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Chaos a Capitol Hill: cosa è mancato

di Luca Tenzi, Security and Resilience Strategist e Andrea Molle, START InSight

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La storia ci insegna che l’assalto coordinato al Campidoglio, avvenuto mercoledì 6 Gennaio 2021 a Washington DC, è stato tutto fuorché imprevedibile. Nonostante si tratti di eventi poco conosciuti al pubblico, il Campidoglio è stato in passato l’obiettivo di diversi attacchi. Nel 1954, ad esempio, un gruppo di separatisti provenienti dallo Stato libero associato, cioè un territorio non incorporato degli Stati Uniti, aprirono il fuoco all’interno dell’edificio, ferendo cinque membri del Congresso. Nel 1998, invece, un singolo individuo armato riuscì a superare tutti i controlli di sicurezza del Campidoglio uccidendo due poliziotti prima di essere fermato. Infine, il Campidoglio fu probabilmente il quarto obiettivo, fortunatamente non raggiunto, dei dirottatori del 9/11 2001. Da allora, la possibilità di un attentato terroristico all’edificio è stata presa seriamente in considerazione. O almeno avrebbe dovuto esserlo.

Nella sottovalutazione della minaccia, ha sicuramente inciso il fatto che nella storia americana recente non si erano mai avute delle dimostrazioni di tale violenza dirette verso un luogo governativo. Neppure durante manifestazioni di protesta, vere e proprie rivolte, contro la guerra del Vietnam i dimostranti presero d’assalto i luoghi simbolo dello Stato, men che meno il Campidoglio. Infine, nemmeno le più recenti dimostrazioni organizzate del movimento Black Lives Matter, pur arrivando fino alla soglia dei palazzi del potere americano, avevano mai infranto la sottile linea di demarcazione tra la disubbidienza civile e l’atto di sovversione nei confronti di un governo legittimo e democraticamente eletto.

Tuttavia, tutto faceva presagire che non sarebbe stata una manifestazione come le altre. Nei giorni precedenti al 6 gennaio, si erano registrati molti segnali che avrebbero dovuto allarmare la comunità dell’intelligence americana. Fonti di open-source intelligence avevano lanciato l’allarme che i sostenitori di Donald Trump stavano condividendo, sui social media, piani per la giornata e, tra le discussioni monitorate, vi erano thread sospetti, tra i quali, ad esempio, una discussione sui modi per introdurre illegalmente armi nella Capitale federale. In casi come questo, non solo di semplici manifestazioni di protesta ma con la concreta possibilità di episodi violenti, le agenzie locali e federali, in totale circa una dozzina, avrebbero dovuto prestare molta attenzione alla pianificazione e al coordinamento delle operazioni. La raccolta di informazioni e la pianificazione delle misure di sicurezza preventiva avviene, di norma, sotto la guida dell’FBI o dell’NSA (National Security Agency), ma non è chiaro quanto di tutto ciò sia avvenuto nel caso del 6 Gennaio.

Va sottolineato che la capitale Americana, Washington DC, vive di vita propria relativamente alle forze di sicurezza, con una moltitudine di agenzie locali, statali e federali che si occupano della protezione dei simboli e dei rappresentati del governo. Come da protocollo, la sicurezza è stata inizialmente gestita dalla sola Capitol Police, una forza di polizia di circa 2.000 membri sotto il controllo diretto del Congresso e dedicata unicamente alla protezione del Campidoglio. Il Capo della Capitol Police, che viste le forti pressioni politiche si è dimesso con decorrenza dal 16 Gennaio, ha dichiarato di aver presentato la richiesta di rinforzi ben due giorni prima della rivolta, avendo ricevuto e esaminato l’intelligence che indicava che la manifestazione sarebbe stata più grande e potenzialmente più violenta di quanto previsto. Per ragioni che ancora oggi rimangono poco chiare, gli altri elementi del vasto apparato di sicurezza del governo federale degli Stati Uniti hanno ignorato la richiesta e non sono intervenuti per tempo.

Il periodo di transizione tra il governo uscente e la nuova amministrazione ha influenzato il processo decisionale. Il fatto che posizioni chiave, occupate ad interim da dirigenti prossimi a lasciare, ha sicuramente rallentato o addirittura indebolito la forza delle decisioni operative e tattiche. Ciò emerge anche dall’analisi delle tempistiche decisionali. La timeline degli eventi sembra prendere sempre più forma lasciando intendere che gli errori siano stati molti. Un funzionario della Difesa ha ad esempio dichiarato che il sindaco di Washington, Muriel Bowser, ha richiesto l’invio della Guardia Nazionale intorno alle ore 14:00 e cioè circa 45 minuti dopo che gli assalitori avevano superato la prima barricata del perimento esterno di sicurezza dell’edificio. Non è chiaro perché il sindaco lo dovesse fare, e non piuttosto il Capo della polizia del Campidoglio Steven Sund, a riprova del fatto che le linee gerarchiche, molto particolari, della capitale hanno sicuramente aggravato la confusione. Il segretario alla Difesa ad interim, Chris Miller, ha poi attivato la Guardia Nazionale, ma solo circa 30 minuti dopo la richiesta ricevuta dal sindaco e alla quale si sono anche aggiunti reparti tattici (SWAT) di polizia provenienti dagli Stati confinanti. A quel punto, purtroppo il Campidoglio era ormai indifendibile. Nonostante la presenza di un sottile perimetro di sicurezza esterna, non era stato previsto, apparentemente, nessuno perimetro di sicurezza all’interno dell’edificio, eccezione fatta per lo schieramento di alcuni agenti a difesa dei luoghi più importanti. Nessun corridoio era stato bloccato e una volta raggiunto l’interno, gli assalitori hanno potuto girare liberamente nell’edificio, inseguiti dalla polizia ormai in preda alla confusione.

Durante la fase interna dell’assalto, nella Rotunda, l’iconica sala circolare situata sotto la cupola del Campidoglio, sono state distribuite maschere antigas. È noto che la polizia abbia anche usato spray al peperoncino e gas lacrimogeni per rallentare il movimento dei manifestanti, trovandosi chiaramente in inferiorità numerica. Allo stesso tempo, il servizio segreto procedeva all’evacuazione del vicepresidente Mike Pence e, questa volta la polizia, dei diversi membri del Congresso tra cui la Speaker Nancy Pelosi. Le forze di sicurezza hanno anche cercato di barricare le porte con espedienti di fortuna, usando ad esempio i mobili degli uffici e dell’aula parlamentare. Una credenza, ad esempio, è stata spinta davanti alle porte dell’aula, mentre i parlamentari si nascondevano sotto le scrivanie in attesa di essere estratti.

A vent’anni dal 9/11, si stima che il budget annuale del dipartimento della sicurezza del Campidoglio sia triplicato e si assesti sui $450 milioni. Ma allora cosa non ha funzionato nella difesa del Campidoglio? Tra le cose importanti da sottolineare, la prima è l’impreparazione della Capitol Police nel gestire una situazione di vera e propria guerriglia nel Campidoglio che si sovrappone a una debolezza strutturale dell’edificio. Si tratta di una lacuna fondamentalmente addestrativa, ma che non lascia molto spazio a soluzioni alternative. Gli agenti sono infatti principalmente addestrati allo scopo di tenere eventuali manifestanti lontani dai gradini esterni del Campidoglio e proteggere il complesso alla stregua di una cittadella. L’obiettivo di difendere i gradini è giustificato dal fatto che il complesso del Campidoglio, risalente al 19° secolo, è caratterizzato dalla presenza di molte porte e finestre. È difficile pertanto pensare che una forza di polizia, sebbene numerosa, possa difenderle tutte contemporaneamente. Una volta conquistati i gradini, come purtroppo prevedibile, gli assalitori hanno avuto gioco facile per trovare una via di ingresso nell’edificio. La seconda debolezza, questa volta operativa, è che la Capitol Police dispone di piani di contingenza unicamente per quelle che vengono definite, legalmente, come “attività previste del Primo Emendamento” e cioè attività di protesta, anche moderatamente violenta, ma che non si configurano come un attacco di stampo terroristico o come un’operazione di guerriglia.

Le dimostrazioni di protesta e gli atti di disubbidienza civile dei sostenitori repubblicani erano state certamente ipotizzate, e in un certo senso date per scontate per la dialettica confrontazionale impostata dal Presidente uscente, ma la violenza che si è risolta in un vero e proprio assalto ha sorpreso tutti gli esperti sia nazionali che stranieri. Tale veemenza fisica e dialettica, ha scioccato il mondo proprio per la facilità con cui è stato violato un luogo che veniva reputato tra i più sicuri in assoluto e che invece ha dimostrato una imperdonabile debolezza.

Nonostante la presunta esistenza di molteplici meccanismi di contingenza, la sicurezza è stata evidentemente mal progettata, insufficiente, e affidata a una forza di polizia inadeguata al compito. La risposta è apparsa del tutto improvvisata al punto che i direttori dei Dipartimenti di Giustizia, Difesa, e Homeland Security hanno avviato un rigoroso procedimento di inchiesta relativo alle mancanze delle proprie agenzie durante l’assalto.

Sorvolando sulla dinamica del movimento di folla, se coordinato o meno, e lasciando per un momento da parte un’analisi più precisa della gestione da parte delle forze dell’ordine preposte all’intelligence e alla gestione dei facinorosi, ciò che stupisce è la fragilità delle difese fisiche dell’immobile. Anche le risorse umane, cosi come il materiale individuale e di gruppo a disposizione delle forze preposte alla difesa fa ben capire che lo scenario che si è realizzato davanti gli occhi, e le telecamere dei media e dei social media, non era mai stato veramente preso in considerazione.

Per misure fisiche si intendono sia gli elementi di tipo architettonico a difesa della struttura che i sistemi meccanici o manuali che avrebbero dovuto impedire, ritardare o anche solo limitare l’accesso all’edificio da parte del gruppo più violento dei manifestanti. Misure che nel mondo degli esperti della security e protezione di luoghi sensibili vengo riassunte nel paradigma delle 5D (deter, detect, deny, delay, defend), modello che è ormai considerato best practice da tutte le agenzie di sicurezza sia pubblica che privata. La loro mancanza lascia molto perplessi, proprio perché negli Stati Uniti, più che altrove, le misure di sicurezza relative alla protezione dei luoghi simbolo del governo sono notevolmente aumentate dopo gli eventi del 9/11. Nel “dopo 9/11”, tutti gli obiettivi sensibili, sia su suolo americano che all’estero come le sedi diplomatiche, hanno subito un completo restyling di sicurezza anche grazie all’incremento esponenziale dei budget dedicati. Le ambasciate Americane nel mondo vengo oggi prese ad esempio proprio per le loro misure di sicurezza, teutoniche e draconiane. Misure architettoniche, restyling urbanistico, nuove soluzioni tecniche, e presenza costante di personale armato sono oggi diventati la norma. L’uso dei concetti di prevenzione del crimine attraverso la progettazione ambientale (Crime prevention through environmental design, CPTED) sono tra gli elementi chiave della rivoluzione stilistica della sicurezza, che vede la sua apoteosi nella sede diplomatica americana a Londra. Qui l’approccio multi-disciplinare per sviluppare un deterrente al comportamento criminale è stato portato quasi al parossismo trasformando l’Ambasciata in una fortezza quasi inespugnabile.

Lo stesso non si può invece dire per molti dei luoghi chiave della politica americana nella capitale federale. Il Campidoglio rimane, come tanti altri luoghi governativi, parzialmente aperto al pubblico e questo lo rende un soft target. I visitatori, durante le visite guidate ma anche durante incontri con i propri rappresentanti governativi, possono tranquillamente osservare e raccogliere informazioni e muoversi quasi liberamente all’interno dell’edificio. Dove non arrivano le visite dirette lo fa internet con siti specialistici che pubblicano mappe estremamente dettagliate del Campidoglio. Mappe che vengono anche aggiornate ogni qualvolta si fanno delle modifiche o vi sono delle ristrutturazioni. Dopo i fatti del 6 Gennaio, persino le misure di sicurezza e gli spostamenti del Vice Presidente sono stati studiati, analizzati e mostrati dai mass media.

Un primo elemento di debolezza è che, pur avendo in passato stabilito una prima linea di difesa in occasione delle manifestazioni del movimento Black Lives Matter, sembra che in questo caso non si sia pensato di fare lo stesso utilizzando barriere antisfondamento e anti-scavalcamento. Di fatto le barriere usate il 6 Gennaio erano di tipo classico, come quelle usate solitamente per direzionare le folle, come nel caso del pubblico di un concerto, e non certo le barriere viste a difesa del Campidoglio e della Casa Bianca successivamente alle proteste collegate alla morte di George Floyd. In quell’occasione la reazione dell’apparato di sicurezza fu probabilmente anche esagerata. Va ricordato che allora il presidente Trump fece costruire una cancellata molto alta a protezione della Casa Bianca e anche che durante le proteste vi fu una famosa photo ops dove si vedevano i manifestanti rimossi manu militari dalla Guardia Nazionale. Paradossalmente, la cosa fu accolta con orrore da molti osservatori perché, a loro dire, la Casa Bianca deve rimanere un simbolo accessibile al popolo che ha diritto costituzionalmente a manifestare in protesta.

Un secondo aspetto che ci sorprende è la presenza di alcuni punti d’ingresso mal protetti e facilmente accessibili. Parliamo, ad esempio, di come le finestre ai piani inferiori non fossero protette né anti-sfondamento. Dalle immagini diffuse abbiamo potuto osservare come solo un limitato numero di vetri sulle porte principali lo fossero, e altre siano state sfondate con dei semplici oggetti disponibili sul campo, es. sedie o sbarre di metallo. Questo ha facilitato l’accesso di alcuni elementi sovversivi che hanno poi permesso di dare indicazioni e sicuramente liberare porte che fossero state chiuse dall’interno. Le porte interne, per esempio, non erano anti-sfondamento, né i vetri erano balistici. L’immagine degli agenti a difesa della sala del senato con le armi in pugno, con quello che sembra essere un armadio a difesa della porta, ce lo conferma. Così come anche la morte della manifestante a causa di un colpo sparato attraverso una porta finestra da parte di un agente di polizia. Da mesi inoltre il Campidoglio è parzialmente ricoperto da impalcature per lavori di conservazione delle facciate. Impalcature mal protette che hanno fatto da torre temporanea d’assalto, facilitando l’accesso ai piani superiori fino al tetto e fornendo armi improprie agli aggressori. Impalcatura e cantiere che non erano protetti o difesi e, sembra, di facile accesso.

In conclusione, se la democrazia ha dimostrato grandi capacità di tenuta, la sicurezza ha fallito e in modo spettacolare. L’inadeguatezza dimostrata dalla mancanza di pianificazione operativa e fisica, oltre che dalla presenza di problemi sistemici nella catena di comando dell’apparato di sicurezza di Capitol Hill non può che far riflettere sul fatto che gli Stati Uniti sono sostanzialmente impreparati ad affrontare una minaccia eversiva interna ad opera di individui appartenenti alla maggioranza della popolazione – cioè rappresentata da cittadini americani di classe medio-bassa e di razza caucasica.

Questo non solo a causa dei ritardi nella comunità dell’intelligence nell’adeguare la propria percezione del rischio a un target che non sia lo stereotipo del jihadista straniero, di origine medio-orientale, ma anche e forse soprattutto per la presenza di un vizio ab originem racchiuso nella stessa Costituzione del paese. Il primo e il secondo emendamento garantiscono rispettivamente infatti, ai cittadini ed ai residenti permanenti, il diritto ad esprimere anche in modo aggressivo la propria opinione e di possedere armi da fuoco, organizzandosi nella forma di milizie per rispondere alle minacce esterne e interne comprese, nell’immaginario collettivo, quelle provenienti da un governo considerato dittatoriale. Questa miscela infiammabile ha contribuito a causare i fatti del 6 Gennaio e contribuisce anche oggi a fare di obiettivi high profile, come il Campidoglio ma anche la stessa Casa Bianca, dei soft target.

Come vi è stato un prima e dopo 9/11, vi sarà un prima e dopo 1/6. Laddove i diritti costituzionali sanciti dal primo e secondo emendamento non potranno probabilmente essere modificati, possiamo ipotizzare e auspicare che i movimenti nazionalisti e le milizie diventeranno osservati speciali. Avremo inoltre discussioni, anche animate, su quali possono e dovranno essere le misure di sicurezza per gli edifici governativi aperti al pubblico, in primis proprio il Campidoglio. Discussioni che a ben vedere sono già iniziate nei giorni seguenti all’assalto, quando la Speaker Democratica Nancy Pelosi ha ordinato, non senza proteste e defezioni, che Capitol Police introducesse dei controlli simili a quelli aereoportuali anche per l’accesso di parlamentari e senatori al Congresso.

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L’Afghanistan di Biden – C. Bertolotti a Checkpoint RAINEWS24 – 26 gennaio 2021

Il ritiro parziale di Washington dall’Afghanistan è una mina che Trump ha lasciato al suo successore, sebbene il ritiro sia stato ordinato dall’allora presidente Barack Obama. Ora, Joe Biden potrebbe dover prendere una decisione impopolare: inviare ulteriori truppe allo scopo di impedire la conquista totale del Paese da parte talebana. E ancora: quale il ruolo della Cina?

Claudio Bertolotti, Direttore START InSight, ne ha parlato con Emma Farnè a Checkpoint – RAINEWS24

Link diretto a Checkpoint RAINews24

Negoziati intra-afghani, a che punto siamo?

Procedono a rilento con i tempi imposti dai talebani e accettati da Stati Uniti e governo afghano. I primi intenzionati a disimpegnarsi dalla guerra più lunga, i secondi molto preoccupati e forse anche rassegnati a un futuro estremamente incerto che sarà caratterizzato da un crescente potere dei talebani.
Il governo afghano ha concesso tutto ciò che i talebani hanno chiesto: tempi del negoziato, rilascio dei prigionieri, riduzione delle operazioni militari. E lo ha fatto su richiesta e pressione statunitense. Ma ha ottenuto ben poco, anzi, Oggi il dialogo negoziale ci sta portando verso una possibile soluzione che vedrà i talebani accedere alle forme di potere formale, imporre una rinuncia di sostanza di quelli che sono i diritti ad oggi previsti dalla costituzione afghana e, in particolare, lo stesso ordinamento democratico del paese sarà ridimensionato. E questo accadrà non perché gli Stati Uniti se ne andranno, perché lo faranno così come aveva pianificato Obama e poi Trump ha in parte realizzato, ma perché quella afghana è una guerra che non poteva più essere vinta e che le forze di sicurezza afghane non potranno mai affrontare con successo.
Di fatto il tavolo negoziale, formalizzato a febbraio dello scorso anno, avviato a settembre porterà progressivamente verso uno Stato che sarà sempre più simile all’Emirato islamico così come lo immaginano i talebani, e con un’economia saldamente ancorata al traffico di oppiacei di cui l’Afghanistan è il maggior produttore globale.

Negoziati USA-talebani, ritiro usa, e che cosa vuol dire per amministrazione biden “rivedere” accordo

In base ai negoziati di Doha di un anno fa, gli Stati Uniti hanno chiesto due cose ai talebani in cambio del ritiro delle forze militari dall’Afghanistan: ridurre dell’80% i loro attacchi. Non lo hanno fatto. Poi hanno chiesto di tagliare i legami con al-Qa’ida. E i talebani non solo non lo hanno fatto ma hanno consolidato le relazioni con i qaedisti operativi nell’area a sud dell’Afghanistan.
Ci saremmo potuti aspettare un mancato ritiro delle truppe di Washington, ma così non è stato, anche perché l’allora presidente Donald Trump voleva dichiarare chiusa la partita afghana. Ora, il ritiro parziale delle truppe statunitensi è una mina che l’amministrazione Trump ha lasciato al suo successore, e la scadenza fissata al 1° maggio per il ritiro delle restanti 2500 truppe è la più grande sfida per Biden.
Sebbene non sia chiaro se Biden ritirerà tutte le truppe statunitensi entro la data concordata la nuova amministrazione ha dichiarato di voler sostenere la “diplomazia” con i talebani, esortando il gruppo a ridurre la violenza, a partecipare “in buona fede” ai negoziati e a tagliare i legami con al-Qa’ida – cosa che però non avverrà, con buona pace di chi ancora crede alle garanzie dei talebani.
E allora, il presidente Biden potrebbe essere costretto a prendere una decisione impopolare: l’invio di ulteriori truppe in Afghanistan allo scopo di impedirne la conquista totale da parte talebana.

Ruolo cina in afghanistan: indiscrezione cnn e interessi economici

La Cina, dopo due decenni dall’abbattimento del regime talebano, senza essere coinvolta nella lunga guerra, è riuscita a proporsi come valida alternativa, implementando il proprio ruolo di «sponsor della stabilità» in Afghanistan, ruolo che crescerà sempre più a mano a mano che le truppe occidentali diminuiranno. Sebbene non direttamente sul campo di battaglia, la Cina è entrata, sul piano politico, economico e diplomatico, a pieno titolo tra gli attori del nuovo grande gioco afghano. E i grandi interessi economici legati all’estrazione di minerali rari dal sottosuolo afghano rappresentano una garanzia in questo senso.
La notizia riportata dalla CNN in merito alla possibile presenza della Cina dietro ad alcuni gruppi di opposizione armata va valutata con cautela e, se confermata, potrebbe essere letta come una probabile reazione cinese alla politica dell’amministrazione Trump certamente non benevola nei confronti della Cina, in particolare per quanto riguarda il l’espansione economica e commerciale di Pechino attraverso le numerose vie della seta che si stanno estendendo a livello globale.


La strategia egiziana in Libia: tra mediazione diplomatica e intervento militare

di Alessia Melcangi, Atlantic Council – Università “La Sapienza”

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L’Egitto a sostegno del generale Khalifa Haftar vorrebbe evitare un intervento militare oneroso e dagli esiti imprevedibili, ma non a ogni costo. Se l’opzione diplomatica dovesse rivelarsi non perseguibile, allora il Cairo potrebbe rispolverare l’opzione militare per la Libia

Gli ultimi sviluppi sul fronte libico sembrano aver dato nuovo impulso all’iniziativa diplomatica egiziana: il 23 settembre il presidente al-Sisi ha, infatti, riunito il generale Haftar, leader dell’LNA, e il portavoce del parlamento di Tobruk Aguila Saleh, esortando le parti in conflitto a riavviare il processo politico sotto la supervisione dell’ONU con l’obiettivo di ripristinare la sicurezza e la stabilità nel paese (Ahram, 2020).

La volontà del Cairo di abbandonare momentaneamente l’opzione militare a favore della ripresa del dialogo tra i gruppi rivali avviene in conseguenza del cessate il fuoco annunciato a fine agosto dal GNA di Tripoli. L’Egitto non è nuovo a questo tipo di strategia che, dalla caduta di Gheddafi nel 2011, si è dispiegata su due fronti: da una parte, quello della mediazione politica che potesse arrivare a una soluzione diplomatica del conflitto; dall’altra parte, sostenendo logisticamente e militarmente l’offensiva di Haftar contro Tripoli, insieme agli storici alleati della regione, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e l’Arabia Saudita, spingendosi fino a minacciare di avviare un conflitto per la difesa della propria sicurezza nazionale e dei propri interessi in Libia (Melcangi, 2020).

Con la discesa in campo della Turchia a fianco del GNA ‒ a seguito degli accordi stipulati tra i due paesi a dicembre 2019 sulla demarcazione dei confini marittimi e sulla cooperazione militare (Butler, Gumrukcu, 2020) ‒, l’opzione diplomatica è sembrata sempre più impossibile e inefficace per il Cairo che, progressivamente, si è trovato costretto a ricalibrare la propria azione in Libia; la Turchia infatti, oltre a essere un rivale geopolitico di cui al-Sisi teme la proiezione strategica, in particolare nel Mediterraneo orientale, rappresenta oggi anche uno dei più fieri sostenitori di quell’islam politico contro il quale si è invece schierato il Cairo insieme agli emiratini e i sauditi.

La ritirata dal fronte occidentale a cui è stato costretto nell’aprile 2020 l’Esercito Nazionale Libico, insieme alle milizie che combattono a fianco di Haftar, ha spinto il Cairo, che temeva il collasso del generale e di perdere il controllo sulla Cirenaica a favore di Ankara, a riprendere il percorso diplomatico chiedendo un cessate il fuoco. Il 6 giugno 2020, il presidente egiziano ha annunciato la cosiddetta “Dichiarazione del Cairo” (Mezran, Melcangi, 2020), sostenuta da Haftar e da Aguila Saleh e basata su una risoluzione intra-libica che potesse rilanciare il processo di pacificazione; questa, tuttavia, ha trovato l’opposizione ferrea di Ankara e del governo di Tripoli. L’opzione diplomatica si è, dunque, trasformata in un monito di guerra lanciato da al-Sisi contro il GNA e i suoi sostenitori, posizionatisi vicino alla cosiddetta linea rossa di Sirte-Al-Jufra, alle porte della ricca e contesa mezzaluna fertile.

Storicamente la Libia rappresenta per l’Egitto un paese di grande importanza per la sua proiezione geopolitica regionale, dal punto di vista della sicurezza interna, per evitare il dilagare della violenza nel suo territorio a causa della possibile penetrazione di gruppi jihadisti dalla porosa frontiera al confine con la Cirenaica; da un punto di vista economico, per far fronte alle conseguenze della drastica diminuzione delle rimesse dei lavoratori emigranti egiziani in Libia, che rappresentano una grave minaccia per la stabilità e la sicurezza interna dell’Egitto; ma anche per riaffermare la propria immagine di perno geostrategico regionale pronto a difendere i propri interessi in quel grande scacchiere geo-economico che è oggi il Mediterraneo Orientale. Ma a seguito degli ultimi eventi il Cairo ha momentaneamente deciso di riporre l’ascia di guerra e ritornare alla strategia diplomatica: il 29 settembre a Hurghada hanno avuto luogo importanti colloqui tra le delegazioni militari in rappresentanza del GNA e dell’LNA sul tema della sicurezza e sulla possibile ripresa dei negoziati nell’ambito del 5+5 Joint Military Committee (JMC). Sostenuto fortemente dalla Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), tale incontro ha permesso all’Egitto di riscuotere il plauso pubblico dell’organizzazione per il suo impegno a sostegno del dialogo tra le varie fazioni libiche (UNSMIL, 2020).

Analisi, valutazioni, previsioni

Nel suo discorso alla 75° sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente egiziano al-Sisi ha ribadito l’intenzione di voler aderire al processo di risoluzione politica condotto dall’organizzazione nel paese sostenendo il popolo libico nel suo processo verso la pacificazione del conflitto; ma, al contempo, ha anche sottolineato che la linea che si estende tra le città libiche di Sirte e Jufra continua ad essere considerata come una linea rossa non oltrepassabile per la sicurezza nazionale[1].

Di fatto, l’impressione è che l’Egitto sia ben felice di evitare un intervento militare costoso e dagli esiti imprevedibili, ma non a ogni costo. Se l’opzione diplomatica dovesse rivelarsi inefficace o non garantisse gli interessi strategici egiziani in quel paese, allora il Cairo potrebbe rispolverare l’opzione militare, mai del tutto accantonata. E dato che la partita in gioco in Libia rimane decisamente fluida, la scelta fra armi e diplomazia è tutt’altro che scontata.

Foto: M.T. Elgassier

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[1] Statement by H.E. President Abdel Fattah El-Sisi before the 75th Session of the UN General Assembly, 24 settembre 2020, in https://www.sis.gov.eg/Story/152277/Statement-by-H.E.-President-Abdel-Fattah-El-Sisi-before-the-75th-Session-of-the-UN-General-Assembly?lang=en-us


Anche senza Trump, il cospirazionismo di QAnon può diventare la nuova minaccia globale

di Andrea Molle

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I movimenti cospirazionisti rappresentano oggi un’emergenza sempre più paragonabile al terrorismo di matrice religiosa. Se in passato la preoccupazione degli addetti ai lavori era per il pericolo di diffusione di fake news (Altay et al., 2019), compresi gli effetti perversi sulle elezioni (Allcott e Gentzkow, 2017), oggi l’attenzione degli esperti è monopolizzata dal rischio sicurezza (Amarasingam e Argentino, 2020; Rottweiler e Gill, 2020; Schabes, 2020) e dalle voci insistenti che suggeriscono una penetrazione attiva del cospirazionismo nelle forze armate e nelle forze dell’ordine. Se la presunta infiltrazione fosse realmente pervasiva, alcuni osservatori temono per la futura tenuta delle società democratiche. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, tra questi movimenti in costante evoluzione spiacca quello di QAnon. Su queste stesse pagine abbiamo già messo in luce come QAnon agisce e quanto si è diffuso a partire dalla sua nascita nel 2016. Tuttavia, riteniamo che sia necessario approfondire alcuni concetti fondamentali per comprenderne meglio la natura.

Un movimento cospirazionista che è anche una setta religiosa

In primo luogo, va sottolineato come il fascino esercitato dal cospirazionismo e in particolare da QAnon su certi individui, e settori della società, possa essere direttamente paragonabile a quello di matrice politico-religiosa tipica della minaccia jihadista (Basit, 2020; Day e Kleinmann, 2017). L’impianto teorico di QAnon è infatti strutturato, ad arte, come una teologia sui generis e diventa per i suoi seguaci una vera e propria lente attraverso la quale interpretare la realtà proprio come accade nel caso della religione. Predomina inoltre un secondo elemento, tipico delle sette più violente (Juergensmeyer, 2018), e cioè una componente escatologica, apocalittica, che possiamo riassumere nell’idea per la quale il mondo starebbe vivendo le fasi finali di una guerra santa cosmica tra il bene e il male, rappresentati rispettivamente dai “QAnonisti” e dal deep state. Non sorprende che, secondo il movimento cospirazionista, la battaglia sarà vinta dalle “forze della luce”, il bene, ed è invece interessante notare l’assenza di un’idea definita di ciò che le seguirà. Ma ciò non desta che un interesse marginale tra i seguaci di Q, per i quali l’accento è piuttosto sul concetto di battaglia cosmica in sè che sulle sue conseguenze, a riprova di quanto sia forte la dimensione settaria di QAnon. Nemmeno il fallimento della profezia, in questo caso a seguito della sconfitta elettorare di Trump, può considerato come l’inizio della fine di QAnon. L’analisi di numerosi movimenti religiosi settari, o gruppi terroristici millenaristi, che hanno affrontano uno o più casi di “fallimento profetico” suggerisce infatti come esistanto meccanismi di salvaguardia, di razionalizzazione, che si attivano al fine di contenere il danno e fanno sì che i membri del gruppo si impegnino in atti di riaffermazione, spesso di natura ritualistica e in certi comportanto una escalation violenta (Cameron, 1999), per riaffermare la propria ideologia e permettere al gruppo di continuare a esistere (Dawson, 1999).

Un terzo e ultimo aspetto, da tenere sempre presente quando si affronta il tema del cospirazionismo assimilandolo alle esperienze religiose e in particolare a quelle violente, è la sua deriva totalizzante (Dawson, 2007). La presa del movimento sulle persone che lo abbracciano è così forte che finisce per renderle psicologicamente dipendenti, facendo anche sì che la loro capacità critica si indebolisca gradualmente fino a perdere cognizione della differenza tra realtà e fantasia (Lawton, 2020; Straus, 1986). In psicologia sociale questo effetto è noto come apofenia (Fyfe et al., 2008; Leman e Cinnirella, 2007), cioè il riconoscimento di patterns o connessioni logiche in dati casuali o addirittura privi di senso. Nel caso di QAnon si tratta di una forma eterodiretta di apofenia, resa possibile dalle modalità, pseudo-interattive, che il movimento usa per diffondersi (Papasavva, 2020).

Come avviene nel caso delle sette religiose, i nuovi affiliati a QAnon si inseriscono (o vengono appositamente inseriti) in una bolla sociale fatta di persone con opinioni sostanzialmente omogenee, creando così quella dinamica che in sociologia è definita come “incapsulamento sociale” (Greil e Rudy, 1984), ovvero l’isolamento del soggetto da influenze esterne che ne potrebbero compromettere la radicalizzazione. Pertanto, l’appartenenza al gruppo e la socializzazione alle teorie di QAnon diviene, progressivamente, un’esperienza altamente gratificante. L’aspetto totalizzante di questo processo rende inoltre molto difficile e pericoloso uscirne, tanto da richiedere agli aspiranti apostati un percorso di vera e propria disintossicazione. Negli Stati Uniti, per esempio, si stanno moltiplicando i casi di persone che si sono dedicate anima e corpo alla causa di QAnon fino a perdere il lavoro, ad alienarsi dagli amici o dalla famiglia, perdendosi completamente nella realtà alternativa del cospirazionismo. Ciò ha portato col tempo anche alla creazione di gruppi di ex-membri, come r/QAnonCasualties, che offrono supporto a chi vuole uscirne e che si battono per contrastare la diffusione di QAnon così come è avvenuto, e avviene, per altre sette religiose (Durocher, 1999).

Sembra un gioco, ma non lo è

Se l’intensità dell’incapsulamento sociale è paragonabile a quello di una setta, o addirittura di un’organizzazione terroristica religiosa, il tipo di controllo cognitivo – e cioè il livello di ortodossia richiesto agli aderenti –  è qualitativemanete differente. Diversamente da altri gruppi cospirazionisti, o apertamente terroristi più tradizionali, nei quali il paradigma teorico è estremamente rigido e si richiede di esercitare un controllo cognitivo più stringente sui nuovi membri (Levy, 2007; Harambam e Aupers, 2015), QAnon ha invece adottato una strategia differente (Zuckerman, 2019) sapendo sfruttare magistralmente i meccanismi di “ludicizzazione” e “customizzazione” tipici di alcuni videogiochi ARG (Alternate Reality Games) open world. Ciò ne ha consentito l’espansione su internet all’interno di bolle comunicative fluide e interattive, facilmente adattabili alle esigenze individuali dei suoi membri che si sentono dunque liberi di esplorare ciò che più gli aggrada, ma sostanzialmente impermeabili a confutazioni esterne. Se la diffusione di QAnon avviene principalmente grazie ai social network (Al-Rawi, 2020; Beach et al., 2012), ciò non vuol dire che il movimento non abbia avuto gravi ricadute nella vita reale, contribuendo anche a ispirare azioni violente, che ne hanno irrimediabilmente aumentato il fascino, proprio come avviene nel caso dei gruppi LARP (live action role-playing game). Per questo, in genere, QAnon ha successo con le persone che vedono nella rete internet il mezzo principale per l’acquisizione di informazioni e interazione sociale, ma che conducono uno stile di vita sostanzialmente estroverso e comunitario.

È necessario tuttavia precisare che se è vero che, come suggerito nella letteratura specialistica (Uscinski, 2018; Uscinski, 2013), caratteristiche sociali quali una minore cultura, una tendenza al pensiero irrazionale, visioni politiche estremiste di destra, l’estremismo religioso cristiano, la giovane età o l’instabilità economica rendono le persone mediamente più attratte da QAnon, nessuno di questi tratti permette di definire un profilo ideale di reclutamento. Come avvenne negli anni ’80 in occasione del cosiddetto “Panico Satanico” (Victor, 1994), QAnon ha infatti presa anche su persone estremamente razionali, di ottima cultura e include anche progressisti e militanti di sinistra oltre che aderenti a varie religioni e anche atei. Ciò avviene, ricordiamo, perché QAnon permette di avvicinarvisi percorrendo strade diverse nelle quali ci si può trovare a partecipare in varie modalità, privilegiando alcuni aspetti o teorie e tralasciandone altre, a seconda di come si decide di avvicinarsi alla codifica degli “indizi” e alla risoluzione dei “puzzle” proposti da Q (Chandler, 2020). Allo stesso modo si può essere coinvolti nel movimento in modo pacifico, come semplici diffusori di informazioni, come “ricercatori” oppure, nei casi più gravi, come “miliziani” e finire per farsi coinvolgere in atti criminali e violenti. Va aggiunto, tuttavia, che una volta che si partecipa attivamente al “gioco”, gli effetti socio-psicologici, che sono ben documentati in letteratura (McAdam, 1986), dell’attività di gruppo prendono il sopravvento e si passa, a livello individuale, a una maggiore conformità alle aspettative del gruppo e, a livello collettivo, a una maggiore tolleranza nei confronti di azioni rischiose e addirittura di tipo terroristico.

Il cospirazionismo non è pertanto un fenomeno che riguarda esclusivamente alcuni settori demografici (Miller e Saunders, 2016). Guardano al caso americano, ad esempio, si è visto come tra i partecipanti all’assalto al Campidoglio, avvenuto il 6 Gennaio 2021, figurassero disoccupati quanto affermati professionisti, donne e uomini, giovani e anziani e anche come, paradossalmente, ebrei sionisti ortodossi e cristiani evangelici neonazisti non abbiano esitato ad unirsi in protesta. I fatti di Washington hanno dimostrato senza ombra di dubbio la pericolosità di QAnon come fenomeno collettivo, ma è almeno dal 2019 che l’FBI e diverse agenzie internazionali di intelligence ne seguono le attività, spesso criminali. In aggiunta agli attacchi perpretati e alla loro sporadica attività criminale, i seguaci americani di QAnon mostrano indiscriminatamente un allarmante e crescente livello di iper-aggressività, anche nel corso di normali interazioni con persone che non la pensano come loro ma che non sono considerati dei nemici (de Zeeuw, 2020).

Possibili conseguenze per il sistema politico europeo

In Europa, l’unico esempio simile a quanto sta avvenendo in America è la strage di Hanau in Germania (Baele et al., 2020a; Ibidem, 2020b), dove il 19 febbraio 2020 un estremista di estrema destra vicino a diverse teorie cospirazioniste, tra le quali QAnon, ha ucciso 10 persone e ne ha ferite altre 5 in un attacco suicida. Non è ancora chiaro invece il coinvolgimento dei suoi seguaci in attività criminali o terroristiche sul modello di quanto registrato dall’FBI. Ciò dipende certamente da diversi fattori culturali e legali oltre che, ovviamente, dall’accesso limitato ad armamenti personali, ma anche dall’assenza di una massa critica di individui tali da consentire a QAnon di compiere il “salto di qualità”. Con meno di un terzo di affiliati rispetto all’America, la diffusione di QAnon nel continente europeo è infatti ancora abbastanza marginale. Anche se numericamente circoscritti, i gruppi e i singoli account che fanno capo a QAnon sono però ormai ben radicati sui maggiori social media e nella vita politica del continente. Ad esempio, l’analisi della presenza online di QAnon nel 2020 mostra che la sua attività in Italia è una frazione paragonata a quella americana e quantitativamente anche più modesta rispetto ad altri paesi europei quali Germania e Regno Unito, dove comunque il movimento non supera i 200.000 seguaci. Pur non esistendo ancora analisi sistematiche, si contano circa 30.000 seguaci stabili di QAnon anche nella penisola, ma si tratta purtroppo di un fenomeno in crescita, anche grazie anche alla pandemia di COVID-19, e sempre più aggressivo.

Anche rispetto ai contenuti diffusi il QAnon europeo non è ha ancora raggiunto la complessità dimostrata negli Stati Uniti. Per adesso la bolla Europea di QAnon si occupa sostanzialmente di tre temi: le elezioni presidenziali americane, la pandemia di COVID-19 e la lotta contro l’Unione Europea, in tutti i casi considerandoli aspetti dello stesso complotto internazionale ordito dalla cabala satanico-pedofila del deep state. L’uso politico di QAnon è comunque molto preoccupante. Negli USA, dove ormai QAnon opera di concerto con altri gruppi del suprematismo bianco come Boogalo Bois, Oath Keepers, Guardians of the Republic, 3%rs, Krakens e Proud Boys, la penetrazione del cospirazionismo in politica è purtroppo oramai data per scontata. Il cosiddetto “caucus cospirazionista” è oggi un elemento fondamentale di quello che possiamo chiamare il Trumpverse, e cioè una nuova realtà della politica caratterizzata dalla normalizzazione di gruppi ideologicamente estremisti e dall’assenza di riferimenti logici e fattuali (Partin e Marwick, 2020). Non dimentichiamo che, con l’appoggio esplicito ricevuto in passato da Donald Trump, QAnon è riuscito a far eleggere due suoi rappresentanti nel Congresso americano e molti più occupano posizioni chiave a livello locale (Margulies, 2020).

Nonostante esistanto diversi studi in proposito, è invece difficile indicare una data precisa nella quale QAnon, e in generale il cospirazionismo militante, ha iniziato a penetrare nella società (Plenta, 2020; Juhász e Szicherle, 2017) e soprattutto nell’agenda politica dei paesi europei. Il primo passo è stato quasi certamente l’uso politico inconsapevole di alcuni temi cari al cospirazionismo, come ad esempio le scie chimiche, i vaccini, i microchip sottocutanei, e la finanza internazionale. Tuttavia, se nella base elettoriale di quasi tutti i partiti troviamo ormai persone vicine al cospirazionismo e qualche sporadico esponente che ne abbraccia alcuni elementi a titolo personale, in generale i soggetti politici istituzionali europei hanno più volte preso ufficialmente le distanze da questo mondo. Per il momento dunque nessun movimento politico sembra essere infiltrato da QAnon come è invece avvenuto in USA, anche se isolati capi di governo dichiaratamente populisti come ad esempio Orban, il premier ungherese, sembrano propendere per un avvicinamento al cospirazionismo in chiave internazionale (Antonio, 2019).

L’interesse per il populismo e i movimenti sovranisti

È comunque evidente nell’analisi della presenza mediatica dei seguaci di QAnon un crescente interesse del movimento verso gli estremismi politici e in particolare verso la destra sovranista. Si tratta di un trend che desta serie preoccupazioni tra gli analisti (Bodner et al., 2020; Bergmann, 2018; Castanho Silva, 2017; Oliver e Rahn, 2016). Tra la posizioni politiche che hanno suscitato più interesse troviamo, in primo luogo, la vicinanza, se non il vero e proprio “tifo”, a Donald Trump espresse più volte da diversi partiti sovranisti. A questo si è aggiunge la posizione di netta di avversità all’Unione Europea e, infine, le varie posizioni negazioniste espresse relativamente all pandemia di coronavirus e il giudizio negativo sui provvedimenti di contenimento intrapresi dai governi in carica e riscritte in chiave di una presunta “dittatura sanitaria” globale. Infine, il vero e proprio cedere a tentazioni cospirazioniste, come ad esempio alla narrazione del cosiddetto Piano Kalergi o l’aperta ostilità nei confronti del finanziere internazionale di origine ebraica Soros, considerato nel mondo cospirazionista come una figura demoniaca. Così come avvenuto in un primo momento nell’America di Trump, anche i leader politici europei dei movimenti estremisti non sembrano esitare ad attingere a questi temi facendo leva sull’irrazionalità più estrema, in quanto politicamente utile ed estremamente fruttuosa dal punto di vista elettorale. L’elevata utilità marginale del cospirazionismo sta finendo per avvicinarne le posizioni politiche a quelle di QAnon, non solo attirandone l’attenzione dal punto di vista elettorale, ma aprendo la strada ai suoi membri per conquistare posizioni di potere all’interno del sistema partitico continentale in modo non dissimile da quanto accaduto nel caso del Partito Repubblicano Americano.

Dal canto suo la comunità americana dei followers di Q ha dimostrato un forte interesse per una penetrazione più attiva nella società europea, come recentemente segnalato con l’aumento del coinvolgimento dell’Europa nella propria narrazione cospirazionista. L’ultima presunta novità sulla millantata frode elettorale, e cioè il coinvolgimento diretto dell’Italia, ne è un esempio palese. Da qualche settimana circola infatti la voce che il software usato per truccare le elezioni sarebbe opera di aziende italiane, realizzato dietro richiesta diretta, tramite la CIA e l’Ambasciata Americana a Roma, di Barack Obama al ex-premier Matteo Renzi. Oggi si legge, nelle parole di uno dei più fedeli sostenitori di Trump, l’imprenditore Mike Lindell, che a tirare le fila dell’operazione ci sarebbe addirittura il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, segnalando convinzione di una sostanziale continuità di appoggio della politica italiana al progetto del deep state. Non sappiamo se questa teoria abbia avuto origine in Italia o in America, ma come sempre va notato che QAnon mescola fatti reali, come l’arresto di un dipendente di Leonardo per presunta compravendita di informazioni riservate, con supposizioni e fantasie vere e proprie.

Conclusioni

In conclusione, QAnon rappresenta un pericolo crescente per l’Europa. I seguaci di Q non sono pericolosi solo a causa del loro progetto eversivo, ma soprattutto lo sono per la facilità con cui si moltiplicano, radicalizzano, e per le modalità totalizzanti e potenzialmente violente con cui perseguono i loro obiettivi. Rifiutando la fattualità distruggono ogni terreno comune di discussione erodendo la base stessa del confronto razionale, rendendo estremamente difficile attuare politiche di mitigazione e anti-radicalizzazione. Inoltre, essendo sostanzialmente zeloti privi di dubbi, perché tutto diventa giustificabile grazie alla cripticità dei messaggi di Q, dimostrano uno spiccato livello di coesione e perseguimento degli obbiettivi preposti paragonabile a quello di movimenti terroristici di matrice religiosa. Infine, potenzialmente, non sembrano porsi limiti nella lotta, anche violenta, verso coloro che percepiscono come avversari all’interno della cornice di una battaglia tra bene e male. In virtù di queste sue caratteristiche è dunque necessario trattare QAnon come un movimento terrorista di matrice religiosa radicale che è sempre più chiaramente una minaccia per la democrazia.

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Principali eventi nell’area del Maghreb e del Mashreq – Dicembre

Algeria: l’Italia ha firmato un MoU per rafforzare il partenariato politico e di sicurezza

L’Algeria e l’Italia, lo scorso 5 dicembre, hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) per il dialogo strategico bilaterale di partenariato, le questioni politiche comuni e la sicurezza globale. Il protocollo d’intesa è stato firmato ad Algeri in occasione della visita del ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio e del suo omologo algerino Sabri Boukadoum. Il memorandum d’intesa mira a sviluppare un “partenariato bilaterale” in particolare su temi condivisi quali la Libia, il Mali e, più in generale, la regione del Mediterraneo (Xinhua, 2020,1).

Egitto: esercitazioni navali congiunte con la Grecia nel Mediterraneo

Il 30 novembre, le forze navali egiziane e greche hanno condotto esercitazioni militari congiunte nel Mar Mediterraneo. Le esercitazioni hanno riguardato attività di addestramento operativo e logistico. L’esercitazione è stata condotta dalle unità navali egiziane che avevano già partecipato alle esercitazioni egiziano-russe “Friendship Bridge-3”, concluse a fine novembre nel Mar Nero (Xinhua, 2020).

Israele: Trump annuncia la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Marocco

Il Marocco è il quarto paese del Medio Oriente e della regione nordafricana ad avviare piene relazioni diplomatiche con Israele. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ringraziato il re del Marocco e ha accolto con favore lo “storico” accordo di pace tra Israele e Marocco avvenuto all’inizio di dicembre. L’evento segue i recenti passi avanti fatti da Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan nello stabilire legami diplomatici con Israele, accordi in gran parte mediati da Jared Kushner, consigliere e genero dell’allora presidente Donald Trump, e da un team di negoziatori. L’avvio delle relazioni diplomatiche tra i due paesi si è inserito all’interno del progetto politico statunitense di costituzione di un “blocco di solidarietà” tra Israele e diversi paesi arabi come mezzo di contrasto all’influenza iraniana nella regione (Salama, 2020).

Libano: “rivolte del pane” a Beirut per la sospensione dei sussidi per i beni di prima necessità

Continuano le proteste in Libano. Violente manifestazioni nel centro della capitale libanese: i manifestanti hanno incendiato pneumatici e tentato di raggiungere il parlamento. Gli hashtag #lifting_of_subsidies e #Lebanon_revolts sono stati i principali trend su Twitter in Libano. Le manifestazioni di protesta sono state alimentate dalle dichiarazioni del capo della banca centrale in merito alla possibilità di non rinnovo dei sussidi per l’acquisto di farina, carburante e medicinali. In un paese in cui, come più volte evidenziato dalle Nazioni Unite, è in corso una catastrofe sociale per le famiglie più povere la banca centrale ha tentato di arginare la crisi fornendo a tasso favorevole valuta estera agli importatori di beni di prima necessità (tra cui farina e carburante) mentre la sterlina libanese continua a perdere valore a causa della prolungata crisi economica.

Libia: pescatori italiani detenuti dal cosiddetto “esercito nazionale libico” di Haftar

“La guerra del gambero rosso” del Mediterraneo è un elemento che conferma la perdita di influenza dell’Italia in Libia: a fine agosto 2020 le milizie libiche hanno fermato e sequestrato due pescherecci italiani operanti a 35 miglia al largo di Bengasi, città portuale della Libia orientale attualmente controllata dalle milizie del generale Khalifa Haftar. Da allora, i 18 membri dell’equipaggio (8 italiani, 6 tunisini, 2 indonesiani e 2 senegalesi), accusati di invasione delle acque libiche, sono trattenuti all’interno delle strutture detentive di Bengasi, mentre Italia e Libia continuano a negoziare il loro rilascio. Circa 40 pescatori sono stati feriti e detenuti negli ultimi 25 anni: sono state sequestrate più di 50 barche, e il rilascio di ognuna è costato fino a 50.000 euro, prezzo pagato solitamente dagli stessi pescatori (D’Ignoti, 2020). L’evento in sé, associato al sequestro e all’immediato rilascio del mercantile turco avvenuto nel mese di dicembre, evidenzia la perdita di influenza dell’Italia in Libia e nel Mediterraneo a favore di altri attori, tra i quali certamente la Turchia (Zahn, 2020).

Marocco: Gli Usa riconoscono la sovranità di Rabat sul Sahara occidentale

Il Marocco è diventato il quarto paese del Medio Oriente e della regione nordafricana a stabilire piene relazioni diplomatiche con Israele: un importante risultato di politica estera per l’amministrazione di Donald J. Trump alla ricerca del sostegno regionale a Israele, in risposta all’attivismo iraniano. Come parte dell’accordo, gli Stati Uniti hanno annunciato di “riconoscere la sovranità marocchina sull’intero territorio del Sahara occidentale”. “Un’altra svolta storica oggi! I nostri due grandi amici, Israele e il Regno del Marocco, hanno concordato di stabilire piene relazioni diplomatiche: un enorme passo avanti per la pace in Medio Oriente! “, ha annunciato l’allora presidente Donald Trump su Twitter (@realdonaldtrump, 11 dicembre 2020). La rivendicazione del Marocco sull’area non è ampiamente condivisa, e le Nazioni Unite considerano il Sahara occidentale un “territorio non autonomo”. Nota come “l’ultima colonia dell’Africa”, l’area contesa si trova tra il sud del Marocco e la Mauritania ed al centro dell’ambizioso progetto di sviluppo del governo marocchino, impegnato ad aumentare gli investimenti e a ridurre la disoccupazione nel tentativo di placare la popolazione saharawi che da tempo cerca l’indipendenza (Salama, 2020), anche attraverso il confronto armato guidato dal fronte del Polisario sostenuto dalla minoranza saharawi.

Tunisia: i manifestanti in Tunisia interrompono la produzione di fosfato

A fine novembre le proteste antigovernative in nome del diritto al lavoro hanno portato allo stop dell’intera produzione di fosfato tunisino. La Gafsa Phosphate, società a gestione statale è stata azienda leader globale nell’estrazione e lavorazione di minerali fosfatici utilizzati per la produzione di fertilizzanti; un settore che ha rappresentato per la Tunisia un’importante fonte di valuta estera. Ma oggi la produzione di fosfati in Tunisia è diminuita in conseguenza della riduzione della domanda da parte del mercato e a causa delle proteste e degli scioperi che hanno costantemente ridotto la produzione e causato perdite per miliardi di dollari. Il governo, che si è impegnato a rispondere alle richieste delle comunità locali interessate dall’attività estrattiva, è però impegnato ad affrontare quella che è la più grave crisi finanziaria della storia tunisina, con un deficit di bilancio pari all’11,4% del PIL (Al Jazeera, 2020).


Le elezioni in Uganda, M. Cochi – RaiNews24

Museveni mantiene saldo il potere in Uganda

La vittoria di Yoweri Museveni nelle presidenziali ugandesi dello scorso 14 gennaio sancisce la sesta rielezione del settantaseienne, dopo oltre tre decenni al potere. Nel luglio 2018, il presidente ha emendato la Costituzione rimuovendo l’articolo che limitava di diventare presidente oltre i 75 anni. Una decisione che ha scatenato proteste di piazza tra i giovani ugandesi, i quali speravano nell’affermazione del suo sfidante: il trentottenne cantante reggae Bobi Wine. Così Museveni mantiene saldo il potere su un paese che non ha mai avuto un cambio di potere pacifico, da quando nel 1962 ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito.

Ne parla Marco Cochi a RaiNews24


Principali eventi nell’area del Maghreb e del Mashreq – Novembre

Algeria: Partnership strategica globale Cina-Algeria nel campo dell’ICT

Una delegazione cinese guidata da Yang Jiechi, membro dell’ufficio politico e direttore dell’ufficio della Commissione Affari Esteri del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC), ha effettuato una visita ufficiale di due giorni in Algeria dal 10 all’11 Ottobre 2020 (Agenzia Ecofin, 2020). Algeria e Cina hanno discusso della necessità di rafforzare la cooperazione bilaterale nel campo della tecnologia della comunicazione dell’informazione (ICT). La Cina ha espresso la sua disponibilità “a promuovere la piena cooperazione con l’Algeria nei settori dell’economia, del commercio, della scienza, della tecnologia e dell’antiterrorismo in modo da elevare il partenariato strategico globale bilaterale a un livello superiore” – ha affermato Yang Jiechi”. Momento clou dell’incontro è stata la firma di “un accordo di cooperazione economica e tecnica, pari a un contributo di 100 milioni di yuan (14,8 milioni di dollari). La Cina ha dichiarato di essere disposta a collaborare con l’Algeria per rafforzare l’iniziativa cinese della Belt and Road Initiative e aiutare alla realizzazione del nuovo piano di rilancio economico dell’Algeria (Xinhua, 2020).

Egitto: Il Cairo ratifica l’accordo marittimo con la Grecia

Il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi ha ratificato il 10 ottobre un accordo marittimo che stabilisce il confine del Mar Mediterraneo con la Grecia e delimita una zona economica esclusiva (EEZ) per i diritti di perforazione di petrolio e gas. L’accordo bilaterale è visto come una risposta a all’accordo tra la Turchia e il governo libico di Tripoli, da cui sono derivate tensioni nella regione del Mediterraneo orientale, e alla controversa esplorazione marittima della Turchia di petrolio e gas. La ratifica è avvenuta due mesi dopo che i ministri degli esteri egiziano e greco avevano firmato l’accordo al Cairo (ratificato dal parlamento greco il 27 agosto). Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha definito “inutile” l’accordo Egitto-Grecia, giurando di implementare il suo patto con il governo di Tripoli (Ekathimerini, 2020).

Israele: normalizzazione dopo i colloqui di cooperazione Israele-Emirati Arabi Uniti

Il 15 ottobre la Knesset (il parlamento monocamerale di Israele, a Gerusalemme) ha approvato a stragrande maggioranza l’accordo di normalizzazione di Israele con gli Emirati Arabi Uniti (EAU). Circa 80 deputati su 120 hanno votato a favore dell’accordo, mentre solo 13 hanno espresso voto contrario. Ventisette parlamentari non hanno partecipato al voto. L’accordo ora necessita del via libera del Consiglio dei Ministri per entrare in vigore. La lista congiunta a maggioranza araba, composta da 15 deputati in rappresentanza dei palestinesi israeliani, aveva dichiarato che avrebbe votato contro l’accordo (Agenzia Anadolu, 2020).

Inoltre, le borse di Israele e degli Emirati Arabi Uniti aprono i colloqui di cooperazione: la Borsa di Israele ha aperto i colloqui preliminari con la Borsa di Abu Dhabi finalizzati a una futura cooperazione. Le due Borse stanno discutendo sulla possibilità di firmare un memorandum d’intesa per disegnare un quadro di cooperazione regionale in vari campi. La notizia è arrivata dopo che il riavvicinamento economico tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) ha portato alla firma dell’accordo di normalizzazione noto come “Abraham Accords Peace Agreement” (Anadolu Agency, 2020).

Libano: colloqui Libano-Israele mediati dagli Stati Uniti sulla controversia sui confini marittimi

I colloqui del 14 ottobre sono i primi tra Beirut e Gerusalemme in 30 anni. Si sono svolti nella città al confine meridionale del Libano, Naqoura, sotto gli auspici delle Nazioni Unite e con la mediazione degli Stati Uniti. La controversia risale al 2011, quando Israele ratificò un accordo sul confine marittimo con la vicina Cipro, utilizzando come punto di riferimento un confine marittimo che Libano e Cipro avevano concordato nel 2007, ma che il parlamento libanese non ha mai ratificato. La tempistica dei negoziati ha portato l’attenzione sulla situazione politica libanese poiché hanno avuto luogo poco dopo che gli Stati Uniti hanno inasprito le sanzioni contro soggetti libanesi legati ad Hezbollah (Azhari, 2020). Questo evento può essere letto, da un lato, come conferma di un interesse economico di entrambe le parti: l’estrazione di petrolio e gas richiede stabilità. D’altra parte, può essere interpretato come un primo timido passo verso la normalizzazione.

Libia: i gruppi rivali della Libia concordano sulla scelta di posizioni sovrane

I delegati di Tripoli e Tobruk hanno annunciato che il secondo ciclo di colloqui si è concluso con un accordo sui criteri di scelta delle politiche per il paese. Il dialogo, iniziato a settembre nella città marocchina di Bouznika, ha visto la partecipazione di cinque delegati del Governo di Accordo Nazionale (GNA) con sede a Tripoli e cinque della Camera dei Rappresentanti (HoR) con sede nella città orientale di Tobruk. L’accordo stabilisce che l’HoR e il GNA debbano “raggiungere un consenso sulla leadership delle seguenti posizioni: Governatore della Banca Centrale della Libia, Presidente dell’Ufficio di controllo, Capo dell’Autorità di controllo amministrativo, Capo dell’Agenzia anticorruzione, Presidente e membri dell’Alto commissariato per le elezioni, Presidente della Corte suprema e Procuratore generale”. GNA e HoR continueranno le loro consultazioni in ​​Marocco per garantire la fine della fase di transizione (Al-Jazeera, 2020).

Marocco: l’ONU istituisce un ufficio antiterrorismo in Marocco

Martedì il Marocco ha firmato un accordo con l’Ufficio antiterrorismo delle Nazioni Unite (UNOCT) al fine di istituire a Rabat il primo ufficio africano del programma UNOCT. Il ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita ha affermato che l’ufficio mira a migliorare le capacità dei paesi africani attraverso lo sviluppo di programmi nazionali di formazione contro il terrorismo. Gli osservatori ritengono che il Marocco trarrà vantaggio svolgendo un ruolo di collegamento e mediazione nelle relazioni con le Nazioni Unite e con i paesi arabi e africani (al-Alawi, 2020).

Siria: le forze siriane si scontrano con l’IS

Scontri nel deserto siriano tra forze filo-governative e sacche di resistenza del cd. gruppo Stato Islamico (IS) hanno portato, a ottobre, alla morte di almeno 90 combattenti. Le unità mobili dell’IS sono rimaste attive nel deserto siriano, noto in arabo come Badia, da quando i jihadisti hanno perso il controllo, nel marzo 2019, delle ultime aree di quello che fu il “califfato” (Defense Post, 2020). Gli aerei russi hanno effettuato attacchi a sostegno dell’alleato siriano. Gli scontri hanno avuto luogo in due aree separate del vasto deserto che separa la valle dell’Oronte a ovest dalla valle dell’Eufrate a est.

Tunisia: il peggioramento dell’economia tunisina rischia di destabilizzarsi

Da marzo a giugno 2020, 165.000 tunisini hanno perso il lavoro a causa di una crisi economica che è in progressivo peggioramento ed è aggravata dai nuovi casi di coronavirus. Secondo uno studio congiunto del governo e delle Nazioni Unite, la disoccupazione è salita al 18 percento mentre è previsto che potrebbe superare il 20 percento entro la fine dell’anno. La Tunisia, già impegnata a contenere l’elevata disoccupazione prima dell’inizio della pandemia, ha subito una contrazione record della sua economia. Il PIL è stato ridotto del 21,6% nel secondo trimestre del 2020, una contrazione dell’attività economica senza precedenti (The North African Journal, 2020).


Il movimento terrorista QAnon: la sua evoluzione dal Pizzagate all’attacco al Campidoglio

di Andrea Molle

Il 6 Gennaio 2021 verrà ricordato dalla storia come il giorno in cui il Congresso americano è stato assediato da un gruppo di sostenitori del Presidente incapaci di ammetterne la sconfitta elettorale. Nel giorno che avrebbe dovuto semplicemente ufficializzare la vittoria elettorale di Joe Biden, il Campidoglio è stato invaso da decine di manifestanti la cui intenzione era quella di trovare e distruggere i voti espressi dai grandi elettori, nel vano tentativo di impedire la sconfitta di Donald Trump. Dal canto suo il Presidente uscente, venendo meno ai suoi doveri costituzionali, senza condannare fermamente le violenze che, come si sarebbe poi saputo al termine degli eventi, hanno anche provocato 4 vittime tra i manifestanti, si è limitato a chiedere agli stessi di tornare alle proprie abitazioni, ribadendo ancora una volta che la sua sconfitta è solo frutto di brogli elettorali. In quella che gli analisti già indicano come la più pericolosa crisi costituzionale dai tempi della Guerra Civile, tra i manifestanti spiccano i seguaci del movimento QAnon capeggiati da Jake Angeli, una figura ormai nota alle autorità e agli studiosi delle Teorie complottiste.

Cos’è QAnon e perché rappresenta un pericolo per la democrazia?

Il brand QAnon raccoglie al suo interno i seguaci delle rivelazioni cospiratorie di un anonimo (in gergo “Anon”) utente internet, in realtà uno pseudonimo collettivo, denominato Q. QAnon è un fenomeno di origine americana diffuso oggi, anche grazie alla pandemia di COVID-19, in più di 70 paesi del mondo e che presenta un elevato rischio di radicalizzazione. L’origine di QAnon è recente, sebbene il cospirazionismo sia tipico della società americana già a partire dalla Guerra Fredda. La necessità di monitorare attentamente questo movimento deriva prima di tutto dal fatto che sia per i suoi contenuti che per le sue recenti attività, inclusi i fatti di Washington DC, QAnon pone un serio problema di radicalizzazione e ordine pubblico.

Quando e come nasce QAnon?

L’origine di QAnon è relativamente recente, sebbene il tessuto cospirazionista su cui si sviluppa è una costante della politica americana almeno a partire dalla Guerra Fredda. Ufficialmente, QAnon nasce tra il 2016 e il 2017 a seguito delle elezioni presidenziali americane che videro il candidato repubblicano Donald J. Trump, già identificato come una figura messianica dai diversi gruppi cospirazionisti, prevalere sulla candidata democratica Hillary Clinton. Con l’elezione di Trump, i gruppi che ne avevano supportato la campagna elettorale si sono strutturati come una vera e propria base elettorale del Presidente, indipendente e spesso in contrapposizione con la tradizionale base del Partito Repubblicano, e cui Trump ha fatto costante riferimento per le sue battaglie politiche. Spesso censurati dai media mainstream, questi movimenti hanno finito per raccogliersi sotto l’etichetta di QAnon, creando la massa critica necessaria a strutturare un vero e proprio network dotato di sistema parallelo di social media, come ad esempio le note piattaforme 4chan, 8chan, gab.com, Parlor e Telegram, tramite il quale diffondere le proprie teorie e reclutare nuovi membri. Il brand di QAnon è divenuto così una sorta di franchise che raccoglie oggi tutti quegli individui, e gruppi, che fanno riferimento alle rivelazioni di Q, ma non consiste in una vera e propria organizzazione gerarchica.

Chi è Q e in cosa credono i seguaci di QAnon?

Inizialmente, Q si presentò come un esponente governativo intenzionato a rivelare la verità sul deep state, i “poteri forti”, tramite indizi la cui interpretazione veniva lasciata ai lettori. Questa presunta cabala, formata da politici, imprenditori e attori dediti a rapimenti, sacrifici umani e culti satanici avrebbe l’obiettivo di raggiungere l’immortalità e asservire le masse dopo il grande reset causato dalla pandemia. Dato che il deep state era combattuto solo da Trump, aiutato dai leader sovranisti alleati, la sua mancata rielezione viene oggi letta dai seguaci di Q sia come una sconfitta del loro leader che come la prova dell’esistenza stessa della cospirazione. Per questo motivo i seguaci di QAnon sono oggi attivi sostenitori della teoria dei brogli elettorali e, come si è visto, non esitano a intraprendere ritorsioni violente.

Come vengono costruiti i contenuti di QAnon?

In aggiunta al suddetto core belief di QAnon, ciascun utente o “gruppo di ricerca della verità” può aggiungere o modificare contenuti e adattare il messaggio alle proprie esigenze, come si evince dallo schema successivo.

 

Sulla base delle evidenze empiriche raccolte negli ultimi due anni, la comunità scientifica che studia le teorie del complotto e della cultura partecipativa vede QAnon in continuità con il fenomeno New Age. Per questo motivo QAnon è considerato dagli studiosi come una novità nel mondo cospirazionista e un vero e proprio fai-da-te, un open-world, cospiratorio. Gli stessi analisti considerano come molto elevato il rischio di una radicalizzazione di massa, soprattutto tra le fasce giovani e meno istruite della popolazione. Ciò è dovuto al carattere interattivo, molto appagante, dei sui contenuti cospiratori e ai continui riferimenti alla letteratura di genere fanta-politico che rendono l’esperienza di fruizione di contenuti estremamente avvincente.

Come si diffonde e come opera QAnon?

Sebbene esso sia nato come un fenomeno assolutamente marginale, proprio grazie alla sua flessibilità, esso ha poi preso velocemente piede sui social media. Ad esempio su YouTube, dove creatori di contenuti conservatori come TRU Reporting o SGT Report channel hanno iniziato a produrre decine di video ispirati dagli indizi di Q, ottenendo immediatamente centinaia di migliaia di visualizzazioni. Pochi mesi dopo l’arrivo sulla scena di Q il movimento contava già su una vasta rete di canali YouTube, podcast e libri dedicati al deep state, oltre agli immancabili gadgets a tema come bandiere o magliette che hanno finito per diventare di moda anche tra i non affiliati. Slogan e simboli di QAnon, ad esempio l’hashtag #WWG1WGA (“Where We Go One We Go All”), hanno iniziato a popolare l’ecosistema dei social media e dei movimenti conservatori e hanno fatto capolino nella vita quotidiana e nelle manifestazioni sia di supporto al presidente Trump che più in generale di opposizione al mondo liberal. Allo stesso tempo il fenomeno QAnon ha iniziato a manifestare il suo lato più estremo e radicale, approfittando dell’avvenuta auto-radicalizzazione di certi sui seguaci. Già a partire dal 2017, con il celebre Pizza Gate che vide un uomo armato fare irruzione nel Comet Ping Pong Pizzeria a Washington, DC sostenendo di essere in missione per liberare i bambini tenuti in ostaggio nel seminterrato, diversi affiliati a QAnon sono stati implicati in fatti di cronaca nera. Si stima che a maggio 2020 ben undici omicidi, due assalti a mano armata, due casi di rapimento e due attentati incendiari ai danni di un centro per la pianificazione familiare, che offre interruzioni di gravidanza, e di una moschea siano attribuibili ad esponenti di QAnon. Il crescente numero di questi casi è risultato nella designazione di QAnon come un’organizzazione estremista e oggi anche potenziale minaccia terroristica interna da parte dell’FBI, la prima teoria della cospirazione ad essere classificata come tale. La mancanza di un’organizzazione definita e strutturata, con mandanti identificabili, ha reso tuttavia molto difficile per le autorità americane perseguire gli affiliati QAnon. In molti casi si tratta infatti di individui che aderiscono semplicemente al suo messaggio e ne sfruttano l’ideologia, ma operano in modo autonomo, come ad esempio nel recente attentato di Nashville. In questo caso l’attentatore pare essere stato motivato dall’opposione alla tecnologia 5G e al vaccino contro il virus SARS-COV-2, entrambi da lui considerati come strumenti governativi di controllo delle masse. In altri, il movimento si presenta in modo più strutturato, come nel caso dell’assalto al Campidoglio.

Quanto è realmente diffuso QAnon nel mondo?

Venendo alla sua diffusione, QAnon è presente in più di 70 paesi con interventi che vanno dall’attività di individui direttamente affiliati a reposter occasionali. La diffusione di QAnon è stata poi certamente aiutata dalla recente pandemia di COVID-19 e dalla costante diminuzione della fiducia nelle istituzioni. Se goggletrend rileva un interesse altalenante per il movimento, il numero di Tweet correlati al QAnon è infatti passato dai quasi 5 milioni nel 2017 a oltre 12 milioni nel 2020. Quanto al numero di effettivi seguaci, in America QAnon ha oggi superato il milione e mezzo mentre in Europa si stima intorno ai 500.000 affiliati.

Se Donald Trump rimane una figura chiave della narrazione cospirazionista e il movimento è per la maggior parte incentrato su temi politici americani, stiamo recentemente assistendo a un boom di QAnon anche in Europa, dove il movimento conta seguaci presenti su diversi social media. NewsGuard, un’organizzazione internazionale che valuta l’affidabilità dei siti di informazione, ha recentemente pubblicato un rapporto estremamente dettagliato sul fenomeno QAnon in Europa. In Francia, paese dove il movimento è presente da diverso tempo, sebbene ancora in modo limitato, QAnon è penetrato grazie al movimento dei “Gilet Gialli” ed è oggi in costante crescita grazie al movimento No-Vax. Nel Regno Unito, QAnon ha raccolto i primi consensi durante la campagna per la Brexit. Senza menzionare apertamente il movimento, gruppi come Citizens Unite UK #wakeup utilizzano le idee di QAnon in modo indiretto, con continui riferimenti all’élite globale e alla necessità per i cittadini britannici di impegnarsi a combattere gli attacchi ai loro diritti perpetrati dal Governo. In Germania, la seconda nazione per diffusione dopo gli Stati Uniti, QAnon ha fatto breccia tramite i movimenti di estrema destra e il sentimento anti-Merkel che sono cresciuti esponenzialmente durante il lockdown. Anche certi movimenti di sinistra, in particolare quelli legati alla galassia ecologista, sono sempre più attratti dalla sua retorica. Qui il numero di followers di account associati a QAnon è salito a più di 200.000, secondo la stima più recente della Fondazione Amadeu-Antonio che si occupa di monitorare l’estremismo di destra e l’antisemitismo in Germania. Il più grande canale QAnon in lingua tedesca su Telegram, Qlobal Change, ha quadruplicato i suoi followers nel 2020 raggiungendo l’impressionante numero di 123.000 e oltre 18 milioni di visualizzazioni per i suoi contenuti di YouTube. Nei Paesi Bassi, gli account dei social media che sono apertamente allienati con movimenti politici di estrema destra hanno similmente preso in prestito temi tipici del movimento americano. Ciò è avvenuto principalmente quando il paese è ricorso al lockdown a causa della pandemia di COVID-19. In Italia la reale dimensione di QAnon è ancora largamente sconosciuta ma, come nel caso Olandese, la propaganda di Q è penetrata indirettamente nell’arena politica soprattutto grazie alla propaganda della destra populista e sovranista che vi accede tramite i diversi movimenti identitari che lo sostengono apertamente.

Chi si avvicina a QAnon e come contrastarlo?

Come si è visto QAnon desta serie preoccupazioni tra gli analisti per la velocità, facilità e la pervasività con le quali si diffonde. Inoltre, esso ha già mostrato in America il potenziale per azioni violente di stampo terroristico. Si consiglia pertanto di iniziare a monitorare la presenza sui social media di QAnon in Italia e stabilire una rete di collaborazioni con istituzioni pubbliche e private che già si occupano di questo fenomeno in Europa come negli Stati Uniti. Si tratta evidentemente di un fenomeno complesso da monitorare e che è reso ancora più sfuggente dal fatto che sembra emergere come diversi movimenti sovranisti mainstream, quelli che da sempre orientano il voto della galassia identitaria e militante verso l’estrema destra, riprendono e amplificano i messaggi di QAnon e li usano per generare consenso nell’ambito del dibattito politico pubblico senza fare riferimento diretto al movimento americano. È dunque necessario analizzare la retorica e i temi cospirazionisti per raggiungere un livello di comprensione tale da rendere possibile il loro rilevamento in contesti non direttamente collegati a QAnon.

A questo si aggiunge la necessità di comprendere i path di reclutamento e i meccanismi di radicalizzazione. Mentre sembra essere sempre più probabile che i meccanismi di radicalizzazione siano molto simili a quelli dei movimenti estremisti di matrice religiosa con una forte presenza online, cioè autoradicalizzazione diffusa e presenza di radicalism entrepreneurs, il target cui essi si rivolgono non è ancora del tutto chiaro. Non si intravvede ancora un profilo di reclutamento ben definito e ogni fascia della popolazione sembra essere suscettibile al fascino di QAnon. Unica eccezione è l’affiliazione politica, che può in parte spiegare la fascinazione per le teorie di Q. Un recente sondaggio commissionato per Morning Consult, condotto tra il 6 e l’8 di ottobre su un campione di 1.000 adulti, rivela infatti che circa il 24% degli americani adulti ritiene che le affermazioni fatte dai sostenitori di Q siano molto o in parte accurate. Nello stesso sondaggio si osservano tuttavia numerose differenze tra democratici e repubblicani in merito alle opinioni sulle principali teorie di QAnon. Mentre solo il 18% dei votanti democratici ritiene che alcune di queste affermazioni siano in qualche modo accurate, circa il 38% dei sostenitori repubblicani le considera valide. Un altro sondaggio, commissionato per Daily Kos/Civiqs, che riporta i risultati delle interviste effettuate su circa 1.368 adulti condotte dal 29 agosto al 1 settembre 2020, conferma il dato precedente. Dai risultati si evince che circa un repubblicano su tre (33%) afferma di credere che la teoria di QAnon sull’esistenza di una cospirazione tra le élite del deep state sia “per lo più vera” mentre un altro 23% afferma che solo “alcune parti” di essa sono vere. Al contrario, solo il 4% dei democratici pensa che la teoria sia anche parzialmente vera mentre per il 72% del compione democratico non lo è affatto. La spiegazione di questa differenza è probabilmente dovuta al fatto che i politici repubblicani hanno solo sporadicamente rinnegato le affermazioni fatte dai sostenitori di QAnon, potenzialmente a causa del fatto che fanno affidamento su questo gruppo per il sostegno politico. Nel caso americano, ad esempio, oltre al supporto per Trump, uno degli esempi più eclatanti è la recente elezione al Congresso della georgiana Marjorie Taylor Green, che ha direttamente promosso e approvato i contenuti di QAnon nelle interviste e nei suoi canali social media. In Europa è già stato più volte evidenziato come i partiti di destra sovranista abbiano fatto propri contenuti tipici del movimento QAnon a partire dall’elezione di Donald Trump e dall’istituzione a Roma, ma con filiali nelle principali capitali europee, di una scuola politica e centro studi guidati da Steve Bannon, ex consigliere del presidente Donald Trump considerato dagli studiosi come il principale responsabile della normalizzazione del cospirazionismo. È tuttavia ancora difficile stabilire la direzione dell’effetto di correlazione e cioè se chi manifesta tendenze politiche di destra sia più facilmente influenzabile da QAnon, oppure se i seguaci del movimento, indipendentemente dalle loro posizioni politiche iniziali, diventino con il tempo più inclini a spostare il loro voto verso partiti di destra.

In futuro è probabile che il movimento richiederà lo stesso approccio oggi utilizzato nel caso dei movimenti estremisti di natura religiosa. Purtroppo però la mancanza di una struttura organizzativa definita, unitamente alla potenzialità di radicalizzazione di massa dovuta alla pervasività dei suoi network e alla mancanza di un profilo definito per i potenziali aderenti, al momento rende ancora estremamente difficile indicare linee guida e offrire raccomandazioni di policy puntuali.