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Ucraina (D+95) Lotta per il Donbas: come i russi stanno imparando dai propri errori. Il commento del Generale Mick Ryan

di Mick Ryan, AM, Strategist, Leader & Author, Retired Army Major General

@WarintheFuture

Nei 95 giorni trascorsi dall’invasione della Russia in #Ucraina, ho esplorato l’adattamento e il modo in cui le istituzioni militari imparano durante la guerra. Oggi esamino ciò che le ultime due settimane nel Donbas ci dicono su come i russi stanno imparando nella battaglia di #adattamento in corso.

Sir Michael Howard ha scritto in “The Uses and Abuses of Military History” (trad. Gli usi e gli abusi della storia militare) che le istituzioni militari normalmente sbagliano la guerra successiva, per lo più per ragioni che sfuggono al loro controllo. Pertanto, una virtù importante per le organizzazioni militari deve essere l’adattabilità agli eventi inattesi.

A marzo ho esplorato il concetto di adattamento in guerra e il modo in cui gli sforzi di trasformazione della Russia dal 2008 sembrano aver ottenuto miglioramenti minimi a livello tattico e strategico. Nelle ultime settimane, i russi hanno compiuto progressi costanti, anche se lenti, nella condotta della loro offensiva orientale nel Donbas. Progressi che indicano comunque come i russi stiano apprendendo dai loro precedenti fallimenti.

Prima di esplorare questo aspetto in dettaglio, è necessaria una breve deviazione per definire un quadro di riferimento utile ad esplorare dove i russi hanno appreso. Le organizzazioni militari utilizzano questi principi per addestrare i soldati, sviluppare tattiche comuni e organizzare le formazioni di combattimento e di supporto. Principi che si traducono in direttive, di fatto “verità essenziali” sulla condotta pratica di guerre, campagne militari e operazioni di successo. Nel contesto di questa analisi dell’apprendimento russo, spiccano in particolare tre principi di guerra: la selezione e il mantenimento dell’obiettivo, la concentrazione della forza e la cooperazione.

In qualsiasi azione militare, l’obiettivo deve essere semplice, ampiamente compreso e nei limiti delle forze disponibili. Gli obiettivi bellici iniziali della Russia erano di ampio respiro e non prevedevano un massiccio aiuto militare occidentale all’Ucraina. È diventato presto chiaro che questi obiettivi erano al di là delle capacità militari russe. I russi stavano usando un esercito d’invasione più piccolo di quello dello Stato che stavano attaccando, e hanno fallito. Più di recente – come evidenziato nei briefing degli alti ufficiali russi – hanno consolidato le loro mire verso obiettivi più ristretti nell’est del Paese. E hanno spostato le loro forze per avere maggiori possibilità di raggiungere questi obiettivi strategici più limitati.

Concentrazione degli sforzi. Il successo in guerra spesso dipende dalla concentrazione delle forze militari nel momento e nel luogo più opportuno. Questa dovrebbe essere supportata da sforzi come le operazioni informative e la diplomazia per amplificare l’impatto delle forze militari. A livello più elevato, Mosca ha nominato un alto generale come comandante generale della campagna ucraina. Egli ha supervisionato un approccio brutale e distruttivo nella parte orientale, ma è probabile che i russi vedano i loro limitati guadagni come grandi successi.

Ma sostenere l’apprendimento tattico per generare un vantaggio operativo sarà una sfida significativa, date le altre carenze della leadership russa. È troppo poco, e troppo tardi?

Ciò impone una questione più ampia: quale potrebbe essere l’impatto di tale apprendimento tattico russo sulla condotta complessiva della guerra? E data l’intensità delle operazioni orientali della Russia, saranno ancora in grado di effettuare operazioni offensive dopo le prossime settimane?

Questo dipende dalla logistica russa, dalla strategia difensiva ucraina, dall’afflusso di aiuti occidentali e dalla condotta di offensive ucraine altrove che potrebbero distrarre le forze russe. E l’adattamento tattico a breve termine (anche se difficile) è più semplice dell’adattamento strategico a lungo termine. Murray, Knox e Bernstein hanno scritto: “È più importante prendere decisioni corrette a livello politico e strategico che a livello tattico. Gli errori nelle operazioni e nelle tattiche possono essere corretti, ma gli errori politici e strategici vivono per sempre“.

La Russia ha dimostrato una certa capacità di imparare dai suoi fallimenti tattici. Ma la sua capacità nazionale di imparare e adattarsi agli impatti economici, diplomatici, informativi e di altro tipo della sua strategia fallimentare di invasione dell’Ucraina resta da vedere. Questo probabilmente prolungherà la guerra.

Editore Claudio Bertolotti, Direttore START InSight, @cbertolotti1

info@startinsight.eu


Ucraina: ripresa delle operazioni offensive russe verso Slovyansk. Il punto di C. Bertolotti per RaiNews 24

Le forze russe hanno intensificato gli attacchi aerei e di artiglieria a sud-est di Izyum in preparazione della prevista ripresa delle operazioni offensive verso Slovyansk, facilitata dalla presa di Popasna.

Il commento del Direttore Claudio Bertolotti nella puntata del 24 maggio di “IN UN’ORA”, RaiNews 24.
Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a “In Un’Ora”, trasmissione di approfondimento di RaiNews24 del 24 maggio 2022

L’Institute for the Study of War (ISW) conferma che i battaglioni russi starebbero continuando a operare nelle aree di Izyum, per sfondare a sud-est verso Slovyansk, e di Popasna – che sarebbe appena stata espugnata dai russi – per raggiungere verso nord Severodonetsk e nord-ovest Kramatorsk, allo scopo di prendere il controllo dell’autostrada M3 (E-40) e chiudere così in una sacca i reparti ucraini impegnati sul fronte del Donbass nel saliente di Izyum-Lyman-Severodonetsk-Hirske-Popasna.

C’è da evidenziare che anche in questo quadrante le truppe russe hanno subito pesanti perdite nel tentativo di forzare il fiume Siverskyi Donets ma se la manovra di accerchiamento tra Izyum e Popasna avesse successo il Donbass potrebbe cadere finalmente nelle mani loro e dei separatisti del Donbass. Ma le notizie che pervengono dal fronte, conferma l’ISW, ci raccontano di una avanzata che, pur con successi locali, continua ad essere almeno sinora ancora lenta. I russi hanno sicuramente subito perdite pesanti, ma gli ucraini hanno visto le proprie componenti corazzata e aerea quasi completamente distrutte.


Ucraina: Generali sotto tiro e “terminator” in azione in Donbass (D+87)

di Luigi Chiapperini*

Punto di situazione sul conflitto russo-ucraino al D+87

La fase più critica del conflitto in Ucraina si sarebbe forse potuta chiudere in due o tre giorni solo se il presidente Zelensky fosse fuggito e il governo ucraino fosse crollato. A quel punto si sarebbe assistito all’inizio dell’occupazione russa con il molto probabile avvio della resistenza ucraina sotto forma di guerriglia.

Ma tutto ciò non è avvenuto e la situazione sul terreno è quella che un po’ tutti abbiamo imparato a conoscere: il tentativo fallito di assedio a Kiev e la penetrazione nell’est con attacchi reiterati su Kharkiv dall’esito anch’esso non positivo mentre a sud la situazione, che ha visto le forze russe provenienti dalla Crimea e quelle filo-russe del Donbass chiudere l’Ucraina in una sorta di enclave terrestre (ad esclusione al momento di Odessa il cui porto peraltro è chiuso con conseguenze drammatiche per l’approvvigionamento di cereali nel mondo), sembra essersi cristallizzata da qualche settimana.

Colpa dei generali russi che avrebbero pianificato male e condotto peggio l’operazione?

In un ambiente permeato dalla cultura del capro espiatorio è stato alquanto normale “silurare” un certo numero di vertici militari, tra i quali il generale Serhiy Kisel, che sarebbe stato sospeso “per non essere riuscito a conquistare Karkhiv”, e il vice ammiraglio Igor Osipov, che sarebbe stato licenziato “a seguito dell’affondamento dell’incrociatore Moskva”. Probabilmente anche il capo di stato maggiore russo, il Gen. Valeriy Gerasimov, non avrebbe più la totale fiducia di Putin ma al momento sembra essere rimasto al suo posto.

Lo scopo dell’attacco, ma anche il modo con il quale l’Ucraina è stata invasa il 24 febbraio scorso, ha fatto partorire discussioni e teorie più o meno valide tra vecchi e nuovi geo-strateghi e analisti militari (affidabili o presunti tali).

A nostro avviso quella russa è stata una penetrazione su un fronte troppo ampio (ben 1.500 km. circa) verosimilmente non per un errore operativo da parte dei decisori militari russi (sarebbe stato veramente imperdonabile) ma per una scelta strategica da parte del vertice politico ben precisa ancorché azzardata: indurre il panico nella popolazione e nelle istituzioni e costringere il governo ucraino a capitolare in pochi giorni. O almeno così si sperava.

Come sappiamo, ciò non è avvenuto e pertanto i russi hanno dovuto dapprima, ma senza successo e con non pochi problemi di natura essenzialmente logistica, immettere le seconde schiere e le unità in riserva e successivamente riarticolare l’intero dispositivo abbandonando gli sforzi su Kiev e più recentemente su Karkiv per assicurare una sufficiente gravitazione delle forze nelle aree che possono essere considerate gli obiettivi territoriali minimi di Putin: la regione completa del Donbass e l’area costiera meridionale dell’Ucraina.

Il tutto naturalmente in funzione delle richieste russe al tavolo delle trattative che si rifanno verosimilmente al discorso del presidente Putin del 22 febbraio 2022: Ucraina neutrale, Crimea russa, Donbass “libero”.

In realtà il numero dei cosiddetti BTG (Batalonnaja Takticheskaja Gruppa), cioè delle Task Force russe di livello battaglione impiegate (ognuna costituita da circa 800-1.000 soldati), è stato sinora di circa 90 su 180 totali teoricamente disponibili nella Federazione russa. Le sole forze di manovra russe in Ucraina sono pertanto formate da circa 80-90.000 soldati mentre il totale impiegato, comprese le milizie delle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk, raggiunge verosimilmente le 150.000 unità. Le forze armate ucraine dovrebbero invece aver ormai toccato, tra forze regolari e milizie territoriali, le 200-250.000 unità dislocate però sull’intero territorio nazionale, naturalmente con una maggiore concentrazione nelle aree a contatto con quelle russe dove si presume siano impiegati circa 150.000 soldati e miliziani (non tutti impiegabili in un combattimento ad alta intensità). Da questi numeri si può dedurre pertanto un rapporto di forza che solo attualmente è di 1:1 mentre a inizio conflitto, stante la eccessiva lunghezza del fronte, era verosimilmente sfavorevole alle forze attaccanti russe la cui superiorità aerea e qualitativa di alcuni degli equipaggiamenti non sembra peraltro essere stata decisiva. Se infatti esaminiamo quello che nelle scuole di guerra si definisce “rapporto di spazio”, si scopre che a inizio operazione, con il numero disponibile di BTG, che teoricamente avrebbero potuto coprire circa 600 (massimo 900) km. sulla fronte, i russi hanno dovuto invece attaccare gli ucraini su un’ampiezza non sostenibile in quanto pari quasi al doppio di quanto previsto dalla dottrina.

Da qui, oltre ad altri fattori come l’ottima performance dell’esercito ucraino (quadri preparati, soldati motivati, piani predisposti) e l’aiuto che si è rivelato fondamentale da parte occidentale (in particolare la presunta “assistenza” all’intelligence ucraina, armi controcarro e sistemi d’arma contraerei moderni ed efficaci), è scaturito il mancato raggiungimento di tutti gli obiettivi iniziali auspicati dalla leadership russa.

La seconda fase, in atto, delle operazioni russe

Alla prima fase dell’attacco “generalizzato” che ha coinvolto quasi la metà dell’intera frontiera terrestre ucraina, parzialmente fallito, è seguita la fase attuale che vede i russi combattere su un fronte molto più ristretto a sud-est e a sud. Ma le notizie che pervengono dalla linea di contatto ci raccontano di una avanzata che, pur con successi locali, continua ad essere ancora relativamente lenta. Molti commentatori ritengono che anche in questa seconda fase l’offensiva russa abbia raggiunto il culminating point (punto culmine), cioè una situazione in cui non sarebbe più in grado di operare avendo immesso in combattimento tutto il suo potenziale bellico senza aver completato la missione.

È veramente così? Probabilmente no. Bisogna tener conto del fatto che siamo di fronte ad un conflitto che almeno inizialmente aveva natura simmetrica, intesa come confronto tra forze convenzionali di qualità e consistenza pressoché similari e che grazie agli aiuti occidentali continuerà ancora ad essere tale. È vero che anche in questo quadrante le truppe russe hanno subito pesanti perdite come ad esempio nel tentativo di forzare il fiume Siverskyi Donets, ma è d’uopo evidenziare che oltre alla sin qui efficace resistenza degli ucraini che, non dimentichiamolo, conoscono molto bene l’area avendo operato negli ultimi otto anni contro i separatisti russofoni, l’offensiva delle forze russe e filo-russe risente negativamente di orografia, idrografia e presenza antropica che non consentono una agevole manovra, manovra che grazie ad alcuni importanti successi locali solo ora sembra iniziare a produrre risultati positivi in particolare a Izyum, a Popasna e nella stessa Severodonetsk.

Inoltre i russi possono contare ora non solo sulle forze recuperate e già immesse nuovamente in combattimento dalle direttrici non più operative del nord (Kiev) e del nord est (Sumy), ma anche sui circa 10 BTG che erano impegnati a Mariupol. Questi ultimi, dopo un adeguato ricondizionamento, potranno andare a rafforzare la gravitazione esercitata su Severodonetsk dando la spallata decisiva alle forze ucraine in difesa oppure per andare a ristabilire una linea del fronte che a Kherson-Mykolayiv continua a presentare non pochi problemi. 

Comunque lo sforzo principale in questa fase sembra essere proprio quello in Donbass dove i BTG russi, come detto, operano nelle aree di Izyum (per sfondare a sud-est verso Slovyansk) e di Popasna (per raggiungere verso nord Severodonetsk e nord-ovest Kramatorsk), allo scopo di assumere il controllo dell’autostrada M3 (E-40). Questa manovra di accerchiamento chiuderebbe in una sacca i reparti ucraini (probabilmente una ventina di BTG) impegnati nel saliente di Izyum-Lyman-Severodonetsk-Hirske-Popasna.

Se la manovra di accerchiamento tra Izyum e Popasna dovesse avere successo, sarebbe indubbiamente raggiunto e superato un punto decisivo della linea di operazione il cui obiettivo è la conquista dell’intero Donbass.

Sempre a sud, dopo ben 84 giorni di resistenza nelle locali acciaierie, divenute ormai un ammasso di macerie, Mariupol è stata definitivamente conquistata. I russi e le milizie del Donbass, oltre ad aver liberato forze da poter impiegare altrove, hanno così assicurato quel continuum territoriale con la penisola di Crimea che riveste grandissimo valore simbolico oltre che economico. Inoltre, mentre continua lo sforzo verso nord per raggiungere l’importante città di Zaporizhzia, a nord-ovest della penisola si continua a combattere lungo la linea Kherson – Mykolayiv con esito alterno sin dall’inizio del conflitto. La mancata acquisizione completa di questa area, oltre alle perdite dell’incrociatore lanciamissili Moskva e di alcune navi anfibie, è uno dei motivi per i quali i russi non sono ancora riusciti ad attaccare Odessa, altra città simbolo dell’Ucraina e “porta da sfondare” per congiungere la Russia alla Transnistria, regione moldava dichiaratasi anch’essa autonoma e che nel 2014 ha chiesto l’adesione a quella che considerano la loro “madrepatria”.

Riassumendo, concentrando l’attenzione agli “oblast” meridionali dell’Ucraina, i russi intendono finalmente impiegare in maniera più consona e rispondente ai principi basilari della dottrina militare le proprie unità, almeno per quanto riguarda il giusto rapporto di forze e spazio. Il fronte ha ora una lunghezza tale da poter essere investito con maggiore efficacia dai BTG disponibili.

I russi hanno sicuramente subito perdite considerevoli, ma gli ucraini hanno visto le proprie componenti corazzata e aerea quasi completamente distrutte e una parte consistente del proprio territorio cadere in mani russe. Solo i citati aiuti militari occidentali, compresi i carri armati T-72 polacchi, e la loro grandissima motivazione, hanno consentito agli ucraini di continuare a porre in atto una difesa alquanto efficace che potrebbe portare eventualmente a un conflitto di attrito e quindi di lunga durata. Ecco che per i russi potrebbe essere necessario passare alla fase 2.1, cioè vincere in Donbass e nell’area di Odessa nel più breve tempo possibile impiegando nuovi micidiali mezzi.

I possibili nuovi protagonisti dei campi di battaglia in Ucraina

Per detti motivi, oltre a un impiego ancora più massiccio dei migliori sistemi d’arma come i missili ipersonici ad alta precisione aria-terra Khinzal e terra-terra Iskander con gittate rispettivamente di 2.000 e 500 km. o i micidiali TOS-1 (Buratino), sistemi montati su telai di carri armati T-72 in grado di lanciare missili con testate termobariche, alcuni ritengono che stiano per comparire sul campo di battaglia altri sistemi d’arma russi modernissimi che per una serie di motivi, primo tra tutti proprio perché da poco usciti dalle linee di montaggio, non sono stati ancora impiegati.

Ecco alcuni di questi nuovi mezzi, limitandoci a quelli operanti nell’ambiente terrestre che è risultato essere stato sinora quello più sanguinoso e che sarà decisivo per le sorti del conflitto.

Come detto, fondamentale risulta la capacità di acquisire informazioni su entità, dislocazione natura e atteggiamento del nemico. Per fare questo anche gli ucraini dispongono di droni (alcuni dei quali probabilmente forniti dalle nazioni che stanno contribuendo alla sua difesa) contro i quali sembra che negli ultimi giorni i russi abbiano utilizzato un sistema d’arma laser, lo Zadira, che secondo il vice premier russo Yuri Borisov è “capace di incenerire un drone ma anche altri mezzi a 5 km di distanza”.

Relativamente ai mezzi più “convenzionali”, sin dall’inizio delle operazioni i russi impiegano i carri armati T-72B3M e quelli delle serie T-80 e T-90, i quali sono equipaggiati con sistemi di protezione ERA (Explosive Reactive Armour, cioè corazzature reattive esplosive) del tipo Kontakt-5 e Relikt, considerate fino a febbraio molto avanzate ma che sono risultate non sufficientemente idonee a fronteggiare le nuove minacce dei temibili missili controcarri occidentali, ad esempio i Javelin.

Ecco perché la Russia potrebbe inviare in Ucraina i mastodontici (rispetto agli standard dei veicoli sinora prodotti in oriente) T-14 Armata, mezzi con caratteristiche similari a quelle dei carri occidentali sia in termini di dimensioni che di utilizzo esteso dell’elettronica ma che avrebbero la capacità di sparare fino a dieci colpi da 125 mm. al minuto e colpire bersagli a una distanza di sette chilometri.

Per dare un’idea di quanto sia potente l’ultimo nato in casa russa, il carro armato statunitense M1 Abrams può sparare “solo” tre colpi al minuto e ha una portata di “appena” 4.500 metri. Inoltre, il nuovo carro dispone di corazza reattiva Malachit e di un sistema di protezione attiva Afganit che include un radar a onde millimetriche per rilevare, monitorare e intercettare munizioni anticarro in arrivo a similitudine dell’avanzatissimo sistema israeliano Trophy. Di MBT (Main Battle Tank) T-14, che ha avuto una genesi a dir poco travagliata proprio a causa della sua complessità e dei costi di sviluppo e produzione molto elevati, ce ne sono al momento disponibili relativamente pochi (alcune decine) nelle disponibilità di una delle divisioni di punta dell’esercito russo, la 2^ Divisone della Guardia “Tamanskaya”. La domanda è se i russi si fideranno ad immettere in combattimento un veicolo sicuramente mobile, protetto e potente ma verosimilmente non ancora maturo in quanto non testato a sufficienza.

Sui campi di battaglia dell’Ucraina potrebbe comparire anche il nuovo mezzo da combattimento per la fanteria da affiancare al T-14. Avendo la stessa piattaforma ha lo stesso nome, Armata, ma con codice identificativo diverso: T-15. I fanti russi, che hanno subìto pesanti perdite a seguito della distruzione di mezzi scarsamente protetti come i BMP-2 e 3, non vedono l’ora di riceverli ma non sarà così semplice. Come per i T-14, ne sarebbero disponibili al momento poche decine di unità. Anche questo mezzo, inoltre, potrebbe avere gli stessi problemi di “maturità” del fratello maggiore T-14.

Un altro mezzo micidiale che è già stato dispiegato verso la metà del mese di maggio 2022 in Donbass è il BMPT Terminator-2, un veicolo idoneo ad affiancare i carri armati in particolare nei centri abitati in quanto dispone di un set di armi composito: una mitragliatrice cal. 7,62 e due lanciagranate anti personale, due cannoni da 30 mm contro veicoli blindati e 4 lanciatori per missili guidati contro carri. Il modello che viene già impiegato è su scafo T-72, quindi risalente all’epoca sovietica ancorché migliorato. Un nuovo modello molto più protetto, più automatizzato e anche con capacità contraerea è il BMPT-15 Terminator-3, un sistema d’arma su scafo del citato Armata.

Grazie alla disponibilità di detti mezzi, i russi potrebbero costituire alcuni BTG modernissimi con i quali dare l’ultima spallata alla resistenza ucraina in Donbass e a Odessa.

* Generale di Corpo d’Armata dei lagunari Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, Vice Capo del Reparto Pianificazione Generale e Direzione Strategica / Politica delle Alleanze presso lo Stato Maggiore Difesa, Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e collaboratore del Campus universitario CIELS di Padova.


Ucraina: il rischio di una strategia difensiva russa. Il commento del generale Mick Ryan

di Mick Ryan, AM, Strategist, Leader & Author, Retired Army Major General

@WarintheFuture

Mentre l’offensiva dell’esercito russo continua a est, è probabile che a breve termine le forze di Mosca possano raggiungere il limite massimo della loro capacità offensiva. In questo quadro, oggi esploro cosa potrebbe significare per i russi il passaggio a una strategia difensiva in Ucraina.

L’esercito russo ha tentato di riavviare i suoi sforzi in Ucraina. Ha sostituito alti comandanti accusati di fallimento, ha riorganizzato le unità di combattimento, ha iniziato a consolidare le posizioni difensive a nord di Kharkiv e ha condotto ulteriori attacchi missilistici strategici in tutta l’Ucraina.

Raggiunto il livello massimo di capacità operativa russa

L’attuale fulcro operativo delle forze russe è concentrato sul fronte orientale e, in particolare, nell’attività di messa in sicurezza della regione del Donbas. Rispetto alle grandi aspirazioni di Putin nei primi giorni della guerra [quello che si sta definendo] è un obiettivo relativamente modesto. E nonostante il ridimensionamento dei suoi obiettivi, l’esercito russo sta ancora lottando per compiere progressi significativi di fronte all’ostinata difesa degli ucraini e al massiccio afflusso di aiuti militari occidentali. Migliaia di soldati russi sono stati uccisi o feriti e centinaia di veicoli blindati distrutti nell’est del Paese. Nonostante tutto questo sforzo, nell’ultimo mese Mosca ha ottenuto limitate conquiste territoriali.

È possibile che, per supportare la loro offensiva a est, i russi possano lanciare attacchi nelle regioni di Zaporizhia e Kherson. Ma, data la portata della mobilitazione militare ucraina, la quantità di aiuti occidentali e la dimostrata incapacità dei russi di intraprendere con efficacia operazioni su larga scala, è improbabile che anche questo possa portare a risultati significativi. Per questo motivo, è probabile che la capacità russa di continuare le operazioni offensive sia vicina a raggiungere il suo limite massimo.

Gli ucraini hanno corroso la capacità fisica, morale e intellettuale dell’esercito russo. Putin e l’alto comando militare continueranno a chiedere sforzi, progressi e risultati, ma a un certo punto, nel prossimo mese o due, ogni capacità di farlo sarà esaurita. Troppe unità da combattimento russe vengono sprecate, e troppi soldati e giovani ufficiali non hanno la volontà di dare la loro vita per un’istituzione che non riesce nemmeno a nutrirli adeguatamente.

Le quattro sfide per i russi: difensiva, governance, insurrezione, morale

Ma pur a fronte di questa situazione, non dobbiamo illuderci che questo significhi “sconfitta” per i russi, o che questi possano presto lasciare l’Ucraina. Al contrario, i russi passeranno semplicemente a una strategia difensiva. Se a prima vista ciò può sembrare una semplificazione dei problemi dei russi in Ucraina, in realtà solleva una nuova serie di sfide.

La prima sfida è che non avranno più l’iniziativa. L’esercito russo, in una strategia difensiva, sarà in modalità di reazione [e non più di azione]. L’esercito ucraino potrà decidere dove e quando ingaggiare i russi. [In tale possibile scenario], l’iniziativa strategica, operativa e tattica spetterebbe agli ucraini. Questo darebbe all’alto comando militare ucraino flessibilità riguardo al momento, al luogo, alla forza e alla sequenza delle inevitabili controffensive che condurrà per la riconquista dei territori occupati.

Una seconda sfida per i russi è rappresentata dal fatto che molte delle loro unità passeranno dalle operazioni militari [di manovra] alle attività di “supporto all’occupazione”. In effetti, i soldati dovranno diventare governatori nelle aree dell’Ucraina che ancora detengono e che cercano di convertire in colonie russe. Questo non solo sottrarrà [più di quanto già non sottragga] forze militari per la difesa dalle operazioni ucraine, ma richiederà una serie di capacità e competenze normalmente non presenti nelle istituzioni militari russe, in primis la capacità di amministrazione civile. E, come già i russi hanno [amaramente] scoperto in Siria e in Cecenia, [questo è un esercizio] straordinariamente costoso.

Una terza sfida per gli occupanti russi, che andrà ad aggravare i loro già enormi problemi, è che probabilmente dovranno affrontare un movimento di resistenza insurrezionale. Come gli ucraini hanno dimostrato nel corso di questa guerra, sono un popolo fiero, determinato e coraggioso. Ci sono già notizie di insorti ucraini che operano nel sud del paese e, con il passare del tempo, questo fenomeno è destinato ad aumentare nelle aree sotto il controllo dei russi. E i russi sono ben consapevoli del fatto che questi insorti saranno ben sostenuti dall’Occidente.

Infine, l’esercito russo ha un problema di morale. Nel suo saggio su Foreign Affairs, Dara Massicot (@MassDara) descrive una “cultura dell’indifferenza verso il proprio personale che compromette fondamentalmente l’efficacia dell’esercito russo”. A questo problema culturale si sono aggiunti i numerosi rapporti delle agenzie di intelligence e dei media sulle diserzioni dell’esercito russo, sull’incapacità di recuperare i propri morti e sulla mancanza di sostegno alle famiglie dei militari.

I limiti di un esercito di occupazione

Queste sfide peseranno tanto di più quanto più con il trascorrere del tempo e saranno intensificate da un’occupazione a lungo termine caratterizzata da soldati mal guidati, destinati all’amministrazione delle aree occupate, impegnati in una guerra insurrezionale e [con la pia illusione] di conquistare i cuori e le menti degli ucraini patriottici. E l’impiego di un esercito di occupazione imporrà la presenza costante di un gran numero di russi, molti di più di quelli attualmente dispiegati.

La recente decisione ucraina di porre termine alla difesa dell’acciaieria di Mariupol ha rappresentato una piccola vittoria di Pirro per i russi. Ma è improbabile che l’esercito russo ottenga altri piccoli successi di questo tipo. Man mano che la loro offensiva orientale perderà slancio, i russi dovranno così inevitabilmente passare a una strategia difensiva: nel farlo, il loro esercito dovrà affrontare una nuova serie di sfide, sempre più difficili.


Ucraina: il paradosso dei prigionieri dell’Azovstal (Adnkronos).

Bertolotti (Ispi): “La Russia potrebbe ‘mediare’ per liberare i prigionieri Azovstal”

Tratto dall’articolo originale di Cristiano Camera per ADNKRONOS.

L’analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, interpellato da ADNKRONOS, rileva il possibile paradosso, in sede di negoziati futuri, con Mosca che potrebbe trattare la scarcerazione dei militari detenuti nel Donetsk in cambio di concessioni.

La domanda vera sul lungo assedio dell’Azovstal e sulla sua resa, sulla caduta dell’ultimo baluardo della difesa di Mariupol, è cosa ne sarà dei militari che fino all’altro ieri erano asserragliati nell’ex acciaieria ucraina. Di cosa ne farà la Russia, se saranno più utili da vivi che da morti e se saranno sottoposti a un processo regolare e la loro detenzione rispetterà il diritto internazionale dei prigionieri di guerra oppure no, tutto questo dipenderà anche da un ragionamento di opportunità. Lo sostiene parlando con l’Adnkronos Claudio Bertolotti, analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) e direttore di START InSight, secondo cui “il fatto che i prigionieri non siano detenuti in Russia, ma in due villaggi della Repubblica Popolare del Donetsk, potrebbe permettere a Mosca di non entrare direttamente nella questione, lasciando all’autoproclamata repubblica l’onere dell’eventuale gestione della sanzione o della pena. E’ una scelta di opportunità che la Russia potrebbe mettere sul tavolo negoziale proponendosi come intermediario facilitatore per la loro liberazione. Una situazione che potremmo definire paradossale e che sembra essere creata ‘ad hoc’ per escludere la Russia da ovvie conseguenze sul piano del diritto internazionale. Ma sappiamo che in guerra si coglie ogni opportunità, in questo caso quella di ottenere su un futuro tavolo negoziale una qualche concessione” (ADNKRONOS).

“Secondo il diritto internazionale – ricorda Bertolotti – i prigionieri di guerra non devono essere sottoposti a maltrattamenti e torture e dovrebbero essere posti sotto il controllo e interfacciarsi con il comitato internazionale della Croce Rossa. Questa è una responsabilità che le autorità che detengono i prigionieri di guerra devono rispettare, secondo la convenzione di Ginevra. Qui però sorge il vero problema, dato che la Russia non ha formalizzato lo stato di guerra con l’Ucraina, insistendo invece sempre sull’operazione militare speciale. Questo risolve i problemi di Mosca in termini di gestione politica interna del dossier Ucraina ma non sul piano del diritto internazionale, secondo cui la salvaguardia e la tutela della vita dei prigionieri spetta all’autorità di governo che detiene quelle persone”. Una responsabilità che, come detto, la Russia potrebbe delegare al Donetsk, salvo poi proporsi come mediatrice per una successiva liberazione dei prigionieri in cambio di concessioni al tavolo delle trattative. “Se però è vero che qui non si tratta formalmente di prigionieri di guerra – rileva l’analista- in quanto non c’è uno stato di guerra formale, siamo comunque di fronte a uno stato di guerra sostanziale. Tuttavia queste persone, pur non rientrando nella categoria di prigionieri di guerra, godono dei loro stessi diritti” (ADNKRONOS).

“Un altro aspetto importante – fa notare il ricercatore dell’Ispi – è che la Russia ha parlato spesso di ‘terroristi’ facendo riferimento ai combattenti di Mariupol e in particolare ai componenti del Battaglione Azov, che raccoglie al suo interno anche soggetti ideologicamente schierati su posizioni neonaziste. E la narrativa della guerra russa, dell’operazione speciale in Ucraina, ha insistito moltissimo sulla questione neonazista, sulla liberazione dal nazismo delle popolazioni dell’Ucraina. Questo non avrebbe in ogni caso nessuna conseguenza rispetto ai diritti di un trattamento equo e giusto. La Russia avrebbe comunque il dovere di tutelare le persone poste sotto la sua giurisdizione o tutela (ADNKRONOS).

Un altro scenario vedrebbe i prigionieri dell’Azovstal utilizzati come oggetto di scambio con i russi in mano ucraina, dando così un segnale positivo alle famiglie dei prigionieri russi e, di conseguenza, ottenere il favore dell’opinione pubblica russa.

Guardando al futuro, – sostiene Bertolotti – questi prigionieri serviranno alla Russia più vivi che morti, non fosse altro che per comminare ad alcuni di loro, i prigionieri più esposti in termini di responsabilità militare oppure da un punto di vista mediatico, pene esemplari. Lo stesso discorso vale anche per l’autorità della Repubblica Popolare del Donetsk, che ha le stesse responsabilità di chiunque detenga dei prigionieri” (ADNKRONOS).


Ucraina: la (lenta) avanzata russa e l’ipotesi di allargamento della NATO (tra pro e contro)

di Claudio Bertolotti

Intervista a Radio 1 Rai del 16 maggio 2022 (ore 16.05) e commento del Direttore C. Bertolotti

Il commento del Direttore Claudio Bertolotti (dal minuto 33.30″)

Sviluppi sul campo: le difficoltà russe e il tentativo di accerchiamento (ora ridotto)

Sino a pochi giorni fa eravamo tutti concordi sul fatto che lo sforzo maggiore da parte delle forze russe si sarebbe concentrato sull’area di Izyum che, con i suoi snodi viari e le potenzialità tattiche, era indicato quale obiettivo operativo di maggiore interesse per Mosca, poichè la sua conquista avrebbe garantito al grosso delle forze russe di aggirare quelle ucraine schierate (sul fronte di Luhansk e Donesk). Ed è per questo che su entrambi i fronti la lotta si è fatta accanita.

Ora questo obiettivo, consistente nel completare un accerchiamento su larga scala di unità ucraine dalla città di Donetsk a Izyum, sarebbe stato abbandonato dai russi, in virtù dell’accanita resistenza ucraina e della controffensiva subita dai russi intorno a Kharkiv.

L’alternativa si è dunque ridimensionata a un’azione di accerchiamento più ridotta, forse sempre più ridotta a causa delle gravi perdite e delle limitazioni in termini di capacità di manovra. Questo potrebbe indurre lo stato maggiore russo ad avviare una nuova operazione su Severodonetsk, da nord e da sud, via Rubhizne, il che porterebbe ad ottenere un accerchiamento delle truppe ucraine molto più ridotto rispetto a quanto inizialmente previsto.

Uno stallo? Si, ma a svantaggio della Russia (grazie all’aiuto statunitense)

Di fatto la guerra di logoramento e attrito impone il consolidamento delle linee del fronte, con poche puntate offensive, da entrambe le parti, costringendo i contendenti a consumare le proprie forze con una conseguente diretta riduzione della capacità operativa. Però, c’è un però. Da un lato le forze russe, che comunque mantengono un vantaggio tattico che si riduce sempre più, hanno attinto a una parte consistente della riserva operativa (comprese le milizie e le compagnie private di sicurezza); dall’altro lato le forze ucraine stanno ricevendo sempre più consistenti e rilevanti aiuti dall’Occidente, in particolare da parte degli Stati Uniti: artiglierie, carri armati, intelligence per un valore complessivo di circa 40 miliardi di dollari, aiuti che vanno a sommarsi a quelli già donati.

Il budget russo per la difesa nel 2021 è stato di 65,9 miliardi di dollari (per farci un’idea quello italiano è di meno di 25 miliardi di euro).

Questo dovrebbe darci un’idea di quelli che potrebbero essere gli effetti devastanti per la Russia, in termini militari, di una guerra di medio respiro in cui potrebbe precipitare Mosca. Va detto che, in termini di capacità militare, produzione di armamenti e disponibilità di equipaggiamenti la Russia avrebbe un’autonomia di almeno un anno. Il che si potrebbe tradurre in uno scenario di guerra molto più duraturo di quanto non ci sarebbe aspettsti all’inizio del conflitto con tutte le incognite del caso, incluso il ruolo giocato da potenziali combattenti stranieri. Meno preoccupante dovrebbe essere invece, ma il condizionale è d’obbligo, il ricorso all’armamento nucleare, previsto dalla dottrina russa solo a determinate condizioni che, al momento, non sono all’orizzonte (rischio esistenza dello stato o disfatta militare).

Svezia e Finlandia nella NATO? Pro e contro di un allargamento

Dobbiamo essere molto cauti nel valutare pro e contro di questo processo di allargamento della Nato. Una valutazione complessiva deve tener conto di tre elementi cardine: il primo è il maggior onere per l’Alleanza atlantica, i cui confini di prossimità con la Russia aumenterebbero, e con loro anche lo sforzo in termini contributi militari, a cui solo in parte Svezia e Finlandia riusciranno a compensare. Dall’altro lato, questo è il secondo punto, è indubbio l’indebolimento oggettivo a cui la Russia sta andando incontro: un indebolimento politico ed economico di medio-lungo periodo che sarà difficile da recuperare. Infine, terzo elemento, va tenuto conto del non facile processo di adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, la cui praticabilità passa attraverso il consenso unanime degli alleati, e la Turchia ha già manifestato le proprie riserve in merito: questo non vuol dire che i due nuovi paesi non saranno ammessi, ma è certo che ciò avverrà a conclusione di trattative e negoziati che Ankara non mancherà di mettere sul tavolo, anche in virtù dei vantaggi e delle opportunità di un dialogo parallelo tra Russia e la stessa Turchia.


Ucraina: la Russia di Putin e la visione di Macron

di Claudio Bertolotti

Il discorso del Presidente russo Vladimir Putin del 9 maggio, in occasione della parata per celebrare la vittoria sul nazismo nella seconda guerra mondiale, è stato volutamente rassicurante nei confronti dell’opinione pubblica russa, e volutamente contenuto. E al contempo è stato coerente con la visione russa di quanto sta accadendo e di come la sua classe dirigente, e con essa anche il suo popolo, percepisce l’ipotesi di una minaccia permanente. La frase pronunciata da Putin – cito – di un “pericolo cresciuto ogni giorno, la Russia ha dato un colpo preventivo” si colloca esattamente all’interno di questa percezione, che è nota come la sindrome da “fortezza sotto assedio”, una percezione storicamente presente all’interno della società russa e che per questo motivo ha definito la propria politica estera e scritto la dottrina strategica militare prevedendo “azioni preventive” in un’ottica difensiva. È una lettura interessante, che non si limita ad osservare quanto accade dal punto di vista ucraino o occidentale. Questo non vuol dire giustificare, ma offre uno strumento di lettura che spiega il relativo sostegno del sistema e del popolo russo a questa guerra.

Dal punto di vista operativo, lo scontro si è ormai consolidato come guerra di attrito e logoramento e si sta trasformando in una sciagura per la Russia, almeno rispetto alle aspettative iniziali. Russia che mantiene il vantaggio tattico ma con un’Ucraina, sempre più sostenuta dagli Stati Uniti e il Regno Unito e dagli altri paesi occidentali e della Nato, che si rafforza sempre più e che, da una posizione di difesa, sta assumendo una postura attiva caratterizzata da alcune azioni di contrattacco, non rilevanti sul piano generale ma certamente significative e galvanizzanti per il morale delle truppe di Kiev.

LE CONDIZIONI PER UN NEGOZIATO

E allora si guarda al negoziato, al momento lontano dal potersi realizzare perché un negoziato, per essere tale, deve porre sullo stesso piano, in posizione paritaria, i due contendenti; altrimenti è l’imposizione della resa e come tale non verrà accettata da entrambi i soggetti. È necessario trovare una soluzione mediata che consenta a Mosca e a Kiev di uscire a testa alta nei confronti dei rispettivi cittadini. Detto in altri termini, la Russia – e Putin per primo – non accetterà una soluzione che imponga un ritiro senza l’ottenimento di un risultato concreto. Un risultato che non potrà escludere il controllo della Crimea da parte della Russia, e con essa la continuità territoriale con il Donbas.

MACRON: UNA RISPOSTA PRAGMATICA DA LEADER EUROPEO

Il presidente francese Emmanuel Macron ha dato una risposta da leader europeo, forte, pragmatica, razionale e molto lontana dall’idealismo di chi chiede il ritiro incondizionato della Russia e vuole una partecipazione europea che continui a insistere su un dialogo che parta dal presupposto dell’accordo politico come presupposto all’arresto delle manovre militari. Macron sa, e lo esplicita, che la Russia non farà un passo indietro che possa essere recepito o letto come un’umiliazione. Sostenere l’Ucraina affinchè la Russia non vinca è l’unica opzione per portare a uno stallo operativo da cui partire. Detto in altri termini: è dal campo di battaglia, e dai territori materialmente occupati, che si definisce la base di un accordo negoziale e non il contrario.

E Macron ha l’ardire, o l’onestà intellettuale, di evidenziare un altro aspetto chiave: gli interessi dell’Unione europea non sono gli stessi degli Stati Uniti. E questo spiega la ragione dei diversi approcci, visioni, e partecipazione.

GLI INTERESSI DELL’UNIONE EUROPEA NON SONO QUELLI STATUNITENSI

Guardando alla guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno una priorità: indebolire la Russia. Una volontà, quella di Washington (e dell’amministrazione guidata da Joe Biden), che non considera le priorità europee e che percepisce la guerra ucraina come un’occasione per porre un freno, economico prima che militare, all’attivismo russo sul piano delle relazioni internazionali; anche a costo di un prolungamento forzato della stessa guerra. Non che la Russia rappresenti una minaccia diretta per gli Stati Uniti, ma l’occasione è quella di rendere Mosca l’anello debole di una possibile coalizione russo-cinese in un’ottica di competizione tra Washington e Pechino. Una competizione che ha ormai da tempo spostato l’asse strategico sull’Oceano Pacifico, relegando il Vecchio Continente in una posizione subordinata e secondaria, ma comunque utile e funzionale agli obiettivi di medio-lungo periodo.

Al contrario, i buoni rapporti tra la Russia e l’Unione Europea, o meglio con alcuni paesi dell’Unione europea – per ragioni prevalentemente commerciali ed energetiche –, rappresentano un potenziale ostacolo a una posizione europea unitaria in termini di sanzioni nei confronti di Mosca. Questo è un limite che lo stesso presidente francese, Emmanuelle Macron, ha posto in evidenza, ancora una volta, invitando gli alleati e i partner ad agire in maniera coerente con quelli che sono i principi e gli interessi di quella stessa Unione che, al contrario degli Stati uniti, ha molto da perdere dal perdurare di un conflitto ai propri confini e che coinvolge un paese, l’Ucraina, che ha espresso il desiderio di entrare a far parte dell’Unione.


La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi


▶ Ascolta l’intervista di Marco Cochi: “La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi”. (“Africa oggi”, in collaborazione con Nigrizia).

di Marco Cochi

Dall’inizio dell’anno, i gruppi jihadisti attivi in Burkina Faso hanno distrutto o sabotato 32 impianti idrici nel nord. Tredici organizzazioni nazionali e internazionali, che forniscono assistenza umanitaria nel paese, hanno rilevato che gli attentati ai pozzi d’acqua e alle autocisterne hanno un grave impatto su 290mila persone. I ripetuti attacchi ai servizi idrici non costituiscono una conseguenza del conflitto, ma sono ormai un’arma di guerra che segna una nuova e spregevole svolta nelle violenze. La maggior parte delle distruzioni è avvenuta a Djibo, la città che ospita il maggior numero di sfollati in tutto il Paese, dove adesso la popolazione civile ha singolarmente accesso a meno di tre litri di acqua al giorno per coprire tutti i propri bisogni, dal bere all’igiene e alla cucina. Una disponibilità irrisoria rispetto agli almeno 50 litri a persona consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per garantire condizioni di vita accettabili.



Ascolta l’intervista di Marco Cochi: “La nuova guerra dell’acqua in Burkina Faso. Nel Sahel al-Qaeda ora avvelena i pozzi”. (“Africa oggi”, in collaborazione con Nigrizia).

9 maggio: la guerra russo-ucraina tra retorica e scontro militare

L’intervento del direttore Claudio Bertolotti a Teleticino (dal minuto 15), Puntata del TG del 6 maggio 2022.

Guarda il video e leggi l’estratto del commento di Claudio Bertolotti, direttore di START InSight

9 maggio: un momento segnato in rosso nell’agenda russa, cosa ci dobbiamo aspettare?

Credo che siano due le aspettative associate al 9 maggio: la prima è un’intensificazione della narrativa associata alla vittoria della Russia contro il nazismo che vedrà una conferma nella caduta di Mariupol difesa fino alla fine da quegli ucraini che la propaganda russa associa ai nazisti, in particolare il battaglione Azov, che pur non essendo stata l’unica unità impegnata nella difesa della città è però quella che ha ricevuto più e forse esclusivamente attenzione mediatica. Dunque Putin avrà gioco facile nel dichiarare l’ottenimento di un successo così importante.

La seconda aspettativa è invece rivolta al campo di battaglia dove le forze russe stanno intensificando le azioni, in particolare nell’area di Kharkiv e Izium, che sono due obiettivi strategici primari. Solo con la loro conquista la Russia potrà agevolmente procedere con l’offensiva sul Donbass e chiudere in una morsa mortale le truppe ucraine che ancora oggi sbarrano la strada agli invasori russi.

Più in generale spesso gli analisti affermano che la Russia non si aspettava questa resistenza Ucraina. La Russia è in difficoltà? La Russia è indubbiamente in difficoltà: prevalentemente sono difficoltà logistiche per le truppe schierate al fronte, e difficoltà tattiche che devono sostenere i battaglioni russi a causa della resistenza ucraina sostenuta dai paesi occidentali. È però vero che la Russia, ad oggi, mantiene il vantaggio tattico, ossia ha ancora il potere di imporre i tempi e le azioni sul campo di battaglia. Una capacità di manovra, quella russa, superiore a quella ucraina, dovuta anche alla superiorità di mezzi ed equipaggiamenti corazzati e di artiglierie che invece sono presenti in maniera ancora limitata sul fronte di Kiev e su cui gli alleati e sostenitori dell’Ucraina stanno discutendo su qualità e quantità di aiuti militari che saranno necessari all’Ucraina per sopravvivere resistendo, anche se ciò non potrà avvenire all’infinito.

Secondo lei che scenari si prospettano per il futuro? È in gioco la sopravvivenza politica di Putin e, ancor di più, della sua eredità politica. È dunque altamente improbabile che, salvo eventi eccezionali, la Russia decida di sospendere le operazioni militari. È vero che la Russia ha già ottenuto un notevole vantaggio: impoverire l’Ucraina, azzerarne le infrastrutture, rendere di fatto il Mare d’Azov un mare nostrum russo attraverso la continuità territoriale dal Dondass alla Crimea passando per Mariupol.

Molto dipende dunque dal ruolo che intendono giocare i partner occidentali di Kiev, in particolare gli Stati Uniti. Al momento l’obiettivo primario di Washington sembra essere quello di indebolire sul lungo periodo la Russia, e le sanzioni economiche vanno in questa direzione e certo non vanno a incidere sulle dinamiche militari. E, in particolare, gli aiuti militari, sono si consistenti, ma adeguati a una buona difesa, ma non a un’azione controffensiva risolutiva, tutt’al più ad azioni di contrattacco, anche di rilievo, ma non decisive.

Sarà una lunga guerra? Sulla carta (perlomeno) quali vie d’uscita ci sono?

La soluzione della guerra russo-ucraina sarà determinata dai risultati sul campo di battaglia, a cui gli accordi negoziali, qualcuno li chiamerà accordi di pace, saranno subordinati. Nessuna trattativa sarà conclusa finchè la Russia non avrà raggiunto l’obiettivo minimale, nella migliore delle ipotesi il consolidamento delle posizioni attuali, o quello massimalista: il congiungimento dei territori costieri dalla Crimea alla Transnistria, di fatto trasformando l’Ucraina in un’enclave terrestre senza sbocco sul mare. Le prospettive, dunque, sono quelle di una guerra a media intensità che potrebbe durare mesi o addirittura anni.