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Radicalismo islamico. Pianificare ‘alla svizzera’

Se la Confederazione elvetica non è un bersaglio prioritario per lo Stato Islamico o altri gruppi estremisti del medesimo stampo, l’esistenza di connessioni svizzere dentro le reti jihadiste internazionali non è nuova ed è stata dimostrata anche da alcune inchieste internazionali.

Secondo i dati ufficiali, i sospetti foreign fighters svizzeri ad aver raggiunto fronti di guerra dal 2001 ad oggi sono 93. Le partenze si sarebbero fermate da oltre un paio d’anni e avere un’idea oggi, dell’ampiezza di quel cono d’ombra che precede la violenza -cioè la radicalizzazione-, rimane un’impresa difficile.

ASCOLTA IL REPORTAGE ‘RADICALISMO ISLAMICO. PIANIFICARE ALLA SVIZZERA’ -trasmesso dal programma ‘Laser’ – RSI Rete Due (11 febbraio 2019 – copyright RSI)

Il reportage discute alcune caratteristiche svizzere del fenomeno ma comprende anche un ragionamento più ampio attorno ai contesti della radicalizzazione con l’aiuto di tre interlocutori.

Fabien Merz, ricercatore e analista che si occupa di jihadismo e terrorismo al Centre for Security Studies del Politecnico di ZurigoElham Manea, professoressa associata di scienze politiche all’Università di Zurigo, specialista di Medio Oriente e Islam politico, e attivista per i diritti umani; Naima Serroukh, impegnata sul territorio con la comunità musulmana, a Bienne (Canton Berna) ha avviato Tasamuh -tolleranza, in arabo- che nel 2015 era la prima iniziativa di prevenzione del suo genere.




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