LIVE streaming – In questa puntata, in 20 minuti si è discusso degli aspetti emergenti delle guerre future e del ruolo ed evoluzione del terrorismo con il Prof. Marco Lombardi dell’Università Cattolica di Milano e del Centro di Ricerca ITSTIME e con Claudio Bertolotti, analista strategico e direttore dell’Osservatorio ReaCT sul radicalismo e contrasto al terrorismo. Questo episodio fa parte di una serie che START InSight dedica settimanalmente all’incontro con gli autori del Rapporto annuale #ReaCT2022
Guerra russo-ucraina (D+65): la coerenza della dottrina militare russa e l’errata percezione occidentale. (Seconda parte)
La coerenza della dottrina militare russa e l’inquinamento delle info-ops;
L’errata percezione occidentale sulla “battaglia” per
Kiev;
Vulnerabilità delle forze aviotrasportate russe: armi
controcarro ucraine e sotto-impiego;
Analogie d’impiego delle forze aviotrasportate ucraine e
russe;
La vulnerabilità della fanteria: mezzi vecchi e inadatti.
La coerenza
della dottrina militare russa e l’inquinamento delle info-ops
Le informazioni e i dati disponibili su
quale sia stato il reale sviluppo, e soprattutto quali erano i reali scopi,
delle operazioni condotte dalle forze russe nell’area di Kiev e dell’Ucraina
nord-orientale nelle prime settimane di conflitto sono ancora molto limitate e
approssimative, oltre che fortemente “inquinate” dalle “Information Operations”
(Info-Ops) tutt’ora in corso, in primo luogo da parte ucraina. Tuttavia, a oggi
è possibile abbozzare alcune considerazioni, soprattutto riguardo le modalità
d’azione e i procedimenti tecnico-tattici adottati dalle unità russe, in
particolar modo durante la prima fase del conflitto, quella comprensiva delle
profonde avanzate iniziali. Uno dei commenti a caldo su di esse si è
focalizzato sull’osservazione dei reparti russi che muovevano soprattutto lungo
le rotabili principali, stigmatizzandolo come un evidente errore tattico. In
realtà, queste affrettate analisi non hanno tenuto conto della dottrina tattica
dell’esercito russo, anche in questo caso direttamente mutuata da quella in
vigore già in epoca sovietica. In essa, il mantenimento della velocità di una
manovra offensiva, e del cosiddetto “ritmo dell’avanzata”, della stessa,
riveste carattere di massima importanza. Pertanto, il movimento su strada viene
privilegiato e raccomandato ogniqualvolta possibile prima dell’effettivo
contatto con le posizioni difensive avversarie. La formazione di marcia su
strada è espressamente prevista e fa parte dello schema di manovra del
combattimento offensivo, prevedendo un rapido passaggio a quella d’attacco,
aperta e spiegata sul terreno, con procedure standardizzate e ripetute più
volte in addestramento ed esercitazioni.
L’errata
percezione occidentale sulla “battaglia” per Kiev
In particolare, attualmente, per le
forze in attacco l’esercito russo prevede tre formazioni principali, con
diverse modalità per i vari livelli ordinativi: quella di marcia (compresa la
modalità “in presenza di minaccia”), marcia pre-combattimento e la formazione
da combattimento. A tutti gli effetti, osservando le avanzate delle forze russe
dei primi giorni di guerra, anche e soprattutto nei settori settentrionali del
teatro operativo (circa 300 Km, ad esempio, dal confine russo, nell’area di Sumy
fino ai sobborghi orientali di Kiev, in una settimana) si può vedere come esse
abbiano coperto diverse centinaia di km in pochi giorni, e ciò quasi certamente
è stato ottenuto con l’applicazione dei citati schemi tattici. In realtà, se
ciò abbia poi effettivamente comportato delle forti criticità, soprattutto a
causa del sistematico aggiramento degli insediamenti urbani, sui quali le unità
ucraine hanno continuato a resistere per molto tempo anche dopo essere state
circondate, dovrà essere sicuramente materia di analisi successive e più approfondite,
comprensive anche dei dati reali sulle perdite di entrambe le parti. Tuttavia,
ciò dovrà essere fatto concentrandosi più opportunamente sulla reale validità,
e aderenza alla realtà attuale delle moderne operazioni terrestri, della
dottrina tattica russa, piuttosto che sulla presunta incompetenza di comandanti
e uomini sul campo, come si è sentito affrettatamente concludere, anche da
parte di “addetti ai lavori”, tradendo in questo modo un approccio erroneo nel
voler analizzare lo sviluppo di operazioni militari reali secondo
un’impostazione “occidentalizzata” che mal si attaglia a un’analisi realmente
seria e approfondita.
Vulnerabilità
delle forze aviotrasportate russe: armi controcarro ucraine e sotto-impiego
Un altro aspetto interessante, dal punto
di vista tattico, riguarda l’impiego da ambo le parti delle Grandi Unità
aviotrasportate e d’assalto aereo. Nella terminologia militare occidentale la
distinzione tra le due categorie di forze riguarda sostanzialmente il mezzo con
il quale esse realizzano il cosiddetto “aggiramento verticale”, che è quello
aereo e l’aviolancio per le prime, e l’elitrasporto/eliassalto per le seconde
(definite più precisamente, nella terminologia militare italiana,
“aeromobili”), fatto salvo che si tratta di unità leggere che mantengono
comunque un’elevata flessibilità di impiego nelle varie situazioni operative.
Nella dottrina dell’esercito sovietico le robuste divisioni aviotrasportate
delle Vozdušno-desantnye vojska (VDV) dovevano
eseguire le cosiddette “azioni concorrenti”, lanciandosi nelle retrovie della
NATO per conquistare obiettivi in profondità, attaccare le sorgenti di fuoco
nucleare e sconvolgerne le retrovie, disarticolandone l’alimentazione tattica e
logistica. Aspetto peculiare di queste unità era che esse erano interamente meccanizzate,
ossia con i reparti dotati di veicoli da trasporto e combattimento per la
fanteria, nello specifico quelli della serie BMD (“Boevaja Mašina Desantnaja”)
specificamente concepiti per l‘aviotrasporto e anche “aviolanciabili”. Il
criterio fondamentale era riferito al fatto che secondo la dottrina sovietica
le unità delle VDV a livello divisione sarebbero state aviolanciate molto in
profondità (fino a 300 Km) nelle retrovie delle forze NATO, e pertanto dovevano
possedere un adeguato livello di protezione e capacità di sopravvivenza per
poter resistere per un tempo ragionevole (diversi giorni) prima di
ricongiungersi con il grosso delle forze amiche. Le unità d’assalto aereo avevano
invece solo un’aliquota minore (circa ¼) dei loro reparti meccanizzati.
Le attuali unità
aviotrasportate russe, che nell’apparato militare di Mosca costituiscono una forza
armata indipendente, hanno la stessa fisionomia di quelle sovietiche, e i
veicoli della serie BMD, nei loro modelli più aggiornati, ancora oggi
equipaggiano le unità delle VDV. Tuttavia, un necessario prerequisito tecnico
di questo tipo di mezzi è quello di doverne necessariamente limitare il peso
complessivo, al fine di garantire la possibilità di aviotrasporto (e, nel caso
specifico, anche l’ “aviolanciabilità”) andando inevitabilmente a incidere
anche sul livello di protezione. Nella tipica situazione operativa in cui
queste unità dovrebbero operare, quella di azioni condotte in profondità dopo
essere state “lanciate” contro le retrovie dell’avversario, questa evidente
limitazione potrebbe essere ritenuta accettabile nel momento in cui in
quell’area della battaglia la minaccia delle armi controcarro non dovrebbe
essere così elevata come invece avviene, ovviamente, in corrispondenza o in
prossimità della linea di contatto. Ma nel corso del conflitto in atto in
Ucraina è facile rilevare come, dopo le azioni di assalto aereo condotte (a
quanto pare senza troppa fortuna) nelle primissime fasi della guerra, diverse
Grandi Unità delle VDV siano impiegate dall’esercito russo come normali pedine
di manovra, sulla linea di contatto, alla stregua di quelle motorizzate e
corazzate. Ciò è quanto è stato osservato lungo la direttrice d’attacco
iniziale a ovest di Kiev, lungo la sponda destra del Dnepr, dove sarebbero
state identificate la 31a brigata d’assalto aereo e la 98a
divisione aviotrasportata, mentre sul lato opposto del teatro di operazioni,
quello meridionale della Crimea, nel settore di Kherson- Mikolayv,
stanno operando i reparti della 7a divisione d’assalto aereo. Senz’altro,
la caratteristica di queste forze di essere “anche” meccanizzate le rende di
fatto bivalenti, cioè effettivamente in grado di assumere anche un ruolo di
questo tipo, ma resta da verificare come il minore livello di protezione dei
BMD possa aver inciso sulla loro efficacia in combattimento, e di conseguenza
su quella dei reparti che ne sono dotati. D’altro canto, questo fatto potrebbe
essere un ulteriore indicatore della non abbondanza di Grandi Unità pesanti
(con termine ottocentesco diremmo “di linea”), motorizzate e corazzate
dell’esercito da utilizzare nei vari settori dell’area di operazione.
Analogia
d’impiego delle forze aviotrasportate ucraine e russe
Le forze armate russe e
ucraine condividono la comune origine con quelle sovietiche, una circostanza
importante che si palesa non solo nell’armamento e i mezzi in dotazione, ma
anche negli aspetti organizzativi, ordinativi e dottrinali. A tal proposito, un
caso particolarmente evidente è proprio quello delle forze aviotrasportate.
Anche le Desantno-shturmovi viyska Ukrayiny (DShV), ossia le unità aviotrasportate
e d’assalto aereo ucraine, sono formalmente una forza armata indipendente (come
peraltro anche le unità delle forze speciali) e anch’esse sono formate da unità
di fatto “bivalenti”, ossia dotate di veicoli da trasporto e combattimento per
la fanteria ma, contrariamente alle VDV russe, solo la 25a brigata
aviotrasportata è dotata di veicoli BMD-1 e BMD-2, mentre le altre brigate
d’assalto aereo hanno in dotazione gli stessi veicoli da trasporto e
combattimento della fanteria di cui sono dotati i reparti dell’esercito, in
particolare i ruotati BTR-70 e BTR-80 e i più moderni BTR-3DA. In esito a ciò,
le brigate delle DShV risultano essere sostanzialmente più robuste, dal punto
di vista della protezione, di quelle similari delle VDV, e ciò è esemplificato
dal fatto che tutte, ad eccezione, anche in questo caso, della 25a
(quella che ha come compito principale la condotta di operazioni
avioportate propriamente dette, e quindi relativamente più “leggera”) hanno in
organico una compagnia carri su T-80UD. L’impiego tattico delle unità delle
DShV (all’atto pratico da considerare, come avviene per le forze
aviotrasportate in tutto il mondo, come unità “scelte”), discende direttamente
da questa precisa fisionomia organica che le accomuna a quelle russe. Anch’esse
sono infatti intensamente impiegate come unità di manovra, a tutti gli effetti
come forze meccanizzate, e stanno operando nei settori più importanti e critici
del Donbas e della Crimea. È bene sottolineare come le caratteristiche di
“bivalenza” delle forze aviotrasportate russe e ucraine differisce radicalmente
da quanto avviene per le similari componenti delle altre forze armate in
occidente e nel resto del mondo, dove l’impiego come normali unità di manovra
di reparti aviotrasportati o aeromobili è previsto solo in via eccezionale o in
particolari situazioni e contesti operativi, facendo essi parte a tutti gli
effetti della categoria delle forze “leggere”.
La vulnerabilità della fanteria: mezzi vecchi e inadatti
Una delle lezioni apprese del precedente conflitto in Donbas del 2014-15 ha riguardato l’elevata vulnerabilità dei veicoli da combattimento della fanteria, in particolare quelli cingolati delle serie BMP (Boyevaya Mashina Pekhoty) e quelli ruotati della serie BTR (Bronetransportyor), in dotazione a entrambe le parti, nei confronti di praticamente tutte le tipologie di armamento controcarro. A tal proposito è stato osservato come le squadre di fanteria che sono normalmente trasportate a bordo di questi veicoli preferivano in molti casi sistemarsi all’esterno di essi, sullo scafo, durante il movimento, secondo la modalità che nella terminologia anglo-sassone è definito “tank-riders”, accettando il rischio di esporsi alla minaccia del fuoco delle armi portatili e delle schegge di granata, piuttosto che correre quello di restare intrappolati all’interno quando essi venivano colpiti e sistematicamente incendiati e distrutti dai missili e dai razzi controcarro degli avversari. Una delle motivazioni principali della relativa scarsa protezione di queste tipologie di mezzi (anche se, comunque, come descritto in precedenza, sempre relativamente maggiore rispetto agli ancora più leggeri BMD) è che essi furono concepiti in epoca sovietica, quando lo scenario d’impiego erano le operazioni offensive da condurre sul “Fronte Centrale” della NATO, in Germania occidentale, dove uno degli ostacoli principali da superare sarebbero stati i grandi fiumi tedeschi che sbarrano le direttrici d’avanzata da est verso ovest. Di conseguenza, un requisito tecnico fondamentale identificato per molti dei veicoli da combattimento dell’esercito sovietico era quello della capacità anfibia, da ottenere con una determinata configurazione veicolare e una limitazione di peso che andava inevitabilmente a scapito della protezione. L’esercito russo pare aver preso atto da diverso tempo di questa problematica, tanto da avviare l’acquisizione di una nuova generazione di IFV (Infantry Fighting Vehicle), quali il Kurganets-25 e il pesante T-15 Armata (48 tonnellate). Quest’ultimo, in particolare, possiede uno stesso scafo similare a quello del nuovo carro da battaglia T-14 Armata (con la principale differenza dell’alloggiamento del motore, che è posto frontalmente, una soluzione che ne aumenta la protezione nell’arco frontale), aspetto che lo qualifica a tutti gli effetti come IFV “pesante”, con una concezione adottata già da tempo per questa categoria di mezzi dall’esercito israeliano. A essi si aggiunge il Bumerang, un veicolo da trasporto per la fanteria, o Armored Personnel Carrier, ruotato (8×8) destinato a sostituire i veicoli della serie BTR. Tuttavia, questa nuova generazione di mezzi, aventi lo scopo di rinnovare profondamente il parco dei veicoli da combattimento dell’esercito russo, nonostante i primi prototipi siano apparsi già nel 2015, stanno ancora attualmente completando la fase di sviluppo (come sta avvenendo anche per l’innovativo carro da battaglia T-14 Armata), e probabilmente anche a causa di problemi finanziari non sono ancora entrati in servizio. Per questo motivo, le operazioni in Ucraina, così come sta avvenendo per i principali modelli di carri, sono ancora condotte dalle unità di fucilieri motorizzati russe con i mezzi della precedente generazione BMP-BTR-BMD, con tutte le possibili implicazioni del caso in termini di protezione e vulnerabilità.
Artiglieria, mezzi corazzati e fanteria: dall’interazione di questi elementi, e anche di quello, molto importante, relativo alla fine graduale della stagione del disgelo (la “Rasputitsa”), che renderà più favorevole la manovra fuori strada alle forze motorizzate e corazzate russe, dipenderà molto dell’esito della battaglia del Donbas, che molto probabilmente vedrà un graduale aumento della pressione degli attaccanti già da questa settimana.
Fabio Riggi
Key Takeaways:
Da Izyum alla conquista del Donbas;
Il combattimento nei centri abitati avvantaggia gli ucraini;
La pianura è diventata impervia per i carri russi? Spazio alla dot-trina (e alla fanteria);
L’antidoto russo contro la resistenza ucraina: carri armati e artiglieria.
Il conflitto tra
Russia e Ucraina è giunto a oltre due mesi di durata, e anche per ciò che
riguarda il livello tattico gli elementi emersi fino a questo momento rendono
possibile e opportuno abbozzare alcune considerazioni, e sottolineare alcuni
elementi emersi fino a questo momento.
Da
Izyum alla conquista del Donbas
Dal punto di vista
del quadro generale delle operazioni, dopo aver completato, sostanzialmente in
buon ordine, la complessa manovra di ripiegamento dai settori di Kiev e del
nord-est dell’Ucraina, le forze terrestri russe sono ora impegnate nella
condotta del loro principale sforzo offensivo lungo la linea di contatto del
Donbas (in realtà, dopo le prime avanzate delle truppe di Mosca e di quelle
delle repubbliche separatiste non più corrispondente a quella iniziale
antecedente al 24 febbraio), lungo l’asse di penetrazione posto subito a sud di
Izyum, posizione chiave conquistata dai russi il 1° aprile scorso e direttrice
che rappresenta il braccio settentrionale della manovra di singolo avvolgimento
che i russi stanno perseguendo ormai da settimane ai danni delle brigate
ucraine schierate a difesa del Donbas, e più sud-est nella regione di Zaporizhia.
La propaggine est di questa manovra, che ha prodotto un andamento convesso del
fronte, è il saliente di Severodonetsk, formato a nord da quest’ultima città e
circa 35 km a sud da quella di Popasna. Al momento, i russi avrebbero
conquistato diversi centri abitati, sia a sud di Izyum sia nord di
Severodonetsk, così come almeno una parte di Popasna. Pesanti martellamenti di
artiglieria e aviazione, con seguenti attacchi, sono in corso lungo tutta la
linea del Donbas e nel settore meridionale di Zaporizhia (dove starebbero
operando almeno una parte delle unità russe già impegnate nell’assedio di
Mariupol). In particolare, le azioni russe sono in corso sui centri di Vulhedar, Mariinka, Ocheretyne, Krasnohorivka,
Novomykhailivka e Avdiivka, mentre più a sud ugualmente investiti
dall’offensiva russa sono gli abitati compresi tra Polohy e Huliaiopole, in
particolare Orikhiv, Huliaipilske, Malynivka, Stepnohirsk, Neskuchne, Pavlivka,
Novodanylivka, Poltavka, Zaliznychne, Preobrazhenka, Vremivka, Belogiria,
Temyrivka e Novoandriyivka, dove si starebbero registrando alcune avanzate
delle forze russe. A nord, nel settore di Kharkiv, un contrattacco ucraino
condotto dalla ormai celebre 92a brigata meccanizzata punta
da giorni, avanzando lentamente, sul nodo di Kupiansk (un punto vitale lungo
l’asse logistico delle forze russe che parte da Belgorod passando per Valuiky)
è ancora in corso, e ha prodotto la conquista di alcuni insediamenti a sud-est
di Kharkiv. Nel settore occidentale, quello dell’importante testa di ponte di
Kherson, la controffensiva ucraina proveniente da Mykolayiv (ancora nel raggio
d’azione dell’artiglieria russa) è ancora in corso, mentre unità russe nei
giorni scorso avevano ripreso a condurre delle puntate offensive a nord, verso
Krivyi Rih.
Il combattimento nei centri
abitati avvantaggia gli ucraini
Come si può vedere,
il sommario riassunto delle operazioni in corso continua a essere punteggiato
dai combattimenti incentrati sui numerosi centri abitati della regione, e
questo induce a sviluppare la prima di una serie di considerazioni su alcuni
degli elementi propri del livello tattico del conflitto. Se è vero che ampie
zone dell’Ucraina, e in particolare quelle meridionali dove ora sono
concentrati i principali sforzi offensivi dell’esercito russo, sono
pianeggianti, e quindi tecnicamente definibili a “elevato indice di
scorrimento”, dunque teoricamente favorevoli alla manovra di forze pesanti
(meccanizzate e corazzate), così com’è avvenuto in questi luoghi nella seconda
guerra mondiale in varie e importanti fasi del conflitto sul fronte orientale,
è però oggi necessario tenere conto del processo di urbanizzazione avvenuto in
quell’area nei decenni che ci separano dagli anni ’40 del secolo scorso.
L’efficacia mostrata fin’ora dalle azioni difensive delle unità ucraine,
condotte con ampio uso di varia tipologia di armi controcarro, pare essere
stato grandemente favorito proprio dalla rete di centri abitati che oggi si
trovano sparsi sul territorio, insediamenti sui quali sono state incentrate la
maggior parte delle posizioni di frenaggio e resistenza delle forze di Kiev. In
realtà, l’effettiva letalità dei sistemi controcarro utilizzati dai difensori,
ad onta del profluvio di notizie di stampo propagandistico e della messe,
disordinata e “incompetente”, di materiale che popola i social sin dalle prime ore della guerra, è ancora tutta da
valutare, e ciò sarà possibile in modo realmente compiuto e aderente alla
realtà solo tra molto tempo. Tuttavia, è ragionevolmente certo che il volume di
fuoco erogato dall’armamento controcarro dei reparti ucraini ha sicuramente dato
un contributo nel rallentare, o anche disarticolare, le avanzate di quelli
russi.
La pianura è diventata
impervia per i carri russi? Spazio alla dottrina (e alla fanteria)
Il processo in base
al quale “la pianura è diventata impervia” per eserciti fortemente
meccanizzati, quale quello russo, è stato già studiato in modo approfondito
dall’esercito statunitense e da altri della NATO nel corso della guerra fredda,
in particolare sul finire degli anni ’70 e nei primi anni ’80 dello scorso
secolo. Traendo spunto dall’approfondita analisi dei brillanti successi
ottenuti dagli israeliani nella difesa delle alture del Golan nella guerra del
Kippur del 1973, lo US Army elaborò quella che venne definita “difesa attiva”,
basata sullo sfruttamento di ben organizzate posizioni difensive basate sul
massimo sfruttamento del terreno e degli ostacoli che esso offre, dalle quali
erogare un elevato volume di fuoco, in particolar modo con sistemi controcarro,
in particolare quelli missilistici e media e lunga gittata, “Anti Tank Guided
Missile” (ATGM), integrandoli con l’azione difensiva di carri, per infliggere
all’attaccante perdite così pesanti da smorzarne l’impeto e in definitiva
arrestarne la progressione. Ciò sarebbe servito nella condotta di operazioni
difensive che si prevedeva di dover eseguire su quello che era conosciuto come
il “Fronte Centrale” della NATO, in Germania, contro le all’epoca preponderanti
forze motorizzate (così come nella terminologia sovietica, e oggi in quella
russa, sono denominati i reparti di fanteria che in occidente sono indicati
come meccanizzati) e corazzate sovietiche, nel quadro di un ipotetico confronto
armato con il Patto di Varsavia. La “difesa attiva” venne formalizzata nel
corpus dottrinale dell’esercito statunitense con la pubblicazione Field-Manual
100-5 (FM 100-5) del 1976, e poi recepita anche in ambito NATO. L’esercito
britannico, in particolare, nell’esaminare lo stesso problema tattico riferito
al “Fronte Centrale” (dove schierava le sue forze in corrispondenza delle
grandi pianure della Germania settentrionale) esaminò il caso storico
dell’operazione “Goodwood”, l’offensiva condotta dalla 2a armata
britannica, in Normandia, subito a sud di Caen, durante la seconda guerra
mondiale, dal 18 al 20 luglio 1944, quando l’attacco di 5 divisioni britanniche
(2 di fanteria e 3 corazzate), preceduto da un imponente fuoco di preparazione
terrestre e aereo, fu dapprima contenuto e poi definitivamente arrestato dalla
tenace di difesa di unità tedesche appoggiate a una serie di centri abitati
organizzati in capisaldi dai quali entravano in azione cannoni controcarro e
semoventi cacciacarri. Dopo aver effettuato una serie di simulazioni
(“wargames”), i britannici elaborarono il concetto tattico di “Framework
Defense”, basato sull’organizzazione a difesa della “rete” di centri abitati
presente nelle pianure tedesche, uno schema ripreso a sua volta dallo US Army
con la cosiddetta “Grid Defense”, e basato ampiamente sul ricorso a unità di
fanteria leggera (o comunque appiedata, nel caso di unità di fanteria
meccanizzata), in grado di sfruttare al meglio il valore difensivo offerto dai numerosi
piccoli e medi insediamenti urbani che punteggiano il territorio tedesco. La
“Grid Defense” fu studiata anche in Italia, come si evince da due articoli
apparsi sulla Rivista Militare, il periodico ufficiale dell’Esercito Italiano:
“Impiego della fanteria non meccanizzata” (Rivista Militare gennaio-febbraio
1983) e la “la Grid Defense” (Rivista Militare marzo-aprile 1985), scritti dall’allora
tenente colonnello Fabio Mini.
Uno sguardo, anche
approssimativo, alle caratteristiche del terreno presente nel Donbas ce lo
mostra con non poche analogie, per ciò che riguarda il livello di
urbanizzazione, seppur su una scala lievemente minore, con quello del celebre
“varco di Fulda”, in Germania, o con quello delle altre grandi pianure
tedesche, e ancora con quello dell’Italia nord-orientale, oggetto di studio
nell’era del confronto bipolare dei piani difensivi dell’Esercito Italiano, e
pertanto menzionato espressamente nei citati articoli. Esso risulta fortemente
compartimentato, non solo per la presenza di centri abitati, ma anche di
infrastrutture industriali, rurali e coltivazioni ad alto fusto, tutti elementi
che limitano i campi di vista e di tiro e la sua percorribilità per le
formazioni meccanizzate e corazzate. Pertanto, da quando il 19 aprile, come
dichiarato da entrambe le parti in lotta, l’offensiva nel Donbas e nel sud-est
dell’Ucraina ha avuto inizio, è ben spiegato il lento e sistematico progredire
delle forze russe attaccanti, che si sono impegnate in una serie di metodici
attacchi alle numerose cittadine e villaggi che si trovano nell’area di
operazioni.
L’antidoto russo contro la
resistenza ucraina: carri armati e artiglieria
In particolare, già
durante le analisi compiute durante la guerra fredda era stato individuato con
precisione l’ “antidoto” alle posizioni della fanteria con ATGM: il fuoco di
artiglieria. A ben vedere, il miglioramento dello stretto coordinamento delle forze
corazzate con l’artiglieria per parare la minaccia dei sistemi controcarro
avversari fu uno dei primi correttivi adottati degli israeliani già durante la
guerra del Kippur del 1973, subito dopo i primi giorni di conflitto, nell’area
di operazioni della penisola del Sinai, accorgimento che non mancò di produrre
subito positivi risultati. A tal riguardo, negli anni ’90 dello scorso secolo
l’esercito tedesco giunse alla conclusione che la poderosa artiglieria
sovietica avrebbe potuto neutralizzare la maggior parte dei capisaldi difensivi
e gli schieramenti controcarro degli ATGM della fanteria, traendone alcune
riflessioni sull’impiego di queste armi. A tutti gli effetti, il massiccio
ricorso al fuoco di artiglieria, sempre nell’ambito di azioni offensive metodiche
e progressive, è proprio ciò che le forze russe, nel solco della loro dottrina
e tradizione, stanno attuando nel corso della loro offensiva nel Donbas.
Peraltro, è bene notare come a fare da contraltare al vantaggio dei difensori
sul terreno urbanizzato e compartimentato del Donbas e del sud dell’Ucraina vi
è un altro elemento generale di non poco conto, che ancora emerge dall’esame
delle operazioni in corso: i russi paiono mantenere ben salda l’iniziativa,
mentre i contrattacchi condotti dagli ucraini hanno per il momento ancora un
carattere limitato e locale. A tutti gli effetti, le principali critiche che
sorsero poco tempo dopo l’introduzione della “difesa attiva”, già nell’ambito
dell’esercito statunitense, furono proprio riferite al fatto che essa appariva
troppo rinunciataria nei confronti dell’ipotesi di riguadagnare l’iniziativa a
livello tattico con contrattacchi di più ampio respiro di quelli locali,
affermando che al fine di conseguire risultati di valore operativo occorreva un
mutamento di approccio per riprendere a pensare di “vincere” la battaglia,
piuttosto che limitarsi a “non perderla”. Da queste riflessioni, nel corso
degli anni ’80 sorse la nuova dottrina denominata “Air Land Battle”, più
articolata in senso offensivo e rivolta al conseguimento di risultati decisivi.
Dall’interazione di questi elementi, e anche di quello, molto importante, relativo
alla fine graduale della stagione del disgelo (la “Rasputitsa”), che renderà
più favorevole la manovra fuori strada alle forze motorizzate e corazzate
russe, dipenderà molto dell’esito della battaglia del Donbas, che molto
probabilmente vedrà un graduale aumento della pressione degli attaccanti già da
questa settimana.
Ucraina: la Russia mantiene il vantaggio tattico. Quali sviluppi?
Quadro sul campo di battaglia: quale la situazione? La Russia quanto e dove sta prevalendo? Quali i risultati della resistenza ucraina? Risponde Claudio Bertolotti ai microfoni di Radio InBlu
Aggiornamenti dal fronte russo-ucraino: ascolta l’intervista di Chiara Piacenti al direttore Claudio Bertolotti (Radio InBlu, puntata del 27 aprile 2022)
Come confermato dagli attacchi missilistici degli ultimi
giorni, Le forze russe si sono concentrate nel tentativo di interrompere i
rinforzi e la logistica ucraini. E allo stesso tempo hanno dimostrato la capacità
di avere il predominio nell’uso dei bombardamenti di obiettivi con missili a
lunga distanza.
Una capacità che si accompagna al vantaggio tattico che la
Russia, nonostante le perdite registrate in oltre due mesi di guerra, continua
a mantenere su tutti i fronti.
Come sintetizzato dall’Institute for the Study of War (ISW)
e illustrato nelle recenti analisi tattiche e operative di START InSight
Lo sforzo principale delle
forze russe si concentra nell’Ucraina orientale, insistendo su due assi
principali Mariupol e Donetsk e
Luhansk, per la conquista del Donbas, e mariupol per garantire la continuità
territoriale dalla Crimea al Donbas. A questo sforzo principale si affiancano
le tre azioni di sostegno:
la prima –
su Kharkiv e Izyum – finalizzata a ottenere l’accerchiamento delle forze
ucraine;
la seconda, sull’Asse meridionale, con perno di
manovra sull’area di Kherson, dove la Russia tiene le posizioni e sfrutta le
vulnerabilità ucraine (che tentano di disturbare lo schieramento russo con
azioni di contrattacco, limitate e non decisive;
la terza, su Sumy e Ucraina nord-orientale dove
l’obiettivo russo consiste nel completare il disimpegno delle proprie truppe
che saranno rischierate, senza riposo, sul fronte orientale
La resistenza delle forze ucraine, al contrario, è in grado
di attuare azioni di contrasto e imporre parziali rallentamenti ai russi, ma
manca della capacità di effettuare una vera controffensiva. Così come armata,
equipaggiata e impiegata oggi l’Ucraina può solamente rallentare i russi, disturbarne
la manovra. E non è un caso che si siano registrati recentemente possibili
colpi di mano in Russia contro obiettivi militari e logistici.
È possibile per i russi arrivare fino a Odessa e Transnistria?
Al momento non è un obiettivo primario: tutt’al più gli
attacchi e l’attivismo russo in queste aree possono essere funzionali a
disorientare gli ucraini e a distrarne parte delle forze tenute pronte per la
difesa di Odessa. In particolare, la Transnistria, è presidiata da poche truppe
russe – tra 1200 e 1500 – delle quali non più di 400 con adeguata capacità
operativa.
Tensione crescente
Mosca-Londra
Il Regno Unito, insieme a Washington, è il paese che più si
espone e si oppone in maniera decisa alla politica aggressiva della Russia: lo
dimostrano le armi, gli istruttori britannici a favore di Kiev il supporto
concreto di Londra. I toni tra i due
paesi si alzano progressivamente lasciando immaginare scenari peggiori di
quelli attuali. Ma è bene evidenziare che di norma è la realpolitik a prevalere
e nessuno dei due vuole un’escalation che apra ad un allargamento del
conflitto. In quest’ottica va considerata come molto coerente la dialettica che
si è imposta tra Londra e Mosca, fatta di provocazioni, accuse e minacce
reciproche. Una dinamica che alzando assicella del conflitto potrebbe però
sfuggire di mano.
Incontro Putin
Guterres: risultati limitati
L’incontro non è stato anticipato da buoni auspici o da un sostegno trasversale. Al contrario l’Ucraina si è opposta all’incontro tra il segretario dell’Onu e il presidente Putin. I risultati non sono stati deludenti, ma coerenti con le aspettative. Si è parlato di gestione dei corridoi umanitari e dell’impegno a supporto degli sfollati: bene, questo è importante. Di più, davvero, l’Onu non poteva fare, sedendo, la Russia, al tavolo del consiglio di sicurezza delle nazioni Unite, e con diritto di veto.
Esistono reali possibilità di un accordo negoziale nel breve periodo?
Solo quando Putin lo riterrà opportuno: ora la Russia ha il
vantaggio tattico, ha preso possesso di importanti obiettivi, ha consolidato un
fronte estremamente ampio: da est a sud e sud-ovest. Le difficoltà, che pure
sono oggettive, sono inferiori ai vantaggi nel proseguire la spinta offensiva
nel Donbas. Ad oggi non vedo ragioni, da parte russa, per accettare un accordo
negoziale che non conceda più di quanto già ottenuto sul campo di battaglia.
Svizzera: due decenni di processi per terrorismo
di Ahmed Ajil, Università di Losanna (Svizzera) – Ricercatore, Criminologo
Una panoramica dei casi di cui si è occupato il Tribunale Penale Federale svizzero dall’11 settembre
Nonostante la Svizzera non abbia subito attacchi su vasta
scala come quelli che hanno colpito altre nazioni europee nell’ultimo decennio,
il fenomeno della violenza politico-ideologica di matrice jihadista è tuttavia
presente. Nel dicembre del 2021, i servizi di intelligence della Confederazione contavano 41 individui cosiddetti “a rischio” ritenuti cioè
“una minaccia prioritaria per la sicurezza interna ed esterna della Svizzera”.
Nel contesto del “monitoraggio della jihad”, (dal 2012 ad oggi) hanno anche
identificato 714 persone attive in rete che simpatizzano/simpatizzavano per
organizzazioni terroriste jihadiste distribuendo materiale di propaganda o
intrattenendosi con altri che difendono l’ideologia di questi gruppi. Dall’11
settembre 2001, 91 individui hanno lasciato la Svizzera per unirsi a
un’organizzazione terrorista in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, Siria o
Iraq. Alcuni sono tornati mentre altri,
attualmente detenuti dalle forze curde in Siria, cercano attivamente di essere
rimpatriati, cosa che il Consiglio Federale rifiuta di fare.
Fra i vari modi a disposizione per contrastare il fenomeno terrorista,
il ricorso al diritto penale costituisce il più ovvio. Nel suo rapporto
annuale del 2020, il Ministero Pubblico della Confederazione riportava
35 inchieste pendenti per terrorismo nel 2016, 34 nel 2017, 30 nel 2018, 31 nel
2019 e 26 nel 2020. In questo breve contributo, vorrei presentare alcune
conclusioni da un progetto di ricerca sulla repressione del terrorismo da parte
del Tribunale Penale Federale (TPF), condotta insieme al collega Kastriot
Lubishtani e i cui risultati sono in parte stati pubblicati su Jusletter del 31
maggio 2021.
Il Tribunale Penale
Federale (TPF), operativo dal 2004, è l’autorità giudiziaria incaricata di
emettere le condanne per i reati legati al terrorismo. I pochi procedimenti
penali aperti dalle autorità cantonali vengono presi in
carico dal Ministero Pubblico
della Confederazione (MPC) e portati a processo
davanti al TPF, ad eccezione di quelli che coinvolgono minori. L’analisi delle tendenze in ambito di giudizio,
ci permette di avere una visione approfondita dei casi più seri che superano tutti
gli stadi del cosiddetto “imbuto penale”. A questo
punto, è utile specificare che l’MPC può anche condannare autonomamente degli individui, fintanto che la sentenza non supera i sei mesi di
privazione della libertà. L’MPC utilizza spesso questa opzione, ma poiché
questi verdetti non sono di principio accessibili al pubblico, qui non ne
teniamo conto.
Da un punto di vista giuridico, ci sono principalmente due disposizioni
che vengono applicate in caso di reati di natura terroristica. Una è
rappresentata dall’articolo 260ter del Codice Penale Svizzero, che criminalizza il sostegno e la
partecipazione a organizzazioni criminali (una definizione che include i gruppi
terroristici). L’altra, è la Legge Federale che vieta le organizzazioni Stato Islamico,al-Qa’ida e gruppi
affini (in breve: legge IS/AQ), che è entrata in vigore il 1° gennaio del 2015.
Per la nostra ricerca abbiamo raccolto tutte le sentenze collegate a
queste due disposizioni e in seguito selezionato unicamente quelle relative al
terrorismo. L’unica forma di terrorismo con la quale il TPF si è confrontato a
partire dal 2004, è quella di ispirazione jihadista. Dalla pubblicazione del
nostro articolo nel maggio 2021, hanno avuto luogo due ulteriori udienze che si
sono concluse con la condanna di tre individui in totale, di cui si dà conto in
questo contributo.
I numeri
Dal 2004 fino al novembre 2021, il
TPF si è occupato di un totale di 17 procedimenti penali legati al terrorismo
jihadista. La maggior parte di questi, ha avuto luogo dopo lo scoppio della
guerra civile siriana e la conseguente espansione territoriale del gruppo Stato islamico che ha
raggiunto il suo picco nel giugno del 2014. In effetti, nel periodo fra il 2004
e il 2014, sono stati condotti tre procedimenti con l’incriminazione formale di
undici persone mentre altri 14 procedimenti e 21 persone sono state portate
davanti al TPF fra il 2014 e il 2020. La lingua dei procedimenti è stata il
tedesco in dodici dei casi trattati a Bellinzona (sede del TPF), mentre
il francese è stato utilizzato in tre casi e l’italiano in due occasioni.
Questi procedimenti sono relativamente complessi, ciò che si
riflette tanto nella durata dell’iter pre-processuale che nei costi. Fra l’avvio dei procedimenti penali
contro un/a sospettato/a e la sua effettiva incriminazione sono trascorsi, in
media, 882 giorni, vale a dire quasi due anni e mezzo. I costi diretti generati
dall’inchiesta, dalla difesa e dalle udienze sono arrivati a ragginugere gli
800.000 CHF per un singolo caso.
Nel contesto dei 17 procedimenti, davanti al TPF
sono apparsi 32 individui in totale. Ciò significa che in diversi casi –
precisamente in sette – erano coinvolte più persone. Nello
specifico, quattro
procedimenti hanno coinvolto due persone, mentre i restanti tre procedimenti hanno
coinvolto rispettivamente tre persone, quattro persone e infine sette persone. In ognuno
dei restanti dieci procedimenti, è stata incriminata un’unica persona.
La stragrande
maggioranza dei casi di terrorismo approdati al TPF ha portato a condanne. In totale, sono stati condannati 30 individui
mentre due persone sono state assolte da tutte le accuse. Fino al 20 novembre
2021, si registravano 21 sentenze definitive ed esecutive. Su 30 persone, sei
alla fine non sono state condannate per reati legati al terrorismo. Di
conseguenza, ad oggi, sono state emesse 24 condanne per reati legati al
terrorismo, di cui quindici definitive e nove pendenti.
Chi sono i terroristi svizzeri?
30 imputati erano uomini, mentre una donna è comparsa come co-imputata e
una seconda come imputata principale. Dodici degli accusati erano cittadini
svizzeri, sette dei quali con la doppia cittadinanza. Fra questi, una cittadino
svizzero-turco si è visto revocare la cittadinanza, per decisione confermata
dal Tribunale Amministrativo Federale nel 2021. Nove imputati avevano un
permesso di soggiorno. Dieci erano richiedenti l’asilo; di questi, sette con
una richiesta pendente e tre ammessi provvisoriamente. Una imputata non aveva
mai vissuto in Svizzera ma si trovava nel paese al momento del suo arresto.
L’ampia maggioranza, più precisamente 26 persone, non avevano precedenti
penali, fatto che solleva dei dubbi sulla pertinenza del cosiddetto “crime-terror
nexus” per ciò che riguarda il contesto svizzero. Gli altri sei individui erano
stati condannati per vari reati: tre per infrazioni al codice della strada, uno
per infrazioni alla legge sulle armi, e un altro per violazione degli obblighi
di mantenimento. Infine, un imputato era stato condannato in diverse occasioni
per ingresso illegale, minacce e coercizione.
Al momento della sentenza, 19 imputati erano disoccupati e dipendevano
dall’assistenza sociale; cinque imputati non avevano un reddito imponibile ed
erano indebitati; tre imputati avevano un lavoro e un salario mensile. Infine,
le condizioni economiche dei restanti cinque imputati sono sconosciute. Queste
osservazioni dimostrano la validità dell’ipotesi della “biographical
availability” secondo la quale una mancanza di “struttura” e occupazione potrebbe facilitare il
coinvolgimento in attività ad alto rischio o illegali.
Su 30 condannati (21 sentenze
definitive e nove pendenti), in 25 casi sono state comminate delle pene
detentive, oltre a ulteriori pene pecuniarie in quattro di questi casi. Nove
delle pene detentive erano sospese ; altre sei erano sospese parzialmente. Ciò
significa che sono state comminate dieci pene detentive senza la condizionale.
In cinque casi, il TPF ha comminato unicamente pene pecuniarie, di cui due
sospese. .
La sentenza più mite è stata una pena pecuniaria sospesa di 100 CHF al
giorno per 25 giorni. La condanna più severa è stata una sentenza di custodia
di 70 mesi, abbinata a un divieto di ingresso nel paese della durata di
quindici anni.
Cosa sono le
“attività terroristiche” nel contesto svizzero?
Riguardo la natura dei crimini, si può notare che
dal 2001 su suolo svizzero non sono stati commessi -né quindi portati davanti
al TPF- atti di violenza terroristica (le inchieste sugli attacchi di Morges e
Lugano avvenuti nel 2020 sono ancora aperte).
Se ci focalizziamo sulle 24 condanne per reati
legati al terrorismo (sei condanne erano infine non legate al terrorismo), si
nota che gli atti perseguiti in relazione al terrorismo di matrice jihadista
erano principalmente legati ad attività sulle piattaforme Internet. Due
procedimenti che hanno coinvolto un totale di quattro persone concernevano la
gestione di siti internet contenenti materiale di propaganda come immagini e
video, oltre a commenti che glorificavano i leaders delle principali
organizzazioni terroristiche come Osama Bin Laden. Tre persone sono state
recentemente condannate in relazione alla produzione di un’intervista filmata
con un ribelle jihadista nel conflitto siriano, Abdullah al-Muhaysini. Per
sette delle persone condannate, le accuse erano limitate esclusivamente ad
attività sui social media come Facebook, YouTube e app di messaggistica come WhatsApp e Telegram, che consistevano nella spedizione e/o condivisione di video, immagini
e commenti, e in un caso, la traduzione di comunicazioni mediatiche di un
gruppo jihadista.
In alcuni casi, l’attività ha avuto luogo
principalmente nell’ambito digitale, ma gli individui sono stati condannati in
qualità di membri di una rete. Nel caso della condanna di tre uomini, il caso è
stato aperto per sospetti riguardo un potenziale attacco, ma alla fine, sono
stati solo condannati per le loro attività sui social network. In un caso, l’unico imputato è stato
condannato per avere mantenuto contatti con persone all’estero, affiliate a
organizzazioni terroristiche, ma anche per aver incoraggiato un’altra persona
in Libano a portare avanti un attacco contro Hizbullah oppure l’esercito americano.
Gli atti più “fisici” sono consistiti in tentativi di recarsi
in aree di conflitto o attività legate ai combattimenti all’estero. Quattro persone
sono state incriminate per aver cercato di raggiungere il territorio
siro-iracheno per unirsi allo Stato Islamico, uno
per aver aderito a un gruppo armato in Siria e aver reclutato altri, e un altro
per proselitismo in Svizzera e aver fornito sostegno logistico a foreign fighter in Turchia.
In
conclusione, risulta che sui 24 individui condannati dal TPF per reati legati
al terrorismo, 18 erano coinvolti esclusivamente o in prevalenza, in attività
digitali, mentre 6 si sono mobilitati fisicamente per fornire sostegno a gruppi
terroristici. È importante notare che nonostante questi ultimi fossero “fisicamente” più coinvolti
di altri, le loro attività contemporanee sui social media e sulle app di
messaggistica hanno avuto una rilevanza essenziale per la loro condanna.
La rete si allarga
gradualmente
Dal punto di vista giuridico, gli individui sono
stati condannati principalmente per il loro supporto a organizzazioni criminali
o gruppi affiliati allo Stato
Islamico e al-Qa’ida. Solo tre persone sono state condannate per la partecipazione a un
gruppo terroristico. Ciò può essere spiegato in due modi: da un lato, è
difficile dimostrare l’appartenenza e la partecipazione a reti e gruppi
vagamente organizzati come quelli che caratterizzano il fenomeno jihadista dopo
l’11 settembre. D’altro lato, dall’analisi dei casi in questione emerge
chiaramente che, paragonata alla definizione piuttosto ristretta di “appartenenza” , la nozione
di “sostegno” è molto ampia e in pratica è arrivata a indicare una qualsiasi attività
che si ritiene mettere in buona luce un’organizzazione terroristica. Per
esempio, un individuo è stato in parte condannato per aver postato su Facebook un’immagine
di un ospedale funzionante in un’area controllata dallo Stato islamico, per
mostrare che le infrastrutture non erano state tutte danneggiate durante il
regno del gruppo terroristico. In un altro caso, un individuo è stato
condannato per aver mandato tre immagini di propaganda via Whatsapp a un’altra
persona. Non sorprende quindi che la maggior parte dei casi abbia portato a
condanne per la nozione piuttosto approssimativa del termine “sostegno”.
L’evoluzione del dispositivo anti-terrorismo
della Svizzera fa parte di una tendenza più generalizzata, che ha preso piede dopo
gli attacchi dell’11 settembre, che mira ad anticipare l’applicabilità del
quadro giuridico penale a un contesto pre-delittuoso (“pre-criminal“), allargando
in questo modo la rete penale in cui ricadono le azioni ritenute attività
legate al terrorismo.
Ciò è comprensibile da una prospettiva politica,
ma presenta un certo numero di sfide da una prospettiva giuridica ed etica. Di
fatto, la svolta preventiva delle leggi anti-terrorismo della Svizzera e il
modo un cui vengono applicate porta le autorità ad indagare e condannare azioni
sempre più slegate dagli atti violenti veri e propri che si vogliono prevenire.
In una sfera pre-delittuosa (“pre-criminal“) sempre più
ampia, è impossibile coprire la totalità gli atti perseguibili ed è più
probabile che si manifesti una disparità di trattamento. Questi sono aspetti di
cui tenere conto, quando si pensa a come rafforzare ed espandere in futuro gli sforzi anti-terrorismo in Svizzera.
La crescente presenza della Russia in Mali: tra sostegno politico e aiuto militare
Mentre le forze d’invasione russe intensificano l’offensiva militare per conquistare le città ucraine, la giunta militare, al potere in Mali dall’agosto del 2020, lo scorso 17 aprile ha reso noto di aver ricevuto dalla Russia una nuova fornitura di equipaggiamenti militari. Si tratta di due elicotteri da combattimento e da trasporto truppe Mil Mi-24P, di un sistema radar aereo di quarta generazione e di altro materiale bellico.
Un altro lotto comprensivo di due elicotteri da combattimento e da
trasporto truppe Mil Mi-35P, un sistema radar aereo 59N6-TE e altre
attrezzature militari erano stato ricevute dal governo provvisorio di Bamako il 31 marzo, mentre lo scorso ottobre una fornitura di quattro elicotteri da trasporto
multiruolo Mil Mi-17 e una serie di armamenti, erano stati consegnati dai russi
all’aeroporto internazionale Modibo Keïta di Bamako.
Attraverso un comunicato stampa della Direzione dell’informazione e delle pubbliche relazioni delle Forze armate
(Dirpa), il capo di stato maggiore dell’esercito maliano, Oumar Diarra, non ha
mancato di manifestare il suo compiacimento per l’avvenuta consegna, che
comprova un partenariato assai fruttuoso con la Federazione russa.
Diarra ha poi aggiunto che lo stock appena ricevuto da Mosca «è anche la
manifestazione di una volontà politica molto forte di dotare l’esercito maliano
di mezzi più moderni affinché possa svolgere al meglio la sua missione di
difesa dell’integrità territoriale».
Secondo il generale Diarra, questo nuovo lotto di equipaggiamento
proveniente dalla Russia aiuterà sicuramente le Forze armate maliane (FAMa)
nella lotta quotidiana per sradicare il terrorismo su tutto il territorio
nazionale. L’alto ufficiale ha poi precisato che nell’ambito della cooperazione
tra Mali e Russia seguirà l’invio di altri equipaggiamenti militari, da parte
di Mosca.
Del resto, lo scorso 6 marzo, poco meno di due settimane dopo che la Russia
aveva invaso l’Ucraina, su Jeune Afrique
è stata pubblicata la notizia che il generale Diarra e il colonnelloSadio Camara, attuale ministro della Difesa del Mali, sono volati a Mosca per discutere l’ulteriore
consegna di equipaggiamento militare.
Sembra evidente, che i rapporti con il Cremlino hanno radici ben più
profonde di quanto dichiarato dalla propaganda della giunta militare presieduta
dal colonnello Assimi Goïta. Giunta che si ostina a non definire in maniera
chiara il calendario della transizione, che dovrebbe concludersi con le
elezioni e il passaggio dei poteri ai civili.
Un atteggiamento che ha creato a Bamako vari problemi con l’Ecowas, la
Comunità economica dell’Africa occidentale. Mentre ai vertici della Nazioni
Unite si stanno interrogando sull’opportunità di rinnovare il mandato in
scadenza della Minusma, la missione Onu che dal 2013 opera in Mali per aiutare
la stabilizzazione del paese.
Senza tralasciare, che lo scorso 2 marzo, il Mali è stato tra i 17 paesi
africani che si sono astenuti dal voto della risoluzione di condanna
dell’invasione russa dell’Ucraina approvata dall’Assemblea generale delle
Nazioni Unite (28 paesi africani hanno votato a favore della risoluzione, otto
paesi non hanno votato e l’Eritrea ha votato contro la risoluzione).
La Russia ha ampiamente mantenuto la sua presenza in Mali, nonostante il
Cremlino abbia richiamato molti suoi mercenari della società militare privata
Wagner attivi in Libia e nella Repubblica centrafricana per combattere accanto
alle truppe di Mosca in Ucraina. Come confermato da Stephen Townsend, capo
di AFRICOM, Comando militare per le operazioni USA nel continente africano, in
un’intervista esclusiva a VOA news il 17 marzo scorso.
In Mali, sono impegnati circa 1.000 effettivi russi, tra istruttori militari e contractor del
Gruppo Wagner. Mentre circa 200 militari maliani e nove agenti di polizia
stanno attualmente ricevendo formazione in Russia, come dichiarato lo scorso 7 aprile da Anna Evstigneeva, la vice rappresentante permanente della
missione russa presso le Nazioni Unite.
Inoltre, il quotidiano francese Libération e Human
Rights Watch hanno accusato i miliziani del gruppo
Wagnerdi aver perpetrato tra il 27 e il 31 marzo scorso
nella località di Moura, nella regione centrale di Mopti, il massacro di
centinaia di civili durante un’operazione militare.
Nel corso del raid, avvenuto durante lo svolgimento di una fiera del
bestiame, sono rimasti uccisi tra i 200 e i 400 civili mitragliatidagli
elicotteri oppure uccisi a sangue freddo nelle perquisizioni casa per casa
perché identificati come jihadisti. Un’identificazione motivata solo dalle
barbe lunghe o dell’accento che contraddistingue i pastori fulani, spesso
accusati di essere vicini ai gruppi islamisti attivi nel paese.
Tuttavia, la giunta militare ha respinto ogni accusa al mittente e ha affermato che più di 200 terroristi sono stati neutralizzati, a seguito di un’operazione
militare “su larga scala”. Inoltre, la portavoce del ministero degli
Esteri russo Maria Zakharova si è congratulata con le autorità maliane per questa importante vittoria nella lotta contro
la minaccia terroristica.
Zakharova ha poi negato le accuse secondo cui mercenari russi avrebbero
preso parte alla missione, affermando che queste accuse fanno parte di una
campagna di disinformazione messa in atto dall’Ucraina a danno della Russia.
Tutto ciò indica che, nonostante il sempre più pressante impegno militare
in Ucraina, Mosca sta cercando di preservare i suoi crescenti interessi
diplomatici e militari in Mali e anche nel resto dell’Africa, dove dal 2018 le
forze russe irregolari hanno fornito uomini e addestramento a governi e
movimenti ribelli.
Two decades of terrorism trials in Switzerland #ReaCT2022
“Two decades of terrorism trials in Switzerland” – a discussion with Ahmed Ajil, criminologist and researcher at the University of Lausanne. This is episode 6 of a series that our Swiss-Italian think tank dedicates to the Annual Report on Terrorism and Radicalisation in Europe #ReaCT2022. In 20 minutes, #ReaCT2022 authors introduce their analyses and elaborate on the most relevant aspects
Presentazione del Rapporto #ReaCT2022 con la Fondazione De Gasperi
Mercoledì 20 aprile alle 18.00 sulla piattaforma Zoom la Fondazione De Gasperi ospita la presentazione del
curato dall’Osservatorio REACT e pubblicato da START InSight
Intervengono Angelino Alfano, Presidente della Fondazione Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio REACT Chiara Sulmoni, giornalista e analista, START InSight Andrea Molle, docente di Scienze Politiche, Chapman University Modera Mattia Caniglia responsabile del Desk Geopolitica e Sicurezza della Fondazione De Gasperi
Estremismo di destra e deradicalizzazione – #ReaCT2022
Il Rapporto annuale dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo #ReaCT2022 è disponibile online in due lingue (italiano e inglese). Ogni settimana presentiamo i diversi contributi in un incontro LIVE con gli autori, della durata di 20 minuti. In questa puntata, gli ospiti sono Mattia Caniglia, docente affiliato all’Università di Glasgow e Luca Guglielminetti, membro del pool di esperti della rete RAN, Radicalisation Awareness Network. Si è parlato della crescita dell’estremismo di destra e di de-radicalizzazione nel contesto neo-nazista, sulla base di un caso italiano.
Radicalizzazione e terrorismo in Europa – tutti gli incontri con gli autori del Rapporto annuale #ReaCT2022
Il Rapporto è curato dall’Osservatorio ReaCT sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo e traccia l’evoluzione di questi fenomeni in Europa. A scadenza annuale, è in grado di segnalare tempestivamente le nuove tendenze e di approfondire tematiche e contesti correlati.
La terza edizione è disponibile online dal 24 febbraio 2022 in due lingue, italiano e inglese; include 15 contributi fra cui 2 casi studio sulla de-radicalizzazione.
Ogni settimana dal 17 marzo fino al 28 aprile START InSight incontra gli autori dei diversi articoli per discutere i vari argomenti trattati nel Rapporto nel corso di dirette streaming di 20 minuti. Su questa pagina, in costante aggiornamento, potete trovare tutte le puntate della serie.
17 marzo 2022 – Il primo incontro con gli autori di #ReaCT2022. In questa puntata si è parlato del libro “Understanding radicalisation, terrorism and de-radicalisation. Historical, socio-political and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy” (a cura di M. Brunelli) con Andrea Carteny, direttore del CEMAS (Centro di Ricerca e Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa sub-sahariana, Università La Sapienza, Roma) e Elena Tosti Di Stefano, ricercatrice all’Università la Sapienza e al CEMAS; mentre Chiara Sulmoni, analista, giornalista e presidente di START InSight, ha spiegato quali sono i nuovi orizzonti della radicalizzazione.
24 marzo 2022 – In questa puntata si è discusso dell’evoluzione del terrorismo jihadista in Europa con Claudio Bertolotti, analista strategico e direttore dell’Osservatorio ReaCT; e della gestione dei minori radicalizzati in Italia (caso studio) con Alessandra Lanzetti, Vice-Questore aggiunto della Polizia di Stato.
31 marzo 2022 – In questa puntata si è affrontato il tema del terrorismo jihadista in Africa Sub-Sahariana con Luciano Pollichieni, ricercatore e Fellow del think tank statunitense Critica (Washington).
7 aprile 2022 – In questa puntata si discute di complottismo e militanza NoVax con Andrea Molle, docente di Relazioni Internazionali alla Chapman University (California) e membro del team di START InSight; e di aggiornamento degli strumenti di analisi del rischio con riferimento ai processi di radicalizzazione insieme a Barbara Lucini, ricercatrice all’Università Cattolica di Milano e per ITSTIME.
14 aprile 2022 – In questa puntata, si è parlato della crescita dell’estremismo di destra con Mattia Caniglia, docente affiliato all’Università di Glasgow; mentre Luca Guglielminetti, membro del pool di esperti della rete europea RAN (Radicalisation Awareness Network) ha raccontato un caso italiano di de-radicalizzazione nel contesto neo-nazista.
21 aprile 2022 – In questo episodio con Ahmed Ajil, criminologo e ricercatore all’Università di Losanna, la discussione si è focalizzata sul contesto svizzero e su due decenni di processi per terrorismo – una panoramica dei casi di cui si è occupato il Tribunale Penale Federale dall’11 settembre 2001.
28 aprile 2022 – In questa puntata si discute di guerre future e terrorismo con Marco Lombardi, Prof. di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore del Centro di ricerca ITSTIME, e con Claudio Bertolotti, analista strategico e direttore dell’Osservatorio ReaCT sul radicalismo e contrasto al terrorismo.
📌#ReaCT2023 The 4th annual Report on Terrorism and Radicalisation in Europe ⬇📈launches on 23rd May. Don't miss it! 📊📚Numbers, trends, analyses, books, interviews👇 pic.twitter.com/KLIWWlrJXS
🔴📚 OUT SOON! #ReaCT2023 Annual Report on Terrorism and Radicalisation in Europe | Start Insight ⬇ 16 articles by different authors discuss current trends and numbers. Available in Italian and English startinsight.eu/en/out-soon-r…
🔴@cbertolotti1 a FanPage sulle varie ipotesi dell'attacco👉"(...) non si tratterebbe di droni in grado di fare danni significativi, ma piuttosto di una tipologia di equipaggiamento in grado di fare danni limitati con l'obiettivo di portare l'attenzione mediatica sulla questione" twitter.com/cbertolotti1/s…
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