Libya and Turkey flag together realtions textile cloth fabric texture

Libia: Bertolotti (Start), ‘ruolo militare turco cruciale per ridefinire futuro Paese’ (ADNKRONOS)

Intervistae articolo di Alessia Virdis, per ADNKRONOS

Ankara forza determinante e destinata a prevalere

A dieci anni dall’avvio delle rivolte in Libia, che portarono alla fine dell’era Gheddafi, “oggi la Libia è una realtà estremamente frantumata caratterizzata, da rapporti di collaborazione e competizione spesso incompatibili tra loro, dove attori esterni giocano la loro partita spingendo sulle poche e disorganizzate forze interne”. E’ il quadro tracciato in un’intervista ad Aki – Adnkronos International da Claudio Bertolotti, direttore di Start InSight, autore di ‘Libia in transizione – Guerra per procura, interessi divergenti, traffici illegali‘ (SCARICA IL VOLUME), convinto che “il ruolo che sta giocando e giocherà ancora di più lo strumento militare turco sarà determinante per ridefinire la Libia che sarà” e che sul lungo periodo sia quindi “destinata a prevalere la forza turca”.

il ruolo che lo strumento militare turco sta giocando, e giocherà ancora di più, sarà determinante per ridefinire la Libia che sarà

L’esperto, analista strategico e coordinatore dell’Unità Ricercatori della Difesa presso l’Istituto di Ricerca e Analisi della Difesa (Irad) e direttore esecutivo dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT), sottolinea la “polarizzazione” che vede da una parte “i noti attori con Khalifa Haftar e quelli con Tripoli dall’altra”, ma evidenzia anche come “nell’ultimo periodo” la Turchia abbia assunto “un ruolo determinante”. Un ruolo cruciale, dice, “sia per quanto riguarda i giochi politici, intesi come rapporti di collaborazione con i gruppi di potere e i gruppi politici dell’area mediterranea di orientamento islamista legato alla Fratellanza musulmana“, sia dal punto di vista della “presenza fisica perché il ruolo che lo strumento militare turco sta giocando, e giocherà ancora di più, sarà determinante per ridefinire la Libia che sarà”.

La strategia turca indebolisce l’Italia

Bertolotti ricorda la presenza di “istruttori militari ed equipaggiamenti turchi a supporto delle forze di Tripoli”, un fatto a “esclusivo vantaggio della Turchia e uno svantaggio per tutti gli altri attori, in primis per l’Italia”. Italia che, sottolinea, “vede sempre più eroso il suo ruolo e la sua influenza sulla Libia”.

I pochi punti di forza dell’Italia vengono confermati dall’attivismo dall’Eni, che cerca di tutelare attraverso la garanzia dei propri interessi gli interessi nazionali. A svantaggio della Turchia, il fatto di non essere in una posizione economicamente dominante

“I pochi punti di forza che restano vengono confermati dall’attivismo dall’Eni, che cerca di tutelare attraverso la garanzia dei propri interessi gli interessi nazionali”, continua l’esperto parlando di un’Italia che “dal punto di vista è sempre più debole, sempre meno attiva”.

A svantaggio della Turchia, il fatto di non essere – dice Bertolotti – “in una posizione economicamente dominante”. Questo, osserva, “potrebbe essere un limite alle sue ambizioni, ma resta la presenza fisica e la capacità di influire sulla politica libica”. Il 5 febbraio al voto in Svizzera del Forum di dialogo politico si è imposta la lista con Mohamed Menfi come nuovo capo del Consiglio presidenziale libico e Abdul Hamid Mohammed Dbeibah come candidato premier fino alle elezioni annunciate per il prossimo 24 dicembre. “Il fatto che quest’ultimo sia un uomo d’affari direttamente collegato con il business turco conferma – prosegue – questa capacità della Turchia di riuscire a consolidare le proprie posizioni”.

‘I russi? Si sono creati un trampolino di lancio per una presenza sul medio e lungo periodo’

I russi, oltre alla Turchia. “Il Mediterraneo è diventato il centro dell’instabilità dovuta alle politiche espansionistiche di Ankara e di Mosca, perseguite anche attraverso il supporto delle parti contrapposte nei teatri di conflitto – scrive Bertolotti in ‘Libia in transizione’ – La Russia guarda con estrema attenzione al futuro della Libia perché la considera strumentale al perseguimento dei propri interessi nazionali. Interessi che includono principalmente i vantaggi economici del cosiddetto commercio di ‘guns for oil’ (armi in cambio di petrolio), i contratti governativi, il potere contrattuale nei confronti dell’Unione Europea, l’accesso ai porti nel Mediterraneo, il contrasto alla minacce del terrorismo islamico”.

I russi si sono sostanzialmente consolidati nelle loro posizioni. Trincerati, in un certo senso, anche fisicamente

I russi, dice ad Aki – Adnkronos International parlando di Haftar, “hanno sostenuto l’attore che non ha vinto ma che di fatto non ha neanche perso il confronto con Tripoli” e “si sono sostanzialmente consolidati nelle loro posizioni”. Trincerati, in un certo senso, “anche fisicamente attraverso la costruzione di questa linea di divisione fisica fatta di infrastrutture militari a tutela dei propri interessi nell’area, in particolare della loro presenza”.

La Libia resta per l’Italia un Paese in cui c’è la prospettiva di trasformare gli svantaggi, derivanti da un’assenza sul campo di battaglia libico, in opportunità.

Si può parlare di un “trampolino di lancio per la loro presenza anche sul medio e lungo periodo”, osserva, pensando al contributo militare assicurato sinora, “anche da punto di vista informale con l’uso di truppe non propriamente regolari, da Wagner ad altre realtà non statali”. A dieci anni dalla rivolta, la Libia – scrive Bertolotti in ‘Libia in transizione’ – resta comunque per l’Italia un Paese in cui c’è la prospettiva di “trasformare gli svantaggi, derivanti da un’assenza sul campo di battaglia libico, in opportunità”.

ADN1225 7 EST 0 DNA EST NAZ

(Vir/Adnkronos)

ISSN 2465 – 1222
15-Feb-2021 17:19

 


Libia in transizione – è online il 1° volume “InSight”

Guerra per procura, interessi divergenti, traffici illegali

L’instabilità libica è il principale ostacolo alla sicurezza dell’intero Mediterraneo ma gli stati europei sembrano incapaci di intraprendere un percorso unitario per la sicurezza del confine meridionale della UE: e questo avrà dirette ripercussioni sulla sicurezza del Nord Africa e dell’Europa meridionale, che coincide con il fianco sud della NATO.  La competizione tra Italia e Turchia in Libia potrebbe finire come per la Russia e l’Iran in Siria dove, pur sostenendo la stessa fazione, i due attori cercano di escludersi a vicenda. Tutti questi elementi aprono alla possibilità di uno scenario di rivalità aperta, pur non escludendo una possibile cooperazione basata sul comune interesse. Su tale situazione si innesta il processo elettorale del 2021, frutto del dialogo negoziale che si è svolto a Ginevra attraverso la mediazione delle Nazioni Unite, a cui è seguito, il 16 marzo, l’insediamento del Governo di Unità Nazionale provvisorio (GNU).

Il volume “Libia in transizione” è inserito nella collana “InSight“.

Claudio Bertolotti, Direttore START InSight

SCARICA IL VOLUME “LIBIA IN TRANSIZIONE”

Introduzione

1. 2020: l’evoluzione del conflitto in quattro

Il vertice europeo di Berlino del 19 gennaio

La fine dell’assedio di Tripoli

L’accordo di Ginevra

Le elezioni per il governo unificato

2. La strategia turca indebolisce l’Italia

Consolidamento in Libia e attivismo militare nel Mediterraneo

Tra guerra e il riposizionamento diplomatico

Italia e Turchia: alleati e rivali

3. Due attori e due strategie in Libia: le ambizioni di Egitto e Turchia

Lo sforzo militare in Libia: l’accordo militare turco-libico

Il sostegno militare al GNA

Il sostegno militare all’Esercito Nazionale Libico

Il rifornimento aereo e marittimo

La strategia egiziana: tra diplomazia e interventismo (Melcangi A.)

4. L’espansione di Mosca in Libia: il ruolo dei contractor russi della Wagner

L’arrivo dei contractor “russi” e l’escalation nella guerra per procura

5. La nuova economia: traffico di esseri umani e contrabbando di petrolio, droga e armi

Il traffico illegale di migranti: nuovo modus operandi, vecchio approccio al profitto

La oil connection: criminalità organizzata e terrorismo

La droga come sistema di pagamento per gli affari illeciti

La Libia come epicentro del traffico illegale di armi

6. Operazione EUNAVFOR-MED “Irini”: limiti e criticità

Il vertice di Berlino come premessa all’operazione “Irini”

Obiettivi dell’operazione “Irini”

Una situazione che peggiora: continua l’afflusso di armi

Dalla teoria alla pratica: difficoltà operative e limiti politici

La sfida militare della Turchia all’Unione Europea

I due punti deboli di “Irini”

“Irini”: l’opportunità che l’Italia deve cogliere

SCARICA IL VOLUME “LIBIA IN TRANSIZIONE”


La strategia egiziana in Libia: tra mediazione diplomatica e intervento militare

di Alessia Melcangi, Atlantic Council – Università “La Sapienza”

Scarica l’analisi in formato pdf

L’Egitto a sostegno del generale Khalifa Haftar vorrebbe evitare un intervento militare oneroso e dagli esiti imprevedibili, ma non a ogni costo. Se l’opzione diplomatica dovesse rivelarsi non perseguibile, allora il Cairo potrebbe rispolverare l’opzione militare per la Libia

Gli ultimi sviluppi sul fronte libico sembrano aver dato nuovo impulso all’iniziativa diplomatica egiziana: il 23 settembre il presidente al-Sisi ha, infatti, riunito il generale Haftar, leader dell’LNA, e il portavoce del parlamento di Tobruk Aguila Saleh, esortando le parti in conflitto a riavviare il processo politico sotto la supervisione dell’ONU con l’obiettivo di ripristinare la sicurezza e la stabilità nel paese (Ahram, 2020).

La volontà del Cairo di abbandonare momentaneamente l’opzione militare a favore della ripresa del dialogo tra i gruppi rivali avviene in conseguenza del cessate il fuoco annunciato a fine agosto dal GNA di Tripoli. L’Egitto non è nuovo a questo tipo di strategia che, dalla caduta di Gheddafi nel 2011, si è dispiegata su due fronti: da una parte, quello della mediazione politica che potesse arrivare a una soluzione diplomatica del conflitto; dall’altra parte, sostenendo logisticamente e militarmente l’offensiva di Haftar contro Tripoli, insieme agli storici alleati della regione, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e l’Arabia Saudita, spingendosi fino a minacciare di avviare un conflitto per la difesa della propria sicurezza nazionale e dei propri interessi in Libia (Melcangi, 2020).

Con la discesa in campo della Turchia a fianco del GNA ‒ a seguito degli accordi stipulati tra i due paesi a dicembre 2019 sulla demarcazione dei confini marittimi e sulla cooperazione militare (Butler, Gumrukcu, 2020) ‒, l’opzione diplomatica è sembrata sempre più impossibile e inefficace per il Cairo che, progressivamente, si è trovato costretto a ricalibrare la propria azione in Libia; la Turchia infatti, oltre a essere un rivale geopolitico di cui al-Sisi teme la proiezione strategica, in particolare nel Mediterraneo orientale, rappresenta oggi anche uno dei più fieri sostenitori di quell’islam politico contro il quale si è invece schierato il Cairo insieme agli emiratini e i sauditi.

La ritirata dal fronte occidentale a cui è stato costretto nell’aprile 2020 l’Esercito Nazionale Libico, insieme alle milizie che combattono a fianco di Haftar, ha spinto il Cairo, che temeva il collasso del generale e di perdere il controllo sulla Cirenaica a favore di Ankara, a riprendere il percorso diplomatico chiedendo un cessate il fuoco. Il 6 giugno 2020, il presidente egiziano ha annunciato la cosiddetta “Dichiarazione del Cairo” (Mezran, Melcangi, 2020), sostenuta da Haftar e da Aguila Saleh e basata su una risoluzione intra-libica che potesse rilanciare il processo di pacificazione; questa, tuttavia, ha trovato l’opposizione ferrea di Ankara e del governo di Tripoli. L’opzione diplomatica si è, dunque, trasformata in un monito di guerra lanciato da al-Sisi contro il GNA e i suoi sostenitori, posizionatisi vicino alla cosiddetta linea rossa di Sirte-Al-Jufra, alle porte della ricca e contesa mezzaluna fertile.

Storicamente la Libia rappresenta per l’Egitto un paese di grande importanza per la sua proiezione geopolitica regionale, dal punto di vista della sicurezza interna, per evitare il dilagare della violenza nel suo territorio a causa della possibile penetrazione di gruppi jihadisti dalla porosa frontiera al confine con la Cirenaica; da un punto di vista economico, per far fronte alle conseguenze della drastica diminuzione delle rimesse dei lavoratori emigranti egiziani in Libia, che rappresentano una grave minaccia per la stabilità e la sicurezza interna dell’Egitto; ma anche per riaffermare la propria immagine di perno geostrategico regionale pronto a difendere i propri interessi in quel grande scacchiere geo-economico che è oggi il Mediterraneo Orientale. Ma a seguito degli ultimi eventi il Cairo ha momentaneamente deciso di riporre l’ascia di guerra e ritornare alla strategia diplomatica: il 29 settembre a Hurghada hanno avuto luogo importanti colloqui tra le delegazioni militari in rappresentanza del GNA e dell’LNA sul tema della sicurezza e sulla possibile ripresa dei negoziati nell’ambito del 5+5 Joint Military Committee (JMC). Sostenuto fortemente dalla Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), tale incontro ha permesso all’Egitto di riscuotere il plauso pubblico dell’organizzazione per il suo impegno a sostegno del dialogo tra le varie fazioni libiche (UNSMIL, 2020).

Analisi, valutazioni, previsioni

Nel suo discorso alla 75° sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente egiziano al-Sisi ha ribadito l’intenzione di voler aderire al processo di risoluzione politica condotto dall’organizzazione nel paese sostenendo il popolo libico nel suo processo verso la pacificazione del conflitto; ma, al contempo, ha anche sottolineato che la linea che si estende tra le città libiche di Sirte e Jufra continua ad essere considerata come una linea rossa non oltrepassabile per la sicurezza nazionale[1].

Di fatto, l’impressione è che l’Egitto sia ben felice di evitare un intervento militare costoso e dagli esiti imprevedibili, ma non a ogni costo. Se l’opzione diplomatica dovesse rivelarsi inefficace o non garantisse gli interessi strategici egiziani in quel paese, allora il Cairo potrebbe rispolverare l’opzione militare, mai del tutto accantonata. E dato che la partita in gioco in Libia rimane decisamente fluida, la scelta fra armi e diplomazia è tutt’altro che scontata.

Foto: M.T. Elgassier

Scarica l’analisi in formato pdf

[1] Statement by H.E. President Abdel Fattah El-Sisi before the 75th Session of the UN General Assembly, 24 settembre 2020, in https://www.sis.gov.eg/Story/152277/Statement-by-H.E.-President-Abdel-Fattah-El-Sisi-before-the-75th-Session-of-the-UN-General-Assembly?lang=en-us


Libia: a “processo” i pescatori italiani detenuti da Haftar. Bertolotti: l’Italia sempre più vulnerabile – Deutsche Welle

di Philipp Zahn

I 18 pescatori di Mazara a processo davanti al tribunale militare del generale Khalifa Haftar: il commento di Claudio Bertolotti nel servizio di Philipp Zahn per Deutsche Welle.

Entro la fine di questa settimana inizierà il processo davanti al tribunale militare di Bengasi nei confronti dei pescatori di Mazara del Vallo detenuti in Libia.

Perché le autorità italiane tacciono, nonostante il fatto che gli avvocati considerino le azioni libiche come una chiara violazione della legge? La Libia rivendica anche l’area marittima oltre la zona di dodici miglia stabilita a livello internazionale; area in cui si trovavano i pescatori italiani. Ma allo stesso tempo la Marina Militare Italiana si ritira sempre più dalle acque internazionali al largo delle coste libiche, lasciando spazio ad altri attori. Con le veglie davanti al parlamento di Roma, le famiglie dei pescatori cercano di fare pressione sui politici, in modo che i 18 uomini possano finalmente tornare liberi.

Un’episodio, quello dei pescatori italiani, che accende i riflettori sul ruolo dell’Italia in Libia e nel Mediterraneo: un ruolo sempre più debole  e marginale, a vantaggio dei competitor – Turchia, Egitto, Russia e Paesi del Golfo – che consolidano le loro posizioni.

Il servizio di Philipp Zahn per Deutsche Welle in lingua tedesca
Il servizio di Philipp Zahn per Deutsche Welle in lingua araba
Il servizio di Philipp Zahn per Deutsche Welle in lingua spagnola

Italienische Fischer in libyscher Haft

Eine Reportage von Philipp Zahn.
Seit September sitzen 18 sizilianische Fischer in Libyen im Gefängnis. Ihr Vergehen: Sie hatten vor der Küste Garnelen gefangen. Ihre Familien befürchten, dass es nicht nur um Hoheitsrechte auf See geht.
Denn die italienischen Behörden schweigen. Und das, obwohl Juristen Libyens Vorgehen als klaren Rechtsbruch betrachten: Das Land reklamiert auch den Bereich jenseits der international festgelegten Zwölfmeilenzone, wo die Fischer unterwegs waren, als sein Hoheitsgebiet. Doch gleichzeitig zieht sich die italienische Marine zunehmend aus den internationalen Gewässern vor Libyens Küste zurück. Der Grund, so mutmaßen die Angehörigen der verschwundenen Fischer: Auf dem offenen Meer geraten viele Flüchtlinge in Seenot, und Italiens Marine wolle sich an deren Rettung nicht mehr beteiligen. Mit Mahnwachen vor dem Parlament in Rom versuchen die Familien der Fischer, Druck auf die Politik aufzubauen – damit die 18 Männer endlich wieder in Freiheit kommen.

El reportero – Pescadores italianos denidos en Libia

Un informe de Philipp Zahn.
Desde septiembre de 2020, 18 pescadores sicilianos se encuentran en cárceles libias. Su “delito”: pescar las codiciadas gambas rojas frente la costa de Libia. Sus familias desesperadas temen que haya más en juego que los derechos de soberanía marítima.
Las autoridades italianas callan. Y esto a pesar de que los abogados consideran que las acciones de Libia son una clara violación de la ley: el país también reclama como territorio suyo el área más allá de la zona de doce millas definida internacionalmente por los pescadores. Pero al mismo tiempo la marina italiana se está retirando cada vez más de las aguas internacionales frente a la costa de Libia. La razón, especulan los familiares de los pescadores desaparecidos, es que muchos refugiados están en peligro en mar abierto, y la marina italiana ya no quiere participar en su rescate. Con vigilias frente al parlamento en Roma, las familias de los pescadores tratan de presionar a los políticos para que los 18 hombres sean finalmente liberados.

مراسلون – صيادون صقليون في السجون الليبية

إين ريبورتاج فون فيليب زان.
تعليق لكلاوديو بيرتولوتي

منذ 20 سبتمبر يقبع 18 صيادا صقليا في السجون الليبية. وجريمتهم هي اصطيادهم القريدس الأحمر أمام السواحل الليبية. وتخشى عائلتهم ألا يقتصر الأمر على اتهامهم بخرق المياه الإقليمية الليبية.
فالسلطات الإيطالية صامتة. ورغم أن رجال القانون يرون أن التصرف الليبي يعد خرقا واضحا للقانون، لأن الصيادين اعتقلوا خارج الاثني عشر ميلا التي يحددها القانون الدولي كمياه إقليمية، فيما تعتبر ليبيا تلك المنطقة منطقة سيادية. من ناحية أخرى تتراجع باضطراد حركة البحرية الإيطالية في المياه الدولية، لأنها، حسب اعتقاد أهالي الصيادين، لم تعد ترغب في أن تشارك في عمليات إنقاذ للاجئين. وتسعى عائلات الصيادين من خلال الاحتجاج بإيقاد الشموع أمام البرلمان في روما إلى زيادة الضغط على السياسيين من أجل الإفراج عن الصيادين المعتقلين. ريبورتاج فيليب تسان.


Libia: le ambizioni della Turchia. La competizione tra Ankara, Mosca e il Cairo nel settore Security Force Assistance (SFA)

Lo sforzo militare in Libia: le conseguenze della collaborazione militare turco-libica

di Claudio Bertolotti

Il 15 settembre, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha chiesto al Segretario Generale Antonio Guterres di nominare un inviato speciale per la pace in Libia; in tale occasione Russia e Cina si sono astenute dal voto sulla risoluzione che avrebbe esteso anche la missione Onu nel Paese.

Il giorno successivo, 16 settembre, il primo ministro libico Fayez al-Sarraj, alla guida del governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli – che controlla parte della Libia occidentale –, ha annunciato la sua intenzione di dimettersi; una decisione, le cui ragioni non sono note, che ha lasciato spazio a numerose speculazioni. Molti ritengono che la decisione sia frutto delle forti pressioni internazionali – in particolare da parte statunitense – allo scopo di assecondare i paesi che si sentono più minacciati dagli accordi firmati dalla Libia con la Turchia, in particolare l’accordo di demarcazione del confine marittimo – exclusive economic zone (EEZ) – che più preoccupa gli europei, in primis la Francia e la Grecia. Un accordo che è stato accompagnato dall’aiuto militare della Turchia al GNA e grazie al quale, a giugno, è stato posto termine all’assedio di Tripoli durato oltre un anno da parte delle forze del generale Khalifa Haftar, comandante dell’esercito nazionale libico (Libyan National Army, LNA) del governo della Libia orientale di Tobruk.

Si tratta di un’evoluzione politica significativa e con rilevanti conseguenze strategiche sebbene, ad oggi, la Libia rimanga ancora fortemente divisa sui due principali fronti – Tripoli e Tobruk – in cui più attori perseguono propri obiettivi. Ma le dimissioni di al-Sarraj, se confermate, potrebbero compromettere seriamente i rapporti tra Ankara e Tripoli poiché l’accordo siglato dai ministri della difesa turchi e qatarioti il 17 agosto prevede che i due paesi forniscano assistenza alle forze di sicurezza libiche. E in tale quadro il GNA e la Turchia hanno già avviato una serie di programmi per la ricostruzione delle forze armate libiche: una collaborazione che è stata formalmente confermata il 20 settembre dal ministro della Difesa libico Salah Eddine al-Namrush.

I programmi, che ufficialmente mirano a istituire una forza militare in linea con gli standard internazionali, includono la ristrutturazione delle forze armate di terra, della marina, delle difese aeree, delle unità antiterrorismo e per operazioni speciali. In base all’accordo, i “consiglieri militari” turchi dovrebbero svolgere attività di addestramento e di assistenza logistica in cooperazione con il Qatar. Secondo il  quotidiano “Daily Sabah”, l’esercito turco fornirà assistenza (security force assistance, SFA) nella fase di transizione che dovrebbe portare, attraverso un processo di disarmo, smobilitazione e reinserimento (disarmament, demobilisation and reintegration, DDR) all’integrazione delle milizie irregolari in un esercito regolare; un ruolo, quello giocato dalla Turchia, che segue il copione  già utilizzato da Ankara nell’addestramento dell’esercito dell’Azerbaijan, dove le forze turche hanno fornito supporto, formazione, assistenza ed equipaggiamenti alle loro controparti azere. Il processo avviato in Libia da Turchia e Qatar, in linea con l’esperienza azera, mira a standardizzare sia l’addestramento che il reclutamento.

Combattenti, istruttori militari ed equipaggiamenti: la competizione tra Ankara, Mosca e il Cairo nel settore Security Force Assistance (SFA)

Come abbiamo visto, dunque, da un lato Ankara sta supportando il GNA con una missione di Security Force Assistance, formalmente attuata mediante accordi bilaterali con Tripoli; una missione supportata dalla fornitura di equipaggiamento militare e dal corredo di armi che Ankara fornisce a Tripoli, con ciò confermando l’inefficacia dell’embargo sulle armi delle Nazioni Unite – autorizzato dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSCR) 1970 (2011), 2292 (2016) e 2473 (2019) – , e attuato in maniera non efficace dalla missione EUNAVFORMED “Irini”, il cui compito è quello di prevenire la fornitura di armi alla Libia. Un dispiegamento di personale militare da parte della Turchia che si accompagna al trasferimento di almeno dieci tipi di equipaggiamento militare tra cui sistemi di guerra elettronica, missili guidati anticarro, droni da combattimento, cannoni semoventi di difesa aerea, artiglieria, sistemi missilistici terra-aria, equipaggiamenti di marina e sistemi leggeri anti-aereo.

D’altro lato la Turchia ha svolto e svolgerebbe un ruolo da cui derivano maggiori criticità. È ormai nota la presenza di mercenari siriani inviati dalla Turchia in Libia per combattere a supporto del GNA: almeno 5.000 combattenti siriani, in parte provenienti dalla cosiddetta “Divisione Hamza” e la formazione estremista “Sultan Murad” (tra i gruppi ribelli siriani, sostenuti dalla Turchia, che hanno inviato combattenti in Libia), sono stati inviati in aiuto delle milizie alleate di Tripoli impegnate a contrastare le forze dell’LNA guidato dal generale Khalifa Haftar. Elementi reclutati, addestrate ed equipaggiati dalla Turchia e armati di mezzi corazzati Fnss Acv-15, lancia granate Milkor Mgl e missili anticarro statunitensi Bgm-71 Tow. È probabile che la presenza di jihadisti siriani finanziati dalla Turchia possa peggiorare le condizioni di sicurezza del paese portando a una reazione ostile da parte dell’opinione pubblica libica. Un pericolo di cui lo stesso GNA sarebbe consapevole, tanto da aver favorito il trasferimento da parte della Turchia di alcuni di questi jihadisti-mercenari in Azerbaigian, dove le ostilità contro l’Armenia aumentano al pari delle ambizioni turche nella regione.

Guardando all’altro fronte, quello tenuto dall’LNA e sostenuto da Emirati Arabi Uniti (EAU), Egitto e Russia, è possibile constatare un impegno in termini militari tutt’altro che marginale.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno dispiegato personale militare e trasferito in Libia almeno cinque tipi di equipaggiamento, inclusi veicoli corazzati, veicoli da ricognizione aerea e un caccia francese Dassault Mirage 2000-9.

La Russia ha trasferito almeno due tipi di equipaggiamento, tra cui jet da combattimento Mig-29A operativo presso la base aerea di Al Jufra e un aereo d’attacco supersonico Sukhoi SU-24, operativo dalle basi aeree di Al Jufra e Al Khadim. A questi equipaggiamenti si uniscono componenti corazzate a favore della compagnia di sicurezza privata russa “Wagner”, che consente alla Russia di poter operare militarmente nell’area senza essere coinvolta sul piano formale, con ciò potendo negare o minimizzare qualunque coinvolgimento diretto o eventuali perdite russe in Libia. Il gruppo “Wagner” avrebbe trasferito operatori militari privati ​​armati e attrezzature militari in Libia per sostenere le operazioni militari di Haftar, inclusi due mezzi corazzati da trasporto truppe. Gli operatori della “Wagner” risulta abbiano preso parte al ritiro delle forze di Haftar da Bani Walid tra il 27 maggio e il 1 luglio scorsi. Risulta che tali operatori fossero, e in parte ancora siano, dislocati nelle cinque basi aeree di Al Jufra, Brak, Ghardabiya, Sabha e Wadden, e presso l’impianto petrolifero di Sharara, il più grande del paese. Il coinvolgimento della “Wagner” in Libia, con un numero complessivo di circa mille operatori, consiste di fatto nel supporto tecnico per la riparazione di veicoli militari e nella partecipazione diretta a operazioni di combattimento in qualità di tecnici di artiglieria, osservazione aerea, oltre a fornire supporto nelle contromisure elettroniche e a schiera squadre di tiratori scelti. Il personale è principalmente russo, ma tra le fila del gruppo sono presenti anche cittadini di Bielorussia, Moldavia, Serbia e Ucraina.

Il rifornimento aereo di entrambe le parti è un fatto accertato, come dimostra l’intenso traffico aereo dagli Emirati Arabi Uniti all’Egitto occidentale e alla Libia orientale, così come dalla Russia, attraverso la Siria, alla Libia orientale e dalla Turchia alla Libia occidentale. Numerose, in particolare, le compagnie commerciali che, per conto degli attori statali impegnati nel conflitto libico, sono accusate di violare l’embargo sulle armi fornendo supporto logistico alle forze di Haftar; tra queste le compagnie aeree di Kazakistan, Siria, Ucraina e Tagikistan e due compagnie aeree degli Emirati Arabi Uniti. Per quanto riguarda i rifornimenti via mare, cinque navi battenti bandiera di Albania, Libano, Tanzania e Panama e dirette verso i porti libici controllati dal GNA sono state accusate di violazione dell’’embargo sulle armi insieme a due destinate ai porti orientali in mano all’LNA: un bastimento battente bandiera liberiana, ma di proprietà di una compagna emiratina, l’altro battente bandiera delle Bahamas, ma di proprietà giapponese.

BBC (2020), Wagner, shadowy Russian military group fighting in Libya‘, 7 maggio.
Bertolotti, C. (2020, [1]), EUNAVFORMED “Irini” operation: constraints and two critical issues, START InSight
Bertolotti, C. (2020, [2]), La Libia è instabile: nessuna soluzione politica senza impegno militare. La strategia turca indebolisce l’Italia, Osservatorio Strategico Ce.Mi.S.S. N. 1/2020.
Bertolotti, C. (2020, [3]), L’espansione di Mosca in Libia: il ruolo dei contractor russi della Wagner, START InSight e Osservatorio Strategico Ce.Mi.S.S.
Butler, D., Gumrukcu, T. (2020), Turkey signs maritime boundaries deal with Libya amid exploration row, 28 novembre.
Daily Sabah (2020), Libya starts implementing joint military programs with Turkey, defense minister says.
Lederer, E.M. (2020), Experts: Libya rivals UAE, Russia, Turkey violate UN embargo, Associated Press, 9 settembre, 2020.
Magdy, S. (2020), US: Turkey-sent Syrian fighters generate backlash in Libya, The Washington Post, 2 settembre.


Principali eventi nell’area del Maghreb e del Mashreq – Settembre

Algeria: la crescente importanza delle relazioni Algeria-Turchia
Algeria e Turchia mirano entrambe a costruire una relazione reciprocamente vantaggiosa, pur a fronte delle sfide legate all’instabilità regionale e alla crisi economica. L’instabilità dell’area mediorientale e nord-africana, in particolare in Libia, e il desiderio di ampliare i legami politici ed economici, hanno avvicinato l’Algeria e la Turchia. L'”Accordo di amicizia e cooperazione” firmato nel 2006 in Algeria dal governo allora in carica (Partito AK di Erdogan), di cui l’attuale esecutivo rappresenta la prosecuzione, segna uno dei primi tentativi di Ankara di ricalibrare le sue relazioni con l’Occidente e il sud del mondo. Da allora, ci sono state altre tre visite di stato di Erdogan, l’ultima nel gennaio 2020, a seguito della partenza del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika che è stato deposto dal potere e costretto alle dimissioni nell’aprile 2019 (Gjevori, 2020).
Egitto: taglio dei tassi di interesse a causa della bassa inflazione
Il 24 settembre la banca centrale egiziana ha inaspettatamente tagliato di 50 punti i suoi principali tassi di interesse, giustificando la scelta sulla base di un’inflazione eccezionalmente bassa che ha consentito il rilancio dell’economia. Il Comitato per la politica monetaria (MPC) della banca nazionale ha ridotto il tasso sui prestiti al 9,75% e il tasso sui depositi all’8,75%. L’inflazione è rimasta ben al di sotto dell’obiettivo indicato dalla banca centrale, dal 6% al 12% (MPC, 2020).
Israele: un nuovo accordo di pace con gli Emirati Arabi Uniti
Il 15 settembre il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si sono uniti ai ministri degli esteri degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrain alla Casa Bianca per firmare gli storici accordi di normalizzazione tra Israele e i due paesi arabi. Israele ha ufficialmente stabilito pieni legami diplomatici con il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti. Da un lato l’accordo è presentato come un passo verso la pace in Medio Oriente, dall’altro potrebbe essere letto come istituzione di un nuovo fronte contro Iran e Turchia.
Libano: Macron accusa Hezbollah per il tracollo politico del Libano
In meno di un anno, il Libano è stato colpito da un tracollo economico e finanziario, crescenti proteste di massa, una pandemia incontenibile a cui si sommano le conseguenze dell’enorme esplosione del 14 agosto che ha di fatto distrutto il principale porto del paese, uccidendo più di 190 persone e provocando fino a 4,6 miliardi di dollari di danni nella capitale Beirut.
Il 26 settembre, dopo più di un mese dall’esplosione e in piena empasse politica, il primo ministro designato Mustapha Adib si è dimesso, non essendo riuscito a formare un governo di emergenza per affrontare le più gravi crisi che il Libano si sta trovando ad affrontare dalla fine della guerra civile durata 15 anni.
A fronte di tale desolante quadro, il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente evidenziato il rischio di una nuova “guerra civile”’ e invitato i politici libanesi a trovare una soluzione mediata e di compromesso che consenta di formare un governo con cui avviare la ricostruzione del paese: Macron ha incolpato Hezbollah di aver sabotato il processo sponsorizzato dalla Francia per formare un governo. Hezbollah è il partito politico al governo in Libano, sostenuto dall’Iran e legato all’ala militare nota per aver combattuto in Siria al fianco delle unità siriane e iraniane (Cornish, Abboud, 2020).
Marocco: contrazione economica, crisi e disoccupazione
Il capo della sicurezza marocchina Abdelhak Khiame, capo del Central Bureau of Judicial Investigation (BCIJ), ha lanciato l’allarme sul pericolo rappresentato dal gruppo terroristico Stato islamico che si è consolidato “nella regione del Sahel-Sahara, sfruttando l’insicurezza legata al conflitto in Libia e in paesi come il Mali”. Nel Sahel – ha dichiarato Khiame – “si sviluppano cellule terroristiche e terrorismo, ma anche reti di criminalità organizzata, traffico di droga, armi ed esseri umani”.
Sul piano economico, il ministro dell’Economia, delle finanze e della riforma amministrativa Mohamed Benchaâboun ha dichiarato che l’economia nazionale dovrebbe crescere del 4,8% nel 2021. Considerato lo scenario previsto dal Fondo monetario internazionale (FMI) relativo alla ripresa dell’economia mondiale (+5,2 %), in particolare nella zona euro (5,3%), «la crescita economica marocchina dovrebbe attestarsi al 4,8%». Una crescita che però, ha proseguito il ministro, «non ha potuto compensare completamente la contrazione economica del 2020, prevista a -5,8%, a causa della.. [mancata] ripresa di alcuni settori come il turismo e attività connesse, nonché il deterioramento del mercato del lavoro e degli investimenti delle imprese ».
Siria: Carabinieri rimpatriano la “sposa dell’ISIS” italiana Alice Brugnoli
Il 29 settembre, il Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) dei Carabinieri ha dichiarato di aver arrestato in Siria Alice Brignoli, una “sposa dell’Isis” italiana. Brignoli era la moglie di Mohamed Koraichi, un marocchino naturalizzato italiano attraverso il matrimonio e diventato militante dello Stato islamico(IS). La coppia aveva lasciato l’Italia nel 2015 per unirsi al gruppo terrorista in Siria, portando con sé i loro tre figli. Koraichi, che si pensa sia morto, ha preso parte alle operazioni militari dell’IS, mentre Brugnoli ha avuto un “ruolo attivo nell’insegnare ai bambini la causa del jihad”. È accusata di associazione a delinquere per terrorismo. L’unità ROS ha rintracciato Brignoli e i suoi quattro figli – ha dato alla luce il suo quarto figlio in Siria – e li ha riportati in Italia (ANSA).
Attacco hacker al ministero degli esteri britannico: fuga di informazioni sulla Siria.
Hacker sono penetrati nei sistemi informatici del ministero degli Esteri del Regno Unito e hanno preso centinaia di file che descrivono dettagliatamente i controversi programmi di propaganda siriani. In una violazione della sicurezza di proporzioni enormi, gli hacker sembrano aver deliberatamente preso di mira file che definiscono le relazioni finanziarie e operative tra il minister degli Esteri, il Commonwealth and Development Office (FCDO) e una rete di appaltatori del settore privato che hanno gestito e gestiscono in maniera occulta piattaforme multimediali in Siria (Middle East Eye, 2020)
Tunisia: Tunisi si oppone all’ipotesi di una soluzione militare per la Libia
Il 28 settembre il premier tunisino Hichem Mechichi ha confermato il rifiuto della Tunisia all’ipotesi di qualsiasi soluzione militare in Libia e di intervento nei suoi affari interni. Rivolgendosi ai capi delle missioni diplomatiche tunisine, ha ribadito che la soluzione per la Libia si basa sullo sforzo comune per una soluzione politica basata sul dialogo intra-libico sotto la supervisione delle Nazioni Unite.
Inoltre, in relazione agli accordi siglati dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrein e sponsorizzati dagli Stati Uniti per stabilire relazioni diplomatiche con Israele, Mechichi ha ribadito la ferma posizione della Tunisia nel sostenere i diritti legittimi del popolo palestinese sulla base della “Arab Peace initiative” del 2002 (Thabeti, 2020).


Principali eventi nell’area del Maghreb e del Mashreq – Agosto

La Redazione

Algeria: risposta alla crisi. L’Algeria apre al settore privato: banche, compagnie aeree, società di trasporto marittimo

L’Algeria apre al settore privato che potrà dar vita a banche e società di trasporto aereo e marittimo di merci e passeggeri: una scelta volta a ridurre la spesa, ormai non più sostenibile, di uno stato storicamente onnipresente nell’economia del paese. Una scelta che dovrebbe portare da una fallimentare e non sostenibile economia monopolistica di stato a un’econimia aperta al mercato: queste le intenzioni annunciate il 18 agosto dal presidente Abdelmadjid Tebboune. La decisione è parte di riforme più ampie per far fronte ai problemi finanziari causati dal forte calo dei proventi delle esportazioni di energia, la principale fonte di finanziamento statale. Eletto a dicembre 2019, Tebboune vuole incoraggiare gli investitori privati ​ nel tentativo di sviluppare il settore non energetico e ridurre la dipendenza da petrolio e gas. Le riserve di valuta estera dell’Algeria sono scese a 57 miliardi di dollari da 62 miliardi di gennaio, mentre i ricavi delle esportazioni di energia dovrebbero raggiungere 24 miliardi di dollari alla fine del 2020 rispetto ai 33 miliardi nel 2019. I guadagni energetici rappresentano attualmente il 94% delle esportazioni totali e il governo mira a portare tale cifra all’80% dal prossimo anno, aumentando il valore delle esportazioni di prodotti non energetici a 5 miliardi dagli attuali 2 miliardi. Per raggiungere questo obiettivo, il governo stanzierà circa 15 miliardi di dollari per aiutare a finanziare progetti di investimento (MEMO – Middle East Monitor, 2020).

Egitto: accordo con la Grecia per la designazione di una nuova zona economica esclusiva (EEZ)

Il 6 agosto al Cairo, Grecia ed Egitto hanno firmato l’accordo per la designazione parziale di una zona economica esclusiva (EEZ) nel Mediterraneo orientale. Per Atene, l’accordo ha effettivamente annullato un accordo marittimo tra la Turchia e il GNA dello scorso anno. Questo accordo fa parte di una più ampia strategia di risoluzione di questioni bilaterali, volta a costruire alleanze con terze parti in modo da promuovere gli interessi nazionali dei due paesi, nel rispetto del diritto internazionale. È al tempo stesso un accordo che vuole porsi in linea con il diritto del mare delle Nazioni Unite, un atto di diritto internazionale in cui la Turchia è uno dei 15 paesi al mondo a non avere firmato o ratificato. L’accordo con l’Egitto è arrivato dopo che la Grecia ha firmato un precedente accordo con l’Italia, il 9 giugno, che ha di fatto esteso un accordo del 1977 tra i due stati in merito alle piattaforme continentali nel Mar Ionio.

Israele: un accordo di pace con gli Emirati Arabi Uniti

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti (UAE) Mohammed bin Zayed hanno siglato un accordo di pace: Israele “sospenderà” temporaneamente l’estensione della sovranità israeliana sulla Cisgiordania, come parte di un nuovo accordo di pace. L’accordo è stato annunciato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Gli Emirati Arabi Uniti e Israele, in base all’accordo, scambieranno proprie ambasciate e ambasciatori. Gli UAE saranno così il terzo Paese arabo ad avviare relazioni ufficiali con Israele, dopo Egitto e Giordania. Netanyahu ha formalmente ringraziato il presidente egiziano Adel-Fattah el-Sisi e i governi di Oman e Bahrain per il loro sostegno alla normalizzazione delle relazioni tra Abu Dhabi e Gerusalemme.

Ma il presidente dell’Autorità Palestinese (AP) Mahmoud Abbas ha rigettato l’accordo di pace definendolo “un tradimento di Gerusalemme”. In una dichiarazione letta alla televisione palestinese, il portavoce di Abbas, Nabil Abu Rudeineh, ha detto: “La leadership palestinese rifiuta quanto fatto dagli Emirati Arabi Uniti e lo considera un tradimento di Gerusalemme, della moschea di Al-Aqsa e della causa palestinese. Questo accordo è un riconoscimento de facto di Gerusalemme come capitale di Israele”. L’AP ha anche annunciato che avrebbe ritirato immediatamente il proprio ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti (Fonte: agenzia di stampa palestinese Wafa). Funzionari dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) hanno respinto l’accordo, così come il gruppo militante palestinese Hamas.

Libano: l’esplosione di Beirut una svolta per il Libano?

Nel pomeriggio del 4 agosto 2020, due esplosioni sono avvenute nel porto della città di Beirut, capitale del Libano. La seconda esplosione è stata estremamente potente e ha causato almeno 177 morti, 6.000 feriti e 10-15 miliardi di dollari di danni, lasciando circa 300.000 persone senza casa. L’incidente è stata provocato dall’esplosione di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio – un materiale altamente combustibile utilizzato per produrre fertilizzanti e bombe. La spaventosa negligenza che ha lasciato più di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio immagazzinate nel porto in condizioni climatiche inadatte, senza la supervisione di esperti, per più di sei anni è la conferma di un paese afflitto da corruzione endemica e incompetenza, devastato da decenni di conflitti settari, assenza di governance e cinici giochi politici la cui regia è nelle mani degli Stati regionali in collaborazione con gli attori interni. Aggravata dalla pandemia, la corruzione endemica e il malgoverno hanno portato l’economia nazionale alla rovina: l’ormai cronica crisi economica e sociale ha inevitabilmente portato verso il fallimento dello Stato, anche se il Libano è già da anni uno stato fallimentare.

Per mesi i prezzi dei beni sono aumentati vertiginosamente e la classe media è sprofondata nella povertà e nella disperazione. Per settimane, prima dell’esplosione, i residenti della capitale hanno manifestato contro la cattiva gestione e l’incertezza economica. Dal giorno dell’esplosione, i manifestanti hanno poi cercato di superare con la forza i cordoni della polizia e dell’esercito; in tale situazione, il parlamento libanese ha approvato lo stato di emergenza che concede ampi poteri all’esercito: limitazione di libertà di parola, di riunione e di stampa, nonché libertà per le forze armate di entrare nelle abitazioni private e arrestare chiunque sia considerato una minaccia alla sicurezza. Ma ciò non è bastato a contenere le manifestazioni di protesta; manifestazioni che hanno indotto il premier Hassan Diab e il suo gabinetto a dimettersi: ma la crisi è troppo profonda per essere risolta con un cambio di gestione.

L’impatto della crisi è forte, soprattutto nelle aree urbane. Le persone cercano di andarsene o di sopravvivere grazie al sostegno economico di parenti all’estero; altri stanno ricorrendo al sostegno di Hezbollah. Le sanzioni economiche hanno reso l’Iran meno generoso, ma Hezbollah continua a mantenere una capillare rete di clientelismo. La principale conseguenza a breve termine è la frammentazione e la criminalizzazione, alimentata da un tasso di disoccupazione tra i più elevati della regione, anche a causa dell’oltre milione e mezzo di profughi siriani (su una popolazione di 4 milioni di abitanti) che si aggiungono agli arabi palestinesi. A lungo termine, resta da vedere in quale sfera di influenza finirà il Libano:

  • l’Iran sta cercando di sfruttare la situazione di stallo, ma non può alleviare il suo bisogno finanziario;
  • Hezbollah ora guarda sempre più alla Cina, come il governo che sta cercando di attirare investimenti cinesi;
  • la stessa Cina guarda con grande interesse alla possibilità di un ulteriore hub nel Mediterraneo orientale (oltre alle teste di ponte che ha già in Egitto e Grecia), (Holslag, 2020).

Libia: un cessate il fuoco? E la Turchia si prende Misurata

Fajez Al Sarraj ha annunciato il 21 agosto il cessate il fuoco in tutto il Paese e ha chiesto la smilitarizzazione della città di Sirte, controllata dalle forze del generale Haftar. Al Sarraj ha anche ha annunciato elezioni a marzo con “un’adeguata base costituzionale su cui le due parti concordano”. Dopo le dichiarazioni del GNA, anche Aguila Saleh, portavoce della Camera dei rappresentanti di Tobruk, ha annunciato il cessate il fuoco. “Il nuovo stop taglia la strada a ogni ingerenza straniera e si conclude con l’uscita dei mercenari dal Paese e lo smantellamento delle milizie” ha detto Saleh aggiungendo: “Cerchiamo di voltare la pagina del conflitto e aspiriamo ad un futuro di pace e alla costruzione dello Stato attraverso un processo elettorale basato sulla Costituzione“.

Secondo Ahval News, Turchia e Qatar hanno firmato un triplice accordo di cooperazione militare con il governo libico destinato a rafforzare la difesa del governo contro le forze di Khalifa Haftar e, di conseguenza la presenza e il ruolo della Turchia e del Qatar (e dunque dei gruppi islamisti) nella regione. L’accordo, annunciato il 17 agosto dal vice ministro della Difesa libico Salam Al-Namroush, realizzerà strutture militari e avvierà programmi di addestramento all’interno del Paese. Questa cooperazione includerà il finanziamento da parte del Qatar dei centri di addestramento militare e la creazione di un centro di coordinamento trilaterale e di una base navale turca nella città di Misurata. Il supporto e la consulenza saranno anche fornite alle forze governative libiche come parte dell’accordo. L’Italia, da anni presente a Misurata con un proprio ospedale militare, è stata allontanata dall’area, rendendo vani gli sforzi fatti sino a ora. Lo stesso personale italiano sarà dislocato nei pressi della capitale Tripoli.

Siria: In riduzione le truppe statunitensi in Iraq e Siria

Il comandante militare americano in Medio Oriente ha dichiarato che i livelli delle truppe statunitensi in Iraq e Siria si ridurranno molto probabilmente nei prossimi mesi, pur ammettendo di non aver ricevuto l’ordine per avviare il ritiro delle unità. Il generale Kenneth F. McKenzie Jr., capo del comando centrale del Pentagono, ha detto che le 5.200 truppe in Iraq impegnate a combattere ciò che rimane del gruppo Stato islamico e ad addestrare le forze irachene “saranno adeguate” dopo le consultazioni con il governo di Baghdad. Il generale McKenzie ha detto che si aspetta che le forze americane e le altre forze della NATO mantengano “una presenza a lungo termine” in Iraq – sia per aiutare a combattere gli estremisti islamici che per controllare l’influenza iraniana nel paese. Non è stata confermata l’entità delle forze che rimarranno in teatro, ma fonti non ufficiali riportano un totale di forze residue non inferiori a 3.500 unità statunitensi. Nonostante la richiesta del presidente Donald J. Trump, orientate a un ritiro completo di tutte le 1.000 forze americane dalla Siria, il presidente ha confermato la permanenza di circa 500 soldati, per lo più nel nord-est del paese, che assistono gli alleati curdi siriani nella lotta contro i combattenti del gruppo Stato islamico (Schmitt, 2020).

Marocco: Il Marocco e il Portogallo si impegnano a combattere la migrazione irregolare

Il Portogallo e il Marocco si sono impegnati a unire gli sforzi per frenare la migrazione irregolare: Rabat e Lisbona hanno annunciato la decisione a seguito di una videoconferenza tra il ministro degli Interni portoghese, Eduardo Cabrita, e il ministro degli Interni del Marocco, Abdelouafi Laftit. I due ministri hanno discusso di cooperazione tra il Marocco e l’Unione europea sui temi della sicurezza e hanno manifestato la disponibilità dei loro governi a “intensificare” la cooperazione in materia di sicurezza all’interno del più ampio programma UE-Marocco di prevenzione e lotta contro la “migrazione illegale e la tratta di esseri umani”. Il progressivo spostamento del flusso migratorio verso il Portogallo è direttamente collegato all’azione di contrasto attuata dal Marocco nella tratta verso la Spagna, che è stata a lungo la rotta tradizionale delle ondate di migranti irregolari (Tamba, 2020).

Tunisia: Stop alle partenze dei migranti verso l’Italia. Intanto la crisi economica peggiora

Migliaia di migranti sono sbarcati a Lampedusa e in Sicilia nei mesi di luglio e agosto. Il governatore della regione siciliana ha chiesto di proclamare lo stato di emergenza a causa degli hotspot per l’accoglienza ai migranti irregolari che hanno superato la capacità di contenimento e dal numero di migranti risultati positivi al COVID19. La maggior parte dei migranti sbarcati a Lampedusa e in Sicilia proveniva dalla Tunisia: nel 2020 quasi la metà delle oltre 16.000 persone sbarcate sulle coste italiane è partita dalla Tunisia.

A seguito delle pressioni del ministero degli Esteri italiano, il 6 agosto la Tunisia ha annunciato di aver messo a disposizione più mezzi per contrastare le partenze irregolari di migranti, in particolare: unità navali, dispositivi di sorveglianza e squadre di ricerca in prossimità dei punti di imbarco (ANSA).

Il 18 agosto, il ministro dell’Interno italiano Luciana Lamorgese e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio hanno visitato Tunisi, accompagnati dal Commissario europeo per gli Affari interni Ylva Johansson e dal Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato Oliver Varhelji; al termine del’incontro il ministero dell’Interno italiano ha donato 11 milioni di euro (13 milioni di dollari) al governo tunisino da utilizzare negli sforzi per arginare il flusso di migranti.

La decisione è arrivata in un momento critico per il Paese sia a livello economico che politico. Numerose proteste sono scoppiate nel paese quest’anno a causa della diffusa e crescente disoccupazione, la mancanza di sviluppo e la carenza di servizi pubblici nel settore sanitario, elettrico e idrico. La situazione economica sta peggiorando anche in uno dei principali settori trainanti dell’economia tunisina, quello turistico dove i ricavi sono scesi del 56% a fine luglio a 1,2 miliardi di dinari contro i 2,6 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno (ANSA). La crisi economica è un fattore di spinta per i migranti tunisini.

A livello politico, il primo ministro designato della Tunisia Hichem Mechichi ha detto che formerà un governo puramente tecnico a seguito delle dispute tra i partiti politici sulla formazione della prossima amministrazione del paese. La decisione porterà probabilmente il primo ministro designato a confrontarsi con il partito islamista Ennahdha, il più grande gruppo politico in parlamento, che ha annunciato che si sarebbe opposto alla formazione di un governo non politico. Tuttavia, la proposta di un governo di tecnici indipendenti da partiti politici otterrà il sostegno del potente sindacato UGTT e di alcuni altri partiti, tra cui Tahya Tounes e Dustoury el Hor.


La Libia è instabile: nessuna soluzione politica senza impegno militare? La strategia turca indebolisce l’Italia

di Claudio Bertolotti

La guerra in Libia è entrata in una nuova fase, ma il Paese appare sull’orlo del collasso come mai prima d’ora. Il governo di accordo nazionale di Tripoli è riuscito a rompere un assedio durato 14 mesi da parte dell’esercito nazionale libico guidato dal generale Khalifa Haftar, e a invertire gli equilibri del conflitto lanciando una controffensiva. Il sostegno della Turchia si è rivelato essenziale. In tale quadro, la competizione tra Italia e Turchia in Libia potrebbe finire come per la Russia e l’Iran in Siria dove, pur sostenendo la stessa fazione, i due attori cercano di escludersi a vicenda. Tutti questi elementi aprono alla possibilità di uno scenario di rivalità aperta, pur non escludendo una possibile cooperazione basata sul comune interesse.

La situazione libica e i rischi per la sicurezza regionale

La guerra in Libia è entrata in una nuova fase, ma il Paese appare sull’orlo del collasso come mai prima d’ora. Il governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli, riconosciuto a livello internazionale, è riuscito a rompere un assedio durato 14 mesi da parte dell’esercito nazionale libico (LNA), guidato dal generale Khalifa Haftar, e a invertire gli equilibri del conflitto lanciando una controffensiva. Il sostegno della Turchia si è rivelato essenziale per il GNA, così come per Haftar lo è stato il supporto degli Emirati Arabi Uniti, della Russia e dell’Egitto: un’interferenza che ha confermato, ancora una volta, il ruolo chiave giocato dal sostegno esterno alle parti in guerra. Il recente rifiuto del GNA di accettare il cessate il fuoco proposto da Haftar e dal presidente egiziano Abdel-Fattah al Sisi, suggerisce che la guerra potrebbe presto essere caratterizzata da una nuova escalation, in cui il GNA proverebbe a sfruttare il vantaggio militare ottenuto. Da un lato, la ritirata di Haftar dal fronte di Tripoli rappresenta un bivio che potrebbe portare l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e la Russia a ripensare il sostegno all’LNA e ad aprire a un possibile accordo di compromesso sulla Libia che avrebbe ripercussioni dirette sulle priorità strategiche del Cairo, anche in rapporto alle relazioni con le potenze del Golfo e le ambizioni espansionistiche della Turchia nel Mediterraneo. Dall’altro lato, l’instabilità in Libia potrebbe così influire sulla sicurezza del Nord Africa e il sud dell’Europa, inteso anche come fianco sud della NATO. Mentre gli attori regionali e internazionali si contendono l’influenza sul Paese, gli stati europei sembrano incapaci di rilanciare il percorso diplomatico avviato a gennaio con la Conferenza di Berlino e a prevenire un incombente disastro umanitario ai confini meridionali dell’Unione Europea. Inoltre, uno dei punti più importanti dell’immigrazione clandestina è la Libia, perché è molto vicina all’Europa: c’è Malta proprio di fronte; è prossima a Italia e Spagna. A fronte di una persistente instabilità in Libia, la migrazione irregolare è valutato che aumenterà, così come il traffico di droga e di esseri umani. Appare così evidente come, nel contesto del conflitto armato libico, ogni proposta di soluzione politica esterna che abbia escluso l’impiego dello strumento militare si sia rivelata improduttiva; al contrario, l’audace interventismo militare – inteso come intervento diretto o uso potenziale dello strumento militare – concretizzato da alcuni attori, ha ottenuto risultati tangibili che verranno utilizzati sul piano negoziale a favore di obiettivi e ambizioni nazionali. La Turchia (e sull’altro fronte la Russia, ma con diversi risultati) lo ha dimostrato con i fatti, schierando a Tripoli le proprie unità militari guidate dal generale turco Irfan Ozsert, da cui dipendono anche le migliaia di miliziani islamisti siriani inviati da Ankara; grazie a questa scelta di forza la Turchia ha azzerato la campagna del generale Haftar per conquistare Tripoli, ipotecando così il ruolo di main player in Libia.

Consolidamento turco in Libia e attivismo militare nel Mediterraneo

Il potere marittimo è il principale strumento strategico per gli stati che abbiano un’ambizione di proiezione a tutela dei propri interessi strategici nazionali. Il Mediterraneo è diventato il centro dell’instabilità dovuta alle politiche espansionistiche di Ankara e di Mosca, perseguite anche attraverso il supporto delle parti contrapposte nei teatri di conflitto. In particolare, le interferenze turche e russe in Libia, Siria, e il ruolo di Ankara in Iraq, Cipro e nel Mar Egeo, sono una concausa primaria dell’instabilità regionale e potrebbero costituire una minaccia alla sicurezza collettiva nel medio periodo, portando così al consolidamento di equilibri geopolitici del tutto svantaggiosi per l’Italia. Uno dei primi passi formali sul piano internazionale per l’avvio dell’espansione turca in Libia è stata la firma del controverso accordo di demarcazione delle frontiere marittime, firmato da Ankara con il governo di accordo nazionale (GNA), che ha portato all’ampliamento della zona economica esclusiva turca (ZEE) nel Mediterraneo orientale. Ankara fornisce supporto militare e diplomatico al GNA di Tripoli, guidato da Fayez al-Sarraj, mentre la Russia (insieme a Emirati Arabi Uniti ed Egitto) sostiene il comandante rivale dell’esercito nazionale libico (LNA) di Tobruk, il generale Khalifa Haftar. Il sostegno turco ha permesso alla coalizione a supporto di al-Sarraj di invertire le sorti di una guerra prima sfavorevole e di respingere un’offensiva durata oltre un anno e trasformatasi in un logorante assedio che ha sempre più indebolito, militarmente e politicamente, il fronte del generale Khalifa Haftar. Nel confronto tra Russia e Turchia, la questione libica si intreccia con quella siriana. In Siria, il governo di Bashar al-Assad appoggiato dalla Russia mira a riprendere la provincia settentrionale di Idlib, togliendola dal controllo dei militanti islamisti sostenuti da Ankara, mentre la Turchia ha promesso di non lasciare mai che ciò accada, inviando migliaia di truppe turche e milizie arabe per proteggere i propri interessi nazionali e impedire un nuovo afflusso di rifugiati sul suo territorio. Benchè di difficile realizzazione, Mosca starebbe dunque spingendo Ankara verso un compromesso in Libia usando la carta Idlib, e minacciando raid aerei contro le posizioni delle forze sostenute dalla Turchia nel nord della Siria.Il GNA, con il sostegno militare e il decisivo impiego dei droni da parte della Turchia, sta perseguendo l’obiettivo di porre sotto controllo le basi aeree di Sirte e al-Jufra. Tripoli vuole espandere il proprio controllo alla fascia costiera e alla Mezzaluna petrolifera, così da consolidare ulteriormente i vantaggi militari. Con buona probabilità non si fermerà fino a quando questi obiettivi non saranno raggiunti. Il conflitto è ora focalizzato su Sirte e sulla mezzaluna petrolifera, in cui vi sono il 70-80% dei giacimenti di petrolio. All’inizio di giugno, la Turchia ha dichiarato di poter espandere la sua cooperazione in Libia con nuovi accordi in materia di energia e costruzioni una volta terminato il conflitto.Secondo lo Yeni Şafak, giornale di informazione pro-AKP (Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, in turco Adalet ve Kalkınma Partisi, partito politico conservatore turco di maggioranza), benché non siano state prese decisioni definitive sul possibile uso militare, la Turchia consoliderà la propria presenza in Libia e nel Mediterraneo occidentale attraverso la costruzione di due basi militari: una base navale a Misurata, che potrebbe ospitare navi d’assalto, da ricognizione e navi ausiliarie, e una base aerea ad Al-Watiya, recentemente riconquistata dal GNA e all’interno della quale verranno schierate unità di droni aerei (UAV). Ma la Turchia avrebbe messo gli occhi anche su al-Qardabiya, vicino a Sirte, obiettivo importante in quanto permetterebbe di controllare l’importante mezzaluna petrolifera. Parimenti, anche la Russia ambisce ad avere avamposti fissi a Sirte e al-Jafra, dove già sono stati schierati dei caccia: una presenza legata alla volontà di influenza nel Mediterraneo. Nel frattempo hanno avuto luogo importanti manovre ed esercitazioni navali e aeree di Ankara nel Mediterraneo (Adnkronos e Agenzia Nova, 15 giugno). Otto navi da guerra tra fregate e corvette e 17 aerei (prevalentemente F16) hanno partecipato all’esercitazione organizzata dalle Forze armate turche denominata “Alto Mare”. Chiuso lo spazio aereo e marittimo: lo ha annunciato il ministero della Difesa turco in una nota. Le manovre sono durate otto ore per un totale di 2 mila chilometri percorsi nel Mediterraneo. I media statali turchi hanno definito le manovre una “dimostrazione di forza”; esercitazioni che giungono nel pieno delle tensioni nel Mediterraneo orientale dove incombe, oltre alla guerra in Libia, anche la crisi tra Grecia e Turchia a causa delle esplorazioni turche nell’area di Cipro dove sono presenti i giacimenti di gas recentemente scoperti. Per diversi mesi, la Turchia ha aumentato le attività esplorative al largo dell’isola, ignorando gli avvertimenti dell’Unione europea che ritiene le azioni illegali. Severa la presa di posizione della “Lega araba”: ”L’interferenza turca in Libia, Siria e Iraq è inaccettabile e va condannata. Ankara si nasconde dietro l’accordo con il governo di Tripoli per conseguire interessi economici, politici e militari”. Nel frattempo Mevlut Cavusoglu, ministro degli esteri turco, lo scorso 18 giugno ha guidato un importante missione in Libia con una delegazione di 25 esponenti del governo di Ankara, tra cui il responsabile dell’intelligence Hakan Fidan e il ministro delle Finanze, Beyrat Albayrak, genero del presidente Recep Tayyip Erdogan. Un evento di rilevo, certamente sul piano diplomatico ma ancora di più su quello economico-commerciale che vedrà la Turchia espandere sempre più il proprio ruolo in Libia. Al contrario, dopo aver incontrato in due momenti separati il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, e l’omologo turco Cavusoglu con i quali è stato affrontato il dossier libico, l’incontro successivo tra il premier Fayez al-Sarraj e il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio del 24 giugno, non ha portato a risultati di rilievo. Due le questioni discusse. La prima è la richiesta libica di estendere anche alle vie terrestri l’applicazione dell’embargo di armi da parte della missione EUNAVFORMED “Irini”; una richiesta che mira a indebolire le forze di Haftar, equipaggiate e armate dall’Egitto attraverso la frontiera tra i due paesi. La seconda questione è la disponibilità libica al rispetto dei diritti umani dei migranti, così come chiesto dall’Italia; un tema certamente “sensibile” ma non rilevante ai fini della stabilità libica e della tutela degli interessi nazionali italiani nel Mediterraneo. Per contro, al-Sarraj ha formalmente chiesto all’Italia di ricostruire l’aeroporto di Tripoli e procedere allo sminamento di un’ampia area della capitale libica, senza però offrire nulla in cambio.

La guerra vince sull’opzione politica e impone un riposizionamento diplomatico

La Turchia, grazie all’intervento armato in Libia, che ha di fatto capovolto le sorti del conflitto, ha ipotecato il proprio ruolo di interlocutore primario e imposto all’Egitto (e ai partner del Golfo) un arresto sul piano militare.Da una parte il presidente francese Emmanuel Macron ha biasimato Erdogan e i suoi “giochi pericolosi” in Libia che “confermano la morte celebrale della Nato”; a fronte di tali insinuazioni, la Turchia ha risposto accusando a sua volta la Francia di “perdita di lucidità” e di responsabilità della destabilizzazione libica.Dall’altra parte, i paesi arabi del Golfo, con in testa Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (sostenitori del generale Haftar), si sono pubblicamente schierati a favore dell’Egitto, che ha minacciato il ricorso alle armi e un intervento diretto in Libia per tutelare la fazione di Tobruk (di cui Haftar è la guida politico-militare) in risposta all’appello di Aguila Saleh, capo del parlamento libico di Tobruk, che ha chiesto al Cairo di rispondere militarmente nel caso in cui le forze del GNA attaccassero Sirte.Ma anche Washington, a fronte del cambio di situazione, ha ripreso in mano il dossier libico con maggiore interesse: il 22 giugno una delegazione guidata dall’ambasciatore statunitense in Libia, Richard Norland, e dal comandante generale di AFRICOM, Stephen Townsend, ha incontrato i rappresentanti di Tripoli al fine di “promuovere un cessate il fuoco e un dialogo politico” ottenendo, al contempo, la richiesta da parte libica alla Turchia di ritirare le milizie islamiste “illegali” sostenute da Ankara, a cominciare dalla formazione estremista “Sultan Murad”, già attiva nella guerra siriana[1]. Un chiaro indicatore della mutevolezza di un quadro geopolitico di cui gli Stati Uniti paiono ora preoccuparsi, in virtù del crescente attivismo militare e della sempre più dinamica presenza del competitor russo nel Mediterraneo.

Analisi, valutazione, previsione. Italia e Turchia: alleati o rivali in Libia?

Il 14 maggio 2020 il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha avuto un colloquio telefonico con il presidente della Turchia Erdogan. In tale occasione, il segretario dell’Alleanza Atlantica ed Erdogan hanno discusso anche della situazione in Libia. Stoltenberg ha sottolineato che la posizione della NATO rimane coerente: come affermato dai capi di Stato e di governo della NATO al vertice di Bruxelles del 2018, “la NATO è pronta ad aiutare la Libia nell’ambito della costruzione di istituzioni di difesa e sicurezza, in risposta alla richiesta del Primo Ministro del governo di accordo nazionale (GNA) di rafforzare le istituzioni di sicurezza libiche. Qualsiasi assistenza della NATO in Libia terrà conto delle condizioni politiche e di sicurezza e verrà fornita in piena complementarità e in stretto coordinamento con altri attori internazionali, compresi le Nazioni Unite e l’Unione Europea”[2].In merito alla competizione per un ruolo di primo piano in Libia, Ankara ha una relazione complicata con l’Italia. I due paesi hanno, da un lato, legami storici e interessi non compatibili in Libia ma, dall’altro lato, stanno attualmente sostenendo la stessa fazione (GNA) tra le due in campo: la Turchia in maniera esclusiva; Roma non escludendo il dialogo aperto anche con la controparte (LNA). Tuttavia, in seguito alla dichiarazione del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, i due paesi stanno cercando ambedue di assumere il ruolo dominante nella definizione della strategia dell’Alleanza transatlantica per la Libia, ambendo entrambi a guidare un possibile intervento della NATO. La competizione tra Italia e Turchia in Libia potrebbe finire come per la Russia e l’Iran in Siria dove, pur sostenendo la stessa fazione, i due attori cercano di escludersi a vicenda. Tutti questi elementi aprono alla possibilità di uno scenario di rivalità aperta, pur non escludendo una possibile cooperazione basata sul comune interesse di contrastare Haftar per diversi motivi: da un lato Ankara mira a contrastare l’espansione russa, egiziana ed emiratina; dall’altro l’Italia intende contenere l’influenza francese sul paese.Di fatto, tra i due contendenti, la Turchia è quello che potrebbe trarre i maggiori vantaggi dall’attuale situazione. Ankara sembra aver raggiunto la maggior parte degli obiettivi: con le forze di Haftar in ritirata, è in una posizione favorevole per imporre un ruolo di primo piano a livello regionale. D’altra parte, dobbiamo considerare gli altri attori principali (Russia ed Egitto), il loro ruolo, le effettive capacità e la volontà di intervento diretto. Le guerre convenzionali richiedono forti flussi di cassa: la Russia, l’Egitto, la Turchia, e anche l’Italia, sono economicamente vulnerabili e questo è un fattore che può limitare la loro capacità di influire a fondo sulle dinamiche politiche e militari della Libia.Come evidenzia Karim Mezran, tra i più influenti esperti di Libia, il GNA non è forte abbastanza per controllare e gestire il paese; il popolo libico è consapevole dell’inconsistenza del GNA, che è inefficace e disfunzionale. L’obiettivo di GNA è creare la struttura istituzionale del Paese, non gestirlo, ed è evidente come sia improbabile che questo riesca a conquistare militarmente l’est del paese, così come è improbabile che l’LNA possa porre sotto controllo la Tripolitania. In tale quadro l’Italia ha come unica carta da giocare quella dell’attivismo politico-diplomatico finalizzato ad esercitare il ruolo di mediatore al fine di una tregua tra le parti. È molto difficile ma non è impossibile, poiché l’assenza di proprie truppe combattenti potrebbe essere utilizzato come argomento per convincere le cancellerie europee (Francia in testa), gli attori impegnati in Libia (in primis Egitto, Russia e Turchia) e gli Stati Uniti, a riconoscere a Roma questo delicato e ambizioso incarico. Così da trasformare gli svantaggi, derivanti da un’assenza sul campo di battaglia libico, in opportunità.

 


Libia: nulla di fatto a Berlino

di Claudio Bertolotti

Il vertice europeo di Berlino del 19 gennaio 2020 avrebbe dovuto segnare un primo passo per la risoluzione del conflitto militare e politico in Libia, caratterizzato da numerosi ostacoli e molteplici attori coinvolti. Il 27 gennaio l’incontro di Berlino è stato archiviato: il Consiglio presidenziale del Governo di Accordo Nazionale libico (GNA), riconosciuto dalle Nazioni Unite e guidato da Fayez al Serraj, ha detto ufficialmente che dovrà “riconsiderare la sua partecipazione a qualsiasi dialogo a causa delle violazioni del cessate il fuoco” da parte dell’LNA – Libyan National Army, guidato dal generale Khalifa Haftar che, dal 4 aprile dello scorso anno, assedia Tripoli nel tentativo di prendere il potere con la forza.

Russia (con Egitto e UAE) e Turchia, pur a fronte di generici impegni orientati a una non ingerenza negli affari libici, non hanno di fatto ridefinito le proprie ambizioni e attività a sostegno delle due parti libiche. Tra i sostenitori di Haftar, gli Emirati Arabi Uniti, sono l’attore più attivo sebbene meno sotto i riflettori internazionali: sponsor principale di Haftar, gli UAE sono impegnati nella condotta di attacchi aerei mediante l’utilizzo di droni: si citano, tra le principali azioni, i bombardamenti dell’aeroporto di Misurata, all’interno del quale è presente il contingente militare italiano.

Gli USA paiono non essere intenzionati a lasciare un vuoto, così come (temporaneamente) fatto in Siria, a fronte del timore di un ruolo crescente della Russia nel Mediterraneo e, sebbene in maniera non evidente, di una Cina sempre più presente nel continente africano e nell’area mediterranea. L’Italia, debole sul piano delle relazioni internazionali, è a rischio marginalizzazione nel processo di stabilizzazione della Libia.

Di fatto a Berlino fin da subito sono mancati gli elementi fondamentali per poter avviare un dialogo negoziale funzionale alla cessazione delle ostilità: non c’è stato accordo di pace tra i due contendenti libici (che non si sono incontrati e non hanno siglato la dichiarazione congiunta), non c’è stata la deposizione delle armi (nessuna tregua o cessate il fuoco), né è stato avviato un processo politico per l’unificazione dei due parlamenti.

Tenendo in considerazione le ambizioni strategiche dei sostenitori esterni del premier al-Sarraj e del Generale Haftar, i quali, da soli, non sono in grado di condurre operazioni militari risolutive, appare evidente come lo stato di conflittualità cronica trovi ragione d’essere nelle ambizioni e negli interessi nazionali di supporter esterni sempre più impegnati in quella che è una war by proxy sempre più simile al conflitto siriano, a causa della crescente presenza di gruppi combattenti stranieri. Preoccupa la presenza di mercenari sudanesi (valutati in circa 2.000 unità) a supporto delle forze di Haftar, alle quali si contrappongono i circa 3.000 islamisti reduci dalla guerra in Siria che sarebbero stati trasferiti in Tripolitania, a sostegno del GNA, dalla Turchia. Presenti anche circa 1.000 contractor della compagna russa Wagner e alcune decine di ufficiali tirchi con funzione di “consulenza” e “supporto” (Fonte START InSight).

Il blocco del petrolio e la pressione di Haftar

La compagnia petrolifera statale libica afferma che la produzione è diminuita del 75% a causa del blocco delle esportazioni, che ha portato alla chiusura dei principali campi petroliferi e porti nell’est e nel sud del paese, imposto dal cosiddetto “Esercito nazionale Libico” (LNA) guidato dal generale Kalifa Haftar. Le esportazioni sono state sospese nei porti di Brega, Ras Lanouf, Al-Sidra, Al-Hariga e Zweitina nella “mezzaluna petrolifera” del paese, corridoio in cui transita la maggior parte delle esportazioni di greggio libico. La NOC (National Oil Company) ha anche denunciato la chiusura di valvole in una stazione di pompaggio nel sud-ovest, che portato all’interruzione della produzione nei principali campi di Al-Sharara e Al-Fil.

Un’azione che, nel complesso, avrebbe causato perdite stimate per 256 milioni di dollari con una produzione passata da 1,2 milioni di barili al giorno a poco più di 320.000 (Fonte NOC,). Nel complesso, la produzione di petrolio della Libia è precipitata di circa tre quarti dal 19 gennaio, in concomitanza con l’infruttuoso dialogo sulla Libia di Berlino.

Una scelta strategica, quella di Haftar, volta a ridurre la principale fonte di reddito del paese in risposta alla decisione della Turchia di inviare consiglieri e addestratori militari a sostegno del Governo di Unità Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj. Una mossa che, a dispetto delle dichiarazioni congiunte in occasione del dialogo di Berlino, non ha trovato l’opposizione di Russia, Emirati Arabi Uniti (EAU) ed Egitto, sostenitori di Haftar.

Il Commento per RaiNews24 di Claudio Bertolotti, Direttore START InSight


RaiNews 24. Conferenza di Berlino sulla Libia. Il commento di Claudio Bertolotti

Il vertice europeo di Berlino del 19 gennaio 2020 dovrebbe segnare un primo passo per la risoluzione del conflitto militare e politico in Libia. Gli ostacoli sono numerosi, così come gli attori coinvolti. Russia (con Egitto e UAE) e Turchia dovranno ridefinire le proprie ambizioni. Gli USA non lasceranno un vuoto (che verrebbe riempito dalla Russia) mentre l’Italia è a rischio marginalizzazione. Il commento completo del Direttore Claudio Bertolotti nell’approfondimento “Focus24”. Intervista di Sabrina Bellomo.

Libia. Conferenza di Berlino: nulla di fatto

Il vertice europeo di Berlino del 19 gennaio 2020 avrebbe dovuto segnare un primo passo per la risoluzione del conflitto militare e politico in Libia, caratterizzato da numerosi ostacoli e molteplici attori coinvolti. Il 27 gennaio l’incontro di Berlino è stato archiviato: il Consiglio presidenziale del Governo di Accordo Nazionale libico (GNA), riconosciuto dalle Nazioni Unite e guidato da Fayez al Serraj, ha detto ufficialmente che dovrà “riconsiderare la sua partecipazione a qualsiasi dialogo a causa delle violazioni del cessate il fuoco” da parte dell’LNA – Libyan National Army, guidato dal generale Khalifa Haftar che, dal 4 aprile dello scorso anno, assedia Tripoli nel tentativo di prendere il potere con la forza.

Russia (con Egitto e UAE) e Turchia, pur a fronte di generici impegni orientati a una non ingerenza negli affari libici, non hanno di fatto ridefinito le proprie ambizioni e attività a sostegno delle due parti libiche. Tra i sostenitori di Haftar, gli Emirati Arabi Uniti, sono l’attore più attivo sebbene meno sotto i riflettori internazionali: sponsor principale di Haftar, gli UAE sono impegnati nella condotta di attacchi aerei mediante l’utilizzo di droni: si citano, tra le principali azioni, i bombardamenti dell’aeroporto di Misurata, all’interno del quale è presente il contingente militare italiano.

Gli USA paiono non essere intenzionati a lasciare un vuoto, così come (temporaneamente) fatto in Siria, a fronte del timore di un ruolo crescente della Russia nel Mediterraneo e, sebbene in maniera non evidente, di una Cina sempre più presente nel continente africano e nell’area mediterranea. L’Italia, debole sul piano delle relazioni internazionali, è a rischio marginalizzazione nel processo di stabilizzazione della Libia.

Di fatto a Berlino fin da subito sono mancati gli elementi fondamentali per poter avviare un dialogo negoziale funzionale alla cessazione delle ostilità: non c’è stato accordo di pace tra i due contendenti libici (che non si sono incontrati e non hanno siglato la dichiarazione congiunta), non c’è stata la deposizione delle armi (nessuna tregua o cessate il fuoco), né è stato avviato un processo politico per l’unificazione dei due parlamenti.

Tenendo in considerazione le ambizioni strategiche dei sostenitori esterni del premier al-Sarraj e del Generale Haftar, i quali, da soli, non sono in grado di condurre operazioni militari risolutive, appare evidente come lo stato di conflittualità cronica trovi ragione d’essere nelle ambizioni e negli interessi nazionali di supporter esterni sempre più impegnati in quella che è una war by proxy sempre più simile al conflitto siriano, a causa della crescente presenza di gruppi combattenti stranieri. Preoccupa la presenza di mercenari sudanesi (valutati in circa 2.000 unità) a supporto delle forze di Haftar, alle quali si contrappongono i circa 3.000 islamisti reduci dalla guerra in Siria che sarebbero stati trasferiti in Tripolitania, a sostegno del GNA, dalla Turchia. Presenti anche circa 1.000 contractor della compagna russa Wagner e alcune decine di ufficiali tirchi con funzione di “consulenza” e “supporto” (Fonte START InSight).

Il blocco del petrolio e la pressione di Haftar

La compagnia petrolifera statale libica afferma che la produzione è diminuita del 75% a causa del blocco delle esportazioni, che ha portato alla chiusura dei principali campi petroliferi e porti nell’est e nel sud del paese, imposto dal cosiddetto “Esercito nazionale Libico” (LNA) guidato dal generale Kalifa Haftar. Le esportazioni sono state sospese nei porti di Brega, Ras Lanouf, Al-Sidra, Al-Hariga e Zweitina nella “mezzaluna petrolifera” del paese, corridoio in cui transita la maggior parte delle esportazioni di greggio libico. La NOC (National Oil Company) ha anche denunciato la chiusura di valvole in una stazione di pompaggio nel sud-ovest, che portato all’interruzione della produzione nei principali campi di Al-Sharara e Al-Fil.

Un’azione che, nel complesso, avrebbe causato perdite stimate per 256 milioni di dollari con una produzione passata da 1,2 milioni di barili al giorno a poco più di 320.000 (Fonte NOC,). Nel complesso, la produzione di petrolio della Libia è precipitata di circa tre quarti dal 19 gennaio, in concomitanza con l’infruttuoso dialogo sulla Libia di Berlino.

Una scelta strategica, quella di Haftar, volta a ridurre la principale fonte di reddito del paese in risposta alla decisione della Turchia di inviare consiglieri e addestratori militari a sostegno del Governo di Unità Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj. Una mossa che, a dispetto delle dichiarazioni congiunte in occasione del dialogo di Berlino, non ha trovato l’opposizione di Russia, Emirati Arabi Uniti (EAU) ed Egitto, sostenitori di Haftar.