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La posta in gioco. Come leggere la serie di attentati in Francia?

di Chiara Sulmoni e Claudio Bertolotti

La Francia non è il paese europeo con il maggior numero di individui radicalizzati nel radar dei servizi di intelligence (è superata in questo dalla Gran Bretagna). Sicuramente però, è quello più toccato dalla violenza di matrice islamista. Il database di START InSight ha registrato 58 episodi di questa natura dal 2015 ad oggi.

L’accelerazione sanguinaria dell’ultimo mese – il fatto che i terroristi che hanno colpito a Parigi il 25 settembre (attacco nei pressi della vecchia sede del Charlie Hebdo), il 16 ottobre (decapitazione del Prof. Samuel Paty) e a Nizza il 29 ottobre (brutali attacchi all’arma bianca nella cattedrale di Notre-Dame) siano individui giunti da poco in Europa – ha segnato un cambio di passo. Le ragioni degli attacchi, è stato detto ormai da più parti, hanno a che vedere con i valori della Repubblica – laicità e conseguente totale libertà d’espressione che include il diritto alla blasfemia – che non sono allineati con il sentire di chi aderisce a una lettura fondamentalista dell’Islam. Una lettura diffusa e propagata anche attraverso reti, associazioni, media.

Da 15 anni ormai analisti e ricercatori dedicano il loro lavoro a comprendere le ragioni, le strade e i mezzi del terrorismo cosiddetto homegrown – della porta accanto – emerso in Europa all’inizio degli anni 2000 dall’incrocio esplosivo tra la “militarizzazione” dell’Islam avviata con l’11 settembre (cioè, il suo utilizzo come strumento di vendetta e di supremazia nei confronti dell’Occidente) e situazioni di disagio e marginalizzazione dentro il cuore del Vecchio continente, nelle sue strade e nei suoi quartieri.

Di fronte a un’onda violenta di sempre maggiori dimensioni, che l’approccio securitario non è in grado di contenere, anche il linguaggio degli organismi internazionali è progressivamente cambiato e dalla lotta al terrorismo si è progressivamente passati all’impegno nel contrasto e nella prevenzione dell’estremismo, per approdare al tentativo ancora incerto della de-radicalizzazione. Se il terrorismo homegrown aveva motivazioni prevalentemente – anche quando inconsciamente – politiche (come richiede l’idea stessa di “costruzione” di uno Stato Islamico, concreto o utopico che sia), ci troviamo ora ai piedi della scala. Perché già il primo evento tragico che aveva messo in evidenza l’esistenza di una scena estremista tipicamente europea, avvenuto il 2 novembre 2004 ad Amsterdam, era maturato in un contesto di fondo simile a quello della recente ondata. Si è trattato dell’omicidio brutale del regista Theo van Gogh, colpevole di aver girato un film sulla violenza di genere nell’Islam, considerato blasfemo. Un “sentire” che può accomunare musulmani tanto rigoristi quanto terroristi in ogni angolo del mondo, portandoli a manifestare ma anche ad agire indiscriminatamente a ogni latitudine (come nell’attacco al consolato francese a Jeddah del 29 ottobre).

Gli attentatori che hanno colpito la Francia ad ottobre non sono i cosiddetti homegrown cresciuti nelle sue banlieues: la motivazione di questi attacchi è prevalentemente religiosa

Gli attentatori che hanno colpito la Francia ad ottobre non sono cresciuti nelle sue banlieues. Non hanno operato in rappresentanza dello Stato Islamico o di altre sigle, ma hanno agito per una convinzione che stride con i valori di una Repubblica, alla quale d’altra parte non appartengono. La motivazione di questi attacchi è prevalentemente religiosa. Se la radicalizzazione homegrown – attraverso la violenza organizzata – porta in un certo senso al prevalere dell’aspetto politico su quello religioso (almeno agli occhi di chi ha studiato il fenomeno), gli ultimi eventi hanno portato al prevalere della religione sulla politica (anche se poi, il sentire religioso viene politicamente manipolato).

Il piano preannunciato da Macron accosta pericolosamente lo Stato (laico) all’Islam

Il piano preannunciato dal Presidente Macron, che intende combattere il “separatismo islamista”, accosta pericolosamente lo Stato (laico) all’Islam. Il rischio e la grande incomprensione che ne potrebbe derivare, è il pensiero che lo Stato intenda sanzionare e determinare cosa sia lecito e cosa no, in termini di fede e pratica; che voglia modellare un Islam europeo – o francese. Un concetto già in voga in passato, ma che è oggi inadeguato e ormai superato, e che deve essere sostituito – anche a livello linguistico – con l’idea della cittadinanza, di cittadini europei musulmani con diritti e doveri. Un modello in gran parte già acquisito.

La questione dell’immigrazione

A partire dall’autunno del 2015, momento in cui l’Europa è stata colpita dai più cruenti attacchi terroristici di matrice jihadista, l’opinione pubblica ha iniziato a sentirsi fortemente minacciata. Due questioni si sono improvvisamente imposte all’interno del dibattito pubblico e politico come fattori tra di loro indissolubilmente collegati: il terrorismo e i flussi migratori. I recenti attacchi avvenuti in Francia, a Parigi e a Nizza il 25 settembre, il 16 e il 29 ottobre, impongono una riflessione ulteriore sull’evoluzione della minaccia terroristica in Europa, dove agli aspetti politici e sociali si sommano quelli religiosi ed ideologici.

Preoccupa che potenziali jihadisti possano penetrare in Europa nascosti tra i migranti

Il fatto che jihadisti possano penetrare in Europa nascosti tra i migranti provenienti dal Nord Africa (ma anche dai Balcani) è un fattore di preoccupazione e allarme per i paesi europei, in particolare quelli che sono sulla prima linea dell’immigrazione come l’Italia.

La connessione tra criminalità organizzata e gruppi terroristici jihadisti include, in particolare, le organizzazioni criminali tunisine e italiane coinvolte nella migrazione irregolare e nel traffico di droga dalla Tunisia all’Italia, e la capacità della criminalità organizzata italiana di produrre documenti contraffatti dell’UE utilizzati dai migranti illegali, potenzialmente legati a gruppi terroristici, per viaggiare all’interno dell’area Schengen. Questa immigrazione irregolare dalla Tunisia all’Italia è diversa da quella dalla Libia all’Italia per il coinvolgimento diretto e la stretta cooperazione tra mafie italiane e trafficanti e contrabbandieri tunisini.

Il fenomeno migratorio è dunque caratterizzato da una significativa componente irregolare ed è, al tempo stesso, sfruttato da soggetti e gruppi radicali, criminalità organizzata e organizzazioni terroristiche; tutto ciò fa del fenomeno migratorio irregolare ed illegale una seria sfida per gli stati europei.

Nel 2020 ci sono stati 21 attacchi terroristici e azioni violente riconducibili al jihadismo

La minaccia di terrorismo in Europa è significativa. Nel 2020 ci sono stati 21 attacchi terroristici e azioni violente riconducibili al jihadismo; erano 19 nel 2019, 27 nel 2018. Le vittime sono in prevalenza civili. In Italia sono stati 8 gli episodi di violenza di questo tipo negli ultimi cinque anni: un dato inferiore rispetto a Francia, Regno Unito e Germania ma che nei prossimi anni potrebbe allinearsi con il resto d’Europa per la maggior presenza di immigrati di seconda generazione che per varie ragioni sono in genere più vulnerabili al richiamo jihadista.

Il pericolo maggiore è costituito dai radicalizzati cresciuti in Europa ma stimolati dall’attivazione emotiva della propaganda islamista e jihadista

Il pericolo maggiore è rappresentato dai radicalizzati cresciuti all’interno dei contesti nazionali ma stimolati dal sistema di “attivazione emotiva” della propaganda islamista e jihadista. Dalla radicalizzazione all’azione il passo è breve.

Aumentano i jihadisti tra gli adolescenti e i giovani adulti, con un’età compresa tra i 15 e i 27 anni, molti giunti in Italia in tenera età; un’evoluzione che obbliga gli organi investigativi a concentrarsi su un numero sempre maggiore di radicalizzati da monitorare o da espellere nel caso di soggetti privi di cittadinanza italiana. Sono circa 500 i soggetti identificati ed espulsi per terrorismo dall’Italia dal 2015 a oggi. La maggior parte proveniva dall’area del Maghreb e del Mashreq (Marocco, Tunisia, Egitto) e dai Balcani: per lo più immigrati irregolari o di recente regolarizzazione.

Fra ciò che è emerso a margine del processo sull’attentato che ha avuto luogo alla Manchester Arena nel 2017, c’è la dichiarazione di una guardia di sicurezza che, allertata circa il comportamento sospetto di Salman Abedi, avrebbe preferito non procedere con un controllo, per il timore di essere considerato razzista.

Anche in funzione preventiva, è necessario poter affrontare di petto tutti gli aspetti legati ai processi di radicalizzazione e di violenza jihadista (o di altri orientamenti), incluso quello migratorio che è peraltro sostenuto dai numeri, in modo costruttivo, aperto e onesto.

Photo by Fabien Maurin