La strategia di Hamas nella nuova dimensione “sotterranea” della guerra. Il commento di C. Bertolotti a SKY TG 24
La minaccia principale che
i soldati israeliani dovranno affrontare nella fase condotta dell’operazione di
bonifica della Striscia di Gaza e, in particolare, dell’area urbana di gaza
city, è quella proveniente dalla dimensione sotterranea, strategicamente sfruttata
dal gruppo terrorista di Hamas per muovere, vivere e combattere sul campo di
battaglia che si sta delineando.
Come recentemente
riportato da Judy Siegel-Itzkovich
sul Jerusalem Post,
il livello di sviluppo dei tunnel, non solo in
termini di dimensioni ma anche di utilizzo e finalità, ha ridefinito e
implementato il nuovo concetto operativo dell’organizzazione Hamas.
Inizialmente tunnel
dedicati al contrabbando di merci, sono poi stati utilizzati per il mercato
nero di armi per poi divenire, progressivamente, linee di comunicazione e di
accesso al campo di battaglia, di fatto definendone un ruolo da vie di
comunicazione tattica – utile ai rapimenti come quello del soldato Gilad Shalit
nel 2006 – in infrastrutture operative di trasferimento e nascondiglio.
La fase successiva di
utilizzo dei tunnel da parte di Hamas è stata caratterizzata in un’ulteriore
salto di qualità, imponendo agli stessi un ruolo strategico nella condotta di
operazioni offensive, così come rilevato dalle forze di difesa israeliane (IDF,
Israeli Defense Forces) durante la
fase condotta dell’operazione Protective
Edge, nel 2014. Un’evoluzione nella struttura stessa dei tunnel e nel loro
utilizzo coerente con la crescente e dimostrata volontà dell’organizzazione terroristica palestinese
di condurre prioritariamente operazioni nella
dimensione sotterranea.
Fino agli anni 2000, le gallerie venivano solitamente scavate a
una profondità variabile da quattro a dodici metri, ma con una criticità
strutturale significativa già sotto i quattro metri. Una profondità minima che
di fatto era all’epoca una soluzione adeguata e coerente agli usi e gli
obiettivi di Hamas.
Ma Hamas ha saputo migliorare, in maniera progressivamente più
tecnica e strutturale, la costruzione dei nuovi tunnel e l’adeguamento di
quelli già costruiti, aumentando la profondità, le dimensioni e la
disponibilità di locali di rifugio più ampie e aree logistiche di stoccaggio
per equipaggiamenti militari. Un’evoluzione strutturale che si è accompagnata a
un miglioramento delle dotazioni militari, dei mezzi per realizzarle, di
impianti elettrici e di comunicazione sempre più sofisticati.
Razzi su Israele: l’attacco dopo l’uccisione di un leader del movimento palestinese “Jihad Islamico”
L’azione israeliana contro l’organizzazione “Jihad islamico”
All’alba del 12 novembre un attacco aereo israeliano, nella zona orientale di Shejaiya a Gaza, ha portato alla morte di Baha Abu al-Ata (42 anni), un senior leader del gruppo terrorista palestinese Jihad islamico (Harakat al-Jihād al-Islāmī fī Filasṭīn, PIJ). Contemporaneamente a questa azione, altre due persone sono state uccise e 10 ferite nella capitale siriana, Damasco, in un secondo attacco aereo israeliano contro Akram al-Ajouri, un altro leader politico del movimento palestinese Jihad islamico. Akram al-Ajouri sarebbe sopravvissuto, ma suo figlio e la nipote sarebbero rimasti uccisi.
Secondo il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Abu al-Ata, comandante del PIJ nella regione settentrionale di Gaza, era una “bomba ad orologeria” che stava pianificando attacchi al paese; secondo la dichiarazione del Primo Ministro, l’obiettivo della missione era l’eliminazione del “principale istigatore del terrorismo dalla Striscia di Gaza”.
Il capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane (IDF), il generale Aviv Kochavi, ha dichiarato che Abu al-Ata ha minato i recenti sforzi volti a mediare un cessate il fuoco tra Israele e il gruppo militante Hamas, che gestisce Gaza ed è considerato un rivale del PIJ. “Abu al-Ata stava pianificando attacchi terroristici nei confronti di civili israeliani e truppe dell’IDF da portare a compimento a breve”, “la sua eliminazione è stato un atto volto a prevenire una minaccia imminente”.
Baha Abu al-Ata aveva riscosso successi nel corso dell’anno guidando, a nord e ad est della striscia di Gaza, i combattenti della Brigata al-Quds del movimento Jihad islamico. Ma ha agito in maniera crescente sempre più al di fuori del controllo di Hamas, ordinando attacchi missilistici senza preventiva autorizzazione in seguito al ferimento dei manifestanti palestinesi da parte dei soldati israeliani durante le proteste di novembre al confine con Israele. In tale scenario, è valutabile una possibile escalation di ostilità.
La reazione dei terroristi
A seguito dell’attacco aereo contro Baha Abu al-Ata, centinaia di razzi sono stati lanciati da Gaza verso il territorio israeliano: tra il 12 e il 13 novembre, almeno 200 missili sono stati lanciati verso le aree meridionali e centrali di Israele, compresa la città di Tel Aviv e gli abitati di Holon e Modiin, che si trovano a più di 50 km dal confine con Gaza. Alcuni sono stati intercettati dal sistema di difesa aerea israeliano Iron Dome. Una fabbrica di Sderot è stata colpita, provocando un grande incendio, insieme a due case a Netivot e al palazzo del Consiglio regionale di Eshkol.
Il 12 novembre, l’IDF ha avviato una serie di attacchi di rappresaglia contro gli obiettivi nella striscia di Gaza riconducibili al PIJ, colpendo un’infrastruttura addestrativa, siti sotterranei utilizzati per la produzione e lo stoccaggio di esplosivi e munizioni e ancora, in due attacchi separati, le strutture di lancio di razzi. Contemporaneamente, Israele avrebbe chiuso i punti di ingresso-uscita da e per Gaza e ridotto l’area di pesca fino a 6 miglia nautiche concessa ai palestinesi di Gaza.
Il movimento Jihad islamico, organizzazione radicale riconosciuta come terrorista da Unione Europea, Stati Uniti, Canada e Israele, è la seconda più grande fazione militante palestinese a Gaza dopo Hamas (oggi al governo della striscia). Da quando nel 1981 è stata fondato il Jihad islamico, il movimento terroristico ha lanciato migliaia di razzi e ha portato a compimento innumerevoli azioni finalizzate a danneggiare e uccidere civili israeliani. Creato su iniziativa di soggetti islamisti, il gruppo affonda le sue radici nei campi profughi palestinesi e si ritiene che comprenda oggi alcune migliaia di combattenti. Considerata da Israele una proxy force iraniana, avrebbe il suo comando strategico nella capitale siriana, Damasco; sempre secondo Israele, il gruppo riceverebbe milioni di dollari in finanziamenti iraniani ogni anno con i quali finanzierebbe le azioni terroristiche ai danni di Israele. Solo quest’anno il Jihad islamico ha lanciato centinaia di razzi contro strutture in territorio israeliano, ha altresì tentato di infiltrarsi in Israele scavando tunnel sotterranei da utilizzare per attacchi e ha sparando contro i militari dell’IDF in servizio sulla linea di confine.
Sia Hamas che il Jihad islamico invocano “la distruzione di Israele”, concentrano le proprie azioni terroristiche contro i civili. Tra i due, il Jihad islamico è considerato più aggressivo, soprattutto perché può concentrarsi su attività militari, a differenza di Hamas che deve governare 2 milioni di persone nell’enclave palestinese. Mentre Hamas e il Jihad islamico mantengono un rapporto che può essere definito di “cauta alleanza”, quest’ultimo manifesta il proprio disappunto e frustrazione a causa delle tregue non ufficiali tra Hamas e Israele.
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