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Sfida all’ordine internazionale liberale: analisi e futuro dell’asse Russia-Cina-Iran

di Matteo Testa

Articolo originale pubblicato su IARI – Istituto Analisi Relazioni Internazionali

L’ordine internazionale liberale si trova di fronte ad una nuova minaccia, forse una delle più grandi e temibili dalla fine della guerra fredda: un asse tripartito che unisce Pechino, Mosca e Teheran. Si può parlare davvero di un’alleanza tra questi tre paesi? Cosa unisce tre stati così diversi tra loro? Ma soprattutto, il sistema internazionale vigente saprà reggere l’urto e rimanere saldo al suo posto o crollerà sotto i colpi di questa inusuale alleanza?

Le sanzioni imposte dall’occidente a Mosca a seguito dell’invasione russa in Ucraina sono state, fin dalla loro prima attuazione, oggetto di grande dibattito sia nel mondo politico europeo che in quello statunitense. Il contesto europeo si è rivelato chiaramente più sensibile su questo tema, dato che le conseguenze del sistema sanzionatorio sono ricadute principalmente sugli stati del vecchio continente. Le principali criticità riguardo le sanzioni, a detta di molti, sono inerenti proprio all’efficacia delle stesse sul lungo periodo; il punto centrale è comprendere se le misure adottate non si riveleranno maggiormente negative per i sanzionatori piuttosto che per il sanzionato. Tuttavia, vi è un effetto sul quale tutti gli osservatori (politici, economici, attori della sicurezza) concordano: le misure imposte alla Russia, oltre a quelle già esistenti e antecedenti allo scoppio della guerra, hanno isolato ancora di più il Cremlino a livello internazionale. Mosca si è trovata dunque ulteriormente emarginata dalla composizione dell’attuale scacchiere internazionale e, secondo il terzo principio della dinamica applicato alle relazioni internazionali, ha intensificato con la stessa rapidità e decisione i rapporti con due paesi che erano già partner della Russia, ma che adesso diventano due player ancora più chiave nelle strategie russe: Cina e Iran. Entrambi i paesi, infatti, condividono con la Russia il fatto di non essere i migliori amici di Washington e Bruxelles, per usare un eufemismo. Se Pechino è vista come la grande minaccia a livello economico per gli anni a venire che può minare la leadership mondiale americana, le preoccupazioni circa Teheran riguardano la sfera della sicurezza internazionale, in particolar modo sul nucleare con tutte le vicende relative al JCPOA e il ritiro americano dall’accordo del 2018.

Per cercare di capire meglio come si stia sviluppando l’asse tripartito Mosca-Pechino-Teheran è fondamentale analizzare e comprendere le reazioni di Cina ed Iran non solo allo scoppio della guerra, ma anche nei confronti delle sanzioni imposte alla Russia. L’Iran, dal canto suo, ha visto l’inizio delle ostilità in Ucraina essenzialmente come un’opportunità per rafforzare i suoi rapporti con Mosca ed aumentare il suo leverage nei confronti della Russia nell’ambito delle relazioni russo-iraniane: questo è avvenuto (e continua anche oggi) soprattutto attraverso la vendita di droni iraniani al Cremlino, armi che vengono utilizzati ormai regolarmente nel conflitto e che si sono rivelate uno strumento di grande aiuto per la Russia. L’Iran nel luglio 2022 è inoltre diventato il principale acquirente di grano russo e la speranza generale di Teheran è che l’attenzione dell’occidente sulla guerra alle porte dell’Europa distragga gli Stati Uniti e l’Unione Europea dal processo di espansionismo iraniano avviato in Medio Oriente. A riprova del consolidamento della relazioni tra i due paesi, nel 2022 è stato registrato un numero record di incontri tra alti funzionari russi e iraniani, tra cui una visita a Teheran del presidente russo Vladimir Putin. Tali visite sono state rivolte dal punto di vista russo anche e specialmente a livello domestico, per mostrare al popolo russo che il paese non è così isolato come l’Occidente vuole far credere.

Pechino, invece, per ovvie ragioni si trova in una situazione totalmente differente rispetto all’Iran. La Cina ha avuto una reazione, sia alle sanzioni che allo scoppio del conflitto, in linea con la sua politica estera e con la sua strategia diplomatica. La responsabilità della guerra, nell’ottica cinese, non è da attribuirsi solamente alla Russia, ma anche agli Stati Uniti che hanno ignorato per molto tempo le considerazione russe in materia di sicurezza nazionale; per quanto concerne le sanzioni, Pechino non condivide le misure imposte dall’occidente alla Russia ma non tanto in quanto segno di supporto a Mosca ma piuttosto perché supportare tali provvedimenti significherebbe piegarsi alla volontà di Washington, posizione inaccettabile per la Cina di Xi. Dal punto di vista delle considerazioni geopolitiche, invece, la Cina ha molto da guadagnare dalla guerra in Ucraina. In primo luogo, il conflitto e lo status internazionale che si sta profilando per la Russia da qui agli anni a venire contribuisce a rendere Mosca sempre più uno junior partner nelle relazioni bilaterali con Pechino, scenario che corrisponde esattamente a come il regime di Xi Jinping ha da sempre visto il rapporto tra i due paesi; inoltre la Cina sta assistendo con i suoi occhi ai meccanismi di risposta dell’occidente, utili per comprendere come l’Europa e gli Stati Uniti reagirebbero di fronte a un simile attacco militare effettuato da Pechino (leggasi Taiwan).

Alla luce delle considerazioni e delle riflessioni svolte finora, si può tentare adesso di comprendere la dinamica che guida i rapporti tra questi tre paesi, che alcuni analisti hanno già definito come un triangolo di interessi che mira a generare un ordine mondiale alternativo a quello vigente. Questa “alleanza”, infatti, non rispetta i canoni delle alleanze classiche e formalizzate; tale mancanza di conformità alla definizione di alleanza come essa è intesa a Washington e nell’Europa occidentale è perfettamente in linea con le posizioni dei suoi componenti, che ripudiano la visione occidentale dell’ordine internazionale e compongono un fronte unico (almeno all’apparenza) contrapposto all’ampio blocco filoccidentale e statunitense. Oltre a questo primo elemento già di per sé significativo, le relazioni tra Pechino, Mosca e Teheran sono molto più complesse e intricate di quanto possano sembrare a un primo sguardo: si tratta di una vera e propria matassa geopolitica, dove numerosi interessi coesistono e, a volte, competono per uno stesso obiettivo. In assenza di obiettivi formalizzati comuni, infatti, gli interessi nazionali di ciascun paese sono quelli che continuano a essere i driver principali che guidano le azioni di politica estera, cercando in qualche caso una sorta di convergenza, ove questa appare possibile.

La guerra in Ucraina, ad esempio, ha reso la Russia il paese più sanzionato al mondo, primato che condivide proprio con l’Iran; se da una parte, proprio con l’intenzione di intensificare i rapporti come accennato in precedenza, i due paesi si sono sensibilmente avvicinati, questo è avvenuto comunque in chiave strumentale. La Russia di Putin ha cercato, nelle vare riunioni svolte, di comprendere come meglio poter aggirare le sanzioni dell’Occidente, pratica nella quale il governo di Raisi è ormai molto abile, offrendo in cambio supporto al programma satellitare iraniano, da sempre deficitario e carente di risorse. Allo stesso tempo, però, sempre a seguito delle sanzioni la Russia ha visto diminuite notevolmente le vendite del suo gas ai paesi europei e si è dunque rivolta verso il mercato dell’Asia centrale, vendendo a prezzi stracciati; tutto ciò è andato a danno proprio dell’Iran, suo (teorico) partner e principale fornitore di gas agli stati di questa regione. Anche la Cina ha diminuito in maniera significativa le importazioni di gas iraniano sostituendolo con quello russo: questa scelta da parte del governo cinese potrà rivelarsi centrale nelle sorti dell’economia di Teheran, perché erano proprio le esportazioni di gas verso la Cina che hanno tenuto a galla l’economia del paese nonostante le sanzioni occidentali.

Un ulteriore elemento chiave nelle relazioni di questo alternative triangle, oltre alla dimensione commerciale, è sicuramente l’aspetto della difesa e della sicurezza. Teheran infatti si sta avvicinando sempre di più all’asse securitario russo-cinese: nel 2021, ad esempio, l’Iran ha firmato con la Cina una partnership strategica della durata di 25 anni ed ha in programma di firmare un accordo simile con la Russia, come ribadito nella visita di Raisi a Mosca all’inizio del 2022. Un segnale chiaro e tangibile dell’avvicinamento tra i tre paesi nemici dell’occidente è avvenuto a settembre del 2022, quando l’Iran ha firmato un memorandum che gli garantirà nel vicino futuro piena membership nella Shangai Cooperation Organization (SCO), un gruppo regionale di sicurezza guidato proprio da Mosca e Pechino. Un fattore da tenere in considerazione è sicuramente quello del tempismo: l’Iran, infatti, era in attesa di essere ammesso nella SCO da circa 15 anni e non è di certo un caso che l’intero processo si sia velocizzato proprio in questi mesi, alla luce dei recenti sviluppi internazionali. Nell’ambito della riflessione sulla sicurezza sull’asse tripartito, una menzione merita chiaramente anche la questione nucleare iraniana: con il fallimento del JPCOA e il ritiro americano dall’accordo, infatti, il tema è tornato di centrale importanza nello scacchiere internazionale. Dal canto loro, Russia e Cina hanno tutto l’interesse a far sì che un accordo sul nucleare iraniano venga raggiunto (svolta che porterebbe a un alleggerimento delle sanzioni e a un abbassamento della tensione nella regione), ma alle loro condizioni e sicuramente non sottostando alla volontà americana; questo è testimoniato, ad esempio, da alcune votazioni avvenute in seno alla IAEA (Internartional Atomic Energy Agency), durante le quali Pechino e Mosca hanno votato contro delle risoluzioni di censura verso Teheran per non aver risposto a delle domande su siti nucleari non dichiarati. Le risoluzioni sono passate comunque, ma si è trattato di un chiaro segnale della posizione delle due potenze: sostenere l’alleato in maniera strumentale e contemporaneamente rendere la vita più difficile al blocco a guida americana sulla questione nucleare.

Cercando di trarre delle riflessioni conclusive sull’analisi dell’asse Pechino-Mosca-Teheran, vi sono delle domande essenziali che è necessario porsi se si vogliono fare delle previsioni sul futuro dell’ordine internazionale costituito. In primo luogo, questo famigerato asse esiste veramente o si tratta solo di contingenze politiche-economiche che hanno avvicinato stati così diversi tra di loro? È plausibile una formalizzazione delle relazioni in un’alleanza canonica? Le risposte a tali quesiti si potranno avere solamente tra diversi anni e in base ai futuri sviluppi geopolitici, ma al momento è possibile affermare come è difficile pronosticare un’alleanza strutturata tra Russia, Cina e Iran in chiave anti occidentale e anti americana, in particolare per motivi interni a ciascuno di questi paesi: l’Iran sta attraversando proprio in queste settimane uno dei momenti più difficili dal ’79 ad oggi e la Russia ha ben altri problemi a cui pensare, principalmente a livello economico. Per la Cina, d’altro canto, vi sarebbero forse più svantaggi che vantaggi ad allearsi in maniera così chiara con due stati estremamente instabili e la priorità negli anni a venire per Pechino ha un nome ben preciso: Taiwan.

L’ultimo interrogativo al quale è importante rispondere è collegato a quanto appena detto: dato che questo asse si sviluppa solamente attorno agli interessi di ciascuno e non si presenta in una forma strutturata, può comunque rappresentare una minaccia per l’ordine internazionale vigente? La risposta in questo caso è più semplice che nel precedente: una comunanza di azioni tra i tre regimi analizzati, anche se solo strumentale, può e deve preoccupare il mondo occidentale per un serie di ragioni, partendo proprio dal fatto che il sistema attuale è di per sé già in crisi. Gli Stati Uniti convivono costantemente con un grado elevatissimo di divisioni a livello sia sociale che politico e la loro immagine a livello internazionale si sta deteriorando sempre di più; gli stati europei, inoltre, sono estremamente frammentati fra di loro, l’Unione Europea appare sempre più debole e incapace di reagire alle difficoltà e la crisi energetica sta contribuendo a peggiorare sempre di più la situazione. Se a queste debolezze si aggiungono il timore di un conflitto nucleare causato dalla Russia, i dubbi e le incertezze circa gli sviluppi e le intenzioni iraniane riguardo il nucleare e una Cina sempre più forte economicamente e che sta espandendo la propria influenza, lo scenario internazionale appare più incerto che mai. In un contesto così insicuro e con un numero così ampio di minacce, tutte diverse tra loro, solamente il tempo potrà dirci se l’ordine liberale internazionale saprà reggere e rimanere ben saldo al suo posto.


Attacco all’ambasciata russa di Kabul: quali le ragioni?

Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a Radio24 – Effetto Notte, ospite di Roberta Giordano


Ascolta il commento di Claudio Bertolotti a radio 24, puntata del 5 settembre 2022 (dal minuto 48).

L’entità e la portata degli eventi che abbiamo registrato nell’ultimo anno, cioè da quando i talebani hanno provocato il collasso dello stato afghano, è marginale e rappresenta una minima parte degli attacchi che i talebani hanno storicamente condotto contro le forze afghane e quelle occidentali. Dunque lo Stato islamico Khorasan, che ha rivendicato l’attacco contro l’ambasciata russa di Kabul, ad oggi è ancora una minaccia limitata.


i terroristi di al-Qa’ida, legati indissolubilmente ai talebani

Il problema è però spostato avanti nel tempo in quanto il gruppo terrorista e gli altri gruppi regionali si stanno rafforzando sempre più: da una parte ci sono i terroristi di al-Qa’ida, legati indissolubilmente ai talebani, dall’altra parte ci sono i gruppi del jihad globalista che guardano ai talebani come dei traditori da colpire e che auspicano una guerra settaria, in primo luogo contro la minoranza hazara di confessione sciita.

Sullo specifico attacco alla sede diplomatica russa a Kabul, sono due gli aspetti che devono essere considerati per valutarne la portata e la volontà di compierlo. Il primo è dimostrare che i talebani, che da forza insurrezionale e terrorista hanno assunto il ruolo di forza di governo, sono incapaci di garantire un minimo livello di sicurezza in un paese già sostanzialmente fallito e che non è in grado di garantire nulla ai propri cittadini e, come in questo caso, non è in grado di garantire la sicurezza agli stranieri.


la volontà di colpire, simbolicamente, quella Russia che i talebani cerca di coinvolgerli sul piano politico

Dall’altro lato vi è poi la volontà di colpire, simbolicamente, quella Russia che con i talebani non solo dialoga ma coerentemente con la propria visione cerca di coinvolgerli sul piano politico, ma ancor prima economico, commerciale e di ricostruzione infrastrutturale in linea con quanto cercò di fare la stessa Unione Sovietica nel 1989 quando cercò il dialogo e la collaborazione del leader della resistenza afghana Ahmad Shah Massoud.


Guerra russo-ucraina (D+65): la coerenza della dottrina militare russa e l’errata percezione occidentale. (Seconda parte)

di Fabio Riggi

Questo articolo è il seguito di Guerra russo-ucraina: prospettiva tattica per comprendere gli sviluppi della guerra (Prima parte, D+63).

Key Takeaways:

  • La coerenza della dottrina militare russa e l’inquinamento delle info-ops;
  • L’errata percezione occidentale sulla “battaglia” per Kiev;
  • Vulnerabilità delle forze aviotrasportate russe: armi controcarro ucraine e sotto-impiego;
  • Analogie d’impiego delle forze aviotrasportate ucraine e russe;
  • La vulnerabilità della fanteria: mezzi vecchi e inadatti.

La coerenza della dottrina militare russa e l’inquinamento delle info-ops

Le informazioni e i dati disponibili su quale sia stato il reale sviluppo, e soprattutto quali erano i reali scopi, delle operazioni condotte dalle forze russe nell’area di Kiev e dell’Ucraina nord-orientale nelle prime settimane di conflitto sono ancora molto limitate e approssimative, oltre che fortemente “inquinate” dalle “Information Operations” (Info-Ops) tutt’ora in corso, in primo luogo da parte ucraina. Tuttavia, a oggi è possibile abbozzare alcune considerazioni, soprattutto riguardo le modalità d’azione e i procedimenti tecnico-tattici adottati dalle unità russe, in particolar modo durante la prima fase del conflitto, quella comprensiva delle profonde avanzate iniziali. Uno dei commenti a caldo su di esse si è focalizzato sull’osservazione dei reparti russi che muovevano soprattutto lungo le rotabili principali, stigmatizzandolo come un evidente errore tattico. In realtà, queste affrettate analisi non hanno tenuto conto della dottrina tattica dell’esercito russo, anche in questo caso direttamente mutuata da quella in vigore già in epoca sovietica. In essa, il mantenimento della velocità di una manovra offensiva, e del cosiddetto “ritmo dell’avanzata”, della stessa, riveste carattere di massima importanza. Pertanto, il movimento su strada viene privilegiato e raccomandato ogniqualvolta possibile prima dell’effettivo contatto con le posizioni difensive avversarie. La formazione di marcia su strada è espressamente prevista e fa parte dello schema di manovra del combattimento offensivo, prevedendo un rapido passaggio a quella d’attacco, aperta e spiegata sul terreno, con procedure standardizzate e ripetute più volte in addestramento ed esercitazioni.

L’errata percezione occidentale sulla “battaglia” per Kiev

In particolare, attualmente, per le forze in attacco l’esercito russo prevede tre formazioni principali, con diverse modalità per i vari livelli ordinativi: quella di marcia (compresa la modalità “in presenza di minaccia”), marcia pre-combattimento e la formazione da combattimento. A tutti gli effetti, osservando le avanzate delle forze russe dei primi giorni di guerra, anche e soprattutto nei settori settentrionali del teatro operativo (circa 300 Km, ad esempio, dal confine russo, nell’area di Sumy fino ai sobborghi orientali di Kiev, in una settimana) si può vedere come esse abbiano coperto diverse centinaia di km in pochi giorni, e ciò quasi certamente è stato ottenuto con l’applicazione dei citati schemi tattici. In realtà, se ciò abbia poi effettivamente comportato delle forti criticità, soprattutto a causa del sistematico aggiramento degli insediamenti urbani, sui quali le unità ucraine hanno continuato a resistere per molto tempo anche dopo essere state circondate, dovrà essere sicuramente materia di analisi successive e più approfondite, comprensive anche dei dati reali sulle perdite di entrambe le parti. Tuttavia, ciò dovrà essere fatto concentrandosi più opportunamente sulla reale validità, e aderenza alla realtà attuale delle moderne operazioni terrestri, della dottrina tattica russa, piuttosto che sulla presunta incompetenza di comandanti e uomini sul campo, come si è sentito affrettatamente concludere, anche da parte di “addetti ai lavori”, tradendo in questo modo un approccio erroneo nel voler analizzare lo sviluppo di operazioni militari reali secondo un’impostazione “occidentalizzata” che mal si attaglia a un’analisi realmente seria e approfondita.   

Vulnerabilità delle forze aviotrasportate russe: armi controcarro ucraine e sotto-impiego

Un altro aspetto interessante, dal punto di vista tattico, riguarda l’impiego da ambo le parti delle Grandi Unità aviotrasportate e d’assalto aereo. Nella terminologia militare occidentale la distinzione tra le due categorie di forze riguarda sostanzialmente il mezzo con il quale esse realizzano il cosiddetto “aggiramento verticale”, che è quello aereo e l’aviolancio per le prime, e l’elitrasporto/eliassalto per le seconde (definite più precisamente, nella terminologia militare italiana, “aeromobili”), fatto salvo che si tratta di unità leggere che mantengono comunque un’elevata flessibilità di impiego nelle varie situazioni operative. Nella dottrina dell’esercito sovietico le robuste divisioni aviotrasportate delle Vozdušno-desantnye vojska (VDV) dovevano eseguire le cosiddette “azioni concorrenti”, lanciandosi nelle retrovie della NATO per conquistare obiettivi in profondità, attaccare le sorgenti di fuoco nucleare e sconvolgerne le retrovie, disarticolandone l’alimentazione tattica e logistica. Aspetto peculiare di queste unità era che esse erano interamente meccanizzate, ossia con i reparti dotati di veicoli da trasporto e combattimento per la fanteria, nello specifico quelli della serie BMD (“Boevaja Mašina Desantnaja”) specificamente concepiti per l‘aviotrasporto e anche “aviolanciabili”. Il criterio fondamentale era riferito al fatto che secondo la dottrina sovietica le unità delle VDV a livello divisione sarebbero state aviolanciate molto in profondità (fino a 300 Km) nelle retrovie delle forze NATO, e pertanto dovevano possedere un adeguato livello di protezione e capacità di sopravvivenza per poter resistere per un tempo ragionevole (diversi giorni) prima di ricongiungersi con il grosso delle forze amiche. Le unità d’assalto aereo avevano invece solo un’aliquota minore (circa ¼) dei loro reparti meccanizzati.

Le attuali unità aviotrasportate russe, che nell’apparato militare di Mosca costituiscono una forza armata indipendente, hanno la stessa fisionomia di quelle sovietiche, e i veicoli della serie BMD, nei loro modelli più aggiornati, ancora oggi equipaggiano le unità delle VDV. Tuttavia, un necessario prerequisito tecnico di questo tipo di mezzi è quello di doverne necessariamente limitare il peso complessivo, al fine di garantire la possibilità di aviotrasporto (e, nel caso specifico, anche l’ “aviolanciabilità”) andando inevitabilmente a incidere anche sul livello di protezione. Nella tipica situazione operativa in cui queste unità dovrebbero operare, quella di azioni condotte in profondità dopo essere state “lanciate” contro le retrovie dell’avversario, questa evidente limitazione potrebbe essere ritenuta accettabile nel momento in cui in quell’area della battaglia la minaccia delle armi controcarro non dovrebbe essere così elevata come invece avviene, ovviamente, in corrispondenza o in prossimità della linea di contatto. Ma nel corso del conflitto in atto in Ucraina è facile rilevare come, dopo le azioni di assalto aereo condotte (a quanto pare senza troppa fortuna) nelle primissime fasi della guerra, diverse Grandi Unità delle VDV siano impiegate dall’esercito russo come normali pedine di manovra, sulla linea di contatto, alla stregua di quelle motorizzate e corazzate. Ciò è quanto è stato osservato lungo la direttrice d’attacco iniziale a ovest di Kiev, lungo la sponda destra del Dnepr, dove sarebbero state identificate la 31a brigata d’assalto aereo e la 98a divisione aviotrasportata, mentre sul lato opposto del teatro di operazioni, quello meridionale della Crimea, nel settore di Kherson- Mikolayv, stanno operando i reparti della 7a divisione d’assalto aereo. Senz’altro, la caratteristica di queste forze di essere “anche” meccanizzate le rende di fatto bivalenti, cioè effettivamente in grado di assumere anche un ruolo di questo tipo, ma resta da verificare come il minore livello di protezione dei BMD possa aver inciso sulla loro efficacia in combattimento, e di conseguenza su quella dei reparti che ne sono dotati. D’altro canto, questo fatto potrebbe essere un ulteriore indicatore della non abbondanza di Grandi Unità pesanti (con termine ottocentesco diremmo “di linea”), motorizzate e corazzate dell’esercito da utilizzare nei vari settori dell’area di operazione.

Analogia d’impiego delle forze aviotrasportate ucraine e russe

Le forze armate russe e ucraine condividono la comune origine con quelle sovietiche, una circostanza importante che si palesa non solo nell’armamento e i mezzi in dotazione, ma anche negli aspetti organizzativi, ordinativi e dottrinali. A tal proposito, un caso particolarmente evidente è proprio quello delle forze aviotrasportate. Anche le Desantno-shturmovi viyska Ukrayiny (DShV), ossia le unità aviotrasportate e d’assalto aereo ucraine, sono formalmente una forza armata indipendente (come peraltro anche le unità delle forze speciali) e anch’esse sono formate da unità di fatto “bivalenti”, ossia dotate di veicoli da trasporto e combattimento per la fanteria ma, contrariamente alle VDV russe, solo la 25a brigata aviotrasportata è dotata di veicoli BMD-1 e BMD-2, mentre le altre brigate d’assalto aereo hanno in dotazione gli stessi veicoli da trasporto e combattimento della fanteria di cui sono dotati i reparti dell’esercito, in particolare i ruotati BTR-70 e BTR-80 e i più moderni BTR-3DA. In esito a ciò, le brigate delle DShV risultano essere sostanzialmente più robuste, dal punto di vista della protezione, di quelle similari delle VDV, e ciò è esemplificato dal fatto che tutte, ad eccezione, anche in questo caso, della  25a   (quella che ha come compito principale la condotta di operazioni avioportate propriamente dette, e quindi relativamente più “leggera”) hanno in organico una compagnia carri su T-80UD. L’impiego tattico delle unità delle DShV (all’atto pratico da considerare, come avviene per le forze aviotrasportate in tutto il mondo, come unità “scelte”), discende direttamente da questa precisa fisionomia organica che le accomuna a quelle russe. Anch’esse sono infatti intensamente impiegate come unità di manovra, a tutti gli effetti come forze meccanizzate, e stanno operando nei settori più importanti e critici del Donbas e della Crimea. È bene sottolineare come le caratteristiche di “bivalenza” delle forze aviotrasportate russe e ucraine differisce radicalmente da quanto avviene per le similari componenti delle altre forze armate in occidente e nel resto del mondo, dove l’impiego come normali unità di manovra di reparti aviotrasportati o aeromobili è previsto solo in via eccezionale o in particolari situazioni e contesti operativi, facendo essi parte a tutti gli effetti della categoria delle forze “leggere”.

La vulnerabilità della fanteria: mezzi vecchi e inadatti

Una delle lezioni apprese del precedente conflitto in Donbas del 2014-15 ha riguardato l’elevata vulnerabilità dei veicoli da combattimento della fanteria, in particolare quelli cingolati delle serie BMP (Boyevaya Mashina Pekhoty) e quelli ruotati della serie BTR (Bronetransportyor), in dotazione a entrambe le parti, nei confronti di praticamente tutte le tipologie di armamento controcarro. A tal proposito è stato osservato come le squadre di fanteria che sono normalmente trasportate a bordo di questi veicoli preferivano in molti casi sistemarsi all’esterno di essi, sullo scafo, durante il movimento, secondo la modalità che nella terminologia anglo-sassone è definito “tank-riders”, accettando il rischio di esporsi alla minaccia del fuoco delle armi portatili e delle schegge di granata, piuttosto che correre quello di restare intrappolati all’interno quando essi venivano colpiti e sistematicamente incendiati e distrutti dai missili e dai razzi controcarro degli avversari. Una delle motivazioni principali della relativa scarsa protezione di queste tipologie di mezzi (anche se, comunque, come descritto in precedenza, sempre relativamente maggiore rispetto agli ancora più leggeri BMD) è che essi furono concepiti in epoca sovietica, quando lo scenario d’impiego erano le operazioni offensive da condurre sul “Fronte Centrale” della NATO, in Germania occidentale, dove uno degli ostacoli principali da superare sarebbero stati i grandi fiumi tedeschi che sbarrano le direttrici d’avanzata da est verso ovest. Di conseguenza, un requisito tecnico fondamentale identificato per molti dei veicoli da combattimento dell’esercito sovietico era quello della capacità anfibia, da ottenere con una determinata configurazione veicolare e una limitazione di peso che andava inevitabilmente a scapito della protezione. L’esercito russo pare aver preso atto da diverso tempo di questa problematica, tanto da avviare l’acquisizione di una nuova generazione di IFV (Infantry Fighting Vehicle), quali il Kurganets-25 e il pesante T-15 Armata (48 tonnellate). Quest’ultimo, in particolare, possiede uno stesso scafo similare a quello del nuovo carro da battaglia T-14 Armata (con la principale differenza dell’alloggiamento del motore, che è posto frontalmente, una soluzione che ne aumenta la protezione nell’arco frontale), aspetto che lo qualifica a tutti gli effetti come IFV “pesante”, con una concezione adottata già da tempo per questa categoria di mezzi dall’esercito israeliano. A essi si aggiunge il Bumerang, un veicolo da trasporto per la fanteria, o Armored Personnel Carrier, ruotato (8×8) destinato a sostituire i veicoli della serie BTR. Tuttavia, questa nuova generazione di mezzi, aventi lo scopo di rinnovare profondamente il parco dei veicoli da combattimento dell’esercito russo, nonostante i primi prototipi siano apparsi già nel 2015, stanno ancora attualmente completando la fase di sviluppo (come sta avvenendo anche per l’innovativo carro da battaglia T-14 Armata), e probabilmente anche a causa di problemi finanziari non sono ancora entrati in servizio. Per questo motivo, le operazioni in Ucraina, così come sta avvenendo per i principali modelli di carri, sono ancora condotte dalle unità di fucilieri motorizzati russe con i mezzi della precedente generazione BMP-BTR-BMD, con tutte le possibili implicazioni del caso in termini di protezione e vulnerabilità.


Come i russi aggirano la severa censura governativa su Internet

di Marco Cochi

La VPN è una “rete privata virtuale” (Virtual Private Network), che grazie a un particolare sistema chiamato tunneling, permette di rendere invisibili le proprie attività in rete a occhi indiscreti e di mascherare l’indirizzo IP da cui si accede a Internet bypassando, quindi, i blocchi regionali imposti da alcuni siti Internet.

Il canale di comunicazione riservatoprotegge il traffico di dati e informazioni personali da attacchi esterni, criminalità informatica e sistemi poco chiari; oltre a consentire di aggirare la censura degli organi governativi. Ed è per questo che dopo l’invasione dell’Ucraina, milioni di russi si stanno rivolgendo alle reti private virtuali per aggirare la stretta su Internet imposta dal governo.

Secondo i dati, le prime 10 app VPN nell’App Store di Apple e nel Google Play Store in Russia hanno catalizzato quasi 6 milioni di download. I dati diffusi a riguardo da SensorTower per CNBC sono inequivocabili: nel periodo compreso tra il 24 febbraio e l’8 marzo, in Russia le prime 10 app VPN nell’App Store di Apple e nel Google Play Store hanno registrato quasi 6 milioni di download. Un aumento del 1.500% rispetto alle prime 10 app VPN scaricate nei 13 giorni precedenti al 24 febbraio, giorno in cui il presidente russo Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina.

L’esponenziale incremento dei download delle VPN evidenzia che molti russi non si accontentano della semplice propaganda di regime e bypassando i controlli cercano di avere informazioni più affidabili su ciò che sta realmente accadendo sul fronte di guerra.

Il web in Russia è soggetto da anni a una stretta censura, anche se prima dello scoppio del conflitto tutte le principali piattaforme occidentali come Facebook, Twitter e Google erano  liberamente accessibili, a differenza della Cina dove sono completamente oscurate. Tuttavia, in Russia, i tre giganti dei social media hanno sempre operato sotto la minaccia di blocchi, nel caso della pubblicazione di contenuti critici nei confronti del Cremlino.

Il controllo è diventato più serrato a partire dal primo maggio 2019, quando Putin ha promulgato la legge sulla sovranità digitale, che ha conferito alle autorità di Mosca ampi poteri per cercare di isolare RuNet dal resto del mondo. Un controverso provvedimento indubbiamente teso a limitare l’autonomia della società russa, introdotto sotto l’altisonante denominazione di “Programma nazionale di economia digitale” o legge dell’“internet sovranista”, come è stata ribattezzata da alcune testate italiane.

La misura ha permesso a Roskomnadzor, l’agenzia statale russa a supervisione delle telecomunicazioni, di assumere il controllo di internet, gestendone tutti i contenuti con la motivazione ufficiale di proteggere RuNet da attacchi informatici.

Tra i motivi che hanno spinto il governo di Mosca a operare questo giro di vite sulla rete c’è anche l’Euromaidan, la serie di violente manifestazioni pro-europeiste, iniziate in Ucraina nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, che secondo i russi erano state sobillate da settori oltranzisti del governo di Washington. In realtà, le imponenti mobilitazioni fecero seguito alla decisione del governo del presidente filorusso Viktor Yanukovich di sospendere le trattative per la conclusione di un accordo di associazione con l’Unione europea.

Nonostante la durissima repressione da parte delle forze governative appoggiate dal Cremlino, le proteste di piazza, protrattesi per oltre tre mesi e concentratesi nella piazza Maidan di Kiev (da cui l’hashtag #Euromaidan che ha dato nome al movimento), nel febbraio 2014, hanno portato alla deposizione del presidente Yanukovich e all’assunzione del potere da parte di Petro Poroschenko, il predecessore di Volodymyr Zelensky.

Mentre prosegue incessante ed estende l’offensiva militare contro tutta l’Ucraina, la Russia cerca di limitare ulteriormente l’accesso alle piattaforme Internet straniere. Le autorità di Mosca hanno disposto il blocco di Facebook, che è stato oscurato il 4 marzo e secondo Top10VPN, già nel giorno successivo la domanda di VPN da parte degli utenti russi è aumentata di oltre 10 volte.

La scure del governo russo si è abbattuta anche su Twitter, che ha reagito lanciando una versione del suo sito su Tor, un servizio in grado di crittografare il traffico Internet in maniera tale da aiutare a mascherare l’identità degli utenti e impedire che possano essere sorvegliati.

Una reazione molto diversa da quella di Facebook, che per volontà del suo fondatore Mark Zuckerberg, ha deciso di liberalizzare su Facebook il cosiddetto hate speech contro la Russia. In pratica, la piattaforma di Meta ha disposto la rimozione temporanea dei limiti ai messaggi di odio contro i militari russi sarà valida. La decisone riguarda Armenia, Azerbaigian, Estonia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia e Ucraina, dove sarà inoltre possibile, insultare a piacimento e spingersi a invocare la morte di Vladimir Putin, del suo omologo bielorusso Alexander Lukashenko e di altre figure di rilievo della nomenclatura moscovita, purché le minacce non contengano riferimenti ad altri soggetti o non risultino credibili sulla base di indicatori come la sede o la metodologia.

Una decisione che ha spinto l’ufficio del procuratore generale russo a chiedere il riconoscimento di Meta come organizzazione estremista e la sua perpetua messa al bando dalla rete russa.

Tuttavia, la perenne messa al bando della piattaforma social della compagnia di Menlo Park ha subito provocato un’ulteriore impennata delle reti private virtuali in Russia. Come conferma la società VPN Surfshark, secondo cui le sue vendite settimanali nel paese euroasiatico sono aumentate del 3.500% dal 24 febbraio, con i picchi più significativi registrati dal 5 marzo al 6 marzo, quando Facebook è stato bloccato. A riprova che chi vive in Russia è attivamente alla ricerca di modi per evitare la sorveglianza e la censura del governo.

Mentre la Russia si è attivata per bloccare le piattaforme social occidentali, si allunga la lista di aziende tecnologiche occidentali che hanno deciso di sospendere la vendita dei loro prodotti in Russia, tra queste c’è anche Netflix, che dal 6 marzo ha sospeso il suo servizio di streaming in Russia in segno di protesta contro l’aggressione armata dell’Ucraina. 


La Russia è una “fortezza digitale”: la strategia cibernetica di Mosca si chiama “RuNet”.

di Claudio Bertolotti

Tra le opzioni degli Stati Uniti e degli alleati europei per sanzionare la Russia in conseguenza dell’invasione dell’Ucraina ci sono gli attacchi informatici diretti e la possibilità di escludere completamente il paese dalla rete globale di Internet. Ma il Cremlino ha da tempo sviluppato un’elevata capacità di controllo di Internet all’interno dei propri confini, agendo in modo sempre più aggressivo nel tentativo di isolare tecnicamente il paese dalla rete globale di Internet, di fatto realizzando un’autonoma rete infrastrutturale posta sotto l’esclusivo controllo statale. RuNet, di fatto un’infrastruttura fisica e digitale di Internet all’interno dei confini russi: una “rete di reti” parallele, più che un sistema centralizzato dall’alto verso il basso.

RuNet: predisposta da tempo dalla “Dottrina per la sicurezza informatica” (IS 2016)

La cosiddetta “RuNet”, o Internet interno della Russia, è da tempo al centro delle analisi da parte della difesa statunitense e dei paesi europei ma solo recentemente, il governo russo ne ha accelerato l’implementazione con la legge nazionale su Internet del 1° maggio 2019, entrata in vigore il successivo 1° novembre.

Il suo sviluppo e la sua realizzazione sono coerenti e seguono l’adozione della “Dottrina per la sicurezza informatica” della Russia (IS 2016) in base alla quale le minacce alla sicurezza delle informazioni ora includono azioni interne ed esterne e minacce potenziali agli interessi nazionali nella sfera dell’informazione. I fattori riconosciuti come potenziali rischi sono identificati dalla dottrina IS 2016 come “informazioni tecniche”, quando i sistemi informatici sono bersagli di influenza nel cyberspazio, o “informazioni psicologiche”, quando l’avversario cerca di influenzare la psiche, singola o collettiva e indurre o mutare opinioni socio-politiche e influire sulla capacità di prendere decisioni. È ovviamente una dottrina militare che si ricollega in maniera lineare al pensiero strategico del Cremlino che considera quello statunitense un approccio finalizzato a «distruggere l’equilibrio strategico, cambiare l’equilibrio del potere in modo tale non solo da dominare ma da dettare la propria volontà a chiunque»,[1] come ebbe a dire il presidente russo Vladimir Putin alla fine del 2015. In tale ottica, per contrastare la supremazia degli Stati Uniti nel cyberspazio, la Russia ha investito in termini di “sovranità digitale”: non solo protezione da virus, attacchi, intrusioni illegali e furto di dati, ma anche capacità di disconnettere l’infrastruttura critica dalla rete globale di Internet utilizzando la propria rete indipendente “RuNet”.

L’ambizione di una “fortezza cibernetica”

Le preferenze strategiche russe nel dominio cibernetico (così come la percezione di vulnerabilità) sono coerenti con quelle dei conflitti tradizionali.Nello specifico, per contrastare la supremazia degli Stati Uniti nel cyberspazio, la Russia ha avviato importanti progetti strutturali ai fini della sovranità digitale e della sicurezza informatica; ciò significa non solo protezione da virus, attacchi, intrusioni illegali e furto di dati, ma, come anticipato, anche capacità di disconnettere l’infrastruttura critica dalla rete globale di Internet. In tale ottica, e a fronte di quell’ampiamente percepita attività offensiva a danno delle proprie capacità informatiche e a favore delle opposizioni politiche interne che gli Stati Uniti starebbero sostenendo, il Cremlino ha annunciato nel 2019 l’avvio di un’opzione di “autonomia di sistema” finalizzata ad una migliore protezione dell’infrastruttura informatica attraverso l’isolamento della rete RuNet, aumentando la sorveglianza della stessa e migliorando le capacità di intercettazione per un maggior controllo dell’opposizione politica interna attraverso il divieto di accesso alla rete in forma anonima, la sostituzione delle importazioni di Ict con la produzione nazionale di hardware e software e l’avvio di accordi internazionali di sicurezza informatica. Ad oggi, nonostante le ampie preoccupazioni e manifestazioni di dissenso, la Russia sembrava però ancora lontana dal voler imporre una decisione tanto drastica che dovrebbe (vorrebbe) portare a una “sovranità su internet” che, al momento, si limita a una capacità potenziale di “isolamento della rete” ma che prevede l’implementazione di un piano di difesa nazionale con il quale Mosca si garantirebbe la sopravvivenza del web qualora non potesse più fare affidamento sul Dns, impianto cardine della rete gestita da stati Uniti, Europa e Giappone. La guerra in Ucraina, e la minaccia di azioni offensive cyber da parte degli Stati Uniti, hanno creato per Mosca la condizione opportuna per dare il via alla disconnessione dalla rete globale di Internet, di fatto creando una “fortezza cibernetica” difficile da penetrare.

L’idea della “guerra permanente”

Una scelta, quella di isolare RuNet, che mira a limitare alcune di quelle vulnerabilità che rendono Mosca facile vittima dei suoi avversari ed è funzionale a migliorare la protezione dell’infrastruttura informatica del paese. A questa opzione si è affiancato l’ambizioso progetto di un sistema combinato di sicurezza delle informazioni chiamato GosSopka, un complesso combinato e distribuito territorialmente che include forze e mezzi per rilevare, prevenire, eliminare e rispondere ad attacchi informatici. Un’opzione ulteriore finalizzata a mettere in sicurezza i sistemi informativi, le reti informatiche e di telecomunicazione e i sistemi di gestione automatizzata situati nel territorio della Federazione Russa, nonché all’interno delle proprie rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari.

Tradizionalmente, le forze armate russe sono state approntate e strutturate in un’ottica di guerra permanente. Questa nuova guerra, tuttavia, è sempre più combattuta all’interno della Russia contro terroristi, gruppi estremisti, opposizione politica e all’interno della sfera dell’informazione, cioè in ambienti in cui la forza militare tradizionale non è facilmente applicabile. Un’evoluzione del quadro operativo che, di fatto, ha portato ad aumentare le capacità e l’influenza della componente non militare dell’organizzazione di sicurezza russa. In virtù di questa evoluzione, dottrinale ed operativa, la responsabilità di gestione del sistema GosSopka è stata assegnata dal Cremlino al servizio federale per la sicurezza della Federazione russa (Fsb).


[1] V. Putin, Meeting of the Valdai International Discussion Club, 22 ottobre 2015. http://en.kremlin.ru/events/president/news/50548.


L’attesa dell’offensiva russa su Kiev. Il commento di C. Bertolotti a SKY TG24 (8 marzo 2022)

Di fatto assistiamo alla conquista russa di una larga parte dei territori ad est del fiume Dnepr con l’esercito ucraino che però riesce in parte a rallentarne l’offensiva (con azioni definite di contrattacco “di alleggerimento”, che non sono risolutive ma volte a disturbare le operazioni nemiche); ora se a Nord, il fronte di Kiev vede alcune avanguardie russe già presenti nelle aree periferiche a est della capitale, è però vero che un’azione  di forza non è ancora stata avviata e che alcune unità regolari ucraine sarebbero presenti ai fianchi e alle spalle dei russi su questo fronte, sebbene non abbiano la capacità di contrastare una probabile azione di attacco russa.

Claudio Bertolotti

L’attesa dell’offensiva russa su Kiev. Il commento del Direttore Claudio Bertolotti a SKY TG24 (8 marzo 2022)


Rallentamento russo e controffensiva ucraina: tra “difesa a istrice” e fango (D+14)

di Fabio Riggi, Analista indipendente

Dal punto di vista prettamente tattico, il decorso delle operazioni sta mostrando diversi aspetti ormai piuttosto definiti e consolidati, cui se ne aggiungono altri che emergono dagli ultimi sviluppi osservabili sul campo.

La “difesa a istrice” dei centri abitati e i “contrattacchi” delle forze ucraine

Come facilmente previsto sin dal primo apprezzamento risalente ai primi giorni del conflitto, gli ucraini hanno fatto ampiamente ricorso a una “difesa areale”, forma di manovra propria delle operazioni difensive, che consiste nella condotta di attività tattiche su posizioni statiche “ancorate” al terreno, integrate da contrattacchi locali da parte di unità in riserva tattica, e aventi come scopo il mantenimento di posizioni chiave (“key position”) e terreno vitale (“vital ground”). In particolare, anche questo un elemento facilmente previsto, le forze ucraine hanno basato la propria difesa sui centri abitati, sfruttandone a fondo l’elevato valore impeditivo. Un elemento molto significativo è relativo al fatto che molte posizioni ucraine su queste località reiterano la propria resistenza anche dopo essere state tagliate fuori, e finanche circondate, dai reparti russi. Ciò è particolarmente evidente nel settore Nord-Est, dove la profonda avanzata delle forze russe verso il lato orientale di Kiev si è lasciata indietro diverse città ancora in mano a reparti ucraini ancora attivi. A questo punto, pur con tutte le cautele del caso in tema di paralleli storici (anche e soprattutto in campo militare), è comunque utile segnalare un’analogia con quanto è avvenuto sul fronte orientale, ossia in quello stesso teatro operativo, durante la seconda guerra mondiale. Sul fronte del Gruppo Armate Centro, durante la prima controffensiva sovietica seguita alla battaglia di Mosca, nei mesi dell’inverno 1941-42 i tedeschi attuarono esattamente questo modello di “difesa a istrice”, con posizioni incentrate su centri abitati che continuavano a resistere benché circondate dalle truppe dell’Armata Rossa che li sopravanzavano. Alla lunga, al termine di quel ciclo operativo, la protratta resistenza delle “istrici” tedesche finì con lo smorzare lo slancio offensivo avversario. Lo stesso schema difensivo fu adottato, sempre dai tedeschi, nelle ultime fasi del conflitto, nel 1944-45, quando si trovarono a dover condurre difficili operazioni difensive facendo ricorso a una riedizione della “difesa a istrice”, con città fortificate, denominate Feste Plätze (“posizione fortificata”), che protraevano la resistenza anche dopo essere state circondate. In questo caso, però, a causa di molti fattori concomitanti di carattere generale, questa tattica difensiva non sortì risultati decisivi. La reale efficacia della difesa “a istrice”, infatti, dipende da diversi fattori, quali innanzitutto la capacità di rifornirle, il tempo entro il quale possono continuare a resistere validamente, e in ultima analisi la capacità di condurre poi comunque azioni dinamiche (contrattacchi) in grado di ristabilire definitivamente la situazione. Di certo, questa analogia è dovuta alle caratteristiche dell’ambiente operativo (ampi spazi di manovra, terreno a elevato indice di scorrimento, almeno in vari settori, centri abitati che si prestano alla difesa), che quindi induce l’adozione da parte dei contendenti di soluzioni tattiche simili rispetto a quelle del secondo conflitto mondiale. Quanto le “istrici” ucraine possano avere successo, ora, potrà essere definito solo dalle inappellabili sentenze del campo di battaglia emesse nei prossimi giorni.

I russi evitano di combattere nelle città

In modo esattamente speculare, e anche in questo caso previsto nei precedenti apprezzamenti, in ossequio al principio dottrinale dell’arte operativa sovietico-russa, le forze degli attaccanti non hanno accettato di farsi attrarre nel combattimento in aree urbanizzate, e hanno invece privilegiato lo sviluppo degli sforzi offensivi in profondità aggirando sistematicamente le città. Questo sta comunque ponendo le forze russe di fronte al già ricordato “dilemma tattico dell’accerchiamento”, che consiste nel dover comunque lasciare indietro aliquote di forze sufficienti a mantenere isolate, e in fasi successive annientare, le unità nemiche attestate nelle posizioni difensive avversarie lasciate indietro. Se ciò non avviene in tempi ragionevoli, queste forze rimaste arretrate possono alla lunga ostacolare l’alimentazione tattica (rinforzi) e logistica (rifornimenti) delle unità attaccanti, anche e soprattutto perché i centri abitati sui quali i difensori sono attestati insistono sulle principali vie di comunicazione. Se invece le punte avanzate, che penetrano in profondità, raggiungono rapidamente i propri obiettivi e colpiscono i gangli vitali del dispositivo difensivo, portandolo al collasso, la velocità e il “ritmo” operativo che hanno mantenuto evitando le città difese gli faranno cogliere risultati definitivi. La sfida tra l’attacco in profondità e le “istrici” difensive si basa dunque su una dialettica che si gioca tra le variabili tempo, forze disponibili dell’attaccante e capacità del difensore di garantire il sostegno logistico delle posizioni isolate. Cosa avverrà esattamente, anche in questo caso, lo potremo vedere negli sviluppi successivi delle operazioni.

Rallentamento russo e controffensiva ucraina

In aggiunta alla difesa areale ampiamente adottata dagli ucraini nei primi giorni, e come già indicato in precedenza, essi hanno scelto la fase in cui le forze russe si trovavano protese in avanti, e in diversi settori, quindi, in “crisi di movimento, per iniziare anche a contro manovrare e lanciare contrattacchi con le loro unità di manovra. Ciò è avvenuto a nord-ovest di Kiev, e a nord di Kharkov, e anche senza aver realizzato una particolare concentrazione di forze queste operazioni sembrano avere avuto comunque un certo successo, quantomeno nell’arrestare le offensive russe in quei settori.

Il meteo e il rischio del fango per i russi

In questo quadro un ruolo di primaria importanza, anche in questo caso in completa analogia con quanto avvenne su quello stesso teatro operativo nel corso del secondo conflitto mondiale, lo rivestono le condizioni meteorologiche, e più in generale l’ambiente operativo, che risultano (e probabilmente lo saranno ancora di più nei prossimi giorni) di certo un fattore altamente condizionante per l’offensiva russa. In Ucraina si approssima, infatti, il disgelo, la celebre “Rasputitsa”, che trasforma in un mare di fango le distese pianeggianti (e le strade sterrate) della regione. Ciò rende estremamente difficoltose le operazioni in campo aperto di formazioni pesanti (meccanizzate e corazzate), arrivandone fino a bloccarle del tutto, oppure di fatto, vincolandole agli assi stradali, privandole in questo modo del grande vantaggio tattico conferitogli dalla loro capacità di manovrare rapidamente. Come e in che termini i comandi russi hanno calcolato questo fattore cruciale, e le soluzioni che adotteranno in condotta per mitigarne gli effetti, resta da vedere.

Il vantaggio ucraino viene da NATO e Stati Uniti: intelligence, tecnologia e satelliti

Un vantaggio tattico (ma che si sta sviluppando certamente anche al più elevato livello operativo) si sta manifestando dalla parte degli ucraini grazie al pressoché certo robusto sostegno che la NATO e gli USA stanno fornendo alle forze di Kiev in termini di Intelligence, piattaforme ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) e satelliti che orbitano intorno, e al di sopra, dell’Ucraina già dalle prime fasi della crisi. Questo contribuisce in modo decisivo alla realizzazione da parte dei comandi ucraini di quella che nella terminologia NATO è definita “Common Operational Picture” (COP), ossia una rappresentazione condivisa e veritiera delle posizioni delle forze in campo, delle loro attività e del conseguente andamento delle operazioni. Ciò si esplica anche in preziosissime informazioni su dislocazione e caratteristiche di possibili obiettivi da battere col fuoco (anche se, a parte la nutrita artiglieria, l’esercito ucraino non ha ampia disponibilità di sistemi per la condotta di azioni di fuoco di interdizione in profondità, e l’aviazione è ormai grandemente ridotta, se non quasi annullata, nelle sue capacità) che consentono lo sviluppo di attività specifiche, quali quelle di “targeting” e successivo intervento con le sorgenti di fuoco disponibili, che comunque sembrano essere state condotte con una certa efficacia. In sintesi, questo contributo esterno sta di certo dando un apporto decisivo nel mantenere efficiente e reattivo il sistema comando e controllo ucraino, che può sfruttare al meglio la sua “Situation Awareness” (“consapevolezza della situazione”), assolutamente necessaria per condurre con successo qualsiasi operazione militare. A titolo di esempio, è quasi certo che le immagini della chilometrica colonna di mezzi russi avvistata a nord-ovest di Kiev nelle prime 48-72 ore della campagna, già molto prima del loro apparire sugli schermi dei mass media internazionali, fossero state rilasciate ed esaminate nelle sale operative dei comandi ucraini.

Possibili altre operazioni anfibie russe?

Sin dalle prime ore del conflitto si sono rincorse le notizie di operazioni anfibie russe sulle coste del Mar Nero e del Mar d’Azov, ma oggi solo una, in scala probabilmente ridotta, che avrebbe contribuito all’accerchiamento di Mariupol, pare sia stata effettivamente condotta. L’apparire a più riprese di unità della flotta del Mar Nero davanti a Odessa (attività con la quale la Marina di Mosca sta anche attuando il blocco della costa ucraina) ha fatto poi ritenere imminente una nuova e più vasta operazione di sbarco su Odessa. Tuttavia, come peraltro già indicato da alcune fonti qualificate, potrebbe anche trattarsi di una “dimostrazione anfibia”, ossia un’azione in cui ci si limita a minacciare l’attuazione di uno sbarco al solo scopo di costringere l’avversario a impegnare forze per difendere un determinato tratto di costa. Si tratta di una tipologia di attività peraltro espressamente prevista anche dalla dottrina NATO sulle operazioni anfibie. Cosa accadrà, esattamente, anche su questo versante, lo vedremo nelle fasi che seguiranno.

Al via le operazioni aeree russe, oltre ai missili balistici tattici a corto raggio

Dopo la presunta “scomparsa” dell’aeronautica russa nei primissimi giorni della campagna, negli ultimi giorni l’intensità delle operazioni aeree russe sembra essere aumentata in modo significativo, e con essa, inevitabilmente, le perdite. Queste ultime, in particolare, soprattutto di fronte a un esercito, come quello ucraino, che ha mantenuto la tradizionale enfasi sovietica posta sui sistemi controaerei organici alle unità terrestri (oltre alla ormai arcinota fornitura dei MANPADS FIM-92 “Stinger” di fabbricazione USA), non dovrebbero suscitare particolare scalpore, poiché esse paiono in linea con il tasso di attrito, già ricordato, da riferirsi all’elevatissima letalità del moderno combattimento simmetrico ad alta intensità. A tal proposito, escludendo volutamente le campagne aeree occidentali e NATO (ma soprattutto delle forze aeree USA) sull’Iraq e la Jugoslavia (perché condotte contro avversari di altra natura e con forze ben superiori) si può ricordare a titolo di esempio ciò che accadde alla già blasonata e agguerrita aviazione israeliana nell’ottobre 1973, quando nei primi giorni della guerra del Kippur, nel settore del Sinai, subì perdite notevoli a opera dei sistemi controaerei egiziani (tutti di origine sovietica). A tale riguardo, poi, più fonti segnalano lo scarso impiego da parte dell’aviazione russa di munizionamento guidato di precisione, forse dovuto a una scarsa disponibilità. Tuttavia, è anche da menzionare l’intenso utilizzo in questa campagna di sistemi che nella dottrina dell’esercito sovietico prima, e in quello russo di oggi ora, hanno sempre avuto un ruolo molto rilevante: i missili balistici tattici a corto raggio. Questi sono attualmente rappresentati dagli 9K720 ISKANDER (in una versione, la “E”, in grado di lanciare anche vettori da crociera). Nella concezione russa, questi missili balistici, armati con testate nucleari o convenzionali, svolgono la funzione di condurre attacchi d’interdizione in profondità, che in ambito NATO e occidentale sono invece assegnati quasi esclusivamente alle forze aerotattiche, impieganti, appunto, in questo ruolo, munizionamento guidato di precisione (fa eccezione, in occidente, il missile tattico statunitense ATACMS e pochi altri) e ai missili da crociera. Pare che ormai le forze russe abbiano già lanciato diverse centinaia di ISKANDER, e questo può spiegare, anche se solo parzialmente, la non particolare enfasi data all’utilizzo di bombe e missili “intelligenti” da parte dell’aviazione russa, che pure ne dispone nel proprio arsenale. I missili balistici tattici hanno poi l’importante caratteristica di essere virtualmente invulnerabili ai sistemi di difesa aerea in servizio nelle forze armate ucraine, e questo vale anche per quelli occidentali e NATO: esistono attualmente, al mondo, ancora solo pochi sistemi operativi con questo tipo di capacità “Anti Tactical Ballistic Missile” (ATBM). Agli ISKANDER russi si sono poi comunque affiancati anche altri vettori da crociera (un’altra tipologia di sistemi, in questo caso contrastabili dalle unità controaerei ucraine) lanciati dai bombardieri strategici e dalle navi della marina russa, che hanno aumentato il volume di fuoco erogato dalle forze di Mosca nel loro complesso contro tutta una serie di obiettivi posti in profondità.

Numerose operazioni di assalto aereo: la punta di diamante

Un tema che al termine del conflitto sarà certamente meritevole di grande studio e attenzione, sono gli effettivi esiti e tutto ciò che è accaduto durante la condotta delle numerose operazioni di assalto aereo condotte soprattutto nei primi giorni dalle forze aviotrasportate russe, le Vozdušno-Desantnye Vojska (VDV). Queste ultime, è bene ricordarlo, possiedono il rango di forza armata indipendente e sono ritenute, in virtù delle loro caratteristiche di forze ad elevatissima prontezza e mobilità strategica, la punta di diamante dello strumento militare di Mosca. Dal punto di vista storico-militare, è poi opportuno ricordare che la specialità delle aviotruppe nasce proprio in Unione Sovietica negli anni ’20 del secolo scorso, nell’ambito dello sviluppo di quell’arte operativa che dava, appunto, grande importanza alle “glubokaya operatsiya”, le “operazioni in profondità”, realizzabili anche con questa tipologia di forze aviolanciate nelle retrovie dell’avversario. I numerosi resoconti che hanno sistematicamente riportato i presunti “fallimenti” di queste azioni dei reparti delle VDV (che hanno suscitato, in virtù di quanto detto, una certa sorpresa da parte degli addetti ai lavori), andranno quindi attentamente vagliati e verificati.


Odessa: obiettivo russo o piano d’inganno? Il commento di C. Bertolotti a RaiNews24 (5 marzo 2022)

Si sta realizzando la conquista russa di una larga parte dei territori ad est del fiume Dnepr con l’esercito ucraino che riesce in parte a rallentarne l’offensiva e si paventa la possibilità di un nuovo fronte a sud con obiettivo la città portuale di Odessa – a meno che non si tratti di uno specifico piano d’inganno per disperdere le difese ucraine: si realizzerebbe così la linea di azione russa più pericolosa e penalizzante per Kiev che potrebbe privare il paese dello sbocco al mare, andando a creare una cornice russa attorno a quella che di fatto sarebbe una enclave terrestre ucraina. Ciò avverrebbe attraverso un’ipotetica operazione anfibia nell’area di Odessa, un eventuale intervento russo dal corridoio della Transnistria e il ricongiungimento delle truppe sull’area di Dniepro.

Claudio Bertolotti

Mentre il grosso delle truppe russe attende l’ordine di assediare e poi lanciare il possibile assalto su Kiev, aumentano le preoccupazioni per la città costiera di Odessa: obiettivo militare o piano d’inganno? Il commento de l Direttore Claudio Bertolotti a RaiNews24 (5 marzo 2022).


Non si ferma l’avanzata russa. Il commento di C. Bertolotti a SKY Tg24 (3 marzo 2022)

Avanzano le truppe russe in Ucraina. L’area urbana di Kherson è caduta nelle mani russe. Mariupol offre una strenua resistenza ma è destinata a soccombere. Kharkiv è martellata dai bombardamenti. Kiev continua a essere colpita da attacchi con razzi. Si prospetta un fronte senza soluzione di continuità, da est a sud per le truppe russe che, allargando il fronte meridionale a Odessa, possono chiudere lo sbocco al mare dell’Ucraina, anche fino alla Transnistria. Riprende il tavolo negoziale dove prevale la posizione di forza conquistata dalla Russia sul campo che “concede” l’apertura di corridoi umanitari (funzionale a drenare possibili resistenti e a presentare una Russia benevola). La resistenza ucraina si distingue per volontà, ma la reale capacità di difesa è limitata e potrebbe presto cedere in seguito all’urto della seconda ondata offensiva di Mosca.


Avanza l’offensiva russa. Il commento del Gen. Chiapperini a SKY TG24 (2 marzo 2022)

Il Generale Luigi Chiapperini interviene a SKY TG24 commentando l’avanzata russa in Ucraina e i tentativi di rallentarne le manovra da parte delle forze armate di Kiev e della resistenza.