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Afghanistan: il significato della caduta di Herat

di Claudio Bertolotti

Dobbiamo renderci conto del significato della caduta di Herat, che va ben oltre la conquista territoriale. Questa è una delle città più grandi dell’Afghanistan, crocevia di importanti nodi commerciali e logistici. Città simbolo della resistenza anti-sovietica prima e anti-talebana poi. È la città di Ismail Khan, eroe dell’epopea dei mujaheddin e signore della guerra attorno a cui si sono raccolte le ultime speranze di difesa della città. La conquista di Herat va oggi a coronare l’obiettivo strategico dei talebani, ciò prevenire la ricostituzione di un fronte di resistenza unito. Le offensive delle ultime settimane, che si sono mosse su molte direttrici d’attacco hanno destabilizzato le già deboli forze di sicurezza nazionali e le forme di resistenza locali, soffocandole una ad una. Il nord, che avrebbe potuto essere una speranza per il contenimento talebano e la sopravvivenza dello Stato afghano così come lo abbiamo conosciuto per vent’anni, si è sgretolato sotto la pressione dei talebani, che oggi hanno di fatto sancito l’inizio dell’ultima fase della guerra: l’avvio dell’assedio a Kabul che non significa però conquista in tempi brevi, poiché l’assedio prolungato, da solo, potrebbe aprire le porte della città ai talebani.

Ma una cosa deve essere chiara: l’espansione territoriale dei talebani non corrisponde alla loro capacità di controllare i distretti dai quali hanno cacciato i rappresentanti governativi e le forze di sicurezza. Questo vale in particolare per i distretti periferici, che di fatto il governo non ha mai davvero controllato. I talebani non hanno incontrato ostacoli a livello distrettuale semplicemente perché nessuno era li a presidiarli. Al contrario invece di quanto avvenuto nelle capitali provinciali dove l’effetto psicologico della loro avanzata e del ritiro statunitense, insieme alle pressioni e alle minacce alle famiglie dei comandanti militari, ha fatto da detonatore.

La cosiddetta alleanza del nord su cui si è riposta la speranza di una parte del paese e della comunità internazionale, ha dimostrato di non essere efficace con la caduta di importanti aree del nord conquistate in pochi giorni dai talebani.

Un aspetto però evidenzia una possibile difficoltà che dovrà essere affrontata e risolta dai talebani: la lotta per il potere interna al movimento dove a un’ala politica e pragmatica guidata dal Mawlawi Akundzada – rappresentata a Doha dal mullah Baradar – si contrappone quella militare, estremista e fortemente legata ad al-Qa’ida, capeggiata da Sirajuddin Haqqani, su cui ricadono le responsabilità dei peggiori attacchi suicidi e complessi condotto a Kabul begli ultimi 15 anni.

Cadono anche Kandahar e Lashkar Gah

Insieme a Herat cadono anche Kandahar e Lashkar Gah, quest’ultima era stata recentemente riconquistata dalle forze speciali afghane. Kandahar è strategicamente fondamentale per l’aeroporto internazionale ed è uno dei centri di commercio del Paese. La sua conquista significa sancire la conquista del sud e dell’est del paese. Con la conquista di Herat cade anche l’ovest mentre al governo rimangono, oltre a Kabul e ai distretti centrali, alcuni scampoli al nord dove, a Mazar e- Sharif, il maresciallo Rachid Dostum starebbe riorganizzando una difesa.

COSA COMPORTA LA VITTORIA DEI TALEBANI IN AFGHANISTAN?

Rappresenta la conferma che il jihad è più forte dell’esercito più potente del mondo e di tutti i suoi alleati. I talebani hanno vinto, ma la vittoria è quella jihadista e ciò avrà dirette ripercussioni in termini di spinta all’emulazione, all’adesione al terrorismo, al radicalismo di matrice jihadista a livello globale. Il jihad vince sugli imperi, sulle potenze militari, sulle democrazie. Un risultato politico di portata strategica, che va ben oltre i confini delle province afghane e che da Kabul minaccia tutto il mondo.




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