La presa di posizione di Putin è coerente con quella di un leader sotto pressione che cerca di mantenere un equilibrio tra le istanze dei falchi intransigenti, il voler compiacere i militari, dare l’impressione di non perdere la guerra e la necessità di rafforzare il consenso interno che tende sempre più a essere precario e ad indebolirsi con il progredire della guerra in Ucraina. Il presidente russo ha parlato della necessità di difendere i confini della Madrepatria presentando la guerra di aggressione in una guerra per la difesa della Russia, di fatto attribuendone la responsabilità agli ucraini e ai loro alleati occidentali, in primo luogo agli Stati Uniti e alla Nato. Di fatto Putin ha adottato un cambio di tono più che di retorica ribadendo il concetto di “difesa del popolo e della sovranità territoriale”, che è il tema ricorrente nella narrativa russa, e lo ha fatto nel tentativo di rafforzare una posizione politica che si è notevolmente indebolita.
Con i referendum di
Putin cresce la minaccia di una guerra nucleare?
Quella di Putin è una scelta strategicamente cinica, quasi
diabolica perché Le autoproclamate repubbliche
autonome del Donbass, Lugansk e Donetsk, e le province di Kherson e
Zaporizhzhia quando saranno annesse alla Russia, di fatto saranno territorio
nazionale russo e dunque, qualunque azione militare contro di essi sarebbe
considerata un’aggressione diretta a Mosca: una circostanza che, secondo la
dottrina militare russa prevede l’impiego dell’arsenale nucleari per difendere
“l’esistenza dello Stato, la sovranità e l’integrità territoriale del Paese”.
Dunque ci troviamo di fronte a un’opzione molto pericolosa
Il discorso di
stamattina mostra un Putin in difficoltà?
Putin è in oggettiva difficoltà, la Russia sta pagando un
prezzo altissimo sia sul fronte ucraino, in termini di risorse umane e
materiali, sia sul fronte interno dove si sta facendo ogni sforzo per contenere
gli effetti deleteri di un’economia di guerra e di una finanza che sono di
fatto fortemente limitate e che stanno avendo un impatto rilevante sulla
quotidianità dei russi. Ora, a fronte di questa scelta di forza dobbiamo però
prendere atto del fatto che – dal punto di vista della leadership russa – forse
non c’erano molte altre alternative. Un passo indietro significherebbe
ammettere la sconfitta e questo determinerebbe la fine politica di Putin. Da qui
la necessità di aumentare la pressione, seguendo i consigli dei falchi del Cremlino,
e tentare la carta della mobilitazione generale per la difesa dei confini che,
tra qualche giorno, si estenderanno ai territori ucraini attualmente tenuti
dalle forze russe.
C’è la famosa
immagine del topo nell’angolo, non è rischioso avere Putin con le spalle al
muro?
Un Putin con le spalle al muro è certamente lo scenario
peggiore che potrebbe prospettarsi le cui conseguenze andrebbero ben oltre i
confini ucraini. Putin in questo momento è in una posizione estremamente
precaria e qualunque azione di forza che possa consentirgli di uscire dal
pantano ucraino verrà perseguita. L’annessione via referendum e la minaccia
nucleare sono un’opzione che Putin ha perseguito a causa della mancanza di
tutte le opzioni a lui favorevoli: l’assenza di una vittoria lampo su Kiev, il
mancato collasso delle forze armate ucraine, la divisione dell’occidente a
supporto dell’ucraina. Putin non ha ottenuto nulla di tutto ciò, e dunque si
prepara ad attuare l’unica opzione perseguibile, in alternativa alla sua non del
tutto impossibile uscita di scena.
Settimana scorsa c’è
stato il vertice di Samarcanda. E anche qui la Russia non sembra aver trovato
appoggi incondizionati da parte di Cina e India.
L’india e la Cina sono state elegantemente perentorie nella
presa di posizione nei confronti della guerra di Putin in Ucraina: Pechino ha
negato la possibilità di aiuti militari alla Russia in Ucraina, tanto che si è
parlato di richieste di Mosca alla Corea del Nord (per razzi e proiettili) e
all’Iran (per i droni); e Nuova Dehli, storicamente molto vicina alla Russia,
non ha lasciato adito a dubbi nell’affermare che questo non è il momento della
guerra e la pace deve essere l’obiettivo primario. Dunque Putin, che guardava a
Samarcanda come a un’occasione per cercare di rafforzare la propria posizione
ha invece incassato un risultato molto più negativo di quanto non si
aspettasse. È forse l’inizio di un isolamento che sino a poche settimane fa
vedeva solo l’Occidente chiudere lo scambio commerciale e la collaborazione con
Mosca ma che ora comincia a interessare anche quegli storici alleati e amici
che dalla guerra sono toccati in termini economici, commerciali e finanziari.
Ucraina, Afghanistan: facciamo il punto – RADIO 24
L’analisi del Direttore Claudio Bertolotti a Radio 24 – Nessun luogo è Lontano, ospite di Giampaolo Musumeci (puntata del 7 settembre 2022)
Ieri l’Aiea ha pubblicato il rapporto sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Dal documento si evince che nonostante i diversi danni alla struttura, i livelli di radiazione nella zona sono “rimasti normali”. Ciononostante l’agenzia è “gravemente preoccupata per la situazione”. Ne abbiamo parlato con Marco Sumini, professore di Fisica dei reattori nucleari all’Università di Bologna.
A poco più di un anno dalla presa del potere da parte dei talebani, torniamo a Kabul con voci esclusive per raccontare ancora un paese che sembra essere nuovamente dimenticato dalla maggior parte dei media e dell’opinione pubblica. Il racconto con Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight, e con le voci raccolte da Morteza Pajhwok, giornalista a Kabul.
Ascolta il Commento di C. Bertolotti a Radio 24 – Nessun luogo è lontano (dal minuto 25)
Possibile intesa sul Nucleare con cappello ONU come accordo sul grano? Di necessità virtù? E forse prodromo a un ulteriore tassello di pace? Cioè singoli dossier molto verticali sui quali si trova accordo (grano, nucleare, ecc) e che magari sommati alla lunga portano verso la pace
Ecco, questo è certamente un fatto di importanza rilevante. Il
Segretario generale dell’Onu António Guterres, di fatto ha ribadito in
forma edulcorata e accettabile per i russi, quanto già aveva auspicato all’inizio
di agosto, e lo ha fatto definendo una precisa priorità, ossia che: “Le
forze russe e ucraine debbano impegnarsi a non intraprendere alcuna operazione
militare verso o dal sito della centrale. Come secondo passo, dovrebbe
essere garantito un accordo su un perimetro smilitarizzato“. Il
fatto interessante è che come nel primo passo auspicato non sia fatto esplicito
riferimento all’abbandono dell’area da parte delle forze russe che, sì, non
potrebbero usare l’area per intraprendere attività offensive ma potrebbero
collocarvi, o mantenervi, all’interno assetti importanti per le attività di
comando, controllo e comunicazione. Il che sarebbe un grande vantaggio per la
Russia, non per l’Ucraina, ma che tranquillizzerebbe le opinioni pubbliche
occidentali e dunque le cancellerie europee. E forse sarebbe l’unica opzione
accettabile dalla Russia che in questo momento continua a mantenere, come ha
fatto per tutta la guerra, il vantaggio tattico pur a fronte di grandi perdite,
umane e materiali. Può essere un tassello verso un possibile negoziato, a
piccolissimi passi.
Un suo personale bilancio su questo primo anno di governo talebano in Afghanistan
A un anno dalla
presa del potere da parte dei talebani, l’Afghanistan è un paese
fallito, in preda a una crisi alimentare ed agricola senza
precedenti e con un governo incapace di rispondere alle più elementari
necessità del suo popolo, dalla salute alla sicurezza, e che, nonostante la
crisi economica e sociale, impone un’economia di guerra e una sempre più severa
restrizione dei diritti individuali, a partire dalle donne, sempre più a
margine della vita sociale. Però va detto che l’Afghanistan è oggi
un paese sostanzialmente più sicuro di quanto non lo fosse un anno fa. Una
sicurezza che si traduce in numeri di vittime civili e militari che si sono
ridotti a una minima frazione di quelli registrati durante la guerra dei
vent’anni. Ma non per questo l’Afghanistan è divenuto un posto migliore in cui
vivere, anzi… è divenuto un incubatore di realtà jihadiste, nuove e vecchie,
che hanno la possibilità di collaborare o anche di combattersi a vicenda.
Dunque parliamo di una sicurezza relativa e di breve durata. E le premesse non
aprono ad alcuna prospettiva di miglioramento nel breve periodo; al contrario,
aumenta la presenza, l’attivismo, la capacità organizzativa e operativa dei gruppi
jihadisti che in questo paese hanno ritrovato una base sicura per
colpire all’interno dei confini afghani (dove si impone la competizione tra i
talebani al governo e il gruppo terrorista “Stato islamico Khorasan”), nei
paesi della regione (i talebani pakistani, il movimento islamico
dell’Uzbekistan, i jihadisti uiguri che guardano alla Cina come obiettivo da
colpire) ma anche più lontano, in Occidente, in Africa e nel Sud-Est asiatico.
Una situazione dinamica che ci consegna un paese più pericoloso e
fertile per il jihadismo internazionale di quanto non lo fosse prima
dell’intervento statunitense contro al-Qa’ida, responsabile degli attacchi
agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001 e ospitata dai talebani afghani.
Dopo la presa del potere dei Talebani, in molti temevano una ondata di profughi afghani cercare rifugio in Europa. Così non è stato; come mai?
L’unica certezza per poter espatriare dall’Afghanistan è
quella irregolare, o illegale, dal momento che i talebani hanno vietato l’espatrio
se non per motivi particolari, con esclusione delle donne che non possono
lasciare il paese se non accompagnate da un uomo. Una situazione in cui
aumentano dunque i pericoli di un viaggio che non garantisce certezze ma che ha
costi molto elevati in pochi possono permettersi. Due le rotte migratorie principali:
l’Iran e il Pakistan, dove da ottobre a gennaio il numero di attraversamenti sarebbe
quadruplicato rispetto ai dati dell’anno precedenti. E parliamo di cifre che si
attestano a 4/5000 persone al giorno. Il fatto che non arrivino profughi
afghani in Europa non significa che non ci siano afghani che vogliano
raggiungerla, bensì è conseguenza della determinazione dell’Unione europea a
contenere i migranti nella regione. Unione
europea che lo scorso autunno ha promesso oltre 1 miliardo di dollari in aiuti umanitari per l’Afghanistan e i paesi vicini
che ospitano gli afghani che sono fuggiti.
L’Afghanistan dei Talebani continua ad essere isolato dal punto di vista diplomatico; la situazione è destinata a rimanere la stessa?
L’isolamento diplomatico è solamente una questione di
prospettiva. Se guardiamo con lo sguardo da occidente sì, l’Afghanistan è
isolato sul piano formale, anche se su quello sostanziale non mancano gli
indizi che suggeriscono un dialogo costante con gli Stati Uniti – dialogo che
ha avuto un momento di tensione con l’uccisione del capo di al-Qa’ida, ayman
al-Zawairi, proprio nel centro di Kabul, con questo confermando il solido
legame con la frangia talebana più estremista, quella del gruppo Haqqani il cui
leader è oggi il potente ministro degli interni. Ma di isolamento non possiamo
proprio parlare se guardiamo da una prospettiva orientale e mediorientale.
Palista, Uzbekistan, Qatar, Arabia Saudita sono paesi che hanno avviato
rapporti sempre più intensi con l’Emirato talebano, in particolare in tema di
scambi commerciali e supporto. Ma oltre a questi paesi di medio e piccolo peso
se uniscono die pesi massimi: la Cina e la Russia. La prima interessata a
tutelare i propri investimenti fatti in Afghanistan nel settore estrattivo
minerario, la seconda, Mosca, che ospita i talebani a tutti gli eventi di
natura commerciale che organizza. Dunque attenzione a parlare di isolamento, perché
questo in realtà è sempre meno concreto ed efficace.
La guerra in Ucraina ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle cancellerie internazionali; l’Afghanistan è destinato a scivolare sempre più al margine dello scacchiere internazionale?
Purtroppo sì. Quella afghana è una guerra che l’Occidente
guidato dagli Stati Uniti ha perso. E le sconfitte devono essere dimenticate,
chiuse negli archivi della storia e lontane dall’opinione pubblica. Si guarda
oltre, alle priorità immediate: ora è la guerra in Ucraina che focalizza la
nostra attenzione, ma un giorno tornerà l’Afghanistan, insieme al sahel, all’Africa
sub sahariana ad attirare la nostra attenzione su conflitti che sono già in
corso ma che sono fuori dall’attenzione massmediatica e politica.
Attacco all’ambasciata russa di Kabul: quali le ragioni?
Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a Radio24 – Effetto Notte, ospite di Roberta Giordano
Ascolta il commento di Claudio Bertolotti a radio 24, puntata del 5 settembre 2022 (dal minuto 48).
L’entità e la portata degli eventi che abbiamo registrato nell’ultimo anno, cioè da quando i talebani hanno provocato il collasso dello stato afghano, è marginale e rappresenta una minima parte degli attacchi che i talebani hanno storicamente condotto contro le forze afghane e quelle occidentali. Dunque lo Stato islamico Khorasan, che ha rivendicato l’attacco contro l’ambasciata russa di Kabul, ad oggi è ancora una minaccia limitata.
The Islamic State has claimed the suicide bombing at the Russian Embassy in Kabul in a statement through its Central Media outlet Amaq. The statement says that the bomber blew himself in a crowd. “The Taliban had assured countries including Russia of their safety” it concludes. pic.twitter.com/ambveXPJ70
i terroristi di al-Qa’ida, legati indissolubilmente ai talebani
Il problema è però spostato avanti nel tempo in quanto il gruppo terrorista e gli altri gruppi regionali si stanno rafforzando sempre più: da una parte ci sono i terroristi di al-Qa’ida, legati indissolubilmente ai talebani, dall’altra parte ci sono i gruppi del jihad globalista che guardano ai talebani come dei traditori da colpire e che auspicano una guerra settaria, in primo luogo contro la minoranza hazara di confessione sciita.
Sullo specifico attacco alla sede diplomatica russa a Kabul, sono due gli aspetti che devono essere considerati per valutarne la portata e la volontà di compierlo. Il primo è dimostrare che i talebani, che da forza insurrezionale e terrorista hanno assunto il ruolo di forza di governo, sono incapaci di garantire un minimo livello di sicurezza in un paese già sostanzialmente fallito e che non è in grado di garantire nulla ai propri cittadini e, come in questo caso, non è in grado di garantire la sicurezza agli stranieri.
la volontà di colpire, simbolicamente, quella Russia che i talebani cerca di coinvolgerli sul piano politico
Dall’altro lato vi è poi la volontà di colpire, simbolicamente, quella Russia che con i talebani non solo dialoga ma coerentemente con la propria visione cerca di coinvolgerli sul piano politico, ma ancor prima economico, commerciale e di ricostruzione infrastrutturale in linea con quanto cercò di fare la stessa Unione Sovietica nel 1989 quando cercò il dialogo e la collaborazione del leader della resistenza afghana Ahmad Shah Massoud.
📌#ReaCT2023 The 4th annual Report on Terrorism and Radicalisation in Europe ⬇📈launches on 23rd May. Don't miss it! 📊📚Numbers, trends, analyses, books, interviews👇 pic.twitter.com/KLIWWlrJXS
🔴📚 OUT SOON! #ReaCT2023 Annual Report on Terrorism and Radicalisation in Europe | Start Insight ⬇ 16 articles by different authors discuss current trends and numbers. Available in Italian and English startinsight.eu/en/out-soon-r…
🔴@cbertolotti1 a FanPage sulle varie ipotesi dell'attacco👉"(...) non si tratterebbe di droni in grado di fare danni significativi, ma piuttosto di una tipologia di equipaggiamento in grado di fare danni limitati con l'obiettivo di portare l'attenzione mediatica sulla questione" twitter.com/cbertolotti1/s…
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.