pone alcuni interrogativi sul proprio ruolo e affidabilità?
La Turchia persegue un proprio e ben definito progetto di proiezione di influenza in tutto l’arco mediterraneo allargato, dal Corno d’Africa ai paesi del Maghreb. La vicinanza ad Hamas, che si lega alla pericolosa organizzazione dei Fratelli Musulmani, è coerente con questa visione di potenza che prevede il consolidamento dei rapporti con i governi e le organizzazioni locali in un’ottica di ricostituzione di un perimetro geopolitico artificiosamente coerente con la storia e con l’ego sproporzionato del presidente Erdogan. Ma non illudiamoci che una qualsiasi alternativa a Erdogan possa avere una visione differente, questa è l’ambizione della Turchia contemporanea.
L’informazione “dettata” da Hamas: la guerra cognitiva dei terroristi. Dal commento di C. Bertolotti a Start (SKY TG24).
I commenti di Claudio Bertolotti, Direttore di START inSight e Natalie Tocci, Direttore IAI a START, trasmissione di SKY TG24 (puntata del 19 ottobre 2023)
(Bertolotti) “Guardando al caso dell’ospedale nella striscia di Gaza colpito da un razzo palestinese, emerge quanto sia pericoloso dar credito a informazioni non verificate in grado di incidere in maniera significativa, sia sull’opinione pubblica, sia sui processi decisionali, politici e militari.
In questo specifico caso, così come in molti altri, la percezione ha prevalso sulla realtà: e questo è l’effetto della guerra cognitiva, volta a indirizzare il nostro pensiero. Una guerra che Hamas sta conducendo in maniera estremamente abile e che ha portato a definire i tempi e le modalità delle relazioni internazionali, annullando o posticipando gli incontri tra le parti. La responsabilità di Israele è stata esclusa, ammesso che ci sia mai stata. E questa, da un lato è la sconfitta del giornalismo che non è stato in grado di verificare, prestandosi alla propaganda di un gruppo jihadista, e, dall’altro è stata la grande vittoria della disinformazione di Hamas, che è così riuscita a spingere le masse arabe nelle piazze e, al contempo, ha smosso la mole di utili inconsapevoli che in Occidente sono caduti nel tranello, o meglio nell’operazione.”
Israele: una guerra diversa. Il punto della situazione e l’analisi
di Claudio Bertolotti
dall’intervento di Claudio Bertolotti a SKY TG24 Mondo (Puntata del 13 ottobre 2023)
Il punto della guerra contro Hamas a Gaza (13 ottobre)
A quasi una settimana dagli attacchi di Hamas contro le città e le comunità israeliane, continuano gli attacchi dell’IDF contro siti terroristici a Gaza, mirati alle capacità militari e amministrative di Hamas. L’aviazione israeliana ha colpito alti dirigenti, centri di comando e controllo, siti di lancio di razzi, istituzioni finanziarie e governative chiave di Hamas che contribuiscono alle sue operazioni militari. In totale, oltre 1.000 terroristi sono stati uccisi (Fonte IDF).
L’IDF continua a fare affidamento sull’intelligence per eseguire questi attacchi. Una serie di obiettivi colpiti includeva una rete di siti di lancio di UAV all’interno e sopra le case di Gaza. Il sito preso di mira la scorsa notte includeva le case di un agente della forza Nukhba, un sito operativo di Hamas in cui sembra si trovasse il fratello di Yahya Sinwar e una postazione dell’intelligence di Hamas utilizzata per tracciare i movimenti delle forze (fonte IDF).
Venerdì, in vista di una continuazione degli attacchi operativi dell’IDF, l’IDF ha chiesto ai civili di Gaza di spostarsi a sud di Wadi Gaza attraverso una varietà di canali, compresi i media tradizionali e i media digitali, tutti in arabo. L’obiettivo è quello di fornire allarmi efficaci e anticipati in modo che i civili possano proteggersi evacuando, cercando riparo o intraprendendo altre azioni appropriate (fonte IDF).
Il valico di Erez rimane non utilizzabile a seguito degli attacchi di Hamas, mentre il valico di Kerem continua ad essere sotto attacco. 9 delle 10 linee elettriche da Israele a Gaza sono state distrutte dal lancio di razzi di Hamas. Israele ha dichiarato che non riparerà queste infrastrutture né continuerà la sua fornitura di elettricità e carburante a Gaza, che Hamas sfrutta per uso militare e impedisce che raggiunga la popolazione civile (fonte IDF).
Difesa del sud di Israele
Le forze dell’IDF nel sud di Israele continuano a respingere i tentativi di attacchi di infiltrazione, così come gli attacchi isolati da parte di cellule terroristiche rimaste nel sud di Israele. Ciò includeva la neutralizzazione di un terrorista vicino al Kibbutz Kissufim giovedì sera, una delle città che erano state attaccate durante il massacro di sabato. In totale, almeno cinque terroristi sono stati neutralizzati dalle forze dell’IDF nelle ultime 24 ore.
Altri settori militari
L’esercito è in uno stato di elevata capacità e preparato a qualsiasi minaccia. Nell’ambito della valutazione della situazione in corso, l’IDF ha dichiarato l’area di Metula, la parte più settentrionale di Israele, come zona militare interdetta. Le forze dell’IDF sono dispiegate e monitorano attivamente l’area.
Nel corso delle operazioni notturne in Giudea e Samaria, sono stati arrestati 47 soggetti, 34 dei quali appartenevano ad Hamas. Ad Azun è stato trovato anche un laboratorio di esplosivi di Hamas. In totale, 130 agenti di Hamas sono stati arrestati nella regione di Giudea, Samaria e Beka’a da sabato.
Il fronte interno
Il lancio di razzi da Gaza è continuato, comprese raffiche di razzi verso il sud e il centro di Israele, con una salva sparata verso il nord di Israele venerdì pomeriggio. Sbarramenti particolarmente pesanti furono sparati verso Ashkelon (132.000 abitanti) e Sderot (27.000 abitanti). A partire da ieri, oltre 6.000 razzi sono stati lanciati contro Israele.
Analisi generale
Perché questa guerra sarà diversa da quelle affrontate negli anni precedenti dall’esercito israeliano?
Questa guerra sarà diversa da quelle affrontate negli anni precedenti perché a differenza delle precedenti rischia di sfociare in una guerra regionale in grado di coinvolgere l’Iran, la Siria, il Libano e gli Stati Uniti, e di allargarsi ulteriormente con strascichi di lungo periodo difficili da prevedere.
L’allargamento regionale del conflitto, da un punto di vista
razionale in realtà non è auspicato da nessuno, in primo luogo da Hezbollah e
dal Libano a causa del rischio di implosione economica e sociale dello stato
libanese, con il rischio di una nuova guerra civile. Ma neanche l’Iran vuole
dare il via a un’escalation che allarghi il conflitto. Ma da un punto di vista
emotivo c’è sempre il rischio che le parti siano spinte o si lascino trascinare
verso una crescente partecipazione alla guerra contro Israele e questo
rappresenterebbe un punto di non ritorno che determinerebbe la ridefinizione
violenta degli equilibri dell’intero vicino e medioriente.
Differenze tra Hamas,
Hezbollah, Jihad dal punto di vista della possibile offensiva e della reazione
all’offensiva israeliana
Nella sostanza, e sposando l’approccio israeliano dobbiamo
considerare le due organizzazioni non come “insorti” o “guerriglieri”, ma
come “eserciti organizzati, ben addestrati, ben equipaggiati per le
loro missioni”. Questo da un punto di vista sostanziale che li colloca
all’interno della medesima categoria di nemici sul campo di battaglia.
E sempre sul piano sostanziale sono due minacce dirette alla sicurezza dello Stato di Israele, e per questo inserite negli obiettivi primari della strategia di difesa israeliana.
Da un punto di vista storico e ideologico, le differenze ci sono, e non solamente dal punto di vista religioso, sciiti gli appartenenti a Hezbollah, sunniti gli appartenenti ad Hamas. Non sono ideologicamente vicini, tant’è che nella guerra in Siria hanno combattuto su fronti contrapposti, ma entrambi ambiscono a distruggere Israele.
Hezbollah movimento jihadista islamico sciita che
nasce come movimento di resistenza anti-israeliano.
Il suo obiettivo è la difesa del Libano contro la “probabile aggressione israeliana” e la creazione di
uno Stato
islamico libanese, però in contrapposizione alla visione
dello Stato islamico, già ISIS.
Hamas nasce anch’esso come movimento islamista, ma sunnita e
fortemente legato alla Fratellanza musulmana, con chiare connotazioni radicali.
L’obiettivo primario è la liberazione dei territori palestinesi e la
distruzione dello Stato di Israele, non riconosce le Nazioni Unite e rifiuta di
accettare qualunque conferenza di pace e qualunque forma di compromesso con
Israele, rifiutando di fatto l’ipotesi dei due stati per due popoli.
Quanto sono
“fondamentali” per Hamas ostaggi e residenti? Hamas si è detta contraria a
corridoio umanitario
Hamas, accecato dalla propria visione e immerso nella propria battaglia ideologica, ha sottovalutato gli effetti di questa operazione a danno di Israele e pagherà con la propria esistenza l’eccesso di violenza. In questo momento la presenza degli ostaggi viene sfruttato da Hamas per indurre Israele a un minore livello di violenza contro Gaza. Ma questo non avverrà. E allora Hamas ricorre alla carta estrema di trasformare l’intera popolazione di Gaza in un immenso scudo umano da sfruttare a proprio favore o da trasformare in martiri utili alla propaganda jihadista che verrà sfruttata ed ereditata dai movimenti jihadisti che raccoglieranno il testimone di Hamas dopo la sua scomparsa.
È vero che Israele ha
abbandonato lo spionaggio “sul campo” per affidarsi tutto alla tecnologia? È
per questo che un attacco pianificato per due anni sia stato completamente
ignorato?
La dottrina strategica di Israele del 2015 e il più recente concetto operativo delle forze armate israeliane prevede, come pilastro e elemento di successo, il funzionamento dello strumento intelligence. Sia in termini di raccolta informazioni ad alto livello tecnologico sia attraverso la raccolta informazioni diretta dagli uomini sul campo. Nessuna delle due è venuta meno nel corso degli anni, ma è evidente che qualcosa non ha funzionato, in parte per aver sopravvalutato l’effettiva propria capacità informativa, in parte per l’alto livello di depistaggio attuato da Hamas e, forse in parte, per la competizione interna tra Shin Bet e Mossad, le due agenzie di intelligence israeliane.
Come potrà
svilupparsi l’operazione di terra? Chirurgica o più su vasta scala? Quanto può
durare? Con quali fasi?
La somma delle due opzioni: una prima attività di bombardamento mirato e chirurgico a cui seguirà un’invasione massiccia mista: mezzi corazzati e fanteria leggera per il combattimento nel centro urbano di Gaza, che rappresenta la più pericolosa delle fasi della guerra e che potrebbe portare a un elevato numero di vittime da entrambe le parti. Rimando alla lettura dell’analisi dettagliata pubblicata con ISPI (Spazio e tempo dell’offensiva israeliana a Gaza).
Alle operazioni
militari si affiancano operazioni psicologiche per influenzare opinione
pubblica e attivazione canali diplomatici. Quanto sarà fondamentale il sostegno
della popolazione di Gaza ad Hamas?
Hamas e Israele sfruttano entrambe le operazioni psicologiche. Israele per indurre il terrore nei confronti di Hamas; basta la frase di Netanyahu “ogni uomo di Hamas è un uomo morto” per far capire il peso e la gravità della situazione. Al tempo stesso Hamas spaccia per mera propaganda la possibilità che Israele attacchi violentemente Gaza, e questo per tenere la popolazione nell’area degli obiettivi militari, arrivando anche a minacciare le stesse famiglie palestinesi in cerca di salvezza.
Il sostegno della popolazione per Hamas è certamente importante ma, a questo punto credo non risolutivo. Se Hamas è dovuta ricorrere alla minaccia per tenere la popolazione di Gaza all’interno della città significa che la fiducia nell’organizzazione politica e terrorista è venuta meno.
Rispetto alla geografia
di Gaza, dove potrebbe avvenire lo schieramento?
Guardando alle forze in campo e alla geografia del
territorio, limitandoci alla componente terrestre possiamo ipotizzare un primo
schieramento di carri armati israeliani a sud di Gaza City dove
c’è una linea di cresta che domina il centro urbano; area che potrebbe essere
strategica per il controllo del terreno e per il supporto di fuoco. Al
tempo stesso, una seconda aliquota potrebbe posizionarsi all’estremo nord di
Gaza, vicino al valico di Erez, dove si trovano aree rurali e ampi terreni utili
allo schieramento di unità di supporto al combattimento. Un terzo
punto di accesso potrebbe essere l’estremo sud, vicino a Rafah.
Un’altra area di
possibile schieramento a supporto delle unità di fanteria si trova a est
di Khan Yunis, a sud della città di Gaza, dove i mezzi corazzati
possono muoversi più facilmente e prendere posizioni di fuoco.
Una nota sull’uso fosforo bianco
L’uso di munizionamento al fosforo bianco è legittimo quando usato contro obiettivi militari isolati, per illuminare il campo di battaglia di notte o per creare cortine di fumo utili a nascondere il movimento delle truppe sul terreno. È invece vietato il suo utilizzo in ogni caso in cui vi sia il rischio di colpire obiettivi civili. E in questo senso va la decisione israeliana di imporre alla popolazione di Gaza di abbandonare il centro urbano; ed è lo stesso motivo per cui Hamas starebbe obbligando con la minaccia e la violenza la popolazione di Gaza a rimanere nelle proprie case, come scudi umani in funzione di deterrenza.
Droni di Kiev su Mosca: una pressione sugli USA? Il commento al TG RSI.
Claudio Bertolotti (StartInsight) al TG della Radio e Televisione Svizzera Italiana, intervistato da Gianmaria Giulini
Colpire la capitale russa con i droni non cambia il bilanciamento militare, ma ha un impatto psicologico e diplomatico
RSI – Svizzera, 9 agosto 2023. La strategia ucraina di aumentare gli attacchi con droni su Mosca e sul territorio russo, preannunciata il 30 luglio dal presidente Zelensky “è una strategia efficace a basso costo, manda un messaggio politico di forte impatto psicologico sulla popolazione moscovita, che è lontana dalla guerra, perché la maggior parte delle reclute mobilitate fino ad ora viene da distretti orientali e periferici del paese”. Lo dice al Telegiornale RSI il direttore di StartInsight Claudio Bertolotti.
Difficilmente attaccare la capitale russa e le forze armate di Mosca con droni determinerà una svolta sul campo di battaglia, ma ha un impatto sui russi e su chi sostiene Kiev. Come contropartita alla riduzione delle sue azioni sul suolo russo, Zelensky può chiedere ai suoi sostenitori – cominciando dagli USA – di fornirgli piu armamenti. E gli USA probabilmente lo ascolteranno perché non vogliono una guerra totale con il Cremlino.
Quanti
sono stati gli attacchi dell’Ucraina sul suolo russo?
L’Ucraina celebra gli attacchi su suolo russo, ma non
ne conferma mai la paternità, cioè non
rivendica ufficialmente le azioni. Questo per ovvie ragioni di opportunità: l’obiettivo
è non garantire alla Russia l’escamotage formale di dirsi attaccata sul proprio
suolo, il che le potrebbe anche consentire di sdoganare l’opzione atomica.
Possiamo
contare alcune decine di attacchi diretti in territorio russo, prevalentemente
attacchi con droni, che hanno colpito obiettivi, da un lato simbolici, nel
cuore di Mosca, che si contrappongono agli obiettivi militari propriamente
detti: infrastrutture, ponti, depositi di carburante, linee ferroviarie e aeroporti.
Tra i principali attacchi ricordiamo l’azione
condotta con elicotteri da combattimento, nell’aprile del 2022, contro un
deposito di carburanti russo vicino al confine con l’Ucraina; l’attacco
missilistico sulla nave ammiraglia russa del Mar Nero, sempre ad aprile; l’attacco
partigiano alla base aerea russa in Crimea, nell’agosto dello stesso anno; l’autobomba vicino a Mosca, in cui ha
trovato la morte la figlia dell’ideologo Dugin, vicino a Putin; e ancora, ad
ottobre, l’esplosione del ponte di Crimea; e poi, gli attacchi con droni
marittimi, aerei contro infrastrutture logistiche, depositi di carburanti, ecc…
La guerra sta tornando sul territorio russo, questo è un processo inevitabile?
L’obiettivo che possiamo ritenere più logico è quello di imporre un aumento della pressione psicologica sull’aggressore che, in questo modo, viene colpito in casa propria. È un messaggio politico dal forte impatto psicologico su una popolazione – quella moscovita in particolare – che è la più lontana dal coinvolgimento diretto della guerra. La maggior parte delle reclute mobilitate viene dai distretti orientali e periferici, non da quelli della Russia occidentale.
Cosa cambia
con questi attacchi per l’Occidente? Cosa si rischia?
Potremmo dire che non cambia lo stato delle cose,
almeno in Europa. Quello che pesa, in primo luogo, è lo sviluppo della campagna
elettorale per l’elezione del presidente degli Stati Uniti. Biden si trova in
una scomoda situazione: è sotto il fuoco incrociato di chi vuole sostenere
l’Ucraina e di chi invece vorrebbe ridurre il coinvolgimento di Washington in
una guerra europea. Comunque si muova le critiche nei suoi confronti non
mancheranno. È per questo motivo che il tema “guerra in Ucraina” sarà per
quanto possibile evitato, o limitato al minimo indispensabile, nei vari comizi
e incontri pubblici.
Attaccare il
territorio russo significa oltrepassare una linea rossa?
È una linea rossa, un cambio di equilibri e di
postura, ma difficilmente determinerà una svolta sul campo di battaglia. L’effetto
è sul piano psicologico, di chi viene colpito, dunque i russi, ma anche di chi
sostiene Kiev, in primis gli Stati Uniti, che saranno spinti, nelle intenzioni
di Zelenski, ad aumentare il sostegno militare come contropartita alla
riduzione di azioni di questo tipo su suolo Russo. Washington non vuole un’escalation,
come non vuole un cambio di regime in Russia, che potrebbe aprire a uno
scenario politico peggiore di quello attuale.
Guerra in Ucraina: attacchi a Mosca e rallentamento dell’offensiva (SKY TG24)
di Claudio Bertolotti
Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a SKY TG24 Mondo (puntata del 1° agosto 2023, ore 19.30), ospite di Roberto Tallei: video disponibile al seguente LINK.
Nuovo attacco con i droni a Mosca. Due edifici sono stati danneggiati ma non ci sono feriti: è l’ultimo di una serie di attacchi simili. Rallenta l’offensiva Ucraina e tengono le difese russe. Sempre più tiepido il sostegno statunitense: la priorità sono le elezioni presidenziali. Questi i temi affrontati dal Direttore Claudio Bertolotti a SKY TG24.
A quale scopo Kiev aumenta gli attacchi su Mosca?
L’obiettivo che possiamo ritenere più logico è quello di
imporre un aumento della pressione psicologica sull’aggressore che, in questo
modo, viene colpito in casa propria. È un messaggio politico dal forte impatto emotivo
su una popolazione – quella moscovita in particolare – che è la più lontana dal
coinvolgimento diretto della guerra. La maggior parte delle reclute mobilitate
viene dai distretti orientali e periferici, non da quelli della Russia
occidentale. E dunque colpire <Mosca significa arrivare dritti al cuore
della capitale dove le decisioni sulla guerra vengono prese e più forte è la
pressione dei cittadini sulla classe politica. Obiettivi civili, più facili da
colpire rispetto a quelli militari o istituzionali, e volti a dimostrare
l’incapacità della difesa russa.
Perché prima Kiev li negava e ora li rivendica mentre Mosca prima minimizzava e ora denuncia?
Ora Kiev ha capito che il sostegno dell’Occidente non è una
cambiale in bianco illimitata. Al contrario, come dimostrano gli aiuti generosi
ma limitati nel tempo e nella tipologia da parte di Washington, parliamo di un
supporto che potrebbe ridursi sempre più, almeno da un punto di vista di numeri
e qualità degli armamenti forniti. Questo è chiaro a Zelenski, che non può che
azzardare nel fare ciò che gli Stati Uniti gradiscono meno, ossia colpire i
russi in casa. Di fatto l’Ucraina sta mettendo gli stati Uniti di fronte a
un’opzione obbligata: continuare a sostenere militarmente, in maniera massiccia,
l’esercito di Kiev o sopportare l’insubordinazione ucraina che, colpendo sempre
più Mosca (e non la Russia in generale) ma solo la capitale, metterà in
difficoltà un candidato presidente – Biden in questo caso – che nel pieno della
campagna elettorale dovrà rispondere dell’operato ucraino e dell’oneroso
sostegno a Kiev che grava sulle tasche del contribuente statunitense.
Mosca non può più far
finta di nulla o minimizzare con la propria opinione pubblica
Mosca è abituata ed è strutturata per gestire l’opinione
pubblica. Oggi più che mai la repressione sulla comunicazione ha un ruolo
determinante per garantire nella forma e nella sostanza il sostegno, o comunque
l’assenza di opposizione, al Cremlino. La cosa ci può preoccupare, ma non ci
sorprende. Ma l’aspetto ancora più importante, al di la del minimizzare, è la
consolidata capacità di trasformare gli eventi descrivendoli come “atti
terroristici” da parte di Kiev, cercando così di rafforzare una narrazione
basata sulla pericolosità di un’Ucraina fuori dal rapporto di amicizia, ossia
dal controllo effettivo, di Mosca
Gli alleati (USA in primis) sono piuttosto freddi, se non apertamente contrari: cosa si rischia?
Quello che pesa, in primo luogo, è lo sviluppo della
campagna elettorale per l’elezione del presidente degli Stati Uniti. Biden si
trova in una scomoda situazione: è sotto il fuoco incrociato di chi vuole
sostenere l’Ucraina e di chi invece vorrebbe ridurre il coinvolgimento di
Washington in una guerra europea. Comunque si muova le critiche nei suoi
confronti non mancheranno. È per questo motivo che il tema “guerra in Ucraina”
sarà per quanto possibile evitato, o limitato al minimo indispensabile, nei
vari comizi e incontri pubblici.
Quanto può durare ancora la controffensiva ucraina e cosa succederà se non porterà a risultati concreti?
L’offensiva di fatto ha perso la spinta iniziale e questo in
conseguenza, della capacità di difesa russa e della limitata disponibilità di
equipaggiamento da combattimento. Prima dell’attuale fase possiamo dire che la
capacità di Kiev fosse sufficiente per garantire una difesa, tuttalpiù la
possibilità di condurre azioni di contrattacco mirate, ma limitate. Ora, con le
perdite al fronte, è verosimile valutare come altamente improbabile la
conquista di territori in profondità e lo scardinamento del sistema difensivo
dei russi. Di fatto riproponendo lo scenario di una guerra di logoramento così
come l’abbiamo conosciuta a partire dal luglio dello scorso anno. C’è un
aspetto importante da ricordare: ossia che le capacità militari ucraine non
sono infinite, tutt’altro, e che queste dipendono in toto dagli Stati Uniti
che, come abbiamo detto, hanno perso l’iniziale entusiasmo e cominciano a
guardare con preoccupazione ai consumi di una guerra di logoramento che va
avanti da quasi un anno e mezzo e, alle condizioni attuali, potrebbe durare
almeno altrettanto.
Dunque, se è vero che la questione è politica, è però anche
vero che ci sono dei problemi logistici e di approvvigionamento. Di fatto si
sta consolidando la convinzione della scarsità di munizionamento negli arsenali
statunitensi e della NATO. In questo quadro, fornire il necessario a Kiev, rileva
Andrea Molle, indebolirebbe le capacità americane di far fronte ad altre
esigenze e, al contempo, nel mantenere delle riserve necessarie in caso di
estensione del conflitto alla Nato.
La controffensiva e il realismo del campo di battaglia: al momento sono limitate azioni tattiche. Il commento di Camporini e Bertolotti
Secondo l’Institute for the Study of War (ISW), l’Ucraina ha condotto operazioni di controffensiva con risultati differenziali in almeno tre settori del fronte come parte di più ampi sforzi di controffensiva che sono stati avviati da domenica 4 giugno. Fonti ufficiali ucraine hanno segnalato che le forze di Kiev sono passate da operazioni difensive a operazioni offensive nel settore di Bakhmut e avrebbe ro guadagnato tra 200 metri e quasi due chilometri sui fianchi della città. Le forze ucraine avrebbero nel complesso ottenuto guadagni tattici durante limitati contrattacchi localizzati nell’Oblast’ di Donetsk occidentale vicino al confine Donetsk-Zaporizhia Oblast dal 4 giugno e, inoltre, avrebbero condotto un attacco nella parte occidentale dell’Oblast’ di Zaporizhia nella notte tra il 7 e l’8 giugno, ma non sembra che abbiano avuto la capacità di aprire un varco nel sistema difensivo russo, di fatto limitando l’azione a un ingaggio statico.
Nel complesso, l’offensiva ucraina che si potrebbe sviluppare sul fronte è la migliore ma anche l’unica chance che Kiev ha per dare una svolta alla guerra. Kiev dovrà ottenere con questa operazione un risultato straordinario, l’alternativa, in caso di insuccesso o successo parziale, è quella di mantenere la guerra nello stato attuale, dove attaccanti e difensori non saranno in grado di imporre la propria volontà sull’altro, ma con un vantaggio strategico da parte di Mosca che ha e continua ad avere una predominanza quantitativa di mezzi e materiali, sebbene abbia perso anch’essa la possibilità di imporre una svolta decisiva. Ma è ben chiaro, e non può essere diversamente, che una controffensiva non produrrà un risultato militarmente decisivo e che nessuna delle due parti ha la capacità, anche con l’aiuto esterno, di ottenere una vittoria militare decisiva sull’altra.
A partire da mercoledì 31 maggio, a scadenza settimanale, START InSight propone una serie di LIVE streamings con gli autori dei diversi contributi su terrorismo, radicalizzazione e prevenzione, pubblicati nel Rapporto #ReaCT2023. Le dirette, trasmesse sui profili social, saranno in seguito disponibili su questa pagina. Buona visione!
mercoledì 31 maggio Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio ReaCT L’evoluzione del terrorismo in Europa Antonio Giustozzi, Senior Research Fellow, RUSI (London) Il jihadismo in eterna trasformazione
mercoledì 7 giugno Paolo Pizzolo, Università Jagellonica di Cracovia e CEMAS, Roma Jihad nei Balcani: una miccia mai spenta nella ‘polveriera d’Europa’
mercoledì 14 giugno Chiara Sulmoni, START InSight Estremismo violento e radicalizzazione, scenari più complessi Luca Guglielminetti, Ass. Leon Battista Alberti e RAN (Radicalisation Awareness Network) Il ruolo della società civile nella prevenzione e nel contrasto all’estremismo violento
mercoledì 21 giugno Andrea Molle, Associate Professor alla Chapman University (California) e Senior Research Fellow, START InSight Il movimento dei sovereign citizens
mercoledì 28 giugno Patrick Trancu, consulente in gestione di crisi La gestione di crisi nel XXI secolo
mercoledì 12 luglio Elena Maculan, Prof. di Diritto Penale presso l’UNED (Madrid) L’esecuzione delle pene per reati di terrorismo in Spagna
mercoledì 19 luglio Francesco Rossi, giurista, ricercatore presso l’Universidad Carlos III (Madrid) Il contrasto al terrorismo internazionale nelle fonti penali
giovedì 27 luglio Marco Lombardi, Prof. di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Direttore del centro di ricerca ITSTIME Tre argomentazioni per una Nuova Agenda del Terrorismo 2023 Barbara Lucini, docente alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ricercatrice di ITSTIME Le pratiche di vetting nei processi di radicalizzazione di estrema destra
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🔴@cbertolotti1 a FanPage sulle varie ipotesi dell'attacco👉"(...) non si tratterebbe di droni in grado di fare danni significativi, ma piuttosto di una tipologia di equipaggiamento in grado di fare danni limitati con l'obiettivo di portare l'attenzione mediatica sulla questione" twitter.com/cbertolotti1/s…
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