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Principali eventi nell’area del Maghreb e Mashreq – Gennaio

Algeria: Scaroni ed Eni scagionati su Saipem Algeria

La corte d’appello di Milano ha assolto l’ex CEO di Eni, Paolo Scaroni (attualmente presidente dell’AC Milan) e l’Eni dall’accusa di aver pagato tangenti in Algeria. Annullata la confisca di 197 milioni di dollari per l’unità infrastrutturale Saipem. Tutti gli altri imputati sono stati assolti, compresi i dirigenti di Saipem. Un processo che, concludendosi di fatto con un assoluzione per insussistenza dei fatti, ha provocato ingenti perdite finanziarie per gli investitori (Fonte ANSA)

Egitto: La risposta all’accordo di Turchia e Libia sullo sfruttamento bacino mediterraneo

Francia, Grecia, Egitto e Cipro hanno dichiarato “nulli” gli accordi (un patto militare e un accordo marittimo) tra Ankara e la Libia che assegnerebbero alla Turchia i diritti di sfruttamento su una vasta area del Mediterraneo orientale. Una dichiarazione rilasciata dai ministri degli Esteri dei quattro paesi – che si sono incontrati al Cairo – afferma che i controversi accordi hanno minato la stabilità regionale. L’Italia, che ha partecipato al meeting del Cairo, non ha firmato la dichiarazione.

I firmatari hanno condannato le perforazioni della Turchia nella zona economica esclusiva e nelle acque territoriali della Repubblica di Cipro, invitando Ankara a “cessare immediatamente tutte le attività di esplorazione illegale”.

Israele: Israele inizia a esportare gas naturale in Egitto (ma non più in Giordania)

L’Egitto ha iniziato a importare gas naturale dal più grande giacimento di gas offshore israeliano (Leviathan); ciò rapppresenta una tappa storica verso l’ambizioso piano del Cairo di diventare un hub energetico regionale. Il gas israeliano esportato in Egitto è destinato al consumo interno e alla liquefazione per l’esportazione verso altri mercati, uno sviluppo che sarà apprezzato dall’Europa, che sta cercando di ridurre la sua dipendenza dal gas naturale importato dalla Russia. In una dichiarazione che annuncia il primo trasferimento, il Ministero egiziano delle risorse petrolifere e minerarie ha affermato che l’evento “rappresenta uno sviluppo importante che serve gli interessi economici di entrambi i paesi” (Fonte al-Jazeera).

Il parlamento giordano ha approvato a gennaio un disegno di legge per vietare le importazioni di gas da Israele: dopo essere stato approvato dal Parlamento, la mozione per fermare le importazioni di gas israeliane verrà inviata al governo per la conversione in legge.

Libano: dopo mesi di proteste, si insedia il nuovo governo

Hassan Diab, professore di ingegneria informatica presso l’Università americana di Beirut ed ex ministro dell’istruzione, è una figura poco conosciuta: assume il ruolo di Primo ministro con il sostegno di Hezbollah, dei suoi alleati e del Free Patriotic Movement, partito politico cristiano. Sebbene l’ex primo ministro Saad Hariri si sia dimesso il 29 ottobre dell’anno scorso, è rimasto in carica sino al passaggio di consegne.

Diab succede ad Hariri e prende in mano un Paese lacerato dai conflitti interni e da una grave crisi economica. Un investitura che segue i 97 giorni di violente proteste che hanno travolto il paese, attraverso le manifestazioni di piazza con i manifestanti che hanno denunciato la corruzione e un sistema settario percepito a beneficio dell’élite politica. Centinaia di persone sono rimaste ferite nelle violente proteste che hanno visto i manifestanti rispondere con pietre e bombe “Molotov” ai gas lacrimogeni e ai cannoni ad acqua delle forze di sicurezza. Quello di Diab si è presentato come governo tecnico e non condizionato da correnti politiche.

Libia: il blocco del petrolio e la pressione di Haftar

La compagnia petrolifera statale libica afferma che la produzione è diminuita del 75% a causa del blocco delle esportazioni, che ha portato alla chiusura dei principali campi petroliferi e porti nell’est e nel sud del paese, imposto dal cosiddetto “Esercito nazionale Libico” (LNA) guidato dal generale Kalifa Haftar. Le esportazioni sono state sospese nei porti di Brega, Ras Lanouf, Al-Sidra, Al-Hariga e Zweitina nella “mezzaluna petrolifera” del paese, corridoio in cui transita la maggior parte delle esportazioni di greggio libico. La NOC (National Oil Company) ha anche denunciato la chiusura di valvole in una stazione di pompaggio nel sud-ovest, che portato all’interruzione della produzione nei principali campi di Al-Sharara e Al-Fil.

Un’azione che, nel complesso, avrebbe causato perdite stimate per 256 milioni di dollari con una produzione passata da 1,2 milioni di barili al giorno a poco più di 320.000 (Fonte NOC,). Nel complesso, la produzione di petrolio della Libia è precipitata di circa tre quarti dal 19 gennaio, in concomitanza con l’infruttuoso dialogo sulla Libia di Berlino.

Una scelta strategica, quella di Haftar, volta a ridurre la principale fonte di reddito del paese in risposta alla decisione della Turchia di inviare consiglieri e addestratori militari a sostegno del Governo di Unità Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj. Una mossa che, a dispetto delle dichiarazioni congiunte in occasione del dialogo di Berlino, non ha trovato l’opposizione di Russia, Emirati Arabi Uniti (EAU) ed Egitto, sostenitori di Haftar.

Siria: Probabilità di un ritiro turco dalla Siria dopo i colloqui ufficiali

Un incontro tra i capi dell’intelligence turca e siriana questa settimana a Mosca ha aperto le porte a un accordo che potrebbe riportare Ankara fuori dal conflitto in Siria (Fonte Ahval News). L’incontro tra il capo dell’intelligence nazionale turca Hakan Fidan e il capo dell’ufficio di sicurezza nazionale siriano Ali Mamlouk ha segnato il primo contatto ufficiale tra i due paesi dal 2012. Turchia che è in relativo svantaggio in Siria, dove l’opposizione armata al regime siriano è relegata nell’area nord-occidentale della provincia di Idlib. La Russia starebbe negoziando per un disimpegno della Turchia e conseguente ritiro delle truppe di Ankara: un disimpegno che potrebbe portare a un abbandono dei territori occupati nella la Siria settentrionale attraverso tre operazioni militari dal 2016 al 2019. Ankara e Mosca, pur in un rapporto di competizione regionale, hanno collaborato strettamente nelle fasi successive e oggi sovrintendono il gruppo di dialogo che mira a porre fine ai combattimenti.

Nel frattempo aumentano le tensioni tra le forze statunitensi e russe nel nord della Siria.

Tunisia: Elias Fakhakh, il nuovo premier

Elias Fakhfakh (48 anni), il 20 gennaio ha ricevuto l’incarico di formare il governo dal presidente Qais Saeed. Imprenditore che ha avuto un ruolo importante nella politica nazionale degli ultimi dieci anni, dopo la “Rivoluzione dei gelsomini” del 2011 che ha deposto lo storico presidente Zine El Abidine Ben Ali, ha rivestito il ruolo di ministro del turismo e poi delle finanze.

Il nuovo premier proviene dal Partito democratico, che ha 22 deputati in un parlamento composto da 217 seggi, ha ottenuto il sostegno sia del suo stesso blocco sia del Long Live Tunisia Party.

La nomina di Fakhfakh a premier segue quella del suo predecessore Habib Jemli, costretto a dimettersi a causa dall’incapacità di ottenere la fiducia del Parlamento, nonostante il sostegno del più grande blocco parlamentare, il Movimento islamista Ennahda.

Fakhfakh intrattiene buoni rapporti con la maggior parte dei diversi movimenti politici del paese, siano essi islamisti, secolari o progressisti.

La Tunisia schiera unità corazzate al confine con la Libia

La Tunisia ha minacciato di adottare “adeguate misure eccezionali” ai confini con la Libia per garantire la sicurezza nazionale di fronte a qualsiasi possibile escalation. Il ministero degli Affari esteri tunisino, che ha dichiarato che la Tunisia “ha un interesse diretto a ripristinare la sicurezza e la pace in Libia”, ha sottolineato la necessità di trovare una soluzione politica che coinvolga esclusivamente le parti libiche, a conferma della posizione neutra adottata da Tunisi che da sempre si oppone a rapporti di cooperazione unilaterale con una delle due parti in guerra. Un approccio, quello tunisino che potrebbe escludere la partecipazione del Paese a processi negoziali condotti da organizzazioni internazionali.


TG RSI – Libia, l’analisi di Claudio Bertolotti dopo il vertice di Berlino

(Dal minuto 13.38)

Sintesi. Berlino, non c’è accordo di pace tra i due contendenti libici (che non si sono incontrati e non hanno siglato la dichiarazione congiunta), non c’è deposizione delle armi, né è stato avviato un processo politico per l’unificazione dei due parlamenti. Necessario essere cauti e realisti senza lasciarsi travolgere dall’ottimismo delle dichiarazioni ufficiali. Tenendo in considerazione le ambizioni strategiche dei sostenitori esterni del premier al-Sarraj e del Generale Haftar, i quali, da soli, non sono in grado di condurre operazioni militari risolutive. Il commento di Claudio Bertolotti per il TG della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana RSI, 20 gennaio 2020. 


Libia: nulla di fatto a Berlino

di Claudio Bertolotti

Il vertice europeo di Berlino del 19 gennaio 2020 avrebbe dovuto segnare un primo passo per la risoluzione del conflitto militare e politico in Libia, caratterizzato da numerosi ostacoli e molteplici attori coinvolti. Il 27 gennaio l’incontro di Berlino è stato archiviato: il Consiglio presidenziale del Governo di Accordo Nazionale libico (GNA), riconosciuto dalle Nazioni Unite e guidato da Fayez al Serraj, ha detto ufficialmente che dovrà “riconsiderare la sua partecipazione a qualsiasi dialogo a causa delle violazioni del cessate il fuoco” da parte dell’LNA – Libyan National Army, guidato dal generale Khalifa Haftar che, dal 4 aprile dello scorso anno, assedia Tripoli nel tentativo di prendere il potere con la forza.

Russia (con Egitto e UAE) e Turchia, pur a fronte di generici impegni orientati a una non ingerenza negli affari libici, non hanno di fatto ridefinito le proprie ambizioni e attività a sostegno delle due parti libiche. Tra i sostenitori di Haftar, gli Emirati Arabi Uniti, sono l’attore più attivo sebbene meno sotto i riflettori internazionali: sponsor principale di Haftar, gli UAE sono impegnati nella condotta di attacchi aerei mediante l’utilizzo di droni: si citano, tra le principali azioni, i bombardamenti dell’aeroporto di Misurata, all’interno del quale è presente il contingente militare italiano.

Gli USA paiono non essere intenzionati a lasciare un vuoto, così come (temporaneamente) fatto in Siria, a fronte del timore di un ruolo crescente della Russia nel Mediterraneo e, sebbene in maniera non evidente, di una Cina sempre più presente nel continente africano e nell’area mediterranea. L’Italia, debole sul piano delle relazioni internazionali, è a rischio marginalizzazione nel processo di stabilizzazione della Libia.

Di fatto a Berlino fin da subito sono mancati gli elementi fondamentali per poter avviare un dialogo negoziale funzionale alla cessazione delle ostilità: non c’è stato accordo di pace tra i due contendenti libici (che non si sono incontrati e non hanno siglato la dichiarazione congiunta), non c’è stata la deposizione delle armi (nessuna tregua o cessate il fuoco), né è stato avviato un processo politico per l’unificazione dei due parlamenti.

Tenendo in considerazione le ambizioni strategiche dei sostenitori esterni del premier al-Sarraj e del Generale Haftar, i quali, da soli, non sono in grado di condurre operazioni militari risolutive, appare evidente come lo stato di conflittualità cronica trovi ragione d’essere nelle ambizioni e negli interessi nazionali di supporter esterni sempre più impegnati in quella che è una war by proxy sempre più simile al conflitto siriano, a causa della crescente presenza di gruppi combattenti stranieri. Preoccupa la presenza di mercenari sudanesi (valutati in circa 2.000 unità) a supporto delle forze di Haftar, alle quali si contrappongono i circa 3.000 islamisti reduci dalla guerra in Siria che sarebbero stati trasferiti in Tripolitania, a sostegno del GNA, dalla Turchia. Presenti anche circa 1.000 contractor della compagna russa Wagner e alcune decine di ufficiali tirchi con funzione di “consulenza” e “supporto” (Fonte START InSight).

Il blocco del petrolio e la pressione di Haftar

La compagnia petrolifera statale libica afferma che la produzione è diminuita del 75% a causa del blocco delle esportazioni, che ha portato alla chiusura dei principali campi petroliferi e porti nell’est e nel sud del paese, imposto dal cosiddetto “Esercito nazionale Libico” (LNA) guidato dal generale Kalifa Haftar. Le esportazioni sono state sospese nei porti di Brega, Ras Lanouf, Al-Sidra, Al-Hariga e Zweitina nella “mezzaluna petrolifera” del paese, corridoio in cui transita la maggior parte delle esportazioni di greggio libico. La NOC (National Oil Company) ha anche denunciato la chiusura di valvole in una stazione di pompaggio nel sud-ovest, che portato all’interruzione della produzione nei principali campi di Al-Sharara e Al-Fil.

Un’azione che, nel complesso, avrebbe causato perdite stimate per 256 milioni di dollari con una produzione passata da 1,2 milioni di barili al giorno a poco più di 320.000 (Fonte NOC,). Nel complesso, la produzione di petrolio della Libia è precipitata di circa tre quarti dal 19 gennaio, in concomitanza con l’infruttuoso dialogo sulla Libia di Berlino.

Una scelta strategica, quella di Haftar, volta a ridurre la principale fonte di reddito del paese in risposta alla decisione della Turchia di inviare consiglieri e addestratori militari a sostegno del Governo di Unità Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj. Una mossa che, a dispetto delle dichiarazioni congiunte in occasione del dialogo di Berlino, non ha trovato l’opposizione di Russia, Emirati Arabi Uniti (EAU) ed Egitto, sostenitori di Haftar.

Il Commento per RaiNews24 di Claudio Bertolotti, Direttore START InSight


RaiNews 24. Conferenza di Berlino sulla Libia. Il commento di Claudio Bertolotti

Il vertice europeo di Berlino del 19 gennaio 2020 dovrebbe segnare un primo passo per la risoluzione del conflitto militare e politico in Libia. Gli ostacoli sono numerosi, così come gli attori coinvolti. Russia (con Egitto e UAE) e Turchia dovranno ridefinire le proprie ambizioni. Gli USA non lasceranno un vuoto (che verrebbe riempito dalla Russia) mentre l’Italia è a rischio marginalizzazione. Il commento completo del Direttore Claudio Bertolotti nell’approfondimento “Focus24”. Intervista di Sabrina Bellomo.

Libia. Conferenza di Berlino: nulla di fatto

Il vertice europeo di Berlino del 19 gennaio 2020 avrebbe dovuto segnare un primo passo per la risoluzione del conflitto militare e politico in Libia, caratterizzato da numerosi ostacoli e molteplici attori coinvolti. Il 27 gennaio l’incontro di Berlino è stato archiviato: il Consiglio presidenziale del Governo di Accordo Nazionale libico (GNA), riconosciuto dalle Nazioni Unite e guidato da Fayez al Serraj, ha detto ufficialmente che dovrà “riconsiderare la sua partecipazione a qualsiasi dialogo a causa delle violazioni del cessate il fuoco” da parte dell’LNA – Libyan National Army, guidato dal generale Khalifa Haftar che, dal 4 aprile dello scorso anno, assedia Tripoli nel tentativo di prendere il potere con la forza.

Russia (con Egitto e UAE) e Turchia, pur a fronte di generici impegni orientati a una non ingerenza negli affari libici, non hanno di fatto ridefinito le proprie ambizioni e attività a sostegno delle due parti libiche. Tra i sostenitori di Haftar, gli Emirati Arabi Uniti, sono l’attore più attivo sebbene meno sotto i riflettori internazionali: sponsor principale di Haftar, gli UAE sono impegnati nella condotta di attacchi aerei mediante l’utilizzo di droni: si citano, tra le principali azioni, i bombardamenti dell’aeroporto di Misurata, all’interno del quale è presente il contingente militare italiano.

Gli USA paiono non essere intenzionati a lasciare un vuoto, così come (temporaneamente) fatto in Siria, a fronte del timore di un ruolo crescente della Russia nel Mediterraneo e, sebbene in maniera non evidente, di una Cina sempre più presente nel continente africano e nell’area mediterranea. L’Italia, debole sul piano delle relazioni internazionali, è a rischio marginalizzazione nel processo di stabilizzazione della Libia.

Di fatto a Berlino fin da subito sono mancati gli elementi fondamentali per poter avviare un dialogo negoziale funzionale alla cessazione delle ostilità: non c’è stato accordo di pace tra i due contendenti libici (che non si sono incontrati e non hanno siglato la dichiarazione congiunta), non c’è stata la deposizione delle armi (nessuna tregua o cessate il fuoco), né è stato avviato un processo politico per l’unificazione dei due parlamenti.

Tenendo in considerazione le ambizioni strategiche dei sostenitori esterni del premier al-Sarraj e del Generale Haftar, i quali, da soli, non sono in grado di condurre operazioni militari risolutive, appare evidente come lo stato di conflittualità cronica trovi ragione d’essere nelle ambizioni e negli interessi nazionali di supporter esterni sempre più impegnati in quella che è una war by proxy sempre più simile al conflitto siriano, a causa della crescente presenza di gruppi combattenti stranieri. Preoccupa la presenza di mercenari sudanesi (valutati in circa 2.000 unità) a supporto delle forze di Haftar, alle quali si contrappongono i circa 3.000 islamisti reduci dalla guerra in Siria che sarebbero stati trasferiti in Tripolitania, a sostegno del GNA, dalla Turchia. Presenti anche circa 1.000 contractor della compagna russa Wagner e alcune decine di ufficiali tirchi con funzione di “consulenza” e “supporto” (Fonte START InSight).

Il blocco del petrolio e la pressione di Haftar

La compagnia petrolifera statale libica afferma che la produzione è diminuita del 75% a causa del blocco delle esportazioni, che ha portato alla chiusura dei principali campi petroliferi e porti nell’est e nel sud del paese, imposto dal cosiddetto “Esercito nazionale Libico” (LNA) guidato dal generale Kalifa Haftar. Le esportazioni sono state sospese nei porti di Brega, Ras Lanouf, Al-Sidra, Al-Hariga e Zweitina nella “mezzaluna petrolifera” del paese, corridoio in cui transita la maggior parte delle esportazioni di greggio libico. La NOC (National Oil Company) ha anche denunciato la chiusura di valvole in una stazione di pompaggio nel sud-ovest, che portato all’interruzione della produzione nei principali campi di Al-Sharara e Al-Fil.

Un’azione che, nel complesso, avrebbe causato perdite stimate per 256 milioni di dollari con una produzione passata da 1,2 milioni di barili al giorno a poco più di 320.000 (Fonte NOC,). Nel complesso, la produzione di petrolio della Libia è precipitata di circa tre quarti dal 19 gennaio, in concomitanza con l’infruttuoso dialogo sulla Libia di Berlino.

Una scelta strategica, quella di Haftar, volta a ridurre la principale fonte di reddito del paese in risposta alla decisione della Turchia di inviare consiglieri e addestratori militari a sostegno del Governo di Unità Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj. Una mossa che, a dispetto delle dichiarazioni congiunte in occasione del dialogo di Berlino, non ha trovato l’opposizione di Russia, Emirati Arabi Uniti (EAU) ed Egitto, sostenitori di Haftar.