LIVE STREAMING- estremismo online, No-Vax e rischio sovversione, Tunisia, Afghanistan, competizione Cina-USA

Ogni settimana il team di START InSight commenta fatti d’attualità e temi all’ordine del giorno, segnala ricerche e letture, dialoga con ospiti esterni.

I temi di questa puntata
Aggiornamenti sulla lotta all’estremismo online (a cura di Chiara Sulmoni)
Fenomeno NO-VAX: esistono frange a rischio sovversione? (a cura di Andrea Molle)
Crisi politica e istituzionale in Tunisia (a cura di Claudio Bertolotti)
Afghanistan: i talebani ospiti del governo cinese (a cura di Claudio Bertolotti)
La Grande Strategia e il futuro della competizione USA-Cina,
presentazione dello studio di Niccolò Petrelli edito da START InSight con Europa Atlantica

Tunisia: colpo di stato fatto o prevenuto? (di Claudio Bertolotti)

Il congelamento delle attività parlamentari, la sospensione del governo e il licenziamento del primo ministro imposti dal Presidente Kais Saied il 25 luglio hanno aperto le porte ad una crisi politica e istituzionale che, a sua volta, affonda le radici in una profonda crisi economica, sanitaria e sociale che il governo sostenuto dal principale gruppo politico di maggioranza, il partito islamista Ennhada, non solo non ha saputo risolvere ma ha accentuato a causa di incapacità, accuse di corruzione e mancata promessa di un riassetto strutturale della macchina statale. Insomma, il governo tunisino si è dimostrato incapace e il malcontento generale nei confronti delle istituzioni è cresciuto portando il paese, e i suoi cittadini, al limite.

Saied ha così sospeso il parlamento concentrando a se più ampi poteri, così come previsto dall’art. 80 della costituzione tunisina, e lo ha fatto approfittando del crescente malcontento e sfiducia nei confronti delle forze politiche al potere – in primis Ennahda, ormai percepito da una parte della popolazione come un partito personale, conservatore e non riformatore oltre che pericolosamente legato ai “Fratelli musulmani” il cui progetto politico preoccupa molto i paesi dell’area mediterranea e che pericolosamente l’Europa ancora non coglie come minaccia sociale. Ennhada, prima intenzionata a reagire in maniera energica, ha poi optato per accettare lo stato delle cose in attesa delle prossime mosse politiche del presidente che, per prima cosa, dovrà procedere alla nomina del prossimo primo ministro.

In questa situazione sarebbe opportuno un intervento diretto dell’Unione Europea in termini di supporto alla Tunisia, al fine di prevenire qualunque deriva, certamente di natura politica, ma principalmente sociale.

Incontro Cina-talebani: quale sorpresa? (di Claudio Bertolotti)

L’incontro della delegazione talebana guidata dal mullah Baradar non è una sorpresa ma rientra in un consolidato percorso diplomatico che ha interessato informalmente la Cina e i talebani fin dall’inizio dell’occupazione statunitense. Nel maggio 2015 ha avuto luogo il primo incontro ufficiale tra le due parti e da allora le occasioni di dialogo si sono fatte sempre più numerose.

E questo perché, da un lato i talebani guardano agli attori regionali come partner e per un riconoscimento internazionale.

E dall’altro lato, i cinesi osservano l’Afghanistan con grande interesse per una serie di motivi e i talebani possono far sì che gli interessi cinesi siano tutelati oppure no. Quali sono i motivi per i quali i cinesi sono disposti a dialogare con i talebani?

Il primo è la ricerca cinese di un’area di influenza da sottrarre agli Stati Uniti e che, in un’ottica di competizione con l’India, consenta a pechino di avere una continuità territoriale che dal Pakistan all’Afghanistan consenta di creare un ponte commerciale diretto con l’Iran e la Russia.

Il secondo è un più ampio margine di manovra nella tutela degli interessi legati alla nuova via della seta che ha una diramazione in Pakistan e garantisce uno sbocco marittimo a sud: e un Afghanistan sicuro è una garanzia per gli investimenti cinesi.

Il terzo motivo è di sicurezza interna della Cina, legata alla politica repressiva della comunità musulmana uigura. Il rischio è che i talebani possano ospitare e incentivare i gruppi jihadisti uiguri ed è per questo che la Cina ha chiesto di agire con determinazione e in qualunque modo per eliminare i gruppi di uiguri presenti in Afghanistan, in particolare il gruppo ETIM.

Infine, il quarto è un motivo strategico di natura economica: la Cina detiene la maggior parte dei diritti estrattivi dal sottosuolo afghano e l’Afghanistan è una miniera a cielo aperto di minerali preziosi e minerali rari, strategicamente importanti per l’economia cinese che avrebbe accesso diretto a una ricchezza dal valore potenziale di 3 triliardi di dollari. Ma l’Afghanistan deve essere stabilizzato per consentire l’accesso cinese all’area, e qui entrano in gioco i talebani.

I talebani hanno garantito ai cinesi che l’Afghanistan non sarà utilizzato da gruppi per colpire altri stati. Ma sono gli stessi talebani che pochi mesi fa hanno garantito agli Stati Uniti che avrebbero cessato le violenze

per dialogare con il governo afghano. Non dobbiamo farci illusioni, ne essere sorpresi per l’interesse che i cinesi hanno per l’Afghanistan.


Gli ostacoli sulla Nuova Via della Seta

Guerre ibride sulla Nuova Via della Seta

Leggi la recensione completa con l’indice dei contenuti e gli autori del saggio sul sito di Bloglobal.net 

di Chiara Sulmoni

A seguito di un attacco avvenuto nella mattinata di oggi, 23 novembre, al consolato cinese di Karachi, lo snodo commerciale del Pakistan, vi proponiamo la lettura di una serie di saggi raccolti nel libro Eurasia e Jihadismo – Guerre ibride sulla Nuova Via della Seta, a cura di Matteo Bressan, Stefano Felician Beccari, Alessandro Politi e Domitilla Savignoni, edito da Carocci (2016).

La realtà descritta nel libro disegna il contesto dentro il quale poter leggere gli avvenimenti (una possibile lettura, per il momento). Nello specifico, stiamo parlando dell’intenso lavoro di sviluppo infrastrutturale e di cooperazione economica fra Pakistan e Cina, nell’ambito della costruzione (anche diplomatica) della Nuova Via della Seta a trazione cinese. L’incognita del terrorismo e l’insicurezza gravano su ampie tratte del progetto.

Estratto dalla recensione del libro apparsa su Bloglobal.net 

“Nonostante l’attenzione dei media e dei governi occidentali sia ormai concentrata sul fronte siriano e iracheno, l’Afghanistan e le sue frontiere a sud-est con il Pakistan, a est con la Cina, a nord con Tajikistan, Uzbekistan e Turkmenistan e a ovest con l’Iran rimane un’area fortemente instabile, percorsa da gruppi jihadisti non solo talebani, e dove si è recentemente insediata anche la sigla dell’IS (Islamic State – Khorasan Province). Una minaccia concreta che irradia da uno snodo importante per la Nuova Via della Seta, un grande piano di sviluppo dei trasporti e di corridoi commerciali promosso dalla Cina, volto a facilitare il transito di merci ed energia dall’Asia all’Europa. Un progetto ambizioso, noto anche con il nome di “One Belt, One Road” (o OBOR), che dovrebbe coinvolgere sul suo tragitto oltre 60 nazioni e che prevede la realizzazione di una serie di collegamenti autostradali, linee ferroviarie ad alta velocità, impianti d’appoggio come reti elettriche, oleodotti, gasdotti, parchi industriali. È prevista anche una via marittima che girerà attorno all’Asia del Sud per approdare in Africa Orientale, e attraverso il canale di Suez, arrivare al Mediterraneo.

Eurasia e jihadismo è una raccolta di analisi dettagliate che rintracciano alcuni seri ostacoli su questo percorso commerciale (…) Attraverso gli scambi e quella che Wade Shepard su Forbes chiama “diplomazia infrastrutturale”, definisce infatti nuovi scenari di influenza per Pechino. E gli ostacoli più temibili, che gettano ombre sempre più lunghe sulle strade di questo mirabolante piano sono rappresentati dalle cosiddette “guerre ibride”, cioè azioni ostili che possono rientrare nelle categorie di conflitti a bassa intensità oppure di natura confessionale, insurrezioni, attentati, pirateria dei mari, crimini informatici, offensive mediatiche, corruzione, criminalità organizzata, traffici illeciti.”


L’opinione – Il caso D&G

La Cina volta-Gabbana. Un finale poco dolce, nonostante il cannolo siciliano

di Chiara Sulmoni

Una breve considerazione a margine dell’incidente maldestro, in cui sono incorsi gli stilisti del marchio Dolce e Gabbana questa settimana. Ricapitolazione sommaria dell’antefatto: una serie di video promozionali della casa di moda italiana, diffusi online in vista di un’imponente sfilata in programma a Shanghai, in cui si ‘gioca’ con alcuni stereotipi (percepiti) e doppi sensi. Nello specifico, una giovane donna cinese griffata D&G e in atteggiamento quasi macchiettistico, intenta ad assaggiare con grande difficoltà pizza, pasta e un maxi-cannolo, con le bacchette tradizionali, guidata da una voce fuori campo. Battutina maliziosa e poco elegante al momento del dessert, quando la medesima voce allude alle notevoli dimensioni del dolce siciliano, forse non in linea con le abitudini o le preferenze della protagonista (mettiamola così). Risultato: la rete insorge contro il messaggio considerato razzista e sessista (anche se forse, si è trattato piuttosto di cattivo gusto) e il tutto si gonfia ulteriormente quando trapela un presunto scambio di messaggi privati piccati ed offensivi nei confronti della Cina, da parte di Stefano Gabbana, che sostiene sia invece il risultato dell’hackeraggio di un suo profilo social. Ma il danno è ormai fatto, la sfilata con centinaia di ospiti e clienti viene cancellata (con il coinvolgimento dell’Ufficio della cultura cinese il caso ha un risvolto ‘diplomatico’) e le collezioni D&G boicottate sui portali e-commerce del Dragone. Di conseguenza, una perdita finanziaria e di immagine considerevole.

La lezione ricorda così nel modo più duro quanto gli affari e il loro esito, nel mondo globalizzato, possano essere strettamente legati alle sensibilità culturali.

Economia e produzione come ‘occasione’ d’ingresso culturale? La globalizzazione non uniforma il mondo e non cancella le particolarità. Anzi. Mette più facilmente in contatto ma anche in rotta di collisione, tradizioni e abitudini diverse. Per coglierne i benefici, sapersi destreggiare è essenziale. Forse, in molte occasioni si guarda alla Cina come a un territorio o a un mercato di conquista, mentre sarebbe più opportuno, realistico e anche appagante, considerarla un terreno di scoperta. Anche se per D&G l’onda si è ingrossata via web, ciò che è accaduto non avrà forse a che vedere, piuttosto che con il potere del mondo virtuale, con la ‘self-confidence’ di un marchio ormai celebre, abituato anche a provocare?

L’importanza della cultural intelligence per fare business. In un recente articolo pubblicato sul portale di ‘authentico’, una app che aiuta il consumatore ad orientarsi verso il cibo made in Italy in tutto il mondo, si legge che secondo un’indagine “il 50% dei cinesi benestanti non conosce i prodotti agroalimentari italiani”; ma anche, si sottolinea la necessità di saper comunicare con il mercato di riferimento, per favorire quell’avvicinamento, per esempio proprio alla pasta, che passa attraverso l’evoluzione -o l’allargamento- della cultura culinaria. Per ora, i prodotti si adatterebbero al mercato locale (con gli spaghetti in posizione dominante, rispetto alla pasta corta, per la facilità di raccoglierli con le bacchette). Ironicamente, gli spot di D&G contenevano già gli ‘ingredienti’ giusti, per dare un bel contributo anche alla diffusione del cibo italiano.

Tant’è. Il cannolo siciliano lo mangeremo -forse- domani.