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#ReaCt2021 – Le strategie di contrasto alla radicalizzazione violenta: il caso studio

di Alessandra Lanzetti

L’uccisione del professore francese Samuel Paty e i recenti attacchi realizzati a Nizza e a Vienna, mostrano chiaramente che il terrorismo di matrice jihadista rimane una delle più grandi minacce per l’Europa, nonostante la caduta del Califfato.

L’antiterrorismo è consapevole che per un contrasto efficace sia necessario affiancare agli strumenti giuridici repressivi misure che consentano di giocare in anticipo rispetto ai processi di radicalizzazione, andando a incidere sulle fasi antecedenti la commissione dei reati di terrorismo.

In Italia, già dalla scorsa legislatura, è stato avviato un dibattito parlamentare finalizzato a far confluire in una legge gli strumenti che già nella prassi vengono usati per individuare in tempo i soggetti radicalizzati e, altresì, per favorirne la de-radicalizzazione e il recupero in termini di abbandono dell’ideologia violenta e di integrazione sociale, culturale, lavorativa, fermo il rispetto delle garanzie fondamentali in materia di libertà religiosa.

In attesa che la proposta di legge a firma dell’On. Fiano, i cui contenuti ricalcano quella precedente a firma degli On. Manciulli – Dambruoso, venga discussa alla Camera dei Deputati, nella prassi italiana non mancano casi in cui con gli strumenti giuridici esistenti siano stati avviati programmi di intervento tesi alla de-radicalizzazione.

Uno di questi casi è quello di B.A., un adolescente di origini algerine che nel 2017 è stato indagato dal Tribunale per i minorenni di Trieste per istigazione a commettere reati di natura terroristica, aggravata dall’uso del mezzo telematico.

Aveva 14 anni B.A. nel 2017, quando gli uomini della Digos di Udine e dell’UCIGOS ritrovarono nella sua disponibilità alcuni scritti riportanti messaggi riferibili alla guerra religiosa e la riproduzione della bandiera dello Stato Islamico. Erano mesi che gli investigatori stavano sulle sue tracce, attraverso un costante monitoraggio sulle sue chat della piattaforma Telegram; spazio virtuale  dove non era più quel ragazzino introverso e senza amici, ma un punto di contatto del gruppo terroristico “Stato islamico”, che amministrava numerosi canali telematici divulgando i contenuti della propaganda jihadista, insegnando come costruire bombe in maniera artigianale e istigando gli utenti a commettere delitti di terrorismo e contro l’umanità, offrendosi anche per fornire concreti aiuti a chi fosse intenzionato a unirsi alla causa jihadista.

L’indagine era partita da una segnalazione dell’intelligence, condivisa in sede di CASA – Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, in base alla quale un giovane italiano di origine araba avrebbe avuto in animo di compiere un non meglio specificato attentato ai danni del plesso scolastico “Deganutti” di Udine.

Ma chi è B.A.? E come è finito nelle maglie dello Stato islamico?

B.A. è nato in Italia da una famiglia di immigrati algerini che lo ha educato secondo i principi tradizionali della cultura del loro Paese di origine; ciò aveva reso difficile l’integrazione dell’intero nucleo familiare nel tessuto sociale del Nord-Italia.

Questa parte del vissuto di B.A. è un elemento chiave per comprendere quali siano i meccanismi di innesco dei processi di radicalizzazione, che il più delle volte partono da un disagio di vario genere, psicologico, sociale, culturale. Spesso aderiscono all’ideologia islamista radicale proprio giovani immigrati di seconda generazione che sono nati, cresciuti e scolarizzati in un Paese occidentale, il più delle volte da famiglie legate a una religiosità popolare, ma che avvertono un senso di estraneità derivante dalla cd. doppia assenza, cioè il non sentirsi interamente parte né della propria cultura originaria né di quella del Paese in cui oramai vivono.

Questa frustrazione, associata a una personalità connotata da intelligenza e molto sicura di sé, ma con scarsa empatia e un elevato autocontrollo e distacco emotivo, lo ha portato a ricercare nel web le risposte alla sua solitudine, pensando di acquisire importanza e di avere un ruolo nella società attraverso i compiti che gli venivano assegnati telematicamente dai “maestri dello Stato islamico”.

La struttura del processo minorile ha reso possibile bilanciare le esigenze securitarie e di accertamento del reato con quelle di recupero del ragazzo, al fine di fornirgli una strada alternativa fondata sul rispetto della legalità. Infatti, già nelle fasi antecedenti al processo il Procuratore della Repubblica minorile aveva incaricato una psicologa, affiancata da un mentoring[1], per fornire a B.A. un supporto professionale e aiutarlo a comprendere correttamente l’interpretazione degli aspetti religiosi richiamati nella propaganda. Durante il processo poi l’imputato ha chiesto di essere ammesso alla cd. probation, con conseguente assegnazione all’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Trieste dell’incarico di predisporre un progetto ritagliato sulle esigenze rieducative e di recupero dell’imputato, il quale, nonostante avesse parzialmente ammesso la sua responsabilità, confermando le condotte che gli venivano addebitate, ne sminuiva il disvalore e la pericolosità, riducendo il proprio interesse per lo Stato islamico a semplice curiosità

Il programma è iniziato a maggio 2019 ed ha avuto la durata di 12 mesi; la sua realizzazione ha coinvolto una pluralità di esperti, i quali, ciascuno in base alle proprie competenze, hanno contribuito a gestire la risocializzazione e la de-radicalizzazione di B.A.: in particolare sono intervenuti l’autorità giudiziaria, le forze dell’ordine, gli psicologi coadiuvati dal mentoring, le figure di sostegno socio/assistenziali in una sinergia multi-agency.

Le linee direttrici dettate dall’autorità giudiziaria hanno avuto l’obiettivo primario di far comprendere ed elaborare al radicalizzato la gravità delle condotte, la pericolosità dell’attività posta in essere, sia in relazione ai beni giuridici collettivi coinvolti, come la sicurezza e l’ordine pubblico e la personalità dello Stato, sia in relazione all’importanza del bene della vita, della salute e dell’incolumità personale degli individui.

Parallelamente al programma di supporto psicoterapeutico e alla frequentazione della scuola, B.A. ha iniziato a svolgere una serie di attività con soggetti svantaggiati e vittime di violenza, in centri di aggregazione interculturali: prestando sostegno a soggetti deboli e/o disabili di differente appartenenza sociale, nazionale o religiosa, ovvero soggetti a traumi correlati a fenomeni migratori, si è riuscito a misurare con prospettive culturali e dinamiche sociali diverse dalle proprie, così da apprendere la consuetudine alla tolleranza e alla non violenza come sistema di lotta per l’affermazione dei propri valori e per sviluppare il senso di appartenenza alla comunità.

Queste attività inoltre gli hanno offerto un’occasione sana di socializzazione e di riattivazione delle emozioni, “anestetizzate” dall’isolamento sociale e dalla profonda immersione monotematica nei materiali online di propaganda dello Stato islamico.

A riprova dell’efficacia del metodo scelto si riporta uno stralcio della sentenza con cui a giugno 2020, all’esito della messa alla prova, l’autorità giudiziaria ha dichiarato il non luogo a procedere[2] per estinzione del reato, valutando che “il percorso di messa alla prova ha portato l’imputato al risultato di verificare la rivisitazione del proprio passato e la ricomposizione dello stesso in un quadro dotato di coerenza e continuità; lo stabile orientamento del medesimo nell’area della legalità e il concreto impegno a dare alla propria vita una struttura ed un orientamento fondato sul valore della formazione e mirante al mantenimento di sé mediante il lavoro, si da far fondatamente supporre in lui una futura condotta improntata al rispetto di sé e degli altri consociati”.

[1] Esperto di narrativa jihadista, in particolare nel caso in esame si è trattato un cd. former, cioè una persona che ha fatto parte di un gruppo estremista violento da cui ne è uscito.

[2] Sentenza del Tribunale per i minorenni di Trieste n. 59/20 del 9/6/2020 depositata il 19 giugno 2020

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