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Pantano afghano: Radio 24 – intervista a Claudio Bertolotti

L’intervento di Claudio Bertolotti a RADIO 24 – Nessun luogo è lontano, a cura di Giampaolo Musumeci

 

Ennesimo attacco oggi in Afghanistan. I civili continuano a morire: più di 1300 civili nel primo semestre del 2019 e anche oggi un bus che trasportava donne e bambini è saltato in aria causando una trentina di morti. Claudio Bertolotti, partiamo da li, dalla zona di Bala Baluk dove gli italiani si sono spesi in termini di sforzi e anche vite.
Bala Baluk è un nome che i soldati italiani non possono dimenticare per gli sforzi e i sacrifici, anche in termini di vite umane. La base denominata “Tobruk”, costruita dagli italiani proprio a Bala Baluk venne passata in consegna all’esercito afghano nell’ottobre del 2014, all’interno del processo di “transizione irreversibile”, come l’aveva chiamata l’allora presidente statunitense Obama; un anno dopo quella base cadeva nelle mani dei talebani che, dopo la chiusura della missione ISAF, hanno progressivamente conquistato ampie porzioni di territorio e posto sotto il loro controllo oltre il 40% del territorio. Il distretto di Bala Baluk, oggi al centro dell’offensiva talebana, è nominalmente sotto la responsabilità italiana, e dunque della NATO: ma la nuova missione Resolute Support dell’Alleanza atlantica non schiera più oggi soldati in formazione da combattimento, bensì in funzione di supporto e addestramento alle forze afghane, anche se questo vuol dire un sostanziale passo indietro su un campo di battaglia che né i numeri né le agende politiche dei paesi che contribuiscono alla missione possono controllare. La NATO oggi non combatte, non combatte più al fianco delle forze afghane, le truppe della NATO rimangono in sostanza all’interno delle principali basi, mentre le forze di sicurezza afghane – incapaci di garantire il controllo del territorio – sono rassegnate a ritirarsi anch’esse verso le aree urbane, lasciando quelle periferiche e rurali ai talebani.

Sei fresco di pubblicazione di un libro che fotografa molto bene il paese: Afghanistan contemporaneo. Dentro la guerra più lunga (ed. START InSight). Se dovessi sintetizzare chi comanda oggi?
Come ho voluto mettere in evidenza nel mio libro, che è anche un manuale per il personale civile e militare destinato a prestare servizio in Afghanistan, oggi comandano tutti e nessuno. In Afghanistan regna il caos. In questo momento non c’è un attore che possa essere indicato come il più forte. Non comandano gli Stati Uniti, la cui priorità è dichiarare concluso un conflitto che va avanti da 18 anni, pur senza rinunciare a una residuale presenza all’interno delle basi strategiche.
Non comanda certamente la NATO, il cui ruolo benché fondamentale, rimane comunque subordinato alle agende politiche dettate da Washington. Non lo consentono neanche i numeri, limitati a poche migliaia di soldati.
Il governo di Kabul, guidato dalla diarchia Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah, è incapace di governare il paese, anche a causa della competizione tra i due capi. Il governo afghano è in grado di controllare parte delle aree urbane, ma non tutte.
Quel che è certo è che i talebani saranno quelli che trarranno maggior vantaggio da questa guerra, ottenendo il riconoscimento formale di ciò che di fatto hanno conquistato combattendo.
I talebani stanno aspettando, il tempo è dalla loro parte e un giorno comanderanno anche loro, al termine di una guerra che non è stata vinta, né sostanzialmente persa… forse dimenticata.

Complessità: della società, della politica, le frizioni etniche, la domanda è sempre quella: ha senso un debole stato centrale? Il dibattito sul federalismo sembra un po’ sparito dai radar o mi sbaglio?
Tutto si intreccia in Afghanistan dove la normalità è proprio in questa complessità politica, sociale ed etno-culturale. A cui più recentemente si è aggiunta la lotta settaria tra sciiti-sunniti avviata con estrema violenza da quello che siamo abituati a definire il nuovo attore della guerra afghana, ma che nuovo non è ormai più: parliamo dello Stato islamico e del suo tentativo di trasformare, anche grazie all’arrivo di molti reduci dalla guerra in Siria, una ormai storica guerra di liberazione nazionale – quella combattuta dai talebani – in guerra globale, senza confini e fortemente ideologizzata.
In questo contesto si alimenta la contrapposizione centro-periferia dove a una progressiva incapacità del governo centrale si contrappone la frammentazione del potere a livello locale – diviso tra i signori della guerra e della droga e la galassia dei gruppi insurrezionali.
Di federalismo si è parlato a lungo, specialmente durante i primi anni di guerra, ma temo che ormai, al di la di ciò che potrà avvenire a livello locale, il governo di Kabul avrà una sempre minore voce in capitolo in merito alla gestione dello Stato così come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi. Ormai non è più il tempo di ambiziose strategie per la ricostruzione dello Stato afghano, è il tempo del disimpegno, nonostante tutto.

Il tutto mentre a Doha ci sono i colloqui di pace tra Usa e talebano. A che punto siamo?
È necessario essere realisti: il dialogo di Doha, iniziato nel 2012, è parte di un processo di dialogo che va avanti dal 2007. Dunque ritengo che i tempi per la conclusione di un negoziato soddisfacente tra le parti non sia un obiettivo a breve termine… come certamente non è prevedibile il ritiro del grosso delle truppe statunitensi e della Nato prima di 18 mesi. Se ne parlerà dopo le elezioni presidenziali, in calendario per il 28 settembre. Ma è da vedere se il calendario elettorale verrà rispettato… sino ad oggi non lo è mai stato.
Certo è che i talebani sono sempre più forti, sia sul campo di battaglia, sia al tavolo negoziale, dove la partecipazione del governo afghano sarà una concessione talebana.
Credo che il prossimo passo sarà sul piano comunicativo, più che militare: ossia presentare i talebani come il baluardo all’espansione dello Stato islamico in Afghanistan. Tanto potrebbe bastare a Washington e alle cancellerie europee per convincere le opinioni pubbliche ad accettare i talebani quali artefici del futuro afghano. Ma sappiamo bene che la realtà sarà ben diversa, a partire dalle concessioni economiche di cui beneficeranno i talebani, dalla sostanziale libertà di gestione del più florido mercato di oppiacei al mondo, sino alle rinunce di parte dei diritti civili ad oggi garantiti dalla costituzione afghana.


Tunisia: è morto il presidente Essebsi

di Giampaolo Cadalanu
articolo originale pubblicato su La Repubblica

Forse alla fine l’omaggio più sincero per Beji Caid Essebsi, scomparso ieri a 92 anni, lo ha reso Hatem Karoui, l’uomo di teatro che aveva sbeffeggiato il presidente, giocando sull’assonanza fra il suo nome e la parola “sexy”. Niente Alzheimer, niente prostata, cantava l’alfiere della musica “slam”, confermando in arte che l’unica vera conquista della rivoluzione tunisina è stata la libertà di parola, e di satira, anche a spese dell’uomo più potente.
La sua morte imporrà nuove elezioni prima del previsto, ma soprattutto lascia un vuoto difficile da colmare nella guida del Paese. Perché “sexy” il presidente della Repubblica lo era davvero: non per le donne tunisine, che pure avevano apprezzato le sue posizioni sulla parità fra generi. Essebsi era attraente per chi voleva sul Mediterraneo un Paese aperto ma legato alla sua identità, religioso ma non integralista, e soprattutto stabile, in una regione dove le aspirazioni di libertà spesso si trasformano in cariche esplosive.
E il primo capo di Stato liberamente eletto doveva fornire questa garanzia, ai suoi e alla comunità internazionale, che ne ha apprezzato gli sforzi, almeno a giudicare dalla lunga lista delle onorificenze straniere. Poco importava l’età avanzata: il “vecchio lupo”, come qualcuno lo chiamava, era in grado di far avanzare il Paese senza scosse. Era questo il senso di una storia politica cominciata a 15 anni nel partito Liberale neo-costituzionale, cioè nazionalista, ai tempi del protettorato francese. Le biografie parlano di un uomo per tutte le stagioni, guidato dal pragmatismo forse ereditato dal bisnonno sardo Ismail, rapito dai corsari ottomani all’inizio del XIX secolo ma capace, dopo la conversione all’islam, di arrivare a un seggio in Parlamento.
Delfino di Habib Bourghiba, per cui era stato ministro della Difesa, degli Interni e degli Esteri, Essebsi cambiò cavallo dopo il golpe di Zine el Abidine Ben Ali, diventando prima ambasciatore a Bonn e poi presidente del Parlamento. Dopo la rivolta del 2011 fu capace di gestire la transizione democratica, come premier e poi come presidente. Fondatore di un partito laico che doveva essere la barriera anti-islamici, proprio con i musulmani di Ennahdha aveva trovato un’alleanza robusta.
Per uno di quei paradossi che fanno la Storia, a difendere almeno in parte la Rivoluzione è stato proprio l’uomo simbolo della continuità. Ma anche se evitano sconvolgimenti, la bandiera del realismo e il mito del progresso graduale non nutrono i sogni. Così i figli più giovani della Tunisia di oggi, strozzati dalla crisi economica, continuano a cercar fortuna lontano, a costo di rischiare la vita su un barcone.


Avviato a Roma l’Osservatorio ReaCT

START InSight è soggetto promotore e co-fondatore di

ReaCT – l’Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Contrasto al Terrorismo

Presentato ufficialmente ai Roma, mercoledì 17 aprile 2019, presso la Camera dei Deputati, in occasione del convegno ‘Prevenire il radicalismo per contrastare il terrorismo’ patrocinato dal Ministero della Difesa italiano, alla presenza del Ministro della Difesa Elisabetta Trenta e del Sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo

L’Europa negli ultimi anni si è scoperta incubatrice di jihadisti, reclutatori, militanti e simpatizzanti delle ‘bandiere nere’ o di altre sigle estremiste. Con la radicalizzazione (non solo islamista) ci confronteremo ancora a lungo, a dirlo sono i numeri e i fatti. Da qui l’importanza dell’inchiesta e della ricerca, che da un punto di vista multidisciplinare e comparativo, permette di confrontare anche ciò che viene fatto nelle diverse nazioni per contrastare il fenomeno, fornendo prospettive e dati utili a chi si muove sul territorio nel settore della prevenzione. Nasce così l’idea di fondare ReaCT – sotto forma di un tavolo tecnico-accademico che unisce la competenza professionale e operativa con la ricerca e lo studio sul campo: una realtà non a scopo di lucro finalizzata a raccogliere e promuovere analisi, approfondimenti e iniziative attorno al tema.

L’obiettivo è di mettere a disposizione le capacità e le conoscenze dei singoli partner e membri dei suoi vari organi, a favore del dibattito pubblico e delle istituzioni impegnate nel contrasto al radicalismo e al terrorismo.

L’Osservatorio nasce su iniziativa di una ‘squadra’ composta da esperti e professionisti della società svizzera START InSight di Lugano, del Centro di ricerca ITSTIME dell’Università Cattolica di Milano, della Link Campus University di Roma, del Centro di Ricerca CEMAS dell’Università La Sapienza e della SIOI sempre a Roma.

A ReaCT hanno anche aderito come partner il Centro di ricerca sulla sicurezza e il Terrorismo (C.R.S.T.) e il Gruppo Italiano Studio Terrorismo (GRIST). Sono media partner di ReaCT le testate Formiche.net, Report Difesa, L’Indro e Cybernaua.it.

L’Osservatorio ReaCT è composto da una Direzione, da un Comitato Scientifico di indirizzo, da un Comitato Parlamentare e da un Gruppo di lavoro permanente.

Il Comitato Scientifico include: Stefano Dambruoso, (Magistrato), Valeria Giannotta (Università di Ankara), Andrea Manciulli (Europa Atlantica, Presidente), Alessia Melcangi (La Sapienza), Giampaolo Malgeri (LUMSA), Stefano Mele (Presidente della Commissione Sicurezza Cibernetica del Comitato Atlantico Italiano), Raffaello Pantucci (RUSI – ISS, Direttore), Niccolò Petrelli (Università Roma Tre), Michele Pierri (Cyber Affairs, Direttore), Alessandro Politi (Nato Defense College Foundation, Direttore), Ranieri Razzante (CRST, Direttore), Alessandro Ricci (Università di Roma 2), Piero Schiavazzi (Link Campus University), Luis Tome (Università di Lisbona, Centro Observare, Direttore), Francesco Tuccari (Università di Torino), Maurizio Zandri (Link Campus University).

Tutte le informazioni sul sito www.osservatorioreact.it


Libia: l’assedio di Tripoli e lo stallo strategico (Ce.Mi.S.S.)

di Claudio Bertolotti

Il 4 aprile le forze dell’Esercito nazionale libico (LNA) sono entrate nella città di Garian, da dove hanno lanciato un assalto che avrebbe dovuto consegnare la città nelle mani del generale Khalifa Haftar. L’obiettivo non è stato raggiunto e, a tre mesi da quella mancata conquista, lo scenario è quello di uno stallo strategico che si sta dimostrando ancora più sfavorevole per le forze di Haftar, e per i suoi supporter esterni, che hanno perso terreno e sono state costrette ad assumere una posizione difensiva.

articolo originale pubblicato sull’Osservatorio Strategico Ce.Mi.S.S. 1/2019 (scarica il file)

L’assedio di Tripoli e l’attivismo dello “Stato islamico” libico

Il 4 aprile le forze dell’Esercito nazionale libico (LNA – Libyan National Army) sono entrate nella città di Garian, 100 chilometri a sud di Tripoli, da dove hanno lanciato un assalto che avrebbe dovuto consegnare la città nelle mani del generale Khalifa Haftar Haftar che ha giustificato l’offensiva affermando di voler combattere le “milizie private e i gruppi estremisti” che, secondo lui, stavano guadagnando influenza sotto al-Sarraj. Nel complesso l’offensiva ha ottenuto il risultato di costringere oltre 75.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni e ha provocato la morte di almeno 510 persone, stando ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Circa 2.400 persone sono state ferite, mentre 100.000 persone – tra cui centinaia di migranti – sono rimaste intrappolate negli scontri. All’inizio di giugno, le forze libiche dell’LNA avevano attaccato la parte militare dell’aeroporto di Tripoli colpendo due obiettivi turchi: un aereo cargo AN-124 e un drone; il 30 giugno il traffico aereo nell’unico scalo di Tripoli in funzione, quello “Mitiga”, è stato sospeso a causa di un altro bombardamento da parte dell’aviazione del generale Haftar.
Una conquista, quella auspicata dal capo dell’esercito di Tobruk, che avrebbe dovuto concludersi in tempi brevi e senza spargimento di sangue. Così non è stato, anche in conseguenza della mobilitazione delle milizie di Misurata – la città militarmente più potente della Libia – a supporto del governo di accordo nazionale (GNA – Government of National Accord) di Tripoli. A tre mesi da quella mancata conquista, lo scenario è quello di uno stallo strategico in cui l’assedio di lungo periodo non ha offerto possibilità di sviluppi favorevoli agli assedianti e ha limitato la capacità di azione degli assediati impegnati a gestire una capitale con oltre un milione di abitanti e i difficili equilibri tra le milizie tribali.
Alla fine di giugno la situazione si è dimostrata ancora più sfavorevole per le forze guidate da Haftar, che hanno perso terreno e sono state costrette ad assumere una posizione difensiva a causa della manovra di accerchiamento da parte delle forze alleate di al-Sarraj che hanno chiuso in una “sacca” alcune unità avversarie a sud-ovest di Tripoli. Un arresto operativo che segue la perdita della città di Gharyan, punto di partenza dell’offensiva di Haftar del 4 aprile, riconquistata alcuni giorni prima da parte delle forze tripoline attraverso una manovra terrestre sostenuta dall’aviazione del GNA. Due episodi di rilevanza strategica poiché se da un lato il GNA priva l’LNA del suo principale hub logistico (Gharyan), dall’altro impone agli occhi dei supporter esterni l’incapacità di Haftar dimostrata nella perdita del contatto con le proprie truppe che, in un’inversione di ruoli, da assedianti di Tripoli sono divenute assediate.
Un quadro complessivo che però palesa come anche le forze di al-Sarraj siano di fronte a grandi difficoltà, in primo luogo per quanto riguarda la capacità di operare in profondità: carenze logistiche, limiti oggettivi di comando, controllo e comunicazione non hanno consentito né, verosimilmente consentiranno in tempi brevi a Tripoli , di poter andare oltre le posizioni riconquistate. Nel complesso lo scenario che potrebbe palesarsi nel breve-medio periodo potrebbe essere un ritorno allo status quo ante.
Nel frattempo, in una situazione sempre più caotica, è tornato a far parlare di se il franchise libico dello Stato islamico che ha rivendicato l’attacco armato in cui sono state uccise tre persone – tra le quali il presidente del Consiglio locale del villaggio e il capo della guardia municipale – nella cittadina di Fuqaha, distretto di Giofra; tra i risultati dell’azione anche l’interruzione delle linee di comunicazione e dell’elettricità, e la distruzione di alcuni edifici. Un episodio, certamente marginale nel complesso delle violenze in Libia che conferma come il fenomeno Stato islamico rimanga un elemento dinamico e con una provata capacità di azione che si è inoltre manifestata attraverso una serie di azioni mirate a colpire le forze di Haftar già duramente impegnate nel difficile tentativo, poi fallito, di conquistare la città di Tripoli e di mantenere il controllo sulle vie di comunicazione e rifornimento.

Il fronte politico

L’analisi politica complessiva della situazione libica si riassume in un consolidamento dei due principali schieramenti che ha portato a una sempre più marcata polarizzazione dei conflitto; una polarizzazione che, definendo un quadro di proxy-war, vede contrapposti attori locali affiancati da soggetti esterni il cui ruolo è sempre più rilevante.
Su un fronte c’è la fazione di Tripoli. Il governo di accordo nazionale guidato da Fajez al-Sarraj, ufficialmente riconosciuto dalla Comunità Internazionale, è sostenuto direttamente sul piano politico, diplomatico e militare da Regno Unito, Tunisia, Qatar, Turchia, Marocco e Algeria in un contesto di opposizione attiva all’altro competitor, il generale Khalifa Haftar, pur in presenza di una componente islamista che riveste un ruolo determinante all’interno del GNA tripolino. L’ultima decade di giugno è stata caratterizzata dalla la consegna alle milizie tripoline di equipaggiamenti militari provenienti dai supporter esterni; in particolare la Turchia avrebbe rifornito le forze a sostegno del GNA con mine anti-carro, fucili di precisione, mitragliatrici, munizioni, sistemi missilistici UCAV BAYRAKTAR TB2 e quaranta veicoli protetti MRAP KIRPI e VURAN di produzione turca, come dimostrato dalle fotografie pubblicate sui siti ufficiali del GNA e quelli non ufficiali associati al governo di Tripoli; il rifornimento sarebbeè avvenuto attraverso il mercantile “Amazon” battente bandiera moldava ma gestita dalla società turca Akdeniz Roro Sea.
Sull’altro fronte, il governo di Tobruk – sostenuto dall’esercito nazionale libico guidato dal generale Khalifa Haftar – gode del sostegno diretto di Russia, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti; tra i sostenitori di Haftar ci sarebbe anche la Francia che pur continuando a sedere al tavolo diplomatico insieme al resto della Comunità internazionale, ad aprile ha bloccato la dichiarazione ufficiale conin cui l’Unione Europea avrebbeaveva intenzione di chiesto chiedere ad Haftar di fermare la sua offensiva militare. Va evidenziato, inoltre, che gli Emirati Arabi Uniti, acquisito il diritto di utilizzo della base militare nigerina al confine con la Libia, proseguirebbero il loro supporto alle forze di Haftar in Fezzan (area di Saba) attraverso azioni ISR (intelligence, sorveglianza e ricognizione) e attacco al suolo; mentre sul piano degli equipaggiamenti, l’LNA ha recentemente ricevuto – sempre dagli Emirati Arabi Uniti – i sistemi anti-aerei russi a breve-medio raggio PANTSIR-S1 allestiti su veicoli MAN SX45.
Gli Stati Uniti, ufficialmente in posizione di neutralità, si sono mossi nella direzione di un disimpegno formale ma che, nella sostanza, non si è tradotto nel ritiro dei propri operatori dalla Libia.
Al-Sarraj e Haftar, impegnati a confrontarsi sul campo di battaglia, sono al tempo stesso molto attivi sul piano della diplomazia, come dimostrato dai numerosi viaggi e incontri che hanno portato i due leader all’estero e nella stessa Libia alla ricerca di sostegno politico e materiale. Al-Sarraj si è recato in Tunisia (22 maggio), Algeria (23 maggio), Malta (27 maggio) e a La Mecca (31 maggio), mentre Haftar è stato ospite in Francia (22 maggio), Arabia Saudita (La mecca, 28 maggio) e in Russia (Mosca, 31 maggio).

Il fronte militare

Sul piano militare la contrapposizione vede schierati sui due fronti centinaia di gruppi e milizie che, se in apparenza possono sembrare elementi organici e formali, in realtà basano i propri ruoli e fedeltà sulla base di delicati equilibri e dinamiche di natura tribale. L’assedio di Tripoli, se sul piano politico e diplomatico si trova in un vero e proprio empasse, su quello operativo vive al momento una situazione di stallo a cui hanno contribuito proprio le tribù che, con proprie aree di interesse e azione, hanno “resistito” all’avanzata di Haftar, non cedendo alle proposte di accordo da parte di questo, e ne hanno determinato lo stop sulla linea di posizione a sud di Tripoli dove a giugno l’LNA, pur in grado di controllare le aree di Tarhouna e Ghryan fino alla fine del mese, ha cercato di contendere alle unità fedeli al GNA le aree di Asbi’ah e l’aeroporto di Ben Gashir, a 34 chilometri a sud di Tripoli. Haftar ha inoltre proceduto, ormai da tempo, alla militarizzazione delle installazioni petrolifere nella regione della mezzaluna petrolifera utilizzando i porti petroliferi di Ras Lanuf e i campi aerei di Es Sider per le attività belliche.
Dalla parte di al-Sarraj si contano circa 300 differenti gruppi; tra questi le milizie di Misurata e Zintan sono quelle meglio equipaggiate e con maggiore capacità operativa, essendo entrambe dotate di mezzi corazzati. Le principali sono la Tripoli Protection force (composta dalle forze di dissuasione-Rada, Katiba Ghnewa, brigata rivoluzionaria di Tripoli, Katiba Nawasi e altre minori), la National Mobile Force, le forze antiterrorismo di Misurata (dipendenti dal generale Mohammad al-Zein), Katiba Halbous, 166 ͣ brigata e altre milizie minori di Misurata, Samood Force, conosciuta anche come Fakhr o Pride of Libya (guidata da Salah Badi, anche comandante del battaglione di Misurata, che lo scorso anno ha svolto un ruolo di primo piano nei pesanti scontri a Tripoli ); e ancora, le forze di Zintan – le fazioni guidate dal generale Osama Juweili di Misurata e da Imad Trabulsi, capo della Special Operations Force –, battaglioni al-Daman, “33” di Tajoura, Fursan Janzour e le unità di Zuwarah e Zawiyah (battaglioni al-Nasr, Abu Surra e Faruk).
L’LNA sarebbe invece forte di circa 25.000 uomini, tra i quali una significativa componente straniera. Tra le principali unità componenti la compagine militare di Tobruk figurano la 9ͣ brigata di Tarhouna, le forze di Zintan (fazioni del generale Idris Madhi e Mukhtar Fernana), i combattenti di Bani Walid (tra i quali i battaglioni 52°, 60°, al-Fatah e la 27ͣ brigata di fanteria), il battaglione al-Wadi di Sabratah, la West Zawiyah Counter Crime Force di Sorman, le brigate 12 ͣ (di Brak al-Shati), 18 ͣ, 26 ͣ, 73ͣ , la 36 ͣ Special Force, la 106ͣ di Benghasi, i battaglioni 115°, 116°, 127°, 128°, 152°, 155°, 173°. Infine, va evidenziata la presenza significativa di combattenti stranieri provenienti dal Sudan.

Si intensifica la competizione per la ricchezza petrolifera della Libia: colpiti gli interessi italiani

L’attuale escalation di violenza potrebbe portare a un conflitto più ampio sul controllo delle risorse petrolifere del paese. La Libia ha riserve di petrolio stimate in 48 miliardi di barili: la più grande riserva petrolifera dell’Africa, la 9ͣ al mondo; mentre le riserve tecnicamente recuperabili di olio di scisto (attraverso la tecnica del fracking) sono stimate in 26 miliardi di barili. Le esportazioni di petrolio e gas rappresentano circa il 90% delle entrate complessive della Libia e qualsiasi grave turbamento significa un forte calo delle entrate.
L’economia nazionale è quella tipica rentier in cui lo Stato, che è il principale datore di lavoro, fornisce salari a circa 1,8 milioni di persone (un terzo della popolazione totale).
Mentre il GNA controlla le strutture estrattive offshore, dal 2016 Haftar detiene il controllo delle strutture e dei terminali della Libia orientale e, più recentemente, quelle del sud (El Sharara e El Feel).
Le entrate derivanti dalle esportazioni di petrolio, tuttavia, continuano a confluire nella Banca centrale della Libia a Tripoli (sotto il controllo del GNA) mentre la National Oil Corporation (NOC), a partecipazione pubblica e privata (esclusivamente italiana – ENI), che domina il settore petrolifero del Paese, ha cercato di rimanere fuori dai conflitti politici mantenendo una posizione neutrale; una scelta di opportunità che però non è servita a preservarla da azioni mirate a colpire gli interessi energetici italiani in Libia – come dimostrato dall’attacco aereo di giugno al deposito della Mellitah Oil & Gas (partnership ENI/NOC) a Tripoli: un’azione che, ha dichiarato il Presidente di FederPetroli Italia – Michele Marsiglia, è un «forte segnale di attacco all’Italia, essendo ENI primo ed unico partner con l’azienda petrolifera nazionale National Oil Corporation (NOC)».


VIDEO Afghanistan contemporaneo. Dentro la guerra più lunga

Afghanistan contemporaneo – Dentro la guerra più lunga
di Claudio Bertolotti, edizioni START InSight, 2019

Da Kabul alle vallate di Bala Murghab, alla base avanzata Chapman, solo per citare alcuni nomi che ai più diranno poco ma che per i molti soldati italiani che si sono alternati in quella terra così terribile e affascinante al tempo stesso, significano molto, per alcuni tutto: paure, ambizioni, spirito di sacrificio. Nomi, luoghi e tempi che hanno lasciato segni che molti soldati portano sulla pelle, e molti di più, incisi nella memoria, nelle sensazioni più profonde.

Il libro descrive le dinamiche dell’Afghanistan in guerra e scatta una fotografia inedita delle sfumature sociali, culturali e religiose di un paese che è statico solo in apparenza ma che in realtà subisce continue contaminazioni, si adatta, reagisce, consegnandosi a noi per quello che è: una terra affascinante e inespugnabile. La pubblicazione include un manuale per conoscere usi e costumi del posto, con indicazioni circa l’etichetta e le norme comportamentali necessarie a chi opera sul territorio.

Claudio Bertolotti, come ufficiale e analista della NATO, in Afghanistan ha prestato servizio più volte e conosce bene sia il territorio che la sua gente. In seno alla missione ISAF, è stato responsabile della sicurezza della Kabul Multinational Brigade e del Regional Command Capital, di cui ha diretto la sezione Counter-Intelligence.


Dal Califfato de-materializzato al terrorismo della porta accanto – Autumn School della SIOI (Roma)

Sono in corso le iscrizioni per l’Autumn School della SIOI in collaborazione con NATO Defense College Foundation
in programma dal 7 novembre al 12 dicembre 2019 a Roma.

Il corso si svolge il giovedì pomeriggio dalle ore 14.00 alle ore 17.30.

IL TERRORISMO: DAL CALIFFATO DE-MATERIALIZZATO AL TERRORISMO DELLA PORTA ACCANTO

Il corso, rivolto a giornalisti, ricercatori, funzionari della Pubblica Amministrazione, Forze dell’Ordine e Forze Armate e a tutti gli interessati, guarda alle dinamiche e ai contesti politici internazionali che fanno da sfondo al tema trattato e promuove il dibattito sui suoi aspetti più significativi. I docenti provengono da diversi settori delle Istituzioni, della ricerca e del giornalismo.

Temi trattati:

• Contrasto e prevenzione del terrorismo
• Il ruolo dell’Intelligence 
• La mappa del jihadismo globale 
• La NATO e le minacce ibride
• Cyber terrorismo e propaganda

Non perdete tempo ed iscrivetevi subito, c’è molta richiesta! Il modulo da compilare e tutte le informazioni nel dettaglio (costi, logistica e via dicendo) sul sito della SIOI – Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale


NUOVA PUBBLICAZIONE ‘Afghanistan contemporaneo. Dentro la guerra più lunga.’

Claudio Bertolotti
AFGHANISTAN CONTEMPORANEO. DENTRO LA GUERRA PIÙ LUNGA
Edizioni START InSight (2019)

IL VOLUME SI PUÒ ACQUISTARE DIRETTAMENTE SUL NOSTRO SITO ATTRAVERSO PAYPAL (CLICCARE QUI PER IL LINK DIRETTO AL CARRELLO)

“L’Afghanistan di oggi è molto lontano dal Paese che desideravamo poter lasciare agli afghani all’indomani della caduta talebana. Un’ampia parte del Paese è sotto il controllo dei gruppi di opposizione armata, tra questi i talebani e lo Stato Islamico Khorasan; l’economia nazionale è disastrata e totalmente dipendente dagli aiuti stranieri; la disoccupazione è alle stelle e il narcotraffico rappresenta l’unica economia in grado di sostenere ampie fasce della popolazione locale, che si trova in questo modo vincolata agli interessi della criminalità organizzata transnazionale a sua volta saldamente legata ai gruppi insurrezionali. Questo libro è una doppia testimonianza: da un lato osserva e descrive in maniera dettagliata e puntuale le dinamiche e le vicende geopolitiche di cui l’Afghanistan è parte, spingendosi fino al livello tattico-operativo. Dall’altro lato è una fotografia inedita sulle sfumature sociali, culturali e religiose di un Afghanistan che è statico solo in apparenza ma che in realtà, come descritto da Claudio Bertolotti che in quel paese ha maturato una lunga esperienza, subisce continue contaminazioni, si adatta, reagisce, consegnandosi a noi per quello che è: una terra affascinante e inespugnabile.”  (Elisabetta Trenta, Ministro della Difesa, Prefazione)

   «Afghanistan contemporaneo – Dentro la guerra più lunga» si inserisce in un più ampio contesto di preparazione culturale, avviata dall’Autore nel 2009, che ha coinvolto oltre 4.000 partecipanti civili e militari, in previsione del loro impiego in teatro operativo.

Un progetto di informazione e formazione culturale, che va dalla geopolitica all’organizzazione sociale afghana, che, anche sulla base delle lezioni apprese, si è dimostrato un valido contributo alla comprensione del contesto operativo e un valido strumento culturale per la prevenzione e la risoluzione delle conflittualità.

L’iniziativa, recependo le esigenze manifestate dagli operatori delle Forze Armate, da organizzazioni governative e non governative, vuole non solo analizzare le dinamiche politiche e i rapporti di forza tra le parti contrapposte, ma vuole anche contribuire alla riduzione del livello di minaccia e pericolo degli “uomini sul terreno”, alla limitazione dei rischi individuali derivanti da incomprensioni di natura culturale.

Il volume include un ampio approfondimento del tessuto sociale tradizionale, note comportamentali e un’introduzione al Key Leaders’ Engagement (etichetta nelle relazioni interpersonali), adatto per cooperanti, militari, giornalisti e tutti coloro che lavorano sul terreno

Note biografiche sull’autore

Claudio Bertolotti è analista strategico e capo dei ricercatori presso il Ce.Mi.S.S. (Centro Militare di Studi Strategici), è direttore di START InSight, ricercatore associato ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), docente di “Analisi d’area” per i corsi di alta formazione sulla NATO presso l’ISPI e sul terrorismo alla SIOI, oltre che di numerosi master universitari, dal 2015 è ricercatore senior per la ‘5+5 Defense iniziative’ dell’Euro-Maghreb Centre for Research and Strategic Studies (CEMRES) per la difesa del Mediterraneo, di cui è rappresentante unico per l’Italia.

Laureato in Storia contemporanea, si è specializzato in Sociologia dell’Islam con Renzo Guolo presso l’Università degli Studi di Torino. Dottore di Ricerca (PhD) in Sociologia e Scienza Politica, indirizzo Relazioni Internazionali, ha difeso la sua tesi di Dottorato dal titolo: Attacchi suicidi in Afghanistan. Tattica militare e strategia politica tra fallimento e successo, presso l’Università di Torino.

Collabora con l’Università di Torino in qualità di esperto in ‘Conflict, security e state building’ ed è membro dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (ITSTIME) dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano. In tale veste è stato chiamato in numerose occasioni a relazionare e discutere di terrorismo islamico, radicalismo e sicurezza nazionale presso la Scuola di Alta Formazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Camera dei Deputati e la NATO.

Ha sviluppato il percorso formativo di “Cultural Awareness: società, culture e conflitti” a favore dei contingenti italiani impegnati all’estero, dal 2009 al 2016, ed ha operato e opera come esperto a favore di organizzazioni governative e della NATO, in particolare per il Centro di Eccellenza NATO “Human intelligence” per il quale ha contribuito allo sviluppo della linea guida dell’Alleanza atlantica sugli aspetti umani dell’ambiente operativo. È impegnato in attività di ricerca e analisi su Maghreb, Mashreq e Afghanistan.

Dopo l’esperienza nei Balcani (Kosovo) come Ufficiale degli Alpini, è stato capo sezione contro-intelligence e sicurezza della missione ISAF in Afghanistan, dove ha lavorato per circa due anni.

Opinion-maker e autore di oltre 150 tra monografie, saggi e articoli scientifici e divulgativi tra cui Shahid. Analisi del terrorismo suicida in Afghanistan (Franco Angeli ed.) è chiamato a intervenire in conferenze e dibattiti nazionali e internazionali, collabora con i principali think tank italiani (SIOI, ISPI, IAI, Europa Atlantica), è stato ed è opinionista (tra gli altri) per Sky TG24, RaiNews24, TgCom24, Tg3 Rai, Rai 1, Radio24, Radio Radicale, Radio Rai, RadioTV Svizzera di lingua italiana, Il Sole 24 Ore, Panorama.

Ha introdotto il metodo analitico di “triplice lettura alla minaccia asimmetrica” e il concetto di “Nuovo Terrorismo Insurrezionale” (NIT, New Insurrectional Terrorism) adottato nel 2015 dall’iniziativa internazionale “5+5” per la difesa del Mediterraneo.

 

 

 


Libia – ‘Il mercato degli uomini’ (Documentario RSI)

Dalla caduta del colonnello Mu’ammar al-Gheddafi nel 2011, la Libia è diventata terra da spartire: fra due governi antagonisti insediati agli angoli opposti della costa -quello di Tripoli, a ovest, guidato da Fayez al-Sarraj e quello di Tobruk, a est, con a capo Khalifa Haftar- e fra innumerevoli milizie legate a tribù, fazioni politiche e gruppi islamisti che da nord a sud difendono con le armi la loro fetta di potere. È questo il contesto che fa da cornice all’imponente flusso migratorio che negli ultimi anni ha messo in crisi e in discussione centri d’accoglienza, governi e politiche d’integrazione in Europa.

ASCOLTA IL DOCUMENTARIO LIBIA, IL MERCATO DEGLI UOMINI di Chiara Sulmoni


TRASMESSO DAL PROGRAMMA ‘LASER’ DELLA RSI (CLICCARE PER LA SCHEDA COMPLETA) – RETE DUE
(22 agosto 2017, copyright RSI)

Tra il mese di febbraio e il mese di giugno del 2016 il fotoreporter messicano Narciso Contreras percorse il paese nordafricano nell’intento di documentare le vie dell’immigrazione illegale e clandestina dal confine sud con il Niger, verso l’Europa; ma si trovò ad indagare più a fondo, scoprendo una storia più complessa di quella che veniva descritta come una ‘crisi migratoria nel mezzo di un conflitto tribale’. Il documentario è realizzato attorno al racconto di questi cinque mesi di lavoro sul terreno e spiega nel dettaglio come funziona sulla terra e sul mare, quello che è un vero e proprio traffico di esseri umani, una rete redditizia in cui sono impigliati un po’ tutti.

ESTRATTI

“ho usato l’aggettivo ‘efficiente’ per descrivere questa rete complessa di gruppi, milizie, individui coinvolti in questo traffico illegale perché dopo mesi di lavoro sul campo e a raccogliere informazioni da varie fonti ho capito che si tratta di un’organizzazione che opera con efficacia a partire dai paesi sub-sahariani, attraverso la Libia fino all’Europa. Per arrivare a questo livello di coordinamento è indispensabile avere a disposizione ingenti risorse umane, economiche e materiali. Penso che sia la definizione migliore per descrivere condizioni che si ritrovano in tutto il paese e anche al di là delle frontiere.”

“(…)siamo di fronte a un sistema che opera a più livelli, ma la costante, è il riscatto. I migranti sono diventati moneta sonante, sui quali i vari gruppi possono facilmente lucrare. Tutte le milizie che controllano il territorio hanno libero accesso alle rotte della tratta, e ne approfittano.”


PRESENTAZIONE A ROMA ‘Afghanistan contemporaneo – Dentro la guerra più lunga’

CON IL PATROCINIO DEL MINISTERO DELLA DIFESA

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI CLAUDIO BERTOLOTTI

AFGHANISTAN CONTEMPORANEO. DENTRO LA GUERRA PIU’ LUNGA

17 LUGLIO 2019 ORE 10.15  
CAMERA DEI DEPUTATI
PALAZZO THEODOLI-BIANCHELLI 
ROMA, VIA DEL PARLAMENTO, 9

Saluto d’indirizzo
Luigi Iovino – Deputato, Commissione IV Difesa
Intervengono
Elisabetta Trenta, Ministro della Difesa; Alberto Pagani, Deputato, Commissione IV Difesa; Alessandro Politi, NATO Defense College Foundation; Andrea Manciulli, Europa Atlantica, Presidente; Claudio Bertolotti, Capo Ricercatori Ce.Mi.S.S. e autore del libro.
Ha moderato l’incontro: Matteo Bressan, Docente di Relazioni Internazionali