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Dall’Osservatorio ReaCT – L’impegno militare europeo nel contrasto al terrorismo in Africa occidentale e nel Sahel

di Marco Cochi
(articolo pubblicato sul sito dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo – ReaCT)

«L’amministrazione Trump è divisa su come combattere i terroristi, sostenere gli alleati e contrastare i competitor globali nell’Africa occidentale. I messaggi contrastanti che arrivano da Washington stanno confondendo gli alleati in Europa, che sono profondamente impegnati nel garantire la sicurezza nella regione». Così, alla fine di febbraio, il Premio Pulitzer e giornalista del New York Times, Eric Schmitt, cominciava la sua analisi sulle conseguenze e le reazioni all’annuncio fatto alla fine del 2019 dal segretario alla Difesa Mark T. Esper di operare pesanti tagli alla presenza militare statunitense nel continente.

Tagli che dovrebbero includere la chiusura della nuova Nigerien Air Base 201 per droni, costata 110 milioni di dollari e divenuta operativa lo scorso novembre; oltre che l’interruzione degli aiuti alle forze francesi dell’Operazione Barkane impegnata nel contrasto ai gruppi jihadisti attivi in Mali, Niger e Burkina Faso.

Tuttavia, lo scorso aprile il comandante dell’Africom, il generale Stephen Townsend, sembra aver contraddetto l’annuncio di Esper, dichiarando che «gli Usa continueranno a sostenere i partner africani, soprattutto dopo che al-Qaeda e l’Isis hanno affermato di utilizzare lo sconvolgimento globale derivato dalla diffusione della pandemia come un’opportunità per promuovere la loro agenda terroristica».

CONTINUA SUL SITO DELL’OSSERVATORIO REACT   


Crisi del Mar Nero. Il contesto regionale e internazionale

di  Gregorio Baggiani

Negli ultimi anni la situazione nel Mare d’Azov, un mare collegato al Mar Nero attraverso lo Stretto di Kerch che ne regola l’entrata a navi civili e militari, regolata da un trattato bilaterale tra Russia ed Ucraina del 2003, è andata progressivamente peggiorando, anche in seguito alla costruzione da parte russa di un ponte ferroviario che ne limita fortemente l’accesso, mediante estenuanti controlli, alle navi civili e militari di nazionalità ucraina.

Le conseguenze diplomatiche, politiche ed economiche di un eventuale conflitto nel Mar Nero

Nonostante la considerevole superiorità militare della Russia in campo navale, l’ipotesi di un conflitto aperto nel Mar Nero appare alquanto improbabile. Un conflitto militare solleverebbe la protesta diplomatica degli Stati occidentali e comporterebbe l’ulteriore inasprimento delle sanzioni contro la Federazione Russa, il possibile intervento della NATO e l’interruzione del traffico marittimo della Federazione Russa attraverso l’intero Mar Nero e la Crimea, a seguito della sua condanna dalle Nazioni Unite come stato aggressore. Tutto ciò sarebbe estremamente controproducente per le esportazioni commerciali russe verso il Medio Oriente e Mediterraneo orientale ma anche per gli importanti flussi di denaro, più o meno opachi, verso l’isola di Cipro, che vengono considerati un settore importante dell’attività economica russa; flusso di denaro che trova poi anche diverse modalità di impiego, lecite o non lecite, anche in Europa.

L’inasprimento delle tensioni è principalmente dovuto alla necessità di vigilare sul funzionamento delle condotte energetiche e di quelle relative alle infrastrutture di comunicazioni sottostanti il bacino

A questo già complesso scenario si aggiunge la questione dei gasdotti e delle reti di comunicazioni che passano sotto il Mar Nero, i primi, fondamentali per le esportazioni russe, le seconde per tutti gli stakeholders di questa complessa questione geopolitica. L’inasprimento delle tensioni, infatti, è principalmente dovuto alla necessità di vigilare sul funzionamento delle condotte energetiche e di quelle relative alle infrastrutture di comunicazioni sottostanti il bacino. L’ostacolo, il danneggiamento grave o addirittura l’interruzione di queste forniture o comunicazioni in caso di conflitto provocherebbe un danno sostanziale all’economia o alla sicurezza della Federazione Russa ed anche degli Stati europei, la prima già fortemente indebolita dalle sanzioni. Ne consegue che lo scoppio di un conflitto aperto nel Mar Nero non appare come la scelta più probabile a causa delle gravi ripercussioni sulle forniture energetiche e sulla stessa sicurezza degli stakeholder, eventualità cui la Federazione Russa ha recentemente cercato di porre rimedio attraverso l’isolamento della propria infrastruttura informatica, in parte dipendente dalle connessioni estere, comprese quelle legate alle infrastrutture di tipo sottomarino presenti sotto la superficie del Mar Nero. L’opzione che quindi molto probabilmente sarà adottata, è quella meglio descritta come “l’invasione silenziosa e strisciante” del Mar Nero che, azzerando il commercio necessario alla sopravvivenza dell’Ucraina e trasformando i suoi porti in una terra desolata, porterebbe alla depressione economica e all’impotenza di Kiev, rafforzando la fazione filo-russa nell’area sudorientale.

La grande strategia geopolitica russa in Ucraina

L’obiettivo primario di questa strategia è quello di respingere le aspirazioni della NATO in Ucraina e soffocare l’aspirazione del Paese a diventare una piena democrazia sul modello occidentale eliminando al contempo un potenziale concorrente commerciale nel Mar Nero. L’apparato politico e militare russo e il sistema economico sono, ovviamente, ben consapevoli di questo stato di cose. È pertanto improbabile che la Russia scelga una risposta militare per contrastare la presenza ucraina nel Mar Nero. I commerci russi sarebbero, infatti, i primi a soffrire del blocco causato da eventuali operazioni belliche e delle inevitabili ricadute derivanti dalle misure politiche e giuridiche che la comunità internazionale adotterebbe nei confronti della Federazione Russa.

Il fattore turco e la Convenzione di Montreux

Inoltre, in caso di un attacco militare russo a strutture militari, civili o petrolifere ucraine, la Turchia sarebbe costretta, a norma delle disposizioni legali contenute nell’accordo di Montreux del 1936, a chiudere gli Stretti Turchi alle navi militari russe e forse anche alle navi civili russe. L’atteggiamento turco si rivelerà quindi determinante nel caso di una crisi nel Mar Nero e della sua possibile evoluzione che al momento appare difficile prevedere con assoluta esattezza perché lo scenario appare particolarmente complesso. L’eventuale chiusura degli Stretti Turchi danneggerebbe gravemente le esportazioni e le fiorenti relazioni politiche con l’area del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente in cui la Russia intende invece assumere un ruolo più rilevante rispetto al passato riempiendo, in una certa misura, il vuoto lasciato dagli interessi USA in arretramento da questa zona altamente lacerata da gravi e crescenti tensioni internazionali.

Controllando gli Stretti, la Turchia si rivela un attore essenziale per l’equilibrio strategico del Mar Nero, del Mediterraneo in senso lato e, infine, del Medio Oriente e del Mar Caspio

In quest’ottica, le relazioni politico-diplomatiche che saranno instaurate tra la Russia e la Turchia e tra la Turchia e la NATO giocheranno un ruolo fondamentale. In caso di conflitto nel Mar Nero e in particolare nel Mar d’Azov, se il Trattato bilaterale del 2003 dovesse venir meno e le restrizioni in esso sancite dovessero decadere, la Turchia – secondo stato militarmente più forte del Mar Nero dopo la Russia e, soprattutto, Stato NATO, almeno formalmente – potrebbe diventare decisiva.

La Turchia quale gestore della Convenzione di Montreux e degli Stretti Turchi

Alla Turchia è infatti affidato il controllo e la gestione della navigazione, sia civile che militare, negli Stretti e in caso di conflitto, conformemente alla Convenzione di Montreux, sarebbe autorizzata a precluderne l’accesso. Controllando gli Stretti, la Turchia si rivela un attore essenziale per l’equilibrio strategico del Mar Nero, del Mediterraneo in senso lato e, infine, del Medio Oriente e del Mar Caspio il cui accesso a potenze straniere viene progressivamente ridotto dalla Russia e dagli altri Stati che si affacciano sul Mar Caspio mediante un Trattato firmato nel 2016 che proibisce l’installazione o comunque la presenza di basi militari straniere. La Cina, a sua volta, agisce in modo implicito od esplicito nel contenimento dell’avanzata USA e NATO verso il bacino del Caspio, di cui il Mar Nero appare strategicamente il retroterra. Anche l’Iran, a sua volta, ha instradato un progetto energetico che dovrà collegare il Golfo Persico con il Mar Nero, fatto che gli fa assumere un’importanza geopolitica ancora maggiore per tutti gli stakeholder regionali ed extraregionali. E questo spiega anche perché per gli USA è importante o fondamentale assumere o almeno mantenere il controllo strategico del Mar Nero. Chi controlla il Mar Nero, controlla il potenziale accesso al Mar Caspio, al Medio Oriente, al Golfo Persico ed al Mediterraneo.

La Turchia quale “honest broker” della Convenzione di Montreux e degli Stretti Turchi. La posizione della Turchia in caso di tensioni o di conflitto.

Sulla base di un ravvicinamento stabile tra la Turchia e la Russia, come quello osservato nei mesi scorsi, l’ipotesi di un ruolo di “onesto intermediario” della Turchia nella questione del Mar Nero appare sempre meno credibile. La Turchia probabilmente rafforzerà la sua cooperazione con Mosca ma non reciderà completamente il legame transatlantico con Washington e con l’UE per potere ottenere il prezzo migliore da entrambi i contendenti ed anche per non privarsi completamente dello “scudo” NATO di fronte alla Russia. Restando quindi in bilico tra i due contendenti la Turchia si troverà nella posizione di poter gestire  al meglio per sé il suo ruolo geopolitico nel Mar Nero ed in Medio Oriente, qualunque siano i suoi partner.

Il grande problema è come attenuare le dissonanze o addirittura ricucire il divario e la freddezza crescenti tra UE, USA e Turchia. Tutto ciò si ripercuoterà, più o meno direttamente, sugli equilibri di potere in gioco nell’attuale disputa tra Ucraina e Russia nel Mar d’Azov

Conseguentemente, in caso di conflitto o gravi tensioni nel Mar Nero, è prevedibile che la Turchia aumenti la posta in gioco in cambio del suo sostegno politico all’uno o all’altro contendente o della sua neutralità. Invero, sulle basi giuridiche della Convenzione di Montreux, la Turchia dovrebbe agire in modo neutrale nei confronti di qualsiasi contendente ma, molto probabilmente, non terrà fede agli accordi.

Ciò è probabilmente vero anche nel caso del sempre più discutibile trattato NATO che lega la Turchia all’Alleanza Atlantica. Il grande problema è come riuscire ad attenuare le dissonanze o addirittura a ricucire il divario e la freddezza crescenti tra UE, USA e Turchia. Chiaramente, tutto ciò si ripercuoterà, più o meno direttamente, sugli equilibri di potere in gioco nell’attuale disputa tra Ucraina e Russia nel Mar d’Azov.

Le regole imposte dal Trattato di Montreux

Le rigide regole del Trattato di Montreux del 1936 oggi limitano l’accesso delle navi militari degli Stati non rivieraschi a una permanenza massima di 3 settimane. In caso di gravi tensioni, se gli Stati Uniti saranno in grado di ottenere un allentamento di queste regole con la modifica della Convenzione di Montreux, il rapporto tra le forze potrebbe cambiare notevolmente determinando una alterazione sostanziale dell’equilibrio di potere nel Mar Nero grazie alla grande capacità di proiezione militare statunitense (fatto che rimanda immediatamente al concetto strategico- militare, ma anche economico, di “profondità strategica” o strategic depth o стратегическая глубина in russo), giustamente temuta da Mosca e, di conseguenza, nel Mar d’Azov, che è ben collegato con la regione circostante per mezzo di collegamenti fluviali, fatto che lo rende particolarmente strategico per la Federazione Russa. Il Mare d’Azov serve evidentemente anche da retroterra strategico a protezione della Crimea.

Ciò dipenderà dal modo in cui, in caso di crisi o di conflitto, la Turchia gestirà l’accesso delle navi militari attraverso gli Stretti Turchi e dalla permanenza in vigore delle disposizioni sul Mar d’Azov regolate dal trattato del 2003 tra Russia e Ucraina che si configura come un trattato di tipo bilaterale e non risponde alla normativa sul diritto internazionale del mare fissata dalle Nazioni Unite a Bodega Bay del 1982 e che risponde al nome di UNCLOS.

La Russia è sicuramente interessata ad ottenere vantaggi concreti dalla parte settentrionale del Mar Nero e nel Mar d’Azov; il deterioramento delle condizioni economiche potrebbe condurre a un calo di popolarità, cosa che Vladimir Putin teme al di sopra di ogni cosa

Il calcolo geopolitico ed economico della Russia

In linea generale, la Russia è sicuramente interessata ad ottenere vantaggi concreti e spinta propulsiva dalla parte settentrionale del Mar Nero e nel Mar d’Azov, ma non è insensibile al rischio di perdite economiche e dell’improvviso aumento dei prezzi che le inevitabili tensioni politiche dovute al conflitto potrebbero comportare o, peggio, alle gravi ripercussioni che un serio stallo militare potrebbe provocare, anche in termine di vite umane. Il possibile deterioramento delle condizioni economiche potrebbe inoltre condurre a un calo di popolarità, cosa che Vladimir Putin teme al di sopra di ogni cosa.

 


Afghanistan: il COVID19 colpisce la leadership talebana (il commento di C. Bertolotti a Radio24)

L’intervento del Direttore di START InSight Claudio Bertolotti a Radio 24, intervistato da Giampaolo Musumeci

Morto o gravemente malato il capo dei talebani per #COVID19? Lo avrebbe sostituito il mullah Yaqoub, figlio del mullah Omar, storico fondatore del movimento talebano. Cosa succede ora?

Il coronavirus ha gravemente colpito l’alta dirigenza talebana, rendendo di fatto il movimento privo dell’organo di guida e di quello negoziale. Anche se la notizia non è stata ancora confermata, è probabilmente morto il leader talebano mawlawi Hibatullah Akhundzada. Ecco le conseguenze politiche e militari di una successione.

La presunta morte del leader talebano Hibatullah Hakundzada: che cosa significa per il movimento?

Competizione tra gruppi di potere all’interno del Consiglio Supremo talebano, la shura di Quetta. Così come accadde nel 2015 quando fu resa nota la morte del mullah Omar, lo storico fondatore del movimento, deceduto due anni prima. Allora il movimento fu scosso da lotte intestine, scontri aperti e uccisioni di leader di importante livello. Prevalse il mullah Mansour, già braccio destro di Omar, ma fu presto eliminato da un attacco drone statunitense con il sospetto che a dare la sua posizione siano stati gli stessi talebani in collaborazione con il Pakistan.

Dunque un rischio concreto di frammentazione in più correnti.

E la figura del mullah Yaqoub pare essere forse l’unica al momento a garantire una tenuta della leadership. Non è un caso, anche se ai più è sfuggito che da semplice mullah sia stato promosso, almeno sui media ufficiali dei talebani al rango di mawlawì, il massimo livello religioso lo stesso Hibatullah Akundzada

Secondo un report di UNODC i talebani starebbero continuando a sostenere al-Qaeda. Se così fosse?

I talebani hanno bollato come falso il rapporto delle Nazioni Unite. C’era da aspettarselo. E che vi sia un legame consolidato e duraturo, al di la delle promesse e delle premesse dell’accordo negoziale, non sorprende, né dobbiamo farci illusioni su un possibile allontanamento di al-qa’ida dall’Afghanistan dei talebani almeno nel breve periodo. Troppo stretti i rapporti tra le due organizzazioni, troppo stretti i rapporti personali e in alcuni casi anche famigliari. Haqqani network, componente radicale all’interno del Supremo Consiglio talebano, ha assimilato l’anima qaedista e ad essa è votato seppur con un’adesione di opportunità e sulla base di priorità afghane e non di jihad globale. Credo che l’opzione di una scissione tra i talebani, che non è da escludere, possa essere funzionale al mantenimento di un legame con AQ e una parte del fronte talebano.

Qualche giorno fa Mujib Mashal sul New York Times descriveva bene la decentralizzazione dei taliban, fluidi e veloci nel reclutare, tante piccole cellule. Ce la faranno nel lungo periodo a diventare più strutturati e “governativi”? Cambieranno anima? E se sì, saranno più forti o più deboli rispetto ala capacità di governo del Presidente Ghani?

I talebani hanno dimostrato una grande capacità organizzativa come movimento insurrezionale, addirittura migliore di quella del 1996-2001 quando governavano nominalmente l’Afghanistan. Il problema è il passaggio da movimento insurrezionale a forza di governo di uno Stato sostanzialmente fallito. I talebani oggi basano la propria forza finanziaria sulla gestione del narco-traffico; come Stato non potranno più farlo direttamente, questo perché la comunità internazionale negherebbe qualunque tipo di riconoscimento formale e di sostegno sostanziale. E allora la capacità del movimento talebano sarà proprio quella di creare una condizione favorevole a trarre vantaggio da tutte le opportunità: e lo faranno convincendo la stessa comunità internazionale che con i talebani si dovrà interfacciare. Non mancheranno gli aiuti da parte degli stati amici, Pakistan e Cina in primis; così come non mancherà il supporto statunitense, almeno fino a quando i talebani si dimostreranno in grado di garantire un minimo livello di sicurezza nel Paese. Il problema è che i talebani al governo del paese potrebbero arrivarci attraverso la cancellazione dello stato afghano e della sua costituzione così come oggi noi li conosciamo sebbene è prevedibile che l’apparato statale, almeno una parte, verrà conservato.