giancotti

Serve una strategia nazionale “di sistema”. La Difesa chiama gli esperti

Con Giampiero Massolo (ISPI), Guido Crosetto (AIAD), Armando Barucco (MAECI) e il contributo di Flavia Giacobbe (Formiche.net), il Centro alti studi per la Difesa presieduto dal generale Fernando Giancotti e supportato dal direttore del Ce.Mi.S.S., il generale Stefano Salamida, ha lanciato il 15 luglio la call for papers #CASD2020 dal titolo “Difesa e sicurezza, lavorare insieme”.

Un appello a think tank, università e centri di ricerca per aprire un dibattito sulla strategia di sicurezza nazionale che porti a un vero e proprio (e auspicabile) documento di sicurezza sistemica. START InSight ha aderito all’iniziativa.

Il Centro Alti Studi per la Difesa (CASD), massima istituzione formativa delle Forze armate italiane, alla luce delle criticità contemporanee, apre un dibattito per un approccio sistemico alla difesa e alla sicurezza nazionale e chiama i principali Think Tank, università, centri studio e di ricerca ed esperti nazionali a fornire il loro contributo di pensiero, analisi, valutazione.

Il percorso porterà alla produzione di un documento di riferimento per lo sviluppo di una strategia complessiva e prevede una serie di incontri, dibattiti, workshop che porteranno alla redazione di una serie di Quaderni Speciali composti dai contributi di pensiero e dalle valutazioni degli attori rilevanti e dei principali esperti nazionali.

Lo scenario e il tema del dibattito

Dalla sua comparsa, il virus oggi conosciuto come COVID-19 (SARS-CoV-2) ha messo a dura prova i nostri sistemi di gestione e dato vita a sfide cruciali in diversi ambiti: economico, sociale, politico, medico assistenziale, sanitario, del diritto, della difesa e sicurezza, per limitarci ai più generali.

I limiti emersi a seguito dell’emergenza COVID-19 hanno messo in evidenza le criticità di capacità strutturale di gestione e di sistema. Economia, produzione, occupazione, difesa, sicurezza, relazioni internazionali sono tutti elementi primari che necessitano di una capacità di adattamento e resilienza alle sollecitazioni, interne ed esterne, che possono avere ripercussioni negative sull’intero “Sistema nazionale” e pertanto influire sulle priorità strategiche necessarie non solo alla sopravvivenza dello Stato, ma anche al suo ruolo all’interno dell’arena globale.

L’Italia è potenzialmente in grado di esercitare un ruolo di rilievo sullo scacchiere geopolitico, per la promozione dei valori e degli interessi che la connotano; essa deve pertanto riscoprirsi soggetto attivo delle dinamiche globali.

È dunque necessario sostenere le ragioni di una condivisa ed efficace politica di Difesa, la capacità di prevedere e contrastare la minaccia esterna, e di Sicurezza, la capacità di gestire e promuovere le dinamiche socio-politiche, economiche, demografiche, ambientali e tecnologiche, sia interne sia internazionali funzionali agli interessi del Paese e gestire i conseguenti “rischi”: ragioni politico-strategiche (ambizione dell’Italia sullo scacchiere internazionale), operative (organizzazione delle risorse necessarie per fronteggiare le minacce), economiche (sviluppo occupazionale, tecnologico, industriale).

I risultati e le iniziative nel campo della difesa e della sicurezza – da intendersi oggi come concetto unitario – sono frutto di uno sviluppo culturale che si esprime attraverso un processo di pianificazione strategica e uno strumento di Difesa-Sicurezza integrato all’interno delle Alleanze (UE e NATO).

Su questo sfondo problematico, il CASD si propone di discutere e approfondire attraverso un ciclo di incontri i seguenti nodi tematici finalizzati a stimolare la partecipazione alla redazione di un documento di indirizzo per la difesa e la sicurezza sistemica nazionale:

  1. Analisi del contesto globale: fattori di influenza tra continuità e cambiamento
  2. Interesse nazionale e aree strategiche: gestire le sfide e cogliere le opportunità
  3. Strategie di sistema: lavorare insieme per una risposta nazionale alle sfide globali

#CASD2020: CALL FOR PAPER

ADESIONE E INVIO DEI CONTRIBUTI

09 luglio         Webinar organizzato da CASD e “The European House -Ambrosetti” sul tema “Scenari globali e interessenazionale: pandemia, continuità, cambiamento

15 luglio         Seminario “Scenari  globali  e  interesse  nazionale: pandemia,  continuità, cambiamento” – Call  for  Papers #CASD2020”. CASD, Palazzo Salviati, Piazza della Rovere 81, Roma

28 luglio         Termine per l’adesione alla Call for Papers#CASD2020 e invio dei relativi temi di interesse, nell’ambito della prima macro area “Scenari globali e interesse nazionale: pandemia, continuità, cambiamento

CONSEGNA E PRESENTAZIONE CONTRIBUTI

23 ottobre: Consegna contributi relativi al tema “Scenari globali e interessi nazionali: pandemia, continuità, cambiamento

23 novembre: Pubblicazione di una selezione tematica di contributi nel Quaderno speciale CASD n. 1 (tutti i contributi verranno comunque resi disponibili online)

23 novembre: Evento di presentazione del Quaderno speciale CASD n. 1

15 gennaio: Webinar organizzato da CASD e “The European House -Ambrosetti” sul tema “Difesa, sicurezza e strategie di sistema

5 marzo: Consegna contributi relativi al tema “Difesa, sicurezza estrategie di sistema”

23 aprile: Pubblicazione di una selezione tematica di contributi nel Quaderno speciale CASD n. 2 (tutti i contributi verranno comunque resi disponibili online)

PRESENTAZIONE DOCUMENTO FINALE

14 maggio (TBC): Evento di presentazione del Documento di sintesi “Difesa e Sicurezza Sistemica” (Quaderno speciale CASD n. 3)

ELENCO DEI TEMI DI RIFERIMENTO

I temi di seguito elencati, di particolare interesse per gli organizzatori, non escludono la possibilità di proporre differenti spunti di riflessione, pur rimanendo all’interno delle due macro aree di riferimento. Ciascun tema potrà essere declinato sia dal punto di vista dell’analisi (prima macro area) che dell’elaborazione di strategie (seconda macro area).

EQUILIBRI GLOBALI

1.Nel mondo post-Covid aumenterà la cooperazione multilaterale nel campo della difesa?

2.Tensioni USA/Cina: quale impatto per la sicurezza e la difesa europea;

3.Quali opportunità offrirà la pandemia ai gruppi terroristici? Il jihadismo dopo il Covid: il nuovo panorama della minaccia;

4.Implicazioni del Covid nel campo della sicurezza cibernetica;

5.L’uso della propaganda da parte di attori statali e non statali duramente la pandemia. Lessons learned iniziative per il futuro;

6.Crisi economica, (in)stabilità sociale e sicurezza transnazionale: tra demagogia, terrorismi e movimenti ideologici di protesta violenta. Economia, difesa e sicurezza: quali tendenze strategiche?

NATO

1.Valutazioni del ruolo svolto dall’Alleanza atlantica durante la pandemia e coordinamento con EU, il dibattito NATO2030.

UNIONE EUROPEA

1.Il Covid renderà le aree di crisi/fragilità più esposte? Implicazioni per la difesa e sicurezza europea;

2.Autonomia e sovranità strategica europea: possibili sviluppi;

3.Impatto Covid sulle spese per la difesa, in Italia ed Europa (da R&D ad acquisizione della capacità);

4.Accelerazione o rallentamento del bilancio PESCO?

5.Il Covid ha ampliato il concetto di sicurezza? È arrivato il momento di rafforzare le capacità nazionali di “difesa civile”? Quali possibili iniziative a livello europeo?

6.Impatto della pandemia sull’equilibrio tra pubblico e privato. Quali conseguenze per le industrie della difesa europea?

7.Areageo-strategica Mediterraneo allargato: climate changee reperimento delle risorse energetiche a livello europeo.

NAZIONALE

1.La possibilità di instabilità sociale diffusa: aumento del debito pubblico, diminuzione del PIL (11,2%, Commissione EU) aumento della disoccupazione (12,4%, OCSE) rischi di speculazione finanziaria e declassamento con diminuzione degli investimenti dall’estero;

2.La globalizzazione dopo il COVID: profili di rilievo per gli investimenti esteri diretti e la tutela degli assetti strategici, anche in relazione all’esercizio dei poteri speciali (Golden Power) da parte del Governo;

3.Le infrastrutture critiche e grandi opere: ruolo nell’era post-covid;gestione dell’emergenza epidemiologica e suoi riflessi sulla tutela delle infrastrutture critiche, delle reti e dei sistemi informatici.

4.Impatti della trasformazione digitale sulla sicurezza nazionale;

5.Ripercussioni della pandemia sui corsi degli idrocarburi e nuove sfide per la tutela del sistema energetico nazionale e per la transizione energetica;

6.Il COVID e il ruolo strategico degli intangibili: quale diviene il peso di semplificazione, efficientamento e formazione?


Principali eventi nell’area del Maghreb e del Mashreq. Giugno

di Claudio Bertolotti

Algeria: le manifestazioni anti-governative sono uno scontro tra generazioni

Nel contesto delle manifestazioni anti-governative in atto da un anno e mezzo, i militanti pro-democrazia starebbero riorganizzandosi per riattivare il movimento di protesta anti-regime di Hirak; tale situazione ha portato a un’intensificazione della repressione governativa contro l’opposizione e contro gli attivisti.

Il regime algerino sta affrontando una situazione estremamente difficile: l’economia del paese è in una condizione irrimediabilmente critica in conseguenza di una decennale politica economica basata su ampie sovvenzioni pubbliche e sulla presenza eccessiva dello Stato in un’economia che invece necessiterebbe di un’apertura al libero mercato per poter sopravvivere; inoltre si impone un progressivo e incontenibile crollo delle entrate statali.

A fronte di questa drammatica situazione e delle legittime richieste della popolazione algerina, il governo di Algeri continua a rispondere con la repressione violenta, agevolata dal capillare apparato di sicurezza, attraverso arresti arbitrari e preventivi. In questo contesto, il regime algerino rischia di provocare una reazione popolare incontenibile e che potrebbe pregiudicare la tenuta dello stesso Stato.

Storicamente afflitto da nepotismo e corruzione, lo Stato algerino non è riuscito a proporre riforme e azioni di modernizzazione e si trova oggi di fronte a una mancanza di opzioni per risolvere la condizione di crisi in cui il Paese è precipitato. Questa situazione di conflittualità multipla che colpisce la società algerina è ulteriormente aggravata dal divario generazionale, amplificato dal ruolo dei nuovi media, del Web e della proliferazione degli smartphone tra le generazioni più giovani e che ne hanno fatto strumenti di propaganda anti-governativa. È una massa di grandi proporzioni composta da giovani, che di per sé costituisce una base di instabilità a lungo termine, che si contrappone ai vertici delle Forze armate e a una leadership politica che, al contrario, appartengono alle generazioni più anziane. (Fonte The North Africa Journal, 18 giugno, 2020). L’Algeria chiede da tempo un cambiamento radicale e la repressione utilizzata dal governo potrebbe essere la scintilla di una protesta non più contenibile.

Egitto: la situazione economica sta deteriorando, anche a causa del COVID19

Il 21 giugno, ispezionando le truppe delle forze armate di stanza nella base militare di Sīdī el-Barrānī, il presidente egiziano Abdel-Fattah al Sisi ha lanciato un duro avvertimento ad Al-Serraj: al-Sisi ha intimato alle forze di al-Serraj (e dunque alla Turchia e al Qatar legati alla Fratellanza Musulmana) di non oltrepassare la linea rossa costituita dall’aeroporto di Al-Jufra/Sirte, minacciando di varcare il confine libico in caso contrario. Sīdī el-Barrānī si trova nel distretto militare ovest dell’Egitto, al confine con la Libia, dove le Forze armate egiziane hanno concentrato mezzi corazzati, aerei ed elicotteri da guerra. Recentemente, le forze che sostengono Haftar, facendo largo uso dell’aviazione, hanno contenuto le puntate offensive su Sirte – area in cui si trovano i principali pozzi di petrolio della Libia – condotte delle unità pro-Tripoli controllate dalla Turchia. Appare improbabile un’azione diretta egiziana il Libia; lo stesso ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukri ha precisato che l’intervento militare è l’ultima tra le opzioni.

Israele: verso l’estensione della sovranità israeliana alla Cisgiordania

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avviato il processo politico per l’estensione della sovranità israeliana alle parti della Cisgiordania. La Cisgiordania ospita circa 430.000 ebrei israeliani (esclusa Gerusalemme est). Netanyahu ha affermato che la sovranità israeliana non verrà applicata ai palestinesi nella Valle del Giordano, e secondo alcuni rapporti la stessa esclusione si estenderà ai palestinesi in altre parti annesse della Cisgiordania. La Giordania, uno dei due soli paesi arabi ad aver firmato trattati di pace con Israele, ha affermato che sarebbe costretta a rivedere le relazioni con Israele se l’annessione dovesse proseguire. Se l’iniziativa ha trovato il pieno sostegno da parte degli Stati Uniti, forti critiche si sono invece alzate da parte di tutto il mondo arabo. (Fonte BBC, 25 giugno 2020).

Libano: la disperazione a causa della crisi economica

In Libano, l’inflazione è in crescita e l’economia è vicina al collasso. Politiche inadeguate e shock improvvisi hanno portato il Libano a vivere la peggiore crisi economica degli ultimi decenni: crollo della valuta, chiusura delle imprese, prezzi dei beni essenziali alle stelle, livello di povertà in aumento (Fonte The New York Times, 19 maggio 2020). Alla fine del 2019 erano emersi segnali di crisi, resi evidenti dalla scelta delle banche di limitare i ritiri di contanti e dalle crescenti proteste popolari esplose in tutto il Paese. A novembre, la Banca mondiale aveva avvertito che il livello di povertà sarebbe aumentato dal 30% al 50% senza un deciso intervento governativo. Un altro allarme, lanciato ad aprile 2020 da Human Rights Watch, aveva indicato che, in assenza di un massiccio intervento da parte dello Stato, milioni di cittadini libanesi e rifugiati siriani sarebbero stati a rischio di povertà e fame a causa del lockdown legato all’’emergenza COVID19. Il precipitare della situazione economica ha portato a una recrudescenza delle manifestazioni, divenute sempre più violente: numerosi gli episodi di banche incendiate e almeno un morto registrato a Tripoli, provocato dal fuoco delle forze di sicurezza (Fonte The New York Times, 10 maggio 2020).

Siria: la Cina mostra un maggiore interesse per la Siria, tra pandemia e tensioni statunitensi

La Cina sta cercando di aumentare la propria influenza sulla Siria e sta usando la pandemia di coronavirus per accelerare questi piani. La crescente presenza della Cina in Medio Oriente e le tensioni con gli Stati fanno della Siria un obiettivo strategico. Il presidente siriano Bashar al-Assad ha avviato un avvicinamento alla Cina, chiedendo l’aiuto di Pechino per legittimare il suo governo e avviare la ricostruzione del Paese dilaniato da nove anni di conflitto; in cambio Assad potrebbe assicurare alla Cina un ampio spazio di manovra nel dopoguerra. Lo scorso dicembre, Assad ha accolto con favore gli importanti investimenti cinesi in Siria, affermando: “Ora, con la liberazione della maggior parte delle aree, abbiamo avviato discussioni con un certo numero di aziende cinesi (Fonte al-Monitor, 10 giugno 2020).

Tunisia: no a basi militari straniere

Alla fine di maggio, il generale statunitense Stephen Town, comandante di AFRICOM, ha dichiarato che gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di inviare un’unità di addestratori militari in Tunisia, a causa del coinvolgimento della Russia in Libia. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che stanno prendendo in considerazione la possibilità di schierare una brigata di assistenza alle forze di sicurezza per l’addestramento, come parte del suo programma di supporto alla Tunisia. Ma all’inizio di giugno, il ministro della difesa tunisino Imed Hazgui ha ribadito la posizione del suo paese contro le basi militari straniere sul territorio nazionale. Per quanto riguarda la crisi in Libia, Hazgui ha confermato il rifiuto di interferenze straniere in Libia come in Tunisia.


PREVENZIONE E CONTRASTO AL TERRORISMO INTERNAZIONALE E ALL’ESTREMISMO – AUTUMN SCHOOL DELLA SIOI

SONO IN CORSO LE ISCRIZIONI PER L’AUTUMN SCHOOL DELLA SIOI IN COLLABORAZIONE CON NATO DEFENSE COLLEGE FOUNDATION IN PROGRAMMA DAL 6 al 21 NOVEMBRE 2020 

LA PREVENZIONE E IL CONTRASTO AL TERRORISMO INTERNAZIONALE E ALL’ESTREMISMO

  • sei incontri, il venerdì dalle ore 14:00 alle ore 17:30 ed il sabato dalle 9:00 alle 12:00

  • le lezioni saranno in modalità web live con la possibilità di interazione tra partecipanti e docenti

ll Corso ha l’obiettivo di fornire le conoscenze teoriche ed empiriche necessarie per interpretare le dinamiche politiche internazionali e favorirne il dibattito sugli aspetti più significativi attraverso il contributo di analisti ed esperti selezionati nei settori delle Istituzioni, della ricerca e del giornalismo.

Temi
• Il modello italiano tra controllo del territorio e condivisione di informazione
• Le integrazioni tra controterrorismo e prevenzione dell’estremismo
• La mappa del jihadismo globale
• Il terrorismo in Francia, Germania e Italia: tra attacchi, contrasto ed espulsioni
• I meccanismi internazionali di prevenzione all’estremismo e al radicalismo
• Deradicalizzazione, disengagement, depotenziamento, riabilitazione e reinserimento sociale

Il Corso è rivolto a giornalisti, ricercatori, funzionari della Pubblica Amministrazione, Forze dell’Ordine e Forze Armate, e a tutti coloro che sono interessati a comprendere ed approfondire le moderne forme di terrorismo e di estremismo, così come le modalità di prevenzione e contrasto.

Per le iscrizioni e tutte le informazioni nel dettaglio (costi, logistica e via dicendo) visitate il sito della
SIOI – Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale

 


La Libia è instabile: nessuna soluzione politica senza impegno militare? La strategia turca indebolisce l’Italia

di Claudio Bertolotti

La guerra in Libia è entrata in una nuova fase, ma il Paese appare sull’orlo del collasso come mai prima d’ora. Il governo di accordo nazionale di Tripoli è riuscito a rompere un assedio durato 14 mesi da parte dell’esercito nazionale libico guidato dal generale Khalifa Haftar, e a invertire gli equilibri del conflitto lanciando una controffensiva. Il sostegno della Turchia si è rivelato essenziale. In tale quadro, la competizione tra Italia e Turchia in Libia potrebbe finire come per la Russia e l’Iran in Siria dove, pur sostenendo la stessa fazione, i due attori cercano di escludersi a vicenda. Tutti questi elementi aprono alla possibilità di uno scenario di rivalità aperta, pur non escludendo una possibile cooperazione basata sul comune interesse.

La situazione libica e i rischi per la sicurezza regionale

La guerra in Libia è entrata in una nuova fase, ma il Paese appare sull’orlo del collasso come mai prima d’ora. Il governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli, riconosciuto a livello internazionale, è riuscito a rompere un assedio durato 14 mesi da parte dell’esercito nazionale libico (LNA), guidato dal generale Khalifa Haftar, e a invertire gli equilibri del conflitto lanciando una controffensiva. Il sostegno della Turchia si è rivelato essenziale per il GNA, così come per Haftar lo è stato il supporto degli Emirati Arabi Uniti, della Russia e dell’Egitto: un’interferenza che ha confermato, ancora una volta, il ruolo chiave giocato dal sostegno esterno alle parti in guerra. Il recente rifiuto del GNA di accettare il cessate il fuoco proposto da Haftar e dal presidente egiziano Abdel-Fattah al Sisi, suggerisce che la guerra potrebbe presto essere caratterizzata da una nuova escalation, in cui il GNA proverebbe a sfruttare il vantaggio militare ottenuto. Da un lato, la ritirata di Haftar dal fronte di Tripoli rappresenta un bivio che potrebbe portare l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e la Russia a ripensare il sostegno all’LNA e ad aprire a un possibile accordo di compromesso sulla Libia che avrebbe ripercussioni dirette sulle priorità strategiche del Cairo, anche in rapporto alle relazioni con le potenze del Golfo e le ambizioni espansionistiche della Turchia nel Mediterraneo. Dall’altro lato, l’instabilità in Libia potrebbe così influire sulla sicurezza del Nord Africa e il sud dell’Europa, inteso anche come fianco sud della NATO. Mentre gli attori regionali e internazionali si contendono l’influenza sul Paese, gli stati europei sembrano incapaci di rilanciare il percorso diplomatico avviato a gennaio con la Conferenza di Berlino e a prevenire un incombente disastro umanitario ai confini meridionali dell’Unione Europea. Inoltre, uno dei punti più importanti dell’immigrazione clandestina è la Libia, perché è molto vicina all’Europa: c’è Malta proprio di fronte; è prossima a Italia e Spagna. A fronte di una persistente instabilità in Libia, la migrazione irregolare è valutato che aumenterà, così come il traffico di droga e di esseri umani. Appare così evidente come, nel contesto del conflitto armato libico, ogni proposta di soluzione politica esterna che abbia escluso l’impiego dello strumento militare si sia rivelata improduttiva; al contrario, l’audace interventismo militare – inteso come intervento diretto o uso potenziale dello strumento militare – concretizzato da alcuni attori, ha ottenuto risultati tangibili che verranno utilizzati sul piano negoziale a favore di obiettivi e ambizioni nazionali. La Turchia (e sull’altro fronte la Russia, ma con diversi risultati) lo ha dimostrato con i fatti, schierando a Tripoli le proprie unità militari guidate dal generale turco Irfan Ozsert, da cui dipendono anche le migliaia di miliziani islamisti siriani inviati da Ankara; grazie a questa scelta di forza la Turchia ha azzerato la campagna del generale Haftar per conquistare Tripoli, ipotecando così il ruolo di main player in Libia.

Consolidamento turco in Libia e attivismo militare nel Mediterraneo

Il potere marittimo è il principale strumento strategico per gli stati che abbiano un’ambizione di proiezione a tutela dei propri interessi strategici nazionali. Il Mediterraneo è diventato il centro dell’instabilità dovuta alle politiche espansionistiche di Ankara e di Mosca, perseguite anche attraverso il supporto delle parti contrapposte nei teatri di conflitto. In particolare, le interferenze turche e russe in Libia, Siria, e il ruolo di Ankara in Iraq, Cipro e nel Mar Egeo, sono una concausa primaria dell’instabilità regionale e potrebbero costituire una minaccia alla sicurezza collettiva nel medio periodo, portando così al consolidamento di equilibri geopolitici del tutto svantaggiosi per l’Italia. Uno dei primi passi formali sul piano internazionale per l’avvio dell’espansione turca in Libia è stata la firma del controverso accordo di demarcazione delle frontiere marittime, firmato da Ankara con il governo di accordo nazionale (GNA), che ha portato all’ampliamento della zona economica esclusiva turca (ZEE) nel Mediterraneo orientale. Ankara fornisce supporto militare e diplomatico al GNA di Tripoli, guidato da Fayez al-Sarraj, mentre la Russia (insieme a Emirati Arabi Uniti ed Egitto) sostiene il comandante rivale dell’esercito nazionale libico (LNA) di Tobruk, il generale Khalifa Haftar. Il sostegno turco ha permesso alla coalizione a supporto di al-Sarraj di invertire le sorti di una guerra prima sfavorevole e di respingere un’offensiva durata oltre un anno e trasformatasi in un logorante assedio che ha sempre più indebolito, militarmente e politicamente, il fronte del generale Khalifa Haftar. Nel confronto tra Russia e Turchia, la questione libica si intreccia con quella siriana. In Siria, il governo di Bashar al-Assad appoggiato dalla Russia mira a riprendere la provincia settentrionale di Idlib, togliendola dal controllo dei militanti islamisti sostenuti da Ankara, mentre la Turchia ha promesso di non lasciare mai che ciò accada, inviando migliaia di truppe turche e milizie arabe per proteggere i propri interessi nazionali e impedire un nuovo afflusso di rifugiati sul suo territorio. Benchè di difficile realizzazione, Mosca starebbe dunque spingendo Ankara verso un compromesso in Libia usando la carta Idlib, e minacciando raid aerei contro le posizioni delle forze sostenute dalla Turchia nel nord della Siria.Il GNA, con il sostegno militare e il decisivo impiego dei droni da parte della Turchia, sta perseguendo l’obiettivo di porre sotto controllo le basi aeree di Sirte e al-Jufra. Tripoli vuole espandere il proprio controllo alla fascia costiera e alla Mezzaluna petrolifera, così da consolidare ulteriormente i vantaggi militari. Con buona probabilità non si fermerà fino a quando questi obiettivi non saranno raggiunti. Il conflitto è ora focalizzato su Sirte e sulla mezzaluna petrolifera, in cui vi sono il 70-80% dei giacimenti di petrolio. All’inizio di giugno, la Turchia ha dichiarato di poter espandere la sua cooperazione in Libia con nuovi accordi in materia di energia e costruzioni una volta terminato il conflitto.Secondo lo Yeni Şafak, giornale di informazione pro-AKP (Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, in turco Adalet ve Kalkınma Partisi, partito politico conservatore turco di maggioranza), benché non siano state prese decisioni definitive sul possibile uso militare, la Turchia consoliderà la propria presenza in Libia e nel Mediterraneo occidentale attraverso la costruzione di due basi militari: una base navale a Misurata, che potrebbe ospitare navi d’assalto, da ricognizione e navi ausiliarie, e una base aerea ad Al-Watiya, recentemente riconquistata dal GNA e all’interno della quale verranno schierate unità di droni aerei (UAV). Ma la Turchia avrebbe messo gli occhi anche su al-Qardabiya, vicino a Sirte, obiettivo importante in quanto permetterebbe di controllare l’importante mezzaluna petrolifera. Parimenti, anche la Russia ambisce ad avere avamposti fissi a Sirte e al-Jafra, dove già sono stati schierati dei caccia: una presenza legata alla volontà di influenza nel Mediterraneo. Nel frattempo hanno avuto luogo importanti manovre ed esercitazioni navali e aeree di Ankara nel Mediterraneo (Adnkronos e Agenzia Nova, 15 giugno). Otto navi da guerra tra fregate e corvette e 17 aerei (prevalentemente F16) hanno partecipato all’esercitazione organizzata dalle Forze armate turche denominata “Alto Mare”. Chiuso lo spazio aereo e marittimo: lo ha annunciato il ministero della Difesa turco in una nota. Le manovre sono durate otto ore per un totale di 2 mila chilometri percorsi nel Mediterraneo. I media statali turchi hanno definito le manovre una “dimostrazione di forza”; esercitazioni che giungono nel pieno delle tensioni nel Mediterraneo orientale dove incombe, oltre alla guerra in Libia, anche la crisi tra Grecia e Turchia a causa delle esplorazioni turche nell’area di Cipro dove sono presenti i giacimenti di gas recentemente scoperti. Per diversi mesi, la Turchia ha aumentato le attività esplorative al largo dell’isola, ignorando gli avvertimenti dell’Unione europea che ritiene le azioni illegali. Severa la presa di posizione della “Lega araba”: ”L’interferenza turca in Libia, Siria e Iraq è inaccettabile e va condannata. Ankara si nasconde dietro l’accordo con il governo di Tripoli per conseguire interessi economici, politici e militari”. Nel frattempo Mevlut Cavusoglu, ministro degli esteri turco, lo scorso 18 giugno ha guidato un importante missione in Libia con una delegazione di 25 esponenti del governo di Ankara, tra cui il responsabile dell’intelligence Hakan Fidan e il ministro delle Finanze, Beyrat Albayrak, genero del presidente Recep Tayyip Erdogan. Un evento di rilevo, certamente sul piano diplomatico ma ancora di più su quello economico-commerciale che vedrà la Turchia espandere sempre più il proprio ruolo in Libia. Al contrario, dopo aver incontrato in due momenti separati il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, e l’omologo turco Cavusoglu con i quali è stato affrontato il dossier libico, l’incontro successivo tra il premier Fayez al-Sarraj e il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio del 24 giugno, non ha portato a risultati di rilievo. Due le questioni discusse. La prima è la richiesta libica di estendere anche alle vie terrestri l’applicazione dell’embargo di armi da parte della missione EUNAVFORMED “Irini”; una richiesta che mira a indebolire le forze di Haftar, equipaggiate e armate dall’Egitto attraverso la frontiera tra i due paesi. La seconda questione è la disponibilità libica al rispetto dei diritti umani dei migranti, così come chiesto dall’Italia; un tema certamente “sensibile” ma non rilevante ai fini della stabilità libica e della tutela degli interessi nazionali italiani nel Mediterraneo. Per contro, al-Sarraj ha formalmente chiesto all’Italia di ricostruire l’aeroporto di Tripoli e procedere allo sminamento di un’ampia area della capitale libica, senza però offrire nulla in cambio.

La guerra vince sull’opzione politica e impone un riposizionamento diplomatico

La Turchia, grazie all’intervento armato in Libia, che ha di fatto capovolto le sorti del conflitto, ha ipotecato il proprio ruolo di interlocutore primario e imposto all’Egitto (e ai partner del Golfo) un arresto sul piano militare.Da una parte il presidente francese Emmanuel Macron ha biasimato Erdogan e i suoi “giochi pericolosi” in Libia che “confermano la morte celebrale della Nato”; a fronte di tali insinuazioni, la Turchia ha risposto accusando a sua volta la Francia di “perdita di lucidità” e di responsabilità della destabilizzazione libica.Dall’altra parte, i paesi arabi del Golfo, con in testa Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (sostenitori del generale Haftar), si sono pubblicamente schierati a favore dell’Egitto, che ha minacciato il ricorso alle armi e un intervento diretto in Libia per tutelare la fazione di Tobruk (di cui Haftar è la guida politico-militare) in risposta all’appello di Aguila Saleh, capo del parlamento libico di Tobruk, che ha chiesto al Cairo di rispondere militarmente nel caso in cui le forze del GNA attaccassero Sirte.Ma anche Washington, a fronte del cambio di situazione, ha ripreso in mano il dossier libico con maggiore interesse: il 22 giugno una delegazione guidata dall’ambasciatore statunitense in Libia, Richard Norland, e dal comandante generale di AFRICOM, Stephen Townsend, ha incontrato i rappresentanti di Tripoli al fine di “promuovere un cessate il fuoco e un dialogo politico” ottenendo, al contempo, la richiesta da parte libica alla Turchia di ritirare le milizie islamiste “illegali” sostenute da Ankara, a cominciare dalla formazione estremista “Sultan Murad”, già attiva nella guerra siriana[1]. Un chiaro indicatore della mutevolezza di un quadro geopolitico di cui gli Stati Uniti paiono ora preoccuparsi, in virtù del crescente attivismo militare e della sempre più dinamica presenza del competitor russo nel Mediterraneo.

Analisi, valutazione, previsione. Italia e Turchia: alleati o rivali in Libia?

Il 14 maggio 2020 il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha avuto un colloquio telefonico con il presidente della Turchia Erdogan. In tale occasione, il segretario dell’Alleanza Atlantica ed Erdogan hanno discusso anche della situazione in Libia. Stoltenberg ha sottolineato che la posizione della NATO rimane coerente: come affermato dai capi di Stato e di governo della NATO al vertice di Bruxelles del 2018, “la NATO è pronta ad aiutare la Libia nell’ambito della costruzione di istituzioni di difesa e sicurezza, in risposta alla richiesta del Primo Ministro del governo di accordo nazionale (GNA) di rafforzare le istituzioni di sicurezza libiche. Qualsiasi assistenza della NATO in Libia terrà conto delle condizioni politiche e di sicurezza e verrà fornita in piena complementarità e in stretto coordinamento con altri attori internazionali, compresi le Nazioni Unite e l’Unione Europea”[2].In merito alla competizione per un ruolo di primo piano in Libia, Ankara ha una relazione complicata con l’Italia. I due paesi hanno, da un lato, legami storici e interessi non compatibili in Libia ma, dall’altro lato, stanno attualmente sostenendo la stessa fazione (GNA) tra le due in campo: la Turchia in maniera esclusiva; Roma non escludendo il dialogo aperto anche con la controparte (LNA). Tuttavia, in seguito alla dichiarazione del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, i due paesi stanno cercando ambedue di assumere il ruolo dominante nella definizione della strategia dell’Alleanza transatlantica per la Libia, ambendo entrambi a guidare un possibile intervento della NATO. La competizione tra Italia e Turchia in Libia potrebbe finire come per la Russia e l’Iran in Siria dove, pur sostenendo la stessa fazione, i due attori cercano di escludersi a vicenda. Tutti questi elementi aprono alla possibilità di uno scenario di rivalità aperta, pur non escludendo una possibile cooperazione basata sul comune interesse di contrastare Haftar per diversi motivi: da un lato Ankara mira a contrastare l’espansione russa, egiziana ed emiratina; dall’altro l’Italia intende contenere l’influenza francese sul paese.Di fatto, tra i due contendenti, la Turchia è quello che potrebbe trarre i maggiori vantaggi dall’attuale situazione. Ankara sembra aver raggiunto la maggior parte degli obiettivi: con le forze di Haftar in ritirata, è in una posizione favorevole per imporre un ruolo di primo piano a livello regionale. D’altra parte, dobbiamo considerare gli altri attori principali (Russia ed Egitto), il loro ruolo, le effettive capacità e la volontà di intervento diretto. Le guerre convenzionali richiedono forti flussi di cassa: la Russia, l’Egitto, la Turchia, e anche l’Italia, sono economicamente vulnerabili e questo è un fattore che può limitare la loro capacità di influire a fondo sulle dinamiche politiche e militari della Libia.Come evidenzia Karim Mezran, tra i più influenti esperti di Libia, il GNA non è forte abbastanza per controllare e gestire il paese; il popolo libico è consapevole dell’inconsistenza del GNA, che è inefficace e disfunzionale. L’obiettivo di GNA è creare la struttura istituzionale del Paese, non gestirlo, ed è evidente come sia improbabile che questo riesca a conquistare militarmente l’est del paese, così come è improbabile che l’LNA possa porre sotto controllo la Tripolitania. In tale quadro l’Italia ha come unica carta da giocare quella dell’attivismo politico-diplomatico finalizzato ad esercitare il ruolo di mediatore al fine di una tregua tra le parti. È molto difficile ma non è impossibile, poiché l’assenza di proprie truppe combattenti potrebbe essere utilizzato come argomento per convincere le cancellerie europee (Francia in testa), gli attori impegnati in Libia (in primis Egitto, Russia e Turchia) e gli Stati Uniti, a riconoscere a Roma questo delicato e ambizioso incarico. Così da trasformare gli svantaggi, derivanti da un’assenza sul campo di battaglia libico, in opportunità.

 


Combattere e prevenire il terrorismo e Rapporto ReaCT2020

Quali strumenti per la lotta al terrorismo e alla minaccia estremista? È il tema della discussione che ha avuto luogo venerdì 3 luglio 2020 in diretta sul sito e la pagina FB di Formiche.net che include la presentazione del Rapporto 2020 dell’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo (ReaCT). Con la moderazione del direttore di Formiche e Airpress Flavia Giacobbe, intervengono il direttore dell’Osservatorio ReaCT Claudio Bertolotti, l’esperto e docente della Sioi Matteo Bressan (membro di ReaCT) e Chiara Sulmoni, giornalista e Presidente di Start InSight e membro di ReaCT. Con loro, ci sono gli onorevoli Alberto Pagani (Pd) e Matteo Perego di Cremnago (FI), membri della Commissione Difesa della Camera, entrambi coinvolti in iniziative legislative in materia di contrasto a radicalismo, estremismo e terrorismo.

La regia è a cura di OtherMovie Lugano Film Festival.


Come combattere (e prevenire) il terrorismo. La presentazione dell’Osservatorio ReaCT

START InSight in partnership con Formiche.net e Other Movie Lugano Film Festival

Alberto Pagani, Matteo Perego di Cremnago, Claudio Bertolotti, Matteo Bressan e Chiara Sulmoni. Sono loro i protagonisti della presentazione dell’Osservatorio ReaCT 2020. In diretta sulla pagina Formiche.net, venerdì 3 luglio alle 17, il punto sulla minaccia terroristica e sugli strumenti per prevenirla e contrastarla

Quali strumenti per la lotta al terrorismo e alla minaccia estremista? È la domanda, sempre attuale, a cui risponderanno gli esperti venerdì 3 luglio, alle ore 17, in diretta su questa pagina. Verrà infatti presentato il rapporto 2020 dell’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo (ReaCT). Con la moderazione del direttore di Formiche e Airpress Flavia Giacobbe, interverranno il direttore dell’Osservatorio ReaCT Claudio Bertolotti, l’esperto e docente della Sioi Matteo Bressan (membro di ReaCT) e Chiara Sulmoni, giornalista e Presidente di Start InSight e membro di ReaCT. Con loro, ci saranno gli onorevoli Alberto Pagani (Pd) e Matteo Perego di Cremnago (FI), membri della Commissione Difesa della Camera, entrambi coinvolti in iniziative legislative in materia di contrasto a radicalismo, estremismo e terrorismo. La diretta sarà trasmessa qui e sulla pagina Facebook di @formichenews.

Il report è il primo della serie da parte dell’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo (ReaCT), concentrato sulla minaccia terroristica ed estremista nel Vecchio continente. Dal documento emerge una lettura completa del fenomeno e del modus operandi terrorista, attraverso dodici contributi d’analisi di esperti che spaziano dai numeri del “nuovo terrorismo” all’evoluzione della comunicazione dello Stato islamico, fino alla situazione controversa e irrisolta dei foreign fighters. Ci sono inoltre focus sulle tecnologie più avanzate (il cyber-terrorismo e l’uso malevolo dei droni), nonché sugli aspetti normativi legati al contrasto ai finanziamenti del terrore e sulla questione della de-radicalizzazione.

ReaCT è un tavolo tecnico-accademico (non a scopo di lucro) che promuovere gli studi, le ricerche e la discussione attorno al tema della radicalizzazione e del terrorismo in Europa. Rientrano nel network Start InSight, Itstime, Cemas, Link Campus e Sioi. Nel suo primo rapporto, riunisce esperti e accademici per un quadro sintetico ma completo sulla minaccia nel Vecchio continente. Nel 2019, si legge nel rapporto, in Europa ci sono stati 17 attacchi terroristici ed episodi di violenza di matrice jihadista. La maggior parte delle azioni ha visto l’uso di coltelli (76%) e armi da fuoco (18%); solo in un caso (Lione) è stato fatto uso di esplosivi. Un trend in linea con l’evoluzione di un fenomeno che tra 2014 e 2019 ha registrato in Europa azioni violente “in nome del jihad”, con 390 morti e 2.359 feriti.

Scarica qui la locandina