Nei 95 giorni trascorsi dall’invasione della Russia in
#Ucraina, ho esplorato l’adattamento e il modo in cui le istituzioni militari
imparano durante la guerra. Oggi esamino ciò che le ultime due settimane nel
Donbas ci dicono su come i russi stanno imparando nella battaglia di
#adattamento in corso.
Sir Michael Howard ha scritto in “The
Uses and Abuses of Military History” (trad. Gli usi e gli abusi della storia militare) che le
istituzioni militari normalmente sbagliano la guerra successiva, per lo più per
ragioni che sfuggono al loro controllo. Pertanto, una virtù importante per le
organizzazioni militari deve essere l’adattabilità agli eventi inattesi.
A marzo ho esplorato il concetto di adattamento in guerra
e il modo in cui gli sforzi di trasformazione della Russia dal 2008 sembrano
aver ottenuto miglioramenti minimi a livello tattico e strategico. Nelle ultime
settimane, i russi hanno compiuto progressi costanti, anche se lenti, nella condotta
della loro offensiva orientale nel Donbas. Progressi che indicano comunque come
i russi stiano apprendendo dai loro precedenti fallimenti.
Prima di esplorare questo aspetto in dettaglio, è
necessaria una breve deviazione per definire un quadro di riferimento utile ad
esplorare dove i russi hanno appreso. Le organizzazioni militari utilizzano
questi principi per addestrare i soldati, sviluppare tattiche comuni e
organizzare le formazioni di combattimento e di supporto. Principi che si
traducono in direttive, di fatto “verità essenziali” sulla condotta pratica di
guerre, campagne militari e operazioni di successo. Nel contesto di questa analisi
dell’apprendimento russo, spiccano in particolare tre principi di guerra: la selezione e il mantenimento dell’obiettivo,
la concentrazione della forza e la cooperazione.
In qualsiasi azione militare, l’obiettivo deve essere semplice, ampiamente compreso e nei limiti
delle forze disponibili. Gli obiettivi bellici iniziali della Russia erano
di ampio respiro e non prevedevano un massiccio aiuto militare occidentale
all’Ucraina. È diventato presto chiaro che questi obiettivi erano al di là
delle capacità militari russe. I russi stavano usando un esercito d’invasione
più piccolo di quello dello Stato che stavano attaccando, e hanno fallito. Più
di recente – come evidenziato nei briefing degli alti ufficiali russi – hanno
consolidato le loro mire verso obiettivi più ristretti nell’est del Paese. E
hanno spostato le loro forze per avere maggiori possibilità di raggiungere
questi obiettivi strategici più limitati.
Concentrazione
degli sforzi. Il successo in guerra spesso dipende dalla concentrazione delle forze
militari nel momento e nel luogo più opportuno. Questa dovrebbe essere
supportata da sforzi come le operazioni informative e la diplomazia per
amplificare l’impatto delle forze militari. A livello più elevato, Mosca ha
nominato un alto generale come comandante generale della campagna ucraina. Egli
ha supervisionato un approccio brutale e distruttivo nella parte orientale, ma
è probabile che i russi vedano i loro limitati guadagni come grandi successi.
Ma sostenere l’apprendimento tattico per generare un
vantaggio operativo sarà una sfida significativa, date le altre carenze della
leadership russa. È troppo poco, e troppo tardi?
Ciò impone una questione più ampia: quale potrebbe essere
l’impatto di tale apprendimento tattico russo sulla condotta complessiva della
guerra? E data l’intensità delle operazioni orientali della Russia, saranno
ancora in grado di effettuare operazioni offensive dopo le prossime settimane?
Questo
dipende dalla logisticarussa, dalla
strategia difensiva ucraina, dall’afflusso
di aiuti occidentali e dalla condotta di offensive ucraine altrove che
potrebbero distrarre le forze russe. E l’adattamento tattico a breve termine
(anche se difficile) è più semplice dell’adattamento strategico a lungo
termine. Murray, Knox e Bernstein hanno scritto: “È più importante prendere decisioni corrette a livello politico e
strategico che a livello tattico. Gli errori nelle operazioni e nelle tattiche
possono essere corretti, ma gli errori politici e strategici vivono per sempre“.
La Russia ha dimostrato una certa capacità di imparare
dai suoi fallimenti tattici. Ma la sua capacità nazionale di imparare e
adattarsi agli impatti economici, diplomatici, informativi e di altro tipo
della sua strategia fallimentare di invasione dell’Ucraina resta da vedere.
Questo probabilmente prolungherà la guerra.
Ucraina: ripresa delle operazioni offensive russe verso Slovyansk. Il punto di C. Bertolotti per RaiNews 24
Le forze russe hanno intensificato gli attacchi aerei e di artiglieria a sud-est di Izyum in preparazione della prevista ripresa delle operazioni offensive verso Slovyansk, facilitata dalla presa di Popasna.
Il commento del Direttore Claudio Bertolotti nella puntata del 24 maggio di “IN UN’ORA”, RaiNews 24.
Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a “In Un’Ora”, trasmissione di approfondimento di RaiNews24 del 24 maggio 2022
L’Institute for the Study of War (ISW) conferma che i battaglioni russi starebbero continuando a operare nelle aree di Izyum, per sfondare a sud-est verso Slovyansk, e di Popasna – che sarebbe appena stata espugnata dai russi – per raggiungere verso nord Severodonetsk e nord-ovest Kramatorsk, allo scopo di prendere il controllo dell’autostrada M3 (E-40) e chiudere così in una sacca i reparti ucraini impegnati sul fronte del Donbass nel saliente di Izyum-Lyman-Severodonetsk-Hirske-Popasna.
C’è da evidenziare che anche in questo quadrante le truppe russe hanno subito pesanti perdite nel tentativo di forzare il fiume Siverskyi Donets ma se la manovra di accerchiamento tra Izyum e Popasna avesse successo il Donbass potrebbe cadere finalmente nelle mani loro e dei separatisti del Donbass. Ma le notizie che pervengono dal fronte, conferma l’ISW, ci raccontano di una avanzata che, pur con successi locali, continua ad essere almeno sinora ancora lenta. I russi hanno sicuramente subito perdite pesanti, ma gli ucraini hanno visto le proprie componenti corazzata e aerea quasi completamente distrutte.
Ucraina: Generali sotto tiro e “terminator” in azione in Donbass (D+87)
Punto di situazione sul conflitto russo-ucraino al
D+87
La fase più critica del
conflitto in Ucraina si sarebbe forse potuta chiudere in due o tre giorni solo
se il presidente Zelensky fosse fuggito e il governo ucraino fosse crollato. A
quel punto si sarebbe assistito all’inizio dell’occupazione russa con il molto
probabile avvio della resistenza ucraina sotto forma di guerriglia.
Ma tutto ciò non è avvenuto
e la situazione sul terreno è quella che un po’ tutti abbiamo imparato a
conoscere: il tentativo fallito di assedio a Kiev e la penetrazione nell’est
con attacchi reiterati su Kharkiv dall’esito anch’esso non positivo mentre a
sud la situazione, che ha visto le forze russe provenienti dalla Crimea e
quelle filo-russe del Donbass chiudere l’Ucraina in una sorta di enclave
terrestre (ad esclusione al momento di Odessa il cui porto peraltro è chiuso
con conseguenze drammatiche per l’approvvigionamento di cereali nel mondo),
sembra essersi cristallizzata da qualche settimana.
Colpa dei generali russi che
avrebbero pianificato male e condotto peggio l’operazione?
In un ambiente permeato
dalla cultura del capro espiatorio è stato alquanto normale “silurare” un certo
numero di vertici militari, tra i quali il generale Serhiy Kisel, che sarebbe
stato sospeso “per non essere riuscito a conquistare Karkhiv”, e il vice
ammiraglio Igor Osipov, che sarebbe stato licenziato “a seguito
dell’affondamento dell’incrociatore Moskva”. Probabilmente anche il capo di
stato maggiore russo, il Gen. Valeriy Gerasimov, non avrebbe più la totale
fiducia di Putin ma al momento sembra essere rimasto al suo posto.
Lo scopo dell’attacco, ma anche il modo con il quale
l’Ucraina è stata invasa il 24 febbraio scorso, ha fatto partorire discussioni
e teorie più o meno valide tra vecchi e nuovi geo-strateghi e analisti militari
(affidabili o presunti tali).
A nostro avviso quella russa è stata una penetrazione su
un fronte troppo ampio (ben 1.500 km. circa) verosimilmente non per un errore
operativo da parte dei decisori militari russi (sarebbe stato veramente
imperdonabile) ma per una scelta strategica da parte del vertice politico ben
precisa ancorché azzardata: indurre il panico nella popolazione e nelle
istituzioni e costringere il governo ucraino a capitolare in pochi giorni. O
almeno così si sperava.
Come sappiamo, ciò non è avvenuto e pertanto i russi
hanno dovuto dapprima, ma senza successo e con non pochi problemi di natura
essenzialmente logistica, immettere le seconde schiere e le unità in riserva e
successivamente riarticolare l’intero dispositivo abbandonando gli sforzi su
Kiev e più recentemente su Karkiv per assicurare una sufficiente gravitazione
delle forze nelle aree che possono essere considerate gli obiettivi
territoriali minimi di Putin: la regione completa del Donbass e l’area costiera
meridionale dell’Ucraina.
Il tutto naturalmente in funzione delle richieste russe
al tavolo delle trattative che si rifanno verosimilmente al discorso del
presidente Putin del 22 febbraio 2022: Ucraina neutrale, Crimea russa, Donbass
“libero”.
In realtà il numero dei cosiddetti BTG (Batalonnaja
Takticheskaja Gruppa), cioè delle Task Force russe di livello
battaglione impiegate (ognuna costituita da circa 800-1.000 soldati), è stato
sinora di circa 90 su 180 totali teoricamente disponibili nella Federazione
russa. Le sole forze di manovra russe in Ucraina sono pertanto formate da circa
80-90.000 soldati mentre il totale impiegato, comprese le milizie delle
autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk, raggiunge verosimilmente le
150.000 unità. Le forze armate ucraine dovrebbero invece aver ormai toccato,
tra forze regolari e milizie territoriali, le 200-250.000 unità dislocate però
sull’intero territorio nazionale, naturalmente con una maggiore concentrazione
nelle aree a contatto con quelle russe dove si presume siano impiegati circa
150.000 soldati e miliziani (non tutti impiegabili in un combattimento ad alta
intensità). Da questi numeri si può dedurre pertanto un rapporto di forza che
solo attualmente è di 1:1 mentre a inizio conflitto, stante la eccessiva
lunghezza del fronte, era verosimilmente sfavorevole alle forze attaccanti
russe la cui superiorità aerea e qualitativa di alcuni degli equipaggiamenti
non sembra peraltro essere stata decisiva. Se infatti esaminiamo quello che
nelle scuole di guerra si definisce “rapporto di spazio”, si scopre che a
inizio operazione, con il numero disponibile di BTG, che teoricamente avrebbero
potuto coprire circa 600 (massimo 900) km. sulla fronte, i russi hanno dovuto
invece attaccare gli ucraini su un’ampiezza non sostenibile in quanto pari
quasi al doppio di quanto previsto dalla dottrina.
Da qui, oltre ad altri fattori come l’ottima performance
dell’esercito ucraino (quadri preparati, soldati motivati, piani predisposti) e
l’aiuto che si è rivelato fondamentale da parte occidentale (in
particolare la presunta “assistenza” all’intelligence ucraina, armi
controcarro e sistemi d’arma contraerei moderni ed efficaci), è scaturito il
mancato raggiungimento di tutti gli obiettivi iniziali auspicati dalla leadership
russa.
La seconda fase, in atto, delle operazioni russe
Alla prima fase dell’attacco “generalizzato” che ha
coinvolto quasi la metà dell’intera frontiera terrestre ucraina, parzialmente
fallito, è seguita la fase attuale che vede i russi combattere su un fronte
molto più ristretto a sud-est e a sud. Ma le notizie che pervengono dalla linea
di contatto ci raccontano di una avanzata che, pur con successi locali,
continua ad essere ancora relativamente lenta. Molti commentatori ritengono che
anche in questa seconda fase l’offensiva russa abbia raggiunto il culminating
point (punto culmine), cioè una situazione in cui non sarebbe più in grado
di operare avendo immesso in combattimento tutto il suo potenziale bellico
senza aver completato la missione.
È veramente così? Probabilmente no. Bisogna tener conto del fatto che siamo di fronte ad un conflitto che almeno inizialmente aveva natura simmetrica, intesa come confronto tra forze convenzionali di qualità e consistenza pressoché similari e che grazie agli aiuti occidentali continuerà ancora ad essere tale. È vero che anche in questo quadrante le truppe russe hanno subito pesanti perdite come ad esempio nel tentativo di forzare il fiume Siverskyi Donets, ma è d’uopo evidenziare che oltre alla sin qui efficace resistenza degli ucraini che, non dimentichiamolo, conoscono molto bene l’area avendo operato negli ultimi otto anni contro i separatisti russofoni, l’offensiva delle forze russe e filo-russe risente negativamente di orografia, idrografia e presenza antropica che non consentono una agevole manovra, manovra che grazie ad alcuni importanti successi locali solo ora sembra iniziare a produrre risultati positivi in particolare a Izyum, a Popasna e nella stessa Severodonetsk.
Inoltre i russi possono contare ora non solo sulle forze
recuperate e già immesse nuovamente in combattimento dalle direttrici non più
operative del nord (Kiev) e del nord est (Sumy), ma anche sui circa 10 BTG che
erano impegnati a Mariupol. Questi ultimi, dopo un adeguato ricondizionamento,
potranno andare a rafforzare la gravitazione esercitata su Severodonetsk dando
la spallata decisiva alle forze ucraine in difesa oppure per andare a
ristabilire una linea del fronte che a Kherson-Mykolayiv continua a presentare
non pochi problemi.
Comunque lo sforzo principale in questa fase sembra
essere proprio quello in Donbass dove i BTG russi, come detto, operano nelle
aree di Izyum (per sfondare a sud-est verso Slovyansk) e di Popasna (per
raggiungere verso nord Severodonetsk e nord-ovest Kramatorsk), allo scopo di
assumere il controllo dell’autostrada M3 (E-40). Questa manovra di
accerchiamento chiuderebbe in una sacca i reparti ucraini (probabilmente una
ventina di BTG) impegnati nel saliente di
Izyum-Lyman-Severodonetsk-Hirske-Popasna.
Se la manovra di accerchiamento tra Izyum e Popasna
dovesse avere successo, sarebbe indubbiamente raggiunto e superato un punto
decisivo della linea di operazione il cui obiettivo è la conquista dell’intero
Donbass.
Sempre a sud, dopo ben 84 giorni di resistenza nelle
locali acciaierie, divenute ormai un ammasso di macerie, Mariupol è stata
definitivamente conquistata. I russi e le milizie del Donbass, oltre ad aver
liberato forze da poter impiegare altrove, hanno così assicurato quel continuum
territoriale con la penisola di Crimea che riveste grandissimo valore simbolico
oltre che economico. Inoltre, mentre continua lo sforzo verso nord per
raggiungere l’importante città di Zaporizhzia, a nord-ovest della penisola si
continua a combattere lungo la linea Kherson – Mykolayiv con esito alterno sin
dall’inizio del conflitto. La mancata acquisizione completa di questa area,
oltre alle perdite dell’incrociatore lanciamissili Moskva e di alcune navi
anfibie, è uno dei motivi per i quali i russi non sono ancora riusciti ad
attaccare Odessa, altra città simbolo dell’Ucraina e “porta da sfondare” per
congiungere la Russia alla Transnistria, regione moldava dichiaratasi anch’essa
autonoma e che nel 2014 ha chiesto l’adesione a quella che considerano la loro
“madrepatria”.
Riassumendo, concentrando l’attenzione agli “oblast”
meridionali dell’Ucraina, i russi intendono finalmente impiegare in maniera più
consona e rispondente ai principi basilari della dottrina militare le proprie
unità, almeno per quanto riguarda il giusto rapporto di forze e spazio. Il
fronte ha ora una lunghezza tale da poter essere investito con maggiore
efficacia dai BTG disponibili.
I russi hanno sicuramente subito perdite considerevoli,
ma gli ucraini hanno visto le proprie componenti corazzata e aerea quasi
completamente distrutte e una parte consistente del proprio territorio cadere
in mani russe. Solo i citati aiuti militari occidentali, compresi i carri
armati T-72 polacchi, e la loro grandissima motivazione, hanno consentito agli
ucraini di continuare a porre in atto una difesa alquanto efficace che potrebbe
portare eventualmente a un conflitto di attrito e quindi di lunga durata. Ecco
che per i russi potrebbe essere necessario passare alla fase 2.1, cioè vincere
in Donbass e nell’area di Odessa nel più breve tempo possibile impiegando nuovi
micidiali mezzi.
I possibili nuovi protagonisti dei campi di battaglia
in Ucraina
Per detti motivi, oltre a un impiego ancora più massiccio
dei migliori sistemi d’arma come i missili ipersonici ad alta precisione
aria-terra Khinzal e terra-terra Iskander con gittate rispettivamente di 2.000
e 500 km. o i micidiali TOS-1 (Buratino), sistemi montati su telai di carri
armati T-72 in grado di lanciare missili con testate termobariche, alcuni
ritengono che stiano per comparire sul campo di battaglia altri sistemi d’arma
russi modernissimi che per una serie di motivi, primo tra tutti proprio perché
da poco usciti dalle linee di montaggio, non sono stati ancora impiegati.
Ecco alcuni di questi nuovi mezzi, limitandoci a quelli
operanti nell’ambiente terrestre che è risultato essere stato sinora quello più
sanguinoso e che sarà decisivo per le sorti del conflitto.
Come detto, fondamentale risulta la capacità di acquisire
informazioni su entità, dislocazione natura e atteggiamento del nemico. Per
fare questo anche gli ucraini dispongono di droni (alcuni dei quali
probabilmente forniti dalle nazioni che stanno contribuendo alla sua difesa)
contro i quali sembra che negli ultimi giorni i russi abbiano utilizzato un
sistema d’arma laser, lo Zadira, che secondo il vice premier
russo Yuri Borisov è “capace di incenerire un drone ma anche altri mezzi a
5 km di distanza”.
Relativamente ai mezzi più “convenzionali”, sin
dall’inizio delle operazioni i russi impiegano i carri armati T-72B3M e quelli
delle serie T-80 e T-90, i quali sono equipaggiati con sistemi di protezione
ERA (Explosive Reactive Armour, cioè corazzature reattive esplosive) del
tipo Kontakt-5 e Relikt, considerate fino a febbraio molto avanzate ma che sono
risultate non sufficientemente idonee a fronteggiare le nuove minacce dei
temibili missili controcarri occidentali, ad esempio i Javelin.
Ecco perché la Russia potrebbe inviare in Ucraina i
mastodontici (rispetto agli standard dei veicoli sinora prodotti in oriente) T-14
Armata, mezzi con caratteristiche similari a quelle dei carri occidentali
sia in termini di dimensioni che di utilizzo esteso dell’elettronica ma che
avrebbero la capacità di sparare fino a dieci colpi da 125 mm. al minuto e
colpire bersagli a una distanza di sette chilometri.
Per dare un’idea di quanto sia potente l’ultimo nato in
casa russa, il carro armato statunitense M1 Abrams può sparare “solo” tre colpi
al minuto e ha una portata di “appena” 4.500 metri. Inoltre, il nuovo carro
dispone di corazza reattiva Malachit e di un sistema di protezione
attiva Afganit che include un radar a onde millimetriche per rilevare,
monitorare e intercettare munizioni anticarro in arrivo a similitudine
dell’avanzatissimo sistema israeliano Trophy. Di MBT (Main Battle Tank)
T-14, che ha avuto una genesi a dir poco travagliata proprio a causa della sua
complessità e dei costi di sviluppo e produzione molto elevati, ce ne sono al
momento disponibili relativamente pochi (alcune decine) nelle disponibilità di
una delle divisioni di punta dell’esercito russo, la 2^ Divisone della Guardia
“Tamanskaya”. La domanda è se i russi si fideranno ad immettere in
combattimento un veicolo sicuramente mobile, protetto e potente ma
verosimilmente non ancora maturo in quanto non testato a sufficienza.
Sui campi di battaglia dell’Ucraina potrebbe comparire
anche il nuovo mezzo da combattimento per la fanteria da affiancare al T-14.
Avendo la stessa piattaforma ha lo stesso nome, Armata, ma con codice
identificativo diverso: T-15. I fanti russi, che hanno subìto pesanti
perdite a seguito della distruzione di mezzi scarsamente protetti come i BMP-2
e 3, non vedono l’ora di riceverli ma non sarà così semplice. Come per i T-14,
ne sarebbero disponibili al momento poche decine di unità. Anche questo mezzo,
inoltre, potrebbe avere gli stessi problemi di “maturità” del fratello maggiore
T-14.
Un altro mezzo micidiale che è già stato dispiegato verso
la metà del mese di maggio 2022 in Donbass è il BMPT Terminator-2, un
veicolo idoneo ad affiancare i carri armati in particolare nei centri abitati
in quanto dispone di un set di armi composito: una mitragliatrice cal. 7,62 e
due lanciagranate anti personale, due cannoni da 30 mm contro veicoli blindati
e 4 lanciatori per missili guidati contro carri. Il modello che viene già
impiegato è su scafo T-72, quindi risalente all’epoca sovietica ancorché
migliorato. Un nuovo modello molto più protetto, più automatizzato e anche con
capacità contraerea è il BMPT-15 Terminator-3, un sistema d’arma su
scafo del citato Armata.
Grazie alla disponibilità di detti mezzi, i russi
potrebbero costituire alcuni BTG modernissimi con i quali dare l’ultima
spallata alla resistenza ucraina in Donbass e a Odessa.
* Generale di Corpo d’Armata dei lagunari Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, Vice Capo del Reparto Pianificazione Generale e Direzione Strategica / Politica delle Alleanze presso lo Stato Maggiore Difesa, Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e collaboratore del Campus universitario CIELS di Padova.
Ucraina: il rischio di una strategia difensiva russa. Il commento del generale Mick Ryan
di
Mick Ryan, AM, Strategist, Leader & Author, Retired Army Major
General
Mentre l’offensiva dell’esercito russo continua a est, è
probabile che a breve termine le forze di Mosca possano raggiungere il limite massimo
della loro capacità offensiva. In questo quadro, oggi esploro cosa potrebbe
significare per i russi il passaggio a una strategia difensiva in Ucraina.
L’esercito russo ha tentato di riavviare i suoi sforzi in
Ucraina. Ha sostituito alti comandanti accusati di fallimento, ha riorganizzato
le unità di combattimento, ha iniziato a consolidare le posizioni difensive a
nord di Kharkiv e ha condotto ulteriori attacchi missilistici strategici in
tutta l’Ucraina.
Raggiunto il livello massimo di capacità operativa
russa
L’attuale fulcro operativo delle forze russe è
concentrato sul fronte orientale e, in particolare, nell’attività di messa in
sicurezza della regione del Donbas. Rispetto alle grandi aspirazioni di Putin
nei primi giorni della guerra [quello che si sta definendo] è un obiettivo
relativamente modesto. E nonostante il ridimensionamento dei suoi obiettivi,
l’esercito russo sta ancora lottando per compiere progressi significativi di
fronte all’ostinata difesa degli ucraini e al massiccio afflusso di aiuti
militari occidentali. Migliaia di soldati russi sono stati uccisi o feriti e
centinaia di veicoli blindati distrutti nell’est del Paese. Nonostante tutto
questo sforzo, nell’ultimo mese Mosca ha ottenuto limitate conquiste territoriali.
È possibile che, per supportare la loro offensiva a est,
i russi possano lanciare attacchi nelle regioni di Zaporizhia e Kherson. Ma,
data la portata della mobilitazione militare ucraina, la quantità di aiuti
occidentali e la dimostrata incapacità dei russi di intraprendere con efficacia
operazioni su larga scala, è improbabile che anche questo possa portare a risultati
significativi. Per questo motivo, è probabile che la capacità russa di
continuare le operazioni offensive sia vicina a raggiungere il suo limite
massimo.
Gli ucraini hanno corroso la capacità fisica, morale e
intellettuale dell’esercito russo. Putin e l’alto comando militare
continueranno a chiedere sforzi, progressi e risultati, ma a un certo punto,
nel prossimo mese o due, ogni capacità di farlo sarà esaurita. Troppe unità da
combattimento russe vengono sprecate, e troppi soldati e giovani ufficiali non
hanno la volontà di dare la loro vita per un’istituzione che non riesce nemmeno
a nutrirli adeguatamente.
Le quattro sfide per i russi: difensiva, governance, insurrezione, morale
Ma pur a fronte di questa situazione, non dobbiamo illuderci
che questo significhi “sconfitta” per i russi, o che questi possano presto lasciare
l’Ucraina. Al contrario, i russi passeranno semplicemente a una strategia
difensiva. Se a prima vista ciò può sembrare una semplificazione dei problemi
dei russi in Ucraina, in realtà solleva una nuova serie di sfide.
La prima sfida è che non avranno più l’iniziativa.
L’esercito russo, in una strategia difensiva, sarà in modalità di reazione [e
non più di azione]. L’esercito ucraino potrà decidere dove e quando ingaggiare
i russi. [In tale possibile scenario], l’iniziativa strategica, operativa e
tattica spetterebbe agli ucraini. Questo darebbe all’alto comando militare
ucraino flessibilità riguardo al momento, al luogo, alla forza e alla sequenza
delle inevitabili controffensive che condurrà per la riconquista dei territori
occupati.
Una seconda sfida per i russi è rappresentata dal fatto
che molte delle loro unità passeranno dalle operazioni militari [di manovra]
alle attività di “supporto all’occupazione”. In effetti, i soldati
dovranno diventare governatori nelle aree dell’Ucraina che ancora detengono e
che cercano di convertire in colonie russe. Questo non solo sottrarrà [più di quanto
già non sottragga] forze militari per la difesa dalle operazioni ucraine, ma
richiederà una serie di capacità e competenze normalmente non presenti nelle
istituzioni militari russe, in primis
la capacità di amministrazione civile. E, come già i russi hanno [amaramente] scoperto
in Siria e in Cecenia, [questo è un esercizio] straordinariamente costoso.
Una terza sfida per gli occupanti russi, che andrà ad
aggravare i loro già enormi problemi, è che probabilmente dovranno affrontare
un movimento di resistenza insurrezionale. Come gli ucraini hanno dimostrato
nel corso di questa guerra, sono un popolo fiero, determinato e coraggioso. Ci
sono già notizie di insorti ucraini che operano nel sud del paese e, con il
passare del tempo, questo fenomeno è destinato ad aumentare nelle aree sotto il
controllo dei russi. E i russi sono ben consapevoli del fatto che questi
insorti saranno ben sostenuti dall’Occidente.
Infine, l’esercito russo ha un problema di morale. Nel suo
saggio su Foreign Affairs, Dara Massicot(@MassDara) descrive
una “cultura dell’indifferenza verso il proprio personale che compromette
fondamentalmente l’efficacia dell’esercito russo”. A questo problema
culturale si sono aggiunti i numerosi rapporti delle agenzie di intelligence e dei media sulle
diserzioni dell’esercito russo, sull’incapacità di recuperare i propri morti e
sulla mancanza di sostegno alle famiglie dei militari.
I limiti di un esercito di occupazione
Queste sfide peseranno tanto di più quanto più con il
trascorrere del tempo e saranno intensificate da un’occupazione a lungo termine
caratterizzata da soldati mal guidati, destinati all’amministrazione delle aree
occupate, impegnati in una guerra insurrezionale e [con la pia illusione] di
conquistare i cuori e le menti degli ucraini patriottici. E l’impiego di un
esercito di occupazione imporrà la presenza costante di un gran numero di
russi, molti di più di quelli attualmente dispiegati.
La recente decisione ucraina di porre termine alla difesa
dell’acciaieria di Mariupol ha rappresentato una piccola vittoria di Pirro per
i russi. Ma è improbabile che l’esercito russo ottenga altri piccoli successi
di questo tipo. Man mano che la loro offensiva orientale perderà slancio, i
russi dovranno così inevitabilmente passare a una strategia difensiva: nel
farlo, il loro esercito dovrà affrontare una nuova serie di sfide, sempre più
difficili.
Ucraina: il paradosso dei prigionieri dell’Azovstal (Adnkronos).
Bertolotti (Ispi): “La Russia potrebbe ‘mediare’ per liberare i prigionieri Azovstal”
Tratto dall’articolo originale di Cristiano Camera per ADNKRONOS.
L’analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, interpellato da ADNKRONOS, rileva il possibile paradosso, in sede di negoziati futuri, con Mosca che potrebbe trattare la scarcerazione dei militari detenuti nel Donetsk in cambio di concessioni.
La domanda vera sul lungo assedio dell’Azovstal e sulla sua resa, sulla caduta dell’ultimo baluardo della difesa di Mariupol, è cosa ne sarà dei militari che fino all’altro ieri erano asserragliati nell’ex acciaieria ucraina. Di cosa ne farà la Russia, se saranno più utili da vivi che da morti e se saranno sottoposti a un processo regolare e la loro detenzione rispetterà il diritto internazionale dei prigionieri di guerra oppure no, tutto questo dipenderà anche da un ragionamento di opportunità. Lo sostiene parlando con l’Adnkronos Claudio Bertolotti, analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) e direttore di START InSight, secondo cui “il fatto che i prigionieri non siano detenuti in Russia, ma in due villaggi della Repubblica Popolare del Donetsk, potrebbe permettere a Mosca di non entrare direttamente nella questione, lasciando all’autoproclamata repubblica l’onere dell’eventuale gestione della sanzione o della pena. E’ una scelta di opportunità che la Russia potrebbe mettere sul tavolo negoziale proponendosi come intermediario facilitatore per la loro liberazione. Una situazione che potremmo definire paradossale e che sembra essere creata ‘ad hoc’ per escludere la Russia da ovvie conseguenze sul piano del diritto internazionale. Ma sappiamo che in guerra si coglie ogni opportunità, in questo caso quella di ottenere su un futuro tavolo negoziale una qualche concessione” (ADNKRONOS).
“Secondo il diritto internazionale – ricorda Bertolotti – i prigionieri di guerra non devono essere sottoposti a maltrattamenti e torture e dovrebbero essere posti sotto il controllo e interfacciarsi con il comitato internazionale della Croce Rossa. Questa è una responsabilità che le autorità che detengono i prigionieri di guerra devono rispettare, secondo la convenzione di Ginevra. Qui però sorge il vero problema, dato che la Russia non ha formalizzato lo stato di guerra con l’Ucraina, insistendo invece sempre sull’operazione militare speciale. Questo risolve i problemi di Mosca in termini di gestione politica interna del dossier Ucraina ma non sul piano del diritto internazionale, secondo cui la salvaguardia e la tutela della vita dei prigionieri spetta all’autorità di governo che detiene quelle persone”. Una responsabilità che, come detto, la Russia potrebbe delegare al Donetsk, salvo poi proporsi come mediatrice per una successiva liberazione dei prigionieri in cambio di concessioni al tavolo delle trattative. “Se però è vero che qui non si tratta formalmente di prigionieri di guerra – rileva l’analista- in quanto non c’è uno stato di guerra formale, siamo comunque di fronte a uno stato di guerra sostanziale. Tuttavia queste persone, pur non rientrando nella categoria di prigionieri di guerra, godono dei loro stessi diritti” (ADNKRONOS).
“Un altro aspetto importante – fa notare il ricercatore dell’Ispi – è che la Russia ha parlato spesso di ‘terroristi’ facendo riferimento ai combattenti di Mariupol e in particolare ai componenti del Battaglione Azov, che raccoglie al suo interno anche soggetti ideologicamente schierati su posizioni neonaziste. E la narrativa della guerra russa, dell’operazione speciale in Ucraina, ha insistito moltissimo sulla questione neonazista, sulla liberazione dal nazismo delle popolazioni dell’Ucraina. Questo non avrebbe in ogni caso nessuna conseguenza rispetto ai diritti di un trattamento equo e giusto. La Russia avrebbe comunque il dovere di tutelare le persone poste sotto la sua giurisdizione o tutela (ADNKRONOS).
Un altro scenario vedrebbe i prigionieri dell’Azovstal utilizzati come oggetto di scambio con i russi in mano ucraina, dando così un segnale positivo alle famiglie dei prigionieri russi e, di conseguenza, ottenere il favore dell’opinione pubblica russa.
Guardando al futuro, – sostiene Bertolotti – questi prigionieri serviranno alla Russia più vivi che morti, non fosse altro che per comminare ad alcuni di loro, i prigionieri più esposti in termini di responsabilità militare oppure da un punto di vista mediatico, pene esemplari. Lo stesso discorso vale anche per l’autorità della Repubblica Popolare del Donetsk, che ha le stesse responsabilità di chiunque detenga dei prigionieri” (ADNKRONOS).
Ucraina: la (lenta) avanzata russa e l’ipotesi di allargamento della NATO (tra pro e contro)
di Claudio Bertolotti
Intervista a Radio 1 Rai del 16 maggio 2022 (ore 16.05) e commento del Direttore C. Bertolotti
Il commento del Direttore Claudio Bertolotti (dal minuto 33.30″)
Sviluppi sul campo: le difficoltà russe e il
tentativo di accerchiamento (ora ridotto)
Sino a pochi giorni fa eravamo tutti concordi sul fatto
che lo sforzo maggiore da parte delle forze russe si sarebbe concentrato
sull’area di Izyum che, con i suoi snodi viari e le potenzialità tattiche, era
indicato quale obiettivo operativo di maggiore interesse per Mosca, poichè la
sua conquista avrebbe garantito al grosso delle forze russe di aggirare quelle
ucraine schierate (sul fronte di Luhansk e Donesk). Ed è per questo che su
entrambi i fronti la lotta si è fatta accanita.
Ora questo obiettivo, consistente nel completare un
accerchiamento su larga scala di unità ucraine dalla città di Donetsk a Izyum, sarebbe
stato abbandonato dai russi, in virtù dell’accanita resistenza ucraina e della controffensiva subita dai russi intorno a Kharkiv.
L’alternativa si è dunque ridimensionata a un’azione di
accerchiamento più ridotta, forse sempre più ridotta a causa delle gravi
perdite e delle limitazioni in termini di capacità di manovra. Questo potrebbe indurre
lo stato maggiore russo ad avviare una nuova operazione su Severodonetsk, da
nord e da sud, via Rubhizne, il che porterebbe ad ottenere un accerchiamento
delle truppe ucraine molto più ridotto rispetto a quanto inizialmente previsto.
Uno stallo? Si, ma a svantaggio della Russia (grazie
all’aiuto statunitense)
Di fatto la guerra di logoramento e attrito impone il
consolidamento delle linee del fronte, con poche puntate offensive, da entrambe
le parti, costringendo i contendenti a consumare le proprie forze con una
conseguente diretta riduzione della capacità operativa. Però, c’è un però. Da
un lato le forze russe, che comunque
mantengono un vantaggio tattico che si riduce sempre più, hanno attinto a una
parte consistente della riserva operativa (comprese le milizie e le compagnie
private di sicurezza); dall’altro lato le forze ucraine stanno ricevendo sempre
più consistenti e rilevanti aiuti dall’Occidente, in particolare da parte degli
Stati Uniti: artiglierie, carri armati, intelligence per un valore complessivo di
circa 40 miliardi di dollari, aiuti che vanno a sommarsi a quelli già donati.
Il budget russo per la difesa nel 2021 è stato di 65,9
miliardi di dollari (per farci un’idea quello italiano è di meno di 25 miliardi
di euro).
Questo dovrebbe darci un’idea di quelli che potrebbero
essere gli effetti devastanti per la Russia, in termini militari, di una guerra
di medio respiro in cui potrebbe precipitare Mosca. Va detto che, in termini di
capacità militare, produzione di armamenti e disponibilità di equipaggiamenti
la Russia avrebbe un’autonomia di almeno un anno. Il che si potrebbe tradurre
in uno scenario di guerra molto più duraturo di quanto non ci sarebbe aspettsti
all’inizio del conflitto con tutte le incognite del caso, incluso il ruolo
giocato da potenziali combattenti stranieri. Meno preoccupante dovrebbe essere
invece, ma il condizionale è d’obbligo, il ricorso all’armamento nucleare,
previsto dalla dottrina russa solo a determinate condizioni che, al momento,
non sono all’orizzonte (rischio esistenza dello stato o disfatta militare).
Svezia e Finlandia nella NATO? Pro e contro di un
allargamento
Dobbiamo essere molto cauti nel valutare pro e contro di
questo processo di allargamento della Nato. Una valutazione complessiva deve
tener conto di tre elementi cardine: il primo è il maggior onere per l’Alleanza
atlantica, i cui confini di prossimità con la Russia aumenterebbero, e con loro
anche lo sforzo in termini contributi militari, a cui solo in parte Svezia e
Finlandia riusciranno a compensare. Dall’altro lato, questo è il secondo punto,
è indubbio l’indebolimento oggettivo a cui la Russia sta andando incontro: un
indebolimento politico ed economico di medio-lungo periodo che sarà difficile
da recuperare. Infine, terzo elemento, va tenuto conto del non facile processo di
adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, la cui praticabilità passa attraverso
il consenso unanime degli alleati, e la Turchia ha già manifestato le proprie
riserve in merito: questo non vuol dire che i due nuovi paesi non saranno
ammessi, ma è certo che ciò avverrà a conclusione di trattative e negoziati che
Ankara non mancherà di mettere sul tavolo, anche in virtù dei vantaggi e delle
opportunità di un dialogo parallelo tra Russia e la stessa Turchia.
Il discorso del Presidente russo Vladimir Putin del 9 maggio, in occasione della parata per celebrare la vittoria sul nazismo nella seconda guerra mondiale, è stato volutamente rassicurante nei confronti dell’opinione pubblica russa, e volutamente contenuto. E al contempo è stato coerente con la visione russa di quanto sta accadendo e di come la sua classe dirigente, e con essa anche il suo popolo, percepisce l’ipotesi di una minaccia permanente. La frase pronunciata da Putin – cito – di un “pericolo cresciuto ogni giorno, la Russia ha dato un colpo preventivo” si colloca esattamente all’interno di questa percezione, che è nota come la sindrome da “fortezza sotto assedio”, una percezione storicamente presente all’interno della società russa e che per questo motivo ha definito la propria politica estera e scritto la dottrina strategica militare prevedendo “azioni preventive” in un’ottica difensiva. È una lettura interessante, che non si limita ad osservare quanto accade dal punto di vista ucraino o occidentale. Questo non vuol dire giustificare, ma offre uno strumento di lettura che spiega il relativo sostegno del sistema e del popolo russo a questa guerra.
Dal punto di vista operativo, lo scontro si è ormai
consolidato come guerra di attrito e logoramento e si sta trasformando in una sciagura
per la Russia, almeno rispetto alle aspettative iniziali. Russia che mantiene
il vantaggio tattico ma con un’Ucraina, sempre più sostenuta dagli Stati Uniti
e il Regno Unito e dagli altri paesi occidentali e della Nato, che si rafforza
sempre più e che, da una posizione di difesa, sta assumendo una postura attiva
caratterizzata da alcune azioni di contrattacco, non rilevanti sul piano
generale ma certamente significative e galvanizzanti per il morale delle truppe
di Kiev.
LE CONDIZIONI PER UN NEGOZIATO
E allora si guarda al negoziato, al momento lontano dal
potersi realizzare perché un negoziato, per essere tale, deve porre sullo
stesso piano, in posizione paritaria, i due contendenti; altrimenti è l’imposizione
della resa e come tale non verrà accettata da entrambi i soggetti. È necessario
trovare una soluzione mediata che consenta a Mosca e a Kiev di uscire a testa
alta nei confronti dei rispettivi cittadini. Detto in altri termini, la Russia –
e Putin per primo – non accetterà una soluzione che imponga un ritiro senza l’ottenimento
di un risultato concreto. Un risultato che non potrà escludere il controllo
della Crimea da parte della Russia, e con essa la continuità territoriale con
il Donbas.
MACRON: UNA RISPOSTA PRAGMATICA DA LEADER EUROPEO
Il presidente francese Emmanuel Macron ha dato una risposta da leader europeo, forte, pragmatica, razionale e molto lontana dall’idealismo di chi chiede il ritiro incondizionato della Russia e vuole una partecipazione europea che continui a insistere su un dialogo che parta dal presupposto dell’accordo politico come presupposto all’arresto delle manovre militari. Macron sa, e lo esplicita, che la Russia non farà un passo indietro che possa essere recepito o letto come un’umiliazione. Sostenere l’Ucraina affinchè la Russia non vinca è l’unica opzione per portare a uno stallo operativo da cui partire. Detto in altri termini: è dal campo di battaglia, e dai territori materialmente occupati, che si definisce la base di un accordo negoziale e non il contrario.
E Macron ha l’ardire, o l’onestà intellettuale, di
evidenziare un altro aspetto chiave: gli interessi dell’Unione europea non sono
gli stessi degli Stati Uniti. E questo spiega la ragione dei diversi approcci,
visioni, e partecipazione.
GLI INTERESSI DELL’UNIONE EUROPEA NON SONO QUELLI
STATUNITENSI
Guardando alla guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno
una priorità: indebolire la Russia. Una volontà, quella di Washington (e dell’amministrazione
guidata da Joe Biden), che non
considera le priorità europee e che percepisce la guerra ucraina come un’occasione
per porre un freno, economico prima che militare, all’attivismo russo sul piano
delle relazioni internazionali; anche a costo di un prolungamento forzato della
stessa guerra. Non che la Russia rappresenti una minaccia diretta per gli Stati
Uniti, ma l’occasione è quella di rendere Mosca l’anello debole di una possibile
coalizione russo-cinese in un’ottica di competizione tra Washington e Pechino.
Una competizione che ha ormai da tempo spostato l’asse strategico sull’Oceano Pacifico,
relegando il Vecchio Continente in una posizione subordinata e secondaria, ma
comunque utile e funzionale agli obiettivi di medio-lungo periodo.
Al contrario, i buoni rapporti tra la Russia e l’Unione
Europea, o meglio con alcuni paesi dell’Unione europea – per ragioni
prevalentemente commerciali ed energetiche –, rappresentano un potenziale
ostacolo a una posizione europea unitaria in termini di sanzioni nei confronti
di Mosca. Questo è un limite che lo stesso presidente francese, Emmanuelle
Macron, ha posto in evidenza, ancora una volta, invitando gli alleati e i
partner ad agire in maniera coerente con quelli che sono i principi e gli interessi
di quella stessa Unione che, al contrario degli Stati uniti, ha molto da
perdere dal perdurare di un conflitto ai propri confini e che coinvolge un
paese, l’Ucraina, che ha espresso il desiderio di entrare a far parte dell’Unione.
La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi
▶ Ascolta l’intervista di Marco Cochi: “La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi”. (“Africa oggi”, in collaborazione con Nigrizia).
di Marco Cochi
Dall’inizio dell’anno, i gruppi jihadisti attivi in Burkina Faso hanno distrutto o sabotato 32 impianti idrici nel nord. Tredici organizzazioni nazionali e internazionali, che forniscono assistenza umanitaria nel paese, hanno rilevato che gli attentati ai pozzi d’acqua e alle autocisterne hanno un grave impatto su 290mila persone. I ripetuti attacchi ai servizi idrici non costituiscono una conseguenza del conflitto, ma sono ormai un’arma di guerra che segna una nuova e spregevole svolta nelle violenze. La maggior parte delle distruzioni è avvenuta a Djibo, la città che ospita il maggior numero di sfollati in tutto il Paese, dove adesso la popolazione civile ha singolarmente accesso a meno di tre litri di acqua al giorno per coprire tutti i propri bisogni, dal bere all’igiene e alla cucina. Una disponibilità irrisoria rispetto agli almeno 50 litri a persona consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per garantire condizioni di vita accettabili.
▶ Ascolta l’intervista di Marco Cochi: “La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi”. (“Africa oggi”, in collaborazione con Nigrizia).
9 maggio: la guerra russo-ucraina tra retorica e scontro militare
L’intervento del direttore Claudio Bertolotti a Teleticino (dal minuto 15), Puntata del TG del 6 maggio 2022.
Guarda il video e leggi l’estratto del commento di Claudio Bertolotti, direttore di START InSight
9 maggio: un momento
segnato in rosso nell’agenda russa, cosa ci dobbiamo aspettare?
Credo che siano due le aspettative associate al 9 maggio: la
prima è un’intensificazione della narrativa associata alla vittoria della Russia
contro il nazismo che vedrà una conferma nella caduta di Mariupol difesa fino
alla fine da quegli ucraini che la propaganda russa associa ai nazisti, in
particolare il battaglione Azov, che pur non essendo stata l’unica unità
impegnata nella difesa della città è però quella che ha ricevuto più e forse
esclusivamente attenzione mediatica. Dunque Putin avrà gioco facile nel
dichiarare l’ottenimento di un successo così importante.
La seconda aspettativa è invece rivolta al campo di
battaglia dove le forze russe stanno intensificando le azioni, in particolare
nell’area di Kharkiv e Izium, che sono due obiettivi strategici primari. Solo
con la loro conquista la Russia potrà agevolmente procedere con l’offensiva sul
Donbass e chiudere in una morsa mortale le truppe ucraine che ancora oggi sbarrano
la strada agli invasori russi.
Più in generale
spesso gli analisti affermano che la Russia non si aspettava questa resistenza
Ucraina. La Russia è in difficoltà? La Russia è indubbiamente in difficoltà:
prevalentemente sono difficoltà logistiche per le truppe schierate al fronte, e
difficoltà tattiche che devono sostenere i battaglioni russi a causa della
resistenza ucraina sostenuta dai paesi occidentali. È però vero che la Russia,
ad oggi, mantiene il vantaggio tattico, ossia ha ancora il potere di imporre i
tempi e le azioni sul campo di battaglia. Una capacità di manovra, quella
russa, superiore a quella ucraina, dovuta anche alla superiorità di mezzi ed
equipaggiamenti corazzati e di artiglierie che invece sono presenti in maniera
ancora limitata sul fronte di Kiev e su cui gli alleati e sostenitori dell’Ucraina
stanno discutendo su qualità e quantità di aiuti militari che saranno necessari
all’Ucraina per sopravvivere resistendo, anche se ciò non potrà avvenire all’infinito.
Secondo lei che
scenari si prospettano per il futuro? È in gioco la sopravvivenza politica
di Putin e, ancor di più, della sua eredità politica. È dunque altamente
improbabile che, salvo eventi eccezionali, la Russia decida di sospendere le
operazioni militari. È vero che la Russia ha già ottenuto un notevole
vantaggio: impoverire l’Ucraina, azzerarne le infrastrutture, rendere di fatto
il Mare d’Azov un mare nostrum russo attraverso la continuità territoriale dal
Dondass alla Crimea passando per Mariupol.
Molto dipende dunque dal ruolo che intendono giocare i partner occidentali di Kiev, in particolare gli Stati Uniti. Al momento l’obiettivo primario di Washington sembra essere quello di indebolire sul lungo periodo la Russia, e le sanzioni economiche vanno in questa direzione e certo non vanno a incidere sulle dinamiche militari. E, in particolare, gli aiuti militari, sono si consistenti, ma adeguati a una buona difesa, ma non a un’azione controffensiva risolutiva, tutt’al più ad azioni di contrattacco, anche di rilievo, ma non decisive.
Sarà una lunga
guerra? Sulla carta (perlomeno) quali vie d’uscita ci sono?
La soluzione della guerra russo-ucraina sarà determinata dai
risultati sul campo di battaglia, a cui gli accordi negoziali, qualcuno li chiamerà
accordi di pace, saranno subordinati. Nessuna trattativa sarà conclusa finchè la
Russia non avrà raggiunto l’obiettivo minimale, nella migliore delle ipotesi il
consolidamento delle posizioni attuali, o quello massimalista: il
congiungimento dei territori costieri dalla Crimea alla Transnistria, di fatto
trasformando l’Ucraina in un’enclave terrestre senza sbocco sul mare. Le
prospettive, dunque, sono quelle di una guerra a media intensità che potrebbe
durare mesi o addirittura anni.
🔴20 fa la guerra in Iraq ⬇ @cbertolotti1👉 "una delle guerre più controverse e disastrose degli ultimi decenni; una guerra in cui gli effetti negativi hanno superato di gran lunga qualsiasi possibile risultato positivo" | Start Insight startinsight.eu/ventanni-fa-l…
"Accuse al Cremlino di mandare i suoi mercenari a morire a Bakhmut." ➡ @cbertolotti1 "A Putin non conviene indebolirlo, ne va dell'influenza russa." huffingtonpost.it/esteri/2023…
📌A un anno dal suo inizio, tutte le fasi della guerra russo-ucraina nell'analisi di #FabioRiggi ⬇ natura del conflitto, lezioni apprese, insegnamenti della storia militare, scenari futuri ⬇
Start Insight startinsight.eu/dallo-stallo-…
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